Fratellanza e ragionevolezza
Il messaggio di Papa Francesco
Seconda Parte (2/2)
L’opera evangelizzatrice
Il Concilio Vaticano II ha riformato il metodo dell’opera evangelizzatrice missionaria e catechetica secondo modalità più consone al Vangelo ed adatte ad incidere sugli uomini di oggi. In precedenza era esistita una lunga tradizione, risalente agli inizi del cristianesimo, soprattutto quella di noi Domenicani, ma anche i Gesuiti e i Francescani, come anche appositi Istituti Missionari come i Saveriani e i Dehoniani, la quale aveva certamente prodotto abbondanti frutti, ma davanti all’avanzare della cultura moderna, stava mostrando difetti ai quali occorreva rimediare. In passato si badava molto ai risultati esteriori, meno alla persuasione interiore.
La conversione era più frutto dell’imposizione politica e della convenienza sociale che di un sofferto cammino interiore. Il Concilio ha scelto un metodo che punta decisamente più su di una paziente opera di persuasione che sulla convenienza sociale, garantendo nell’evangelizzando una scelta pienamente libera e responsabile, quindi radicata e convinta, pronto ad accettare in certi casi anche una diminuzione del numero dei fedeli, ma col guadagno di conquistare più radicalmente e liberamente le coscienze.
Prima del Concilio l’evangelizzazione era introdotta da una predicazione detta «apologetica», oggi chiamata introduzione alla fede o al cristianesimo o teologia fondamentale, che può fare anche da introduzione alla cristologia o all’ecclesiologia o alla Sacra Scrittura, un metodo col quale ci si difendeva dagli attacchi e dalle calunnie degli increduli e dalle eresie degli eretici, ci si sforzava di addurre argomenti irrefutabili che inducessero a credere in Cristo, e di persuadere invincibilmente gli infedeli della assoluta credibilità del messaggio cristiano.
Questo metodo aveva condotto ad eccessi polemici, alla sottovalutazione della cultura e delle ragioni degli evangelizzandi, e al rischio di abbassare la predicazione del Vangelo al livello della pubblicizzazione di un prodotto commerciale. Papa Francesco ha biasimato questo metodo razionalistico, che rischia di dimenticare la gratuità del dono della fede, chiamandolo «proselitismo», un termine che in passato aveva un significato positivo, ma al quale egli ha dato un senso negativo.
Il Concilio, senza negare la necessità di confutare gli errori, di difendersi dagli attacchi, di mostrare la superiorità del cattolicesimo sulle altre confessioni religiose, ha tuttavia posto l’accento sulla necessità dell’inculturazione del Vangelo e di portare avanti più che una predicazione che sapesse d’indottrinamento, un dialogo catechetico e mistagogico nel quale avvenga uno scambio nell’ascolto reciproco. Ora Papa Francesco si è attenuto a tutte queste norme.
Dobbiamo anche dire che i contenuti fondamentali del mandato evangelico di Cristo si riassumono in pochi punti essenziali: battezzare, esortare alla penitenza e alla conversione, a credere nel Vangelo, perché il regno di Dio è vicino, insegnare ciò che Cristo ha insegnato, proclamare che Gesù è Dio, il Signore, il Messia, il Figlio del Padre, il Salvatore.
Tutti questi contenuti li troviamo esplicitamente o implicitamente, intesi o sottintesi, nella predicazione di Papa Francesco, naturalmente dosati, calibrati e selezionati a seconda delle circostanze e del pubblico o delle persone che aveva davanti o a cui s’indirizzava, cattolici, protestanti, ortodossi, musulmani, ebrei, induisti, non credenti.
Papa Francesco ha rifiutato il concetto preconciliare secondo il quale l’apostolo ha il dovere di operare per convertire l’infedele ed ha concepito la conversione non come effetto dell’opera evangelizzatrice, ma dell’azione dello Spirito Santo.
Questo naturalmente non vuol dire che il Papa abbia trascurato di ricordarci il nostro dovere di adoperarci con tutte le forze, pronti ad ogni sacrificio, per condurre il mondo a Cristo. Basterebbero a dimostrare ciò le innumerevoli fatiche, nonostante la tarda età, alle quali si è sottoposto instancabilmente nei suoi 31 viaggi apostolici in tutto il mondo, giungendo là dove fino ad allora nessun Papa era arrivato.
È vero che nei secoli passati grandi Papi hanno ottenuto successi formidabili stando a Roma e mandando ottimi e valorosi missionari. Ma dobbiamo pensare alla difficoltà di allora dei mezzi di traporto, mentre oggi con l’aereo si raggiungono in breve tempo le più lontane plaghe da Roma. D’altra parte il Papa missionario è un bell’esempio di come si deve fare il missionario.
