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Heidegger ha superato Hegel? - Parte Prima (1/3)

 

Heidegger ha superato Hegel?

Parte Prima (1/3)

 La questione dell’essere

Anche oggi come ai tempi di Parmenide e ai tempi degli antichi Veda indiani esiste l’interesse per l’essere. La Bibbia fa dire a Dio: «Io Sono». E Gesù Cristo dice: «Se non crederete che Io Sono, morirete nei vostri peccati». Per questo, San Paolo VI ha raccomandato la dottrina di San Tommaso presentandola come una metafisica dell’essere.

Un primo vago sentore dell’essere si ha nell’Indeterminato di Anassimandro, che Heidegger ha fatto bene a segnalare. Ma i primi pensatori occidentali che hanno esplicitamente sentito la questione dell’essere sono stati Eraclito e Parmenide. Per Eraclito nulla è, nulla permane, ma tutto diviene, tutto muta. Tutto è tempo e storia. Essere e non-essere coincidono.

Per Parmenide invece l’essere esiste ed è uno solo, per cui tutto è uno. L’essere non può non essere. Il pensiero è identico all’essere. Il molteplice, il contingente, il tempo e il divenire sono solo apparenza o apparire. Il nulla non esiste e quindi è impossibile una creazione dal nulla. Tutto è eterno, tutto è adesso e tutto è necessario.

Parmenide, nel voler concepire l’essere, non si è accorto della grandezza della sua intuizione, per cui egli ha formato senza rendersene conto il concetto dell’ipsum Esse sia pur in chiave monistico-panteista e a causa di questa ignoranza ha confuso l’essere in quanto essere con l’essere divino. Aristotele, che non arrivò a concepire Dio come puro atto d’essere, come essere sussistente, vide nell’essere parmenideo soltanto la soppressione di tutte le differenze, e la confusione dell’uno con i molti e lo giudicò uno stolto.

Platone ed Aristotele si posero la questione dell’ente (on), non dell’essere (einai). Essi vedevano l’ente non alla luce dell’essere, ma dell’essenza o sostanza (usìa, to ti en einai). A loro l’essere non interessava per sé stesso, ma volevano sapere qual è l’essere dell’ente, nel senso di essenza dell’ente (ti to on?). Insomma a loro interessava l’essenza. Aristotele distingue il possibile (dynaton) dal potenziale (dynamis), il primo appartenente all’ordine del pensiero o del pensabile, il non-contradditorio, il secondo appartiene all’ordine della realtà.

Nel sec. XIII San Tommaso scopre il valore dell’essere (esse) come atto dell’ente alla luce di Es 3,14[1], sì che egli scopre l’essere sussistente al di là dell’essenza sussistente, ossia della sostanza, l’ente aristotelico. Nasce la metafisica dell’essere al di là della metafisica aristotelica dell’ente o della sostanza.

Ma ecco che il Beato Duns Scoto ritorna alla metafisica dell’ente con l’aggravante che questa volta l’ente ha un significato «unico e semplicissimo» e quindi univoco, a differenza del significato molteplice dell’ente aristotelico e tomista. Per cui se Duns Scoto non cade nel parmenidismo è perché aggiunge all’essere dei predicati generici e specifici, come la distinzione fra il finito e l’infinito.

Anche Suarez continua ad ignorare l’essere come actus essendi che per lui è il semplice esistere, per cui l’ente resta univoco diventando l’essenza reale, attuazione dell’essenza possibile, mentre Wolff nel sec. XVIII pensa di poter ampliare l’oggetto della metafisica concependo nella linea di Leibniz come l’essenza possibile[2]. Ma in tal modo non farà che preparare l’idealismo kantiano della metafisica che sostituisce la ragione riflessa all’ente reale extramentale[3].

Nella nostra cultura contemporanea, come anche fin dall’antichità, a molti la questione dell’essere sembra non interessare. Fin dagli inizi del filosofare in Grecia e in India troviamo saggi che meditano sull’essere, einai in greco e sat in sanscrito. Ma altri provano ripugnanza per la certezza oggettiva e, per ragioni di comodo o per compiacere un certo pubblico o per profitto personale o per apparire dei geni, provano gusto nel dubitare e far dubitare dell’indubitabile, salvo poi a confutare se stessi dando per vero che non esiste la verità e proponendo o imponendo così false certezze o fantastici miraggi che si risolvono o nel vuoto o nella tragedia.

