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Che cosa intendeva dire Rosmini? Un santo non può essere un panteista - Prima Parte (1/3)

 

Che cosa intendeva dire Rosmini?

Un santo non può essere un panteista

Prima Parte (1/3)

 

La Chiesa ci illumina sulla vicenda

 di un grande maestro controverso

Il Sommo Pontefice Leone XIV in un suo recente discorso ci ha presentato come guida alla sapienza il Beato Antonio Rosmini. Anche San Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et Ratio, tra i maestri ai quali oggi possiamo rivolgerci per acquistare la sapienza ci ha indicato il Beato Rosmini.

Il mio pensiero va a quell’intervento del Sant’Uffizio del 1887 sotto il pontificato di Leone XIII col quale venivano condannate 40 proposizioni estratte dalle opere del Roveretano. Uno si potrebbe domandare: come la Chiesa è arrivata a beatificare un teologo del quale ha censurato ben 40 proposizioni?

Osservo anzitutto che per quanto riguarda la condotta di vita, nessuno ha mai dubitato della vita santa di Rosmini, stimato da Pio VIII, Gregorio XVI e dal Beato Pio IX, fondatore di un Istituto Religioso tuttora fiorente, uomo di vita ascetica, sapiente guida spirituale, sacerdote di irreprensibili costumi e di grande pietà religiosa, attento ai bisogni della cultura, della Chiesa e della società del suo tempo.

Tuttavia i suoi numerosi scritti trattanti materie delicate in campo filosofico e teologico, suscitarono nel suo tempo aspre polemiche fra sostenitori e critici all’interno della Chiesa stessa.

Chiaramente si poneva un problema di non facile interpretazione per alcuni dei suoi scritti, nell’affrontare ardui temi filosofici e teologici. Tali scritti non svolgevano questo compito col tradizionale linguaggio scolastico, ma con espressioni strane o desunte dall’idealismo tedesco, soprattutto Kant e Schelling. Inoltre Rosmini sembrava favorire quell’ontologismo, che fu condannato sotto Pio IX nel 1861 (Denz.2841-2847). Il fatto è che Rosmini non ricevette una normale formazione intellettuale in un istituto ecclesiastico. Disponeva solo di una laurea in filosofia nell’Università di Padova.

 La mancanza di titoli accademici ecclesiastici certamente gli nocque, ma avendo dato prova fin da giovane di un eccezionale talento speculativo e di zelo  nella diffusione del pensiero cattolico, prima Pio VIII e poi Gregorio XVI lo incoraggiarono a mettere il suo talento a servizio della Chiesa nella promozione dei valori e nella confutazione degli errori della modernità, cosa alla quale Rosmini si dedicò col massimo impegno fino agli ultimi giorni della sua vita, sopportando con eroica pazienza i duri  attacchi che gli venivano da teologi, specialmente Gesuiti, che gli muovevano non solo l’accusa di non seguire San Tommaso, ma persino di essere caduto nell’eresia, ingannato dall’ontologismo, dall’idealismo e dal panteismo.

La lettura degli scritti di Rosmini, cosa alla quale io sono aduso da cinquant’anni, porta sì l’occhio vigile a scoprire asserzioni a tutta prima incompatibili col realismo e con la sana dottrina, ma tali espressioni sono redatte in uno stile espositivo e sono inserite in un orizzonte o clima di pensiero così nobile ed elevato, che ci accorgiamo che qui non ci troviamo davanti ad uno che vuol gettarci fumo negli occhi o vuole darcela ad intendere con sottili artifizi sofistici, ma ad un pensatore di grande levatura che con tutta onestà, si rivolge a lettori sinceramente alla ricerca della verità e non a dei furbi o a degli ingenui erranti in buona fede, ossia un Autore che con espressioni involontariamente improprie, sta esercitando verso di noi una vera carità intellettuale nello sforzo di farci comprendere ardui temi filosofici o teologici di grande importanza.  In altre parole, ci accorgiamo che, al di là degli errori o fraintendimenti oggettivi, qui è un santo che ci parla e non un impostore.

Per questo il Card. Ratzinger, nella Nota della CDF del 2001, con la quale ha voluto preparare l‘imminente beatificazione del Rosmini, tiene a precisare che le 40 proposizioni restano condannate nel loro senso oggettivo, così come suonano, vale a dire nel loro senso idealistico od ontologistico, ma che però esse non esprimono «l’autentica posizione di Rosmini», che resta nel solco del realismo, della sana dottrina e dell’ortodossia ecclesiale.  Come a dire che l’intenzione del Rosmini fu giusta; egli disse cose giuste, ma si espresse male, così da apparire ciò che in realtà non era e non intendeva essere. 