Lungo il corso del suo pontificato Papa Francesco con una straordinaria energia nonostante l’età avanzata, evidentemente sostenuto dalla forza dello Spirito Santo, ha fatto 31 viaggi apostolici nei cinque Continenti, fino alle terre più lontane da Roma, per diffondere il Vangelo concentrando la sua predicazione su alcuni punti essenziali: che Gesù Cristo è il Salvatore del mondo; l’esortazione a cessare le guerre e conflitti e ad operare per il bene del prossimo, soprattutto nella giustizia e nella misericordia; che il Vangelo è il propugnatore dei diritti umani; che beati sono i costruttori di pace; che siamo chiamati ad operare per il bene comune; che Dio è misericordioso e perdona ogni peccato, che Dio ha predilezione per i poveri, gli umili e i piccoli; che Egli non ci abbandona nella sofferenza; che dobbiamo metterci a disposizione della forza sorprendente dello Spirito; che dobbiamo saper combattere contro il maligno; che siamo tutti fratelli e figli di Dio; che Dio vuole tutti salvi e che tutti sono chiamati ed entrare nella Chiesa, comunità di salvezza universale.
Nella sua predicazione il Papa ha sempre fatto una scelta oculata dei temi di cui parlare e delle esortazioni da fare con un’attenta distinzione dei temi da trattare con i cattolici, con i cristiani, con gli appartenenti a religioni non cristiane, con i non-credenti, sempre proporzionando i contenuti alla capacità di comprensione degli uditori, senza esigere di più di quanto potevano capire ed apprezzare, tacendo quelle cose alle quali non erano preparati, e che invece potevano apprezzare coloro che erano più vicini a Dio o al cristianesimo o al cattolicesimo, fino agli stessi cattolici. Questo metodo ha meravigliato e contrariato alcuni che i sono domandati come mai egli con alcuni parlava di Cristo, ma con altri non parlava di Cristo, perchè non esortava alla conversione preferendo dire che noi stessi abbiamo come primo dovere di convertire noi stessi.
Possiamo rispondere che la promozione umana è già una forma di evangelizzazione laddove il destinatario manca dei beni materiali primari, necessita di immediati interventi sanitari, economici od educativi ossia di una formazione umana o di un riscatto della sua dignità umana. Questo lavoro, che spesso supplisce a quelle che dovrebbero essere le strutture civili mancanti, si può protrarre anche per lungo tempo, senza che il destinatario giunga alle condizioni psicologiche e spirituali che gli permettano di ascoltare la parola del Vangelo. Di questo tatto il Papa ha sempre dato prova, senza trascurare invece le occasioni favorevoli e gli inviti che gli venivano dai popoli.
Le beatitudini evangeliche o la premiazione dei buoni al Giudizio universale nel c.25 di Matteo non fa riferimento alla fede cristiana, ma semplicemente alle opere della misericordia verso il prossimo. In esse è già presente implicitamente il riferimento a Cristo.
Nella sua opera evangelizzatrice potremmo avere l’impressione che il Papa si sia adagiato nel dialogo e sia stato carente nell’annuncio di Cristo come unico Salvatore dell’umanità. Inoltre, data l’enorme diffusione dell’ateismo, dell’agnosticismo, del materialismo e il diffondersi delle mistiche panteiste indiane appoggiate dell’idealismo tedesco, ci saremmo forse aspettati che trattasse maggiormente del tema dell’esistenza di Dio, o della questione degli attributi divini. Inoltre è vero che noi cristiani, insieme con gli ebrei, adoriamo lo stesso Dio unico e vero. E ciò è stata per il Papa occasione per favorire il dialogo interreligioso.
In questo dialogo Francesco ha messo in luce il valore della varietà e delle diversità, suscitando in alcuni il timore di una posizione relativista e indifferentista. Ma è evidente che quando il Papa ha detto che le differenti religioni sono volute da Dio, si riferiva a differenze legittime. Ma – dicono alcuni - non poteva Francesco, nel rivolgersi a loro, accennare anche al mistero trinitario? Inoltre, nel dialogo con i luterani, come mai non ha ricordato loro gli errori dai quali non si sono ancora corretti?
Si ha qui l’impressione di una certa reticenza. Timore di contrariarli? Rispetto umano? Mancanza di coraggio? Può essere che non li abbia ritenti ancora pronti all’atto di umiltà consistente nel rimediare ai loro errori. Forse per Francesco bisogna attendere ancora. Il Concilio dice che nell’attività ecumenica dobbiamo condurre i fratelli separati a quella pienezza della verità evangelica che è custodita solamente dalla Chiesa Romana. Tuttavia è chiaro che per un compito così arduo bisogna preparare il terreno. E come? Con la promozione dei valori umani, e la testimonianza delle opere della misericordia e della carità.