Una caratteristica della modernità è certamente la perdita del senso dell’essere, che poi è il senso della realtà. Tutto si risolve nella storia, nel finito, nell’apparenza, nell’evoluzione, nell’effimero, nell’opinione, nel soggettivo. La violenza sostituisce la persuasione e la menzogna sostituisce la verità. La doppiezza sostituisce l’onestà. Da qui sono sorte le visioni utopiche, deliranti ed empie dell’idealismo tedesco, dell’evoluzionismo, dell’ateismo, del panteismo, della massoneria, del nazismo e del comunismo.

A moltissimi, oggi, anche cristiani, soprattutto luterani, la metafisica[4] non solo non interessa ma anzi ripugna e, contro il magistero della Chiesa cattolica che raccomanda la metafisica tomista, ritengono che la metafisica sia contraria alla fede o sia inutile o fuorviante o dannosa nell’interpretazione della Bibbia o per sapere chi è Dio. Per loro Dio non è Colui che È, ma Colui che è con me.

Altri ritengono che la metafisica sia una forma di ragionare primitivo, ingenuo e superato dalla filosofia moderna basata sulla scienza sperimentale e sull’autocoscienza dell’io pensante. Così molti oggi credono che il sapere si basi sulla coscienza che io sono, ma per loro io sono non perché sono creato da Dio, ma perché penso.

Quindi, se c’è ancora l’interesse per l’essere, non si tratta dell’essere in sé creato da Dio, ma dell’essere come lo penso io o come appare e me. L’essere non esiste da sé e in sé indipendentemente, prima, fuori e al sopra dell’io o del pensiero, ma solo in quanto voluto, posto per il pensiero e nel pensiero, prodotto dal pensiero, cioè dall’io, da me.

Ora, non c’è dubbio che la questione dell’essere è molto misteriosa. Infatti da una parte tutti sappiamo spontaneamente e intuitivamente che cosa è l’essere, dato che fin da bambini usiamo il verbo essere in tutti i nostri discorsi, per cui, se usiamo questa parola e con essa comunichiamo con gli altri esprimendo il nostro pensiero, evidentemente sappiamo che cosa significhi. E la cosa interessante è che nessuno ci ha spiegato il significato di questa parola, ma, sin dall’infanzia, lo abbiamo imparato o capito da soli sentendola pronunciare dagli altri.

Si nota quindi nella storia dello spirito umano questo duplice opposto atteggiamento nei confronti dell’essere: alcuni pochi fanno ruotare la loro vita interrogandosi sull’essere; altri, e sono la grandissima maggioranza, sembrano ignorare completamente la questione ed anzi deridere chi s’interessa dell’essere.

Tutti sono convinti di conoscere la realtà e di conoscere la verità. Il contrasto è sulla questione dell’essere. Molti si attribuiscono il titolo di filosofo o sono considerati sapienti o filosofi per il semplice fatto che pongono delle questioni di fondo, ma pochissimi sono i veri filosofi che affrontano il problema dell’essere e lo risolvono.

Molti si crogiolano nel dubbio e non vengono mai a capo di niente nonostante le lunghe discussioni e indagini. Molti, fissi nelle loro opinioni, non accettano di essere contraddetti. Pochissimi sanno che cosa è veramente la realtà. Pochi mostrano un amore sincero e coerente per la verità. I veri sapienti sono spesso ignorati o derisi o motivo di scandalo o di turbamento per la massa degli ignoranti. Alcuni, che non sanno, sono abili nel far apparire di sapere: sono i sofisti. Altri ritengono di possedere una scienza onnicomprensiva: sono gli gnostici. Per altri tutta la realtà e Dio stesso sono racchiusi nelle loro idee: sono gli idealisti.

