Articoli e testi di P.Giovanni Cavalcoli

Rivista PATH - Accademia Pontificia

Radio Maria

Articoli tradotti in Spagnolo

Teologia dogmatica

Cristologia

Escatologia

Liturgia

Mariologia

Successore di Pietro

Ecclesiologia

Teologia morale

Etica naturale

Metafisica

Gnoseologia

Antropologia

Il Dialogo

P.Tomas Tyn

Testi di P. Tomas Tyn, OP

Il cristianesimo insipido - Prima Parte (1/2)

 

Il cristianesimo insipido

Prima Parte (1/2)

Se il sale perdesse il sapore,

  con che cosa lo si può render salato?

Mt 5,13

Un’esistenza sapida

La sapienza, dal lat. sapere, aver sapore, dar sapore, dà sapore alla vita. Il sapiente è persona sapida, che ha sapore e dà sapore alle cose e alla vita, persona che a sua volta sa distinguere e valutare i sapori. Cristo chiede ai suoi discepoli che siano così: non devono essere persone insipide, ma saporite, come un cibo gustoso.

In tal senso Santa Caterina ci teneva ad essere «mangiatrice di anime». La carità fraterna e soprattutto quella sacerdotale pastorale richiede nell’agente una forte attitudine a riconoscere, apprezzare e gustare il valore delle singole anime, una diversa dall’altra, ciascuna con propri doni, così come ogni piatto preparato da un ottimo cuoco presenta una particolare gustosità, l’una diversa dall’altra.

Così, per restare nel linguaggio corposo ed efficace della Santa Senese, dobbiamo rendere saporite e commestibili le nostre anime al fine essere mangiati volentieri e con gusto. Si suppone però che chi è attratto dalla nostra gustosità, abbia un gusto sano, ché, se avesse un gusto perverso, noi gli faremmo schifo. Da qui viene il disprezzo del mondo nei confronti del cristiano.

È molto importante allora educare il gusto spirituale della gente, cosicchè essa possa gustare cibi genuini e non cibi sofisticati. Il Concilio educa la gente di oggi a questo gusto sano, accontenta i bisogni sani e reali, le persone normali, dal gusto sano e richiama a correggere il proprio gusto alle persone che hanno un gusto guasto.

Certo, il prendersi cura delle anime non vuol dire essere insensibili ai bisogni del corpo, tutt’altro. Il buon pastore si adopera certamente, per quanto glielo consentono le sue forze, risorse economiche e competenze specifiche, per soccorrere i miseri, assistere i malati e gli anziani, reinserire gli emarginati nella società, visitare i carcerati, difendere gli oppressi, soccorrere gli orfani e le vedove, per alleviare le pene dei sofferenti, nutrire gli affamati, ospitare i migranti, dar lavoro ai disoccupati. Simile testimonianza di carità prepara il terreno alla sua missione spirituale e la rende credibile ed efficace. Dobbiamo anzitutto e preliminarmente mostraci umani laddove l’umanità è ferita, offesa, maltrattata, disprezzata, umiliata, violata. Questo è un elemento essenziale del messaggio del Concilio.

Fatto questo, e supponendo nell’assistito un sincero bisogno di verità, di giustizia e di bontà, in sostanza un bisogno di Dio, avremo speranza che egli ci apra il suo cuore ai suoi bisogni spirituali e noi saremo persuasivi nell’incitarlo alla ricerca delle cose di lassù.

Il cristianesimo dà senso e sapore ad una vita, che altrimenti sarebbe insipida e senza senso. Un cristianesimo che non dà sapore alla vita, ma un sapore celeste e non meramente terreno, è un cristianesimo fasullo e spregevole, «degno di essere calpestato dagli uomini».

Ciò vuol dire che il cristiano dev’essere un sapiente o quanto meno un amante della sapienza, un filo-sofo. Dal che vediamo quale stretto legame esiste fra il cristianesimo e la filosofia, anche se resta il problema di sapere qual è la vera sapienza. Cristo è la Sapienza del Padre. E lo Spirito Santo è lo spirito della sapienza.

Secondo San Tommaso il dono della sapienza, il più alto dei sette doni dello Spirito Santo, alto effetto della carità, è quello che ci rende intenditori e buongustai delle cose divine, è quello che ce ne fa innamorare, è il dono proprio di coloro che sanno gustare le cose di Dio e, come tale, è il principio dell’esperienza mistica.

È il dono dello Spirito che, come dice San Paolo, ci rende uomini spirituali, ossia coloro che «hanno ricevuto lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato», con la conseguenza di renderci capaci di parlare di queste cose, ossia «non con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana, ma insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali» (I Cor 2, 13-23). Ecco tutto il senso dei libri sapienziali della Scrittura.