Considerando l’attività evangelizzatrice di Papa Francesco nel suo complesso, la mia impressione è che egli abbia ottenuto successi nei Continenti extraeuropei, col risultato di poter nominare molti Cardinali di quelle parti, che hanno introdotto nel Collegio cardinalizio un cattolicesimo internazionale col volto della multiculturalità.
La crescita numerica e quantitativa della Chiesa nei Continenti extraeuropei fa congetturare la diffusione del vero cattolicesimo e quindi di buoni centri di formazione, dai quali possono provenire questi Cardinali, mentre a Roma, paradossalmente le stesse Facoltà Pontificie sono inquinate ancora di rahnerismo, al quale speriamo possa porre rimedio il recente appello del Papa a favore di San Tommaso.
Francesco invece non ha avuto un vero successo in Europa, sia perché è stato strumentalizzato dai protestanti, dai modernisti e dai massoni e sia per l’accanita e miope opposizione ricevuta dai passatisti.
Come è noto, del resto, in Europa avanza un processo di scristianizzazione e restringimento dei confini e dei numeri della Chiesa visibile, col ben noto calo, in atto da decenni, di conversioni al cattolicesimo, di ingressi nella Chiesa, di frequenza ai sacramenti, di vocazioni religiose e sacerdotali, corrispettivamente col fenomeno dello scisma, dell’eresia e dell’apostasia, la chiusura di case religiose, l’accorpamento di diocesi e parrocchie, il moltiplicarsi delle sette, l’influsso musulmano, induista e buddista, il diffondersi del materialismo e dell’ateismo e la corruzione dei costumi morali.
La questione del misericordismo
Papa Francesco ha fatto del Vangelo della misericordia il contenuto di base della sua predicazione: annunciare al mondo che «Dio è misericordioso e pietoso, ricco di grazia e fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato» (Es 34, 6-7). Ma poco o nulla ci ha fatto sentire delle altre parole del testo biblico: «ma che non lascia senza punizione, che castiga la colpa» (v.7) ed è «lento all’ira» (v.6), e tuttavia l’ira c’è.
Il Papa si è molto preoccupato di assicurare tutti che Dio è misericordioso e perdona tutti i peccati. Ma mi pare che non abbia messo in luce che a tanti, a quanto sembra, pensiamo per esempio agli atei, ricevere misericordia e perdono da Dio non interessa niente, sia perchè ritengono di non aver fatto nulla di male, sia perché non credono neanche nell’esistenza di Dio.
Altri poi si domandano: dov’è il Dio misericordioso che non impedisce terremoti ed epidemie? Le alternative sembrano essere due: o il dirci che Dio è misericordioso è una presa in giro o le calamità hanno una causa diversa da Dio: un principio cattivo. Ma allora la natura è una dea cattiva indipendente da Dio? Non è stata creata da Dio?
Il Papa ha molto insistito sul nostro dovere di trattar bene la natura, ma – che io sappia – non ha mai affrontato la questione del come mai la natura non ci è solo madre, ma, come diceva Leopardi, anche «matrigna»? In occasione del covid il Papa ci ha esortato a portare pazienza, ha elogiato la generosità a volte eroica del personale medico, ha compianto i morti, ha pregato per la cessazione del covid, si è compiaciuto per la provvidenzialità del vaccino, ma – che io sappia – non ha mai preso occasione dalle calamità naturali interpretandole come castigo del peccato originale o per i nostri peccati o come occasione per far penitenza dei nostri peccati o per offrire sacrifici. Non era l’occasione per dire che in Dio non c’è solo la misericordia, ma anche la giustizia? O per dire che è per misericordia che Dio ci concede, per mezzo delle sventure, di poter espiare i nostri peccati?
Inoltre mi sembra che Papa Francesco abbia insistito molto sui peccati di fragilità e troppo poco su quelli di malizia. Ha avuto troppo timore che noi possiamo giudicare con troppa severità le mancanze del fratello. Certo, il foro interno è noto solo a Dio[1], ma noi abbiamo il dovere, nelle opportune circostanze e competenze, di attuare la correzione fraterna.
Questo atteggiamento del Papa può aver occasionato nei peccatori un adagiarsi nel vizio, un’assenza di conversione, nonché peccati di recidività, un certo scarico di responsabilità e un ritenersi dispensati dal far penitenza. Se la rigidità, contro la quale ha combattuto il Papa, genera scoraggiamento e favorisce l’ipocrisia, la troppa indulgenza non aiuta alla conversione, ma illude il peccatore e lo lascia nel peccato. In questo modo diventiamo graditi al mondo, ma scontentiamo Cristo.