Molti sono gli scettici, che dubitano di tutto tranne che di se stessi. Grande campione dello scetticismo in Grecia fu Protagora, confutato da Aristotele. Nell’età moderna abbiamo Cartesio, che ci fa questo discorso: io non so se fuori di me ci sono delle cose, non so se l’essere c’è o non c’è, per cui la mia unica certezza è quella di dubitare. Io sono certo di avere delle idee, ma non so se fuori di me ci sia qualcosa che ad esse corrisponde. Non so se al di là del mio pensiero c’è un essere. Non so se il mio essere esiste fuori del mio pensarlo. Il mio pensare è il dubitare. Nonostante quindi il famoso cogito ergo sum, in realtà Cartesio, che passa per essere il fondatore della certezza, non è certo nè di pensare né di esistere.

Come trova infatti Cartesio la certezza? Dice a se stesso: benché io dubiti di tutto e non sappia se esisto o non esisto, decido che esisto. In che modo? Io non trovo l’essere, le cose o il mio essere in se stessi fuori di me, indipendenti da me e prima di me, come se fossero presupposti al mio pensarli, o posti da qualcun altro, ma pensandoli voglio e decido io che l’essere, le cose e il mio essere siano.

Fichte trarrà questa conseguenza: io sono l’effetto del mio pensarmi e del mio volermi. Per questo l’essere sono io e io sono l’essere. L’inganno di Cartesio consiste nell’aver voluto rifondare contro Aristotele la metafisica non sull’essere ma sull’io, che poi non è altro che un io dubito e un dare per certo quello che non lo è.

Cartesio in tal modo dà il via a una falsa metafisica che finirà per suscitare disprezzo nei suoi confronti, come avverrà con Hume fino a Carnap e a Bertrand Russell nel secolo scorso: la parola essere apparirà vuota di senso. Hegel torna sì all’essere, ma lo fraintende scambiandolo per un essere vuoto, per cui per lui essere e nulla sono la stessa cosa, con la pretesa inoltre di interpretare il divenire in questo modo assurdo.

Per Leopardi tutto viene dal nulla e torna al nulla. Per i nichilisti russi l’essere non esiste, perché l’essere è nulla. L’essere è la rivoluzione radicale che poi sarà concepita da Marx come rivoluzione sociale. Per Nietzsche l’essere è volontà di potenza che domina sui deboli, si espande irresistibilmente e cerca lo «spazio vitale» (Lebensraum), come dirà poi Hitler. Per Gentile, filosofo del fascismo, l’essere è atto pratico del pensiero in atto che pone sé stesso come atto.

L’essere, come dirà Heidegger, è l’uomo stesso, l’esistenza, l’esser-lì dell’essere (Dasein), aperto all’essere, deietto e gettato nel mondo, che nella situazione emotiva ed esistenziale, precomprende e sperimenta atematicamente l’essere dell’ente,  la presenza del presente, la svelatezza del nascosto, l’apparire del sacro, vuole e progetta estaticamente se stesso nella colpa, nella chiacchiera, nell’angoscia, nella libertà, nella preoccupazione, come essere-per-la-morte, nella mancanza del dio e nel superamento della metafisica e dell’ontoteologia,  come pastore e casa dell’essere e del nulla.

Heidegger confonde quindi la metafisica con l’antropologia. Non accetta la definizione dell’uomo come ente categoriale, animale razionale, sostanza composta di spirito e corpo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, ma per lui l’uomo è semplicemente l’ente aperto all’essere, pastore dell’essere, casa dell’essere e «luogotenente del nulla», una definizione che sembrerebbe più  profonda, ma che in realtà è una pura e tragica illusione, perché da una parte gonfia l’essere umano in modo spropositato negando i limiti della sua natura, ma dall’altra lo degrada nella bassezza del materiale, giacchè è chiaro che quando dice «ente», s’intende anche l’ente materiale.