Tommaso distingue una sapienza come virtù naturale dell’intelletto, massima opera della ragione, perfectum opus rationis, la filosofia, la metafisica e la teologia naturale, la sofia o fronesis, della quale parla anche Aristotele, dalla sapienza come dono dello Spirito Santo, accessibile al cristiano infervorato dalla carità.

Il progetto e le domande del Concilio

Proposito del Concilio è stato quello di dar nuova vita, sapore, calore e fervore a una pratica cristiana irrigidita, intorpidita, ripetitiva e abitudinaria, condire di sale evangelico un cibo in sé nutriente ma che diversamente sarebbe insipido. Il sale del quale parla Cristo e col quale il Concilio vuol di nuovo condire il piatto dei valori umani, è il dono dello Spirito Santo, il sale della vita soprannaturale di grazia, il sale della carità, il sale dell’esperienza mistica.

Coloro che non hanno visto nel messaggio conciliare altro che un rinnovato appello ai valori umani e sociali non hanno colto la sostanza del messaggio conciliare[1], che è al contrario un appello a quel recupero dell’originalità divina del messaggio evangelico, è un appello alla santità e alla crescita della carità in vista di una nuova evangelizzazione che faccia riscoprire al mondo la bellezza trascendente dell’essere cristiano.

Certo il Concilio è al servizio dei bisogni del mondo, ma per innamorarlo di un livello e di un ideale di vita superiori a quello del mondo, non solo quindi offrire un buon cibo – leggi i valori umani –, ma anche saporito – leggi i valori cristiani. Il cristianesimo non si riduce a un umanesimo, ma è l’umanesimo dei figli di Dio.

I Padri conciliari si sono chiesti dunque: come fare per rendere interessante il cristianesimo agli occhi dell’uomo d’oggi? Come dobbiamo presentarlo per renderlo attraente? Basta tener conto degl’interessi dell’uomo d’oggi o bisogna proporgli interessi e fini superiori? Si tratta semplicemente di salvare l’uomo o di guidarlo ad una vita superiore?

Tuttavia, bisogna fare attenzione: tra ciò che interessa all’uomo d’oggi non dobbiamo forse fare un vaglio o dobbiamo accontentarlo in tutto ciò che chiede e desidera? Esser uomo ed esser figlio di Dio è la stessa cosa? Il fatto che siamo creati da Dio implica che proveniamo dal nulla o che proveniamo da Dio?

I Padri conciliari si sono chiesti inoltre: occorre ammodernare o basta riproporre, seppur con linguaggio moderno, il messaggio di sempre, oggi dimenticato o tradito? Non dobbiamo forse avanzare, aggiungere qualcosa di nuovo, le recenti scoperte della teologia o dell’esegesi, a ciò che abbiamo sempre insegnato, qualcosa che faccia capire meglio ciò che abbiamo insegnato ovvero il patrimonio della tradizione?

Il Concilio ha riconosciuto il dovere del cristiano di risolvere i grandi problemi umani, filosofici e morali del nostro tempo e di essere di esempio nella pratica della giustizia e della misericordia. Ma ha anche ricordato le esigenze del vero umanesimo che solo Cristo può assicurare. C’è però da notare – e ciò è stata una carenza - che ha condannato l’ateismo, ma non ha pensato di condannare lo gnosticismo, il panteismo e la falsa mistica dell’idealismo tedesco e delle filosofie orientali.

Vi ha provveduto Papa Francesco col ribadire la condanna dell’idealismo e col pronunciare la condanna dello gnosticismo, cosa che nessun Papa aveva mai fatto prima di lui.

Inoltre il Concilio indica il sale che deve render saporito il cibo terreno: la figliolanza divina frutto della grazia battesimale, che rende l’uomo simile a Cristo, mosso dallo Spirito, Figlio del Padre, erede della vita eterna, membro della Chiesa, comunità della salvezza, germe su questa terra del regno di Dio che avrà la sua piena attuazione nella battaglia escatologica degli eletti sotto la guida di Cristo contro tutte le forze del male alla fine del mondo nel giorno del giudizio con la risurrezione dei morti e l’inaugurazione della Gerusalemme celeste dove Dio è visto faccia a faccia e sarà Tutto in tutti.

Il Concilio ha acceso il fuoco di una nuova Pentecoste. Questo il Maritain lo intuì già nel 1966 parlando entusiasticamente del «fuoco nuovo» acceso dal Concilio, fuoco della carità dello Spirito Santo col quale dobbiamo infuocare d’amore il mondo e bruciare i rifiuti della geenna. Ed è da notare che lo chiamò il «vero» fuoco nuovo, per distinguerlo da quello infernale inaugurato dai modernisti.