Similmente il Papa ha molto insistito sulla parabola del figliol prodigo e sul racconto del perdono alla peccatrice, ma non abbiamo sentito quasi nulla di quelle parabole nelle quali Cristo mostra come il paradiso è frutto dei meriti e delle nostre fatiche, e sull’avvertimento dato al giovane ricco: «se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti» (Mt 19,17).
Ho sempre seguìto la predicazione di Papa Francesco sin dall’inizio. Data la quantità dei suoi interventi, confesso che tanti mi sono sfuggiti. Esprimo quindi qui solo una mia impressione, ben contento se qualcuno più informato di me corregge quanto sto per dire.
Non ho mai sentito ricordare, che io sappia, la parabola dei talenti» (Mt 25, 15), dove Cristo ci insegna chiaramente che se vogliamo il premio celeste, occorre trafficare il più possibile i talenti ricevuti; non ho mai notato che Francesco abbia commentato la parabola della perla preziosa (Mt 13,45), dove l’accesso al regno di Dio è presentato come un oggetto acquistato a proprie spese, o non ho mai sentito commentare la parabola dei vignaioli perfidi (Mt 21, 33-40), che mostra il nostro dovere di portar frutto nella vigna del Signore, pena l’essere puniti. Non ho mai letto un commento di Papa Francesco alla parabola degli operai mandati nella vigna, che ricevono la paga del lavoro svolto (Mt 20,1-20).
Francesco ha insistito molto sul fatto che Dio perdona tutti e perdona tutto, sul fatto che vuol salvare tutti, che la Chiesa è aperta a tutti. Ma non lo abbiamo mai sentito dire che all’inferno non c’è nessuno, come gli fanno dire i buonisti. Ciò infatti sarebbe un’eresia, impensabile sulla bocca di un Papa.
In tutto questo atteggiamento del Papa sembra di constatare un sistematico accantonare tutti quegli insegnamenti evangelici nei quali le buone opere sono presentate come condizione necessaria per salvarsi, dove il paradiso è presentato come premio ad un lavoro, come lo stipendio dell’operaio, come la conseguenza della pratica delle opere, come effetto dell’obbedienza alla legge, come meritato dalla buona volontà, come ottenuto pagando un prezzo.
Il Giubileo della speranza
Col richiamo alla speranza, egli ci ha insegnato a non arrenderci, non scoraggiarci, non adagiarci, non amareggiarci, non perdere la speranza; e non una semplice speranza umana, politica o secolare, ma lo sperare contro ogni speranza proprio del cristiano, ciò che può farlo sembrare un utopista o un visionario sognatore; e di fatti Francesco più volte ci ha richiamati al dovere di sognare, non certo nel senso del sogno romantico, ma secondo il sognare profetico, come i sogni di San Giuseppe.
Francesco ci ha insegnato che il cristiano spera in ciò che è supremamente bello, ma umanamente impossibile; non attende la morte, ma la vita, non si rassegna alle guerre, ma attende la pace; attende un futuro luminoso e non il nulla; non dispera della verità, ma attende di conoscerla in pienezza; non si scoraggia per le sue colpe, ma implora, pentito e penitente, la misericordia divina; non si scoraggia per le ingiustizie, ma sa che Dio farà giustizia; sa di camminare verso il meglio e non verso il baratro; sa che Dio è fedele alle sue promesse, che le forze del male non prevarranno sulla Chiesa, che i suoi nemici saranno sconfitti e che un giorno Cristo regnerà nella terra dei beati.
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 30 aprile 2025
Non ricordo che il Papa si sia mai fermato a commentare le parole severe del Signore verso coloro che non hanno praticato la misericordia: «via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli» (Mt 25, 41).
Francesco ha insistito molto sul fatto che Dio perdona tutti e perdona tutto, sul fatto che vuol salvare tutti, che la Chiesa è aperta a tutti. Ma non lo abbiamo mai sentito dire che all’inferno non c’è nessuno, come gli fanno dire i buonisti. Ciò infatti sarebbe un’eresia, impensabile sulla bocca di un Papa.
Il Papa sembra invece considerare esclusivamente la gratuità della salvezza, in un modo simile a Lutero. Che dire? Se Francesco fosse un luterano, sarebbe un eretico, cosa impensabile in un Papa. Si tratta dunque di una precisa opzione pastorale di Francesco. Il fatto che abbia taciuto certe verità non vuol dire affatto che le abbia negate.
Con tutto ciò ed anzi direi proprio a causa di tutto ciò Francesco ci ha invitato alla speranza, e questo è stato il suo ultimo messaggio. Con questo messaggio ha terminato il suo cammino terreno ed ha iniziato il suo cammino celeste.
Immagine da Internet: Allegoria della speranza, Giorgio Vasari
[1] È a questo foro interno che il Papa si riferiva col suo famoso «chi sono io per giudicare?», che i genderisti hanno interpretato come legittimazione papale della sodomia.
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