Così succede che nel campo della morale l’uomo pone il suo proprio essere e plasma liberamente la propria natura a prescindere dall’obbedienza a una legge naturale stabilita da Dio, mentre in campo sociale abbiamo un duplice opposto risultato: se mettiamo l’uomo in rapporto con l’essere, salta fuori il superomismo nicciano. Se degradiamo l’uomo alla mera individualità empirica, abbiamo il servilismo come ingrediente dello Stato totalitario. Si capisce allora come Heidegger, nel discorso inaugurale come Rettore dell’Università di Friburgo nel 1933 abbia tessuto sperticate lodi di Hitler e del nazismo, e non si sia mai pentito di essere stato nazista, tanto da avere conservato la tessera del partito fino al 1945[5].

È possibile formare un concetto dell’essere?

C’è anche il problema se è possibile farci un concetto dell’essere. Il Beato Rosmini parlava tranquillamente dell’«idea dell’essere», che poi identificava con l’«essere ideale», riducendo l’essere reale alle cose materiali. Ma essere ed essere ideale o idea dell’essere sono proprio la stessa cosa? E lo spirito non è anch’esso realtà?

L’ente e l’essere si nascondono sotto la nozione di cosa. Il bambino apprende facilmente la nozione dell’essere, della cosa e dell’esistere ed usa i corrispondenti vocaboli. Non sa invece ancora usare il termine «ente», benché ne possegga inconsapevolmente la nozione.

Come concepire l’essere? Di un’essenza o di una cosa o una sostanza possiamo farci un concetto o una rappresentazione per genere e differenza specifica. Possiamo ancora dire che l’ente è ciò che ha l’essere, anche se qui non abbiamo un’essenza o una natura, ma un soggetto che ha un’essenza. Ma dell’essere, che oltrepassa tutti i generi, come facciamo a dare una definizione?

Tuttavia, nel nostro rapporto personale con Dio, volgendo a Lui il nostro pensiero e lo sguardo del nostro intelletto, parlandoGli e ascoltando la sua Parola, sappiamo bene di trovarci davanti a un Tu che è lo stesso essere sussistente, purissimo Spirito. Ma che cosa cade qui davanti al nostro sguardo? Che cosa vediamo? Diciamo al Signore come il Salmista: Tu Sei, nel tuo regno di luce infinita.

Difficile dire che cosa la nostra mente concepisce in quel momento, qual è l’oggetto che abbiamo davanti; è nulla di materiale o di immaginabile, ma un qualcosa di puramente intellegibile. Avvertiamo che oltrepassa la capacità della nostra comprensione. Ma nel contempo è una luce per il nostro intelletto. Lo possiamo concepire e chiamarLo con vari nomi, suggeriti dalla Bibbia o dalla ragione. Siamo certi di essere davanti a Dio. Sta di fatto che la cosa è possibile e reale ed è ciò che ci consente di avere il nostro rapporto salvifico con Dio.

Pochi o pochissimi si domandano: che cosa è l’essere? E si chiedono quindi: quando penso l’essere, che cosa penso? Quando dico «è», a che cosa penso? Che cosa intendo? Che cosa significa questa paroletta «è» che io metto in tutti i miei giudizi? Ha un significato intellegibile per sé stessa o come pensavano Aristotele e Kant è la semplice congiunzione del soggetto col predicato? È la semplice affermazione o negazione di qualcosa? È solo effetto di un atto dello spirito? O è qualcosa di reale? Questo predicato verbale a tutta prima non pare aggiungere niente alla cosa, e quindi sembra che per conto suo o da sola non sia un qualcosa di reale.

Heidegger parla moltissimo dell’essere, ma non ci dice mai se e come possiamo farci un concetto dell’essere. Egli, se ne parla, ha evidentemente un suo concetto dell’essere. Ma quando tratta della conoscenza dell’essere e di come ci arriviamo, si ferma a parlare di esperienza o precomprensione (Vorverständins) o pensiero dell’essere o apertura all’essere o memoria dell’essere o ascolto dell’essere, diversamente dai tomisti, che si fermano a lungo nello indagare e spiegare come e per quale via e con quali risultati noi arriviamo a formare ed esprimere il concetto dell’ente dell’essere.

L’essere, come dice Heidegger, «è vicinissimo e lontanissimo». È semplicissimo e complessissimo, è chiarissimo e misteriosissimo, descrivibile e indescrivibile, effabile e ineffabile, nominabile ed innominabile, comprensibile e incomprensibile.