La condanna in sé stessa resta valida e potrebbe essere applicata a teologi veramente idealisti, come per esempio Rahner. Ma Rosmini resta fuori, benchè materialmente quelle proposizioni si trovino effettivamente nelle sue opere. Per questo, in questo senso e con questa riserva, è ancor oggi lecito attribuirle a Rosmini, come fece il Sant’Uffizio nel 1887. Ci si poteva chiedere: ne valeva la pena beatificare una persona che tante difficoltà e contrasti ha suscitato dal punto di vista dottrinale? Confesso di non conoscere la vita del Rosmini, ma come cattolico che sa come la Chiesa in queste cose non si sbaglia, devo pensare che le ragioni per questa sua decisione ci siano state.

Ma come scagionare Rosmini dal punto di vista dottrinale? Come mostrare la sua ortodossia? Occorre una esegesi sia dei suoi scritti che delle proposizioni condannate, come ha fatto per esempio Giorgio Giannini[1], mostrando che essi, dovutamente interpretati alla luce della vera posizione di Rosmini, e confrontandoli con la dottrina di San Tommaso, possono accordarsi con la dottrina dell’Aquinate e quindi con la stessa dottrina cattolica.

Certo Giannini in questo lavoro fa dire qualche volta a Tommaso quello che dice Rosmini e appare che qualche volta Rosmini ha tirato Tommaso dalla sua parte. Ma il lavoro di Giannini è sostanzialmente buono e ci aiuta a capire la Nota della CDF.

Osserviamo inoltre che quando la Chiesa beatifica o canonizza qualche teologo, essa non pretende da lui la purezza dottrinale di un San Tommaso, ma tollera qualche errore, come è avvenuto per esempio con Sant’Anselmo, San Bonaventura o Duns Scoto e lo stesso Sant’Agostino, aggiungendo che agli sguardi esigenti anche lo stesso San Tommaso non è del tutto immune dall’errore. La Chiesa, quando si pone l’eventualità di una canonizzazione, bada innanzitutto alle virtù eroiche e alla testimonianza della carità. Se il candidato non può passare all’esame nella dottrina con 10 e lode, è sufficiente che passi col 6.

Notiamo ancora che l’adesione cosciente e voluta all’idealismo panteista è strettamente congiunta con una condotta morale conseguente non precisamente edificante, la quale non può non assumere i toni dell’albagia, dell’arroganza, dell’egocentrismo, dell’ipocrisia e dell’autoreferenzialità, nella linea del motto agostiniano amor sui usque ad contemptum Dei.

L’autoesaltazione, il gusto del dominio, l’esibizionismo, la brama del successo umano e il voler primeggiare, che sono effetti dell’assolutizzazione idealistica dell’io, non possono non generare nella condotta morale frutti velenosi, che possono ottenere una gloria umana e venir registrati nella storia, ma che nulla hanno a che vedere con la santità e la gloria che viene da Dio.

Per converso, un uomo come Rosmini, che ha vissuto una vita santa nell’umiltà, nel servizio al prossimo, nell’onestà, nella modestia, nella mitezza, nel sacrificio, nell’obbedienza, non può che aver attinto alle più pure sorgenti della verità filosofica e cattolica nella comunione ecclesiale e con Dio.

Per questo la sua innegabile veste idealistico-panteistica non è per nulla un habitus radicato nell’anima, coscientemente e deliberatamente voluto come nei veri idealisti-panteisti, ma, come dichiara la Nota, è un rivestimento preterintenzionale, accidentale e sventurato, quindi dissociabile ed incolpevole, «al di fuori del contesto del pensiero rosminiano».

Rosmini è sostanzialmente un realista. Diversamente non avrebbe potuto esercitare tutte le virtù che gli hanno meritato l’onore degli altari. Per lui l’ideale è distinto dal reale, il pensiero dall’essere, la res in anima dalla res extra animam, la creatura dal creatore, il mondo, l’uomo e gli angeli da Dio. 