L’essere dev’essere qualcosa. Kant parlava di «oggetto trascendentale». Giacchè, se fosse nulla, che cosa penserei?  Se non ho un oggetto per il mio pensiero, allora non penso. Certo posso pensare e concepire il nulla; ma allora devo pensarlo come se fosse essere. E siamo allora daccapo.

La cosa in sé kantiana non è l’ente. Da come Kant ne parla si capisce che è la cosa sensibile. Per lui la ragione, la legge morale e lo spirito sono conosciuti immediatamente, originariamente, apriori, per semplice riflessione, come per Cartesio, nell’«Io penso». Dio non è l’ente supremo e causa prima come ente personale, ma è una semplice idea della Ragione.

Pensatori moderni che hanno affrontato sistematicamente la questione dell’essere sono stati Cartesio, Fichte, Schelling, Hegel, Gentile, Husserl, Bontadini, Heidegger, Severino e i tomisti, al seguito di San Tommaso, per il quale Dio è atto puro di essere.

Fine Prima Parte (1/3) 

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 20 maggio  2025

Platone ed Aristotele si posero la questione dell’ente (on), non dell’essere (einai). Essi vedevano l’ente non alla luce dell’essere, ma dell’essenza o sostanza (usìa, to ti en einai). A loro l’essere non interessava per sé stesso, ma volevano sapere qual è l’essere dell’ente, nel senso di essenza dell’ente (ti to on?). Insomma a loro interessava l’essenza. Aristotele distingue il possibile (dynaton) dal potenziale (dynamis), il primo appartenente all’ordine del pensiero o del pensabile, il non-contradditorio, il secondo appartiene all’ordine della realtà.

Nel sec. XIII San Tommaso scopre il valore dell’essere (esse) come atto dell’ente alla luce di Es 3,14, sì che egli scopre l’essere sussistente al di là dell’essenza sussistente, ossia della sostanza, l’ente aristotelico. Nasce la metafisica dell’essere al di là della metafisica aristotelica dell’ente o della sostanza.

Tutti sono convinti di conoscere la realtà e di conoscere la verità. Il contrasto è sulla questione dell’essere. Molti si attribuiscono il titolo di filosofo o sono considerati sapienti o filosofi per il semplice fatto che pongono delle questioni di fondo, ma pochissimi sono i veri filosofi che affrontano il problema dell’essere e lo risolvono.

L’ente e l’essere si nascondono sotto la nozione di cosa. Il bambino apprende facilmente la nozione dell’essere, della cosa e dell’esistere ed usa i corrispondenti vocaboli. Non sa invece ancora usare il termine «ente», benché ne possegga inconsapevolmente la nozione.

Pochi o pochissimi si domandano: che cosa è l’essere? E si chiedono quindi: quando penso l’essere, che cosa penso? Quando dico «è», a che cosa penso? Che cosa intendo? Che cosa significa questa paroletta «è» che io metto in tutti i miei giudizi?

Pensatori moderni che hanno affrontato sistematicamente la questione dell’essere sono stati Cartesio, Fichte, Schelling, Hegel, Gentile, Husserl, Bontadini, Heidegger, Severino e i tomisti, al seguito di San Tommaso, per il quale Dio è atto puro di essere.

Immagine da Internet 



[1] Vedi É. Gilson, Introduction à la philosophie chrétienne, Vrin, Paris 1960.

[2] Per Suarez e Wolff, vedi É. Gilson, L’être et l’essence, Vrin 1981.

[3] Prolegomeni ad ogni futura metafisica che voglia presentarsi come scienza, Carabba Editore, Lanciano 1924.

[4] Un panorama del dibattito sulla metafisica degli anni ’80 del secolo scorso si trova nell’opera collettiva Metafisica, oggi. Nuovi interventi in un dibattito sempre attuale, Editrice Morcelliana, Brescia 1983.

[5] Cf Victor Farias, Heidegger e il nazismo,Edizioni  Bollati Boringhieri,Torino 1988.

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