Per dimostrare che Rosmini è un realista e non un idealista, basterebbe citare i passi nei quali egli nega che l’essere sia prodotto dal pensiero[2] - salvo che si tratti del pensiero divino -, dà l’essere come presupposto al pensiero, trascendente il pensiero, esterno al pensiero e indipendente dal pensiero, tutte cose delle quali l’idealista ha orrore.[3]

Come, perchè e a che scopo Rosmini

impostò la sua impresa teoretica 

Negli anni in cui Rosmini visse la sua gioventù e maturità, la cultura cattolica tentava di rimettersi in sesto dopo la bufera napoleonica che aveva  profondamente turbato  il clima intellettuale cattolico del tempo mettendo a dura prova le certezze della fede e della stessa ragione, mentre nel contempo in Germania  le menti si trovavano in uno stato di sovreccitazione per lo sviluppo travolgente e prodigioso della filosofia sorta da Kant, erede del cogito cartesiano, ed erano in atto le imprese turbinose di Fichte, Schelling ed Hegel in rapida successione, che pareva soppiantare con una sorta di spavaldo gnosticismo la visione cristiana della realtà e dell’esistenza.

Rosmini, animo eletto e sensibilissimo all’attrattiva dei massimi valori, assetato della verità assoluta e della più pura rettitudine morale, dotato di un’accurata formazione cattolica e desideroso di servire la Chiesa, fin da giovane si fece notare dai Papi Pio VIII e Gregorio XVI per questo suo santo zelo e fu da loro incoraggiato a mettere al servizio della verità della Chiesa lo straordinario telento speculativo e il suo ardore di carità.

Rosmini era ben consapevole del danno che veniva alla fede da parte dell’idealismo panteista tedesco, che stava già dando pessimi frutti oltre che nel provocare una corruzione dei costumi morali e apostasie dalla fede cristiana, nell’ateismo marxista che allora era al suo sorgere.

Nel contempo Rosmini aveva compreso che la cultura cattolica non poteva semplicemente trincerarsi nella condanna degli errori della modernità, non doveva accontentarsi di sopravvivere, ma doveva anche rafforzarsi e progredire riconoscendo ed assumendo i valori della modernità.

È in questa complessa e rischiosa operazione che purtroppo Rosmini non sempre è riuscito, nonostante le sue buone intenzioni, come il medico generoso che si prodiga in un’epidemia, che rimane in qualche misura contagiato dal male, senza tuttavia perdere la salute e le forze, che gli hanno consentito di essere un maestro di sapienza e di spiritualità.

Uno di questi difetti del Rosmini, che lasciò molti sconcertati, disorientati, infastiditi e scandalizzati, fu il fatto che egli, senza accorgersene e credendo di far bene e addirittura fosse suo dovere, essendo vissuto in un periodo di decadenza degli studi ecclesiastici e quindi della filosofia cattolica, si fece un concetto del filosofare che risentiva del soggettivismo e dell’indisciplina propria degli idealisti tedeschi, che allora, nel pieno del loro fervore, con un’attività prodigiosa e scintillante, passavano per essere i giganti del pensiero, attori di imprese napoleoniche nel campo della filosofia, così come Napoleone di recente aveva rivoluzionato l’assetto dell’Europa.

In tal modo Rosmini, pur ammirando San Tommaso, i Dottori scolastici  e intendendo essere rispettoso del Magistero della Chiesa, concepì il filosofare del cattolico non tanto come il far progredire un sapere acquisto alla scuola dei maestri approvati dalla Chiesa, non tanto come una ricerca e una conquista intellettuale sulla base del possesso di un patrimonio di sapere comune già acquisito dai maestri del passato, quanto piuttosto intese e praticò il filosofare come affermazione della propria personalità, sul modello di quanto aveva fatto Cartesio, come un’opera personale per la quale il filosofo si sente la libertà creativa di inventare espressioni di proprio conio, nuove ed originali, nella convinzione che il lavoro filosofico non comporta l’acquisizione e l’uso di un linguaggio comune acquisto, ma la libertà di inventare per conto proprio espressioni originali ed inaudite.

Fine Prima Parte (1/3)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 4 novembre 2025   

                                                                    


Per dimostrare che Rosmini è un realista e non un idealista, basterebbe citare i passi nei quali egli nega che l’essere sia prodotto dal pensiero - salvo che si tratti del pensiero divino -, dà l’essere come presupposto al pensiero, trascendente il pensiero, esterno al pensiero e indipendente dal pensiero, tutte cose delle quali l’idealista ha orrore.

Immagine da Internet: Antonio Rosmini

[1] Esame delle quaranta proposizioni rosminiane, Genova-Stresa 1985.

[2] Vedi il mio articolo Il fascino dell’idea «reale» e «ideale» nel pensiero di Antonio Rosmini, in Divinitas, 3, 2005, I, p.28.

[3] Ibid., I, pp.274, 275, 282,

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