Oggi la Chiesa può dar l’impressione di una casa senza riscaldamento e aria condizionata, con le finestre senza zanzariere, mura con crepe, acqua, luce e gas mal funzionanti, caduta di calcinacci, porte senza serrature.

Il Concilio ci insegna come costruire una casa solida, bella, ben difesa, calda d’inverno e fresca d’estate, comoda, accogliente, riposante, spaziosa, ben ordinata, ben fornita di cibo. Al portinaio occorre però presentarsi con un abito decente e lasciare che ci guidi dal padrone di casa. Questo abito decente – teniamolo presente – è la pratica ascetica, che il Concilio non ha affatto dimenticato, ma ha condotto a proporzioni ragionevoli mitigando gli eccessi rigoristici in uso prima del Concilio.

Bisogna fare attenzione altresì a una cattiva interpretazione delle intenzioni e delle dottrine del Concilio, oggi purtroppo diffusa e non corretta dai pastori; e cioè quella per la quale il Concilio intenderebbe il rapporto Chiesa-mondo come reciprocità alla pari e non come superiorità della Chiesa sul mondo e dovere della Chiesa di salvare il mondo, quasicchè anche il mondo avesse a sua volta il i potere e il dovere di salvare la Chiesa.

Sembra in questa interpretazione che tutto lo scopo della Chiesa sia quello di sovvenire ai bisogni del mondo e non anche quello di elevare il mondo alla vita di grazia dei figli di Dio e di condurlo al Regno di Dio, oltre i confini della presente vita mortale. È questo invece proprio il compito specifico, divino e insostituibile della Chiesa.

Per umanizzare il mondo, per insegnargli le virtù umane, per la promozione della cultura, per lottare contro i vizi e le ingiustizie non sono necessarie le conoscenze  di fede; bastano le risorse della ragione, non occorre l’etica del Vangelo; basta quella di Aristotele.

Viene da questa falsa interpretazione del Concilio la convinzione che esso abbia abbandonato la tradizionale esortazione o intimazione al mondo a convertirsi, per cui il mondo non avrebbe niente di soprannaturale da imparare dalla Chiesa e neppure il dovere di abbandonare i suoi errori per arrivare alla piena comunione con Dio e con la Chiesa. Ciò implicherebbe ovviamente l’abbandono della dottrina tradizionale che il cristianesimo è la più alta e perfetta delle religioni, l’unica esente da errori perché divinamente fondata, mentre tutte le altre sono chiamate ad abbandonare i loro errori per entrare nella comunione con la Chiesa cattolica.

Ma è chiaro che tale interpretazione escogitata dei modernisti è del tutto falsa e la sua applicazione non porta ad alcuna nuova Pentecoste, ma ad una infausta trasformazione del cristianesimo in sale insipido, cosa che sta avvenendo per colpa loro, non certo per colpa del Concilio. Viceversa, la profezia di San Giovanni XXIII si verifica laddove il Concilio è veramente e fedelmente applicato.

Fine Prima Parte (1/2)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 13 luglio 2024


Il cristianesimo dà senso e sapore ad una vita, che altrimenti sarebbe insipida e senza senso. Un cristianesimo che non dà sapore alla vita, ma un sapore celeste e non meramente terreno, è un cristianesimo fasullo e spregevole, «degno di essere calpestato dagli uomini».

Ciò vuol dire che il cristiano dev’essere un sapiente o quanto meno un amante della sapienza, un filo-sofo. Dal che vediamo quale stretto legame esiste fra il cristianesimo e la filosofia, anche se resta il problema di sapere qual è la vera sapienza. Cristo è la Sapienza del Padre. E lo Spirito Santo è lo spirito della sapienza.

Secondo San Tommaso il dono della sapienza, il più alto dei sette doni dello Spirito Santo, alto effetto della carità, è quello che ci rende intenditori e buongustai delle cose divine, è quello che ce ne fa innamorare, è il dono proprio di coloro che sanno gustare le cose di Dio e, come tale, è il principio dell’esperienza mistica.


Il Concilio ha riconosciuto il dovere del cristiano di risolvere i grandi problemi umani, filosofici e morali del nostro tempo e di essere di esempio nella pratica della giustizia e della misericordia. Ma ha anche ricordato le esigenze del vero umanesimo che solo Cristo può assicurare. C’è però da notare – e ciò è stata una carenza - che ha condannato l’ateismo, ma non ha pensato di condannare lo gnosticismo, il panteismo e la falsa mistica dell’idealismo tedesco e delle filosofie orientali.

Vi ha provveduto Papa Francesco col ribadire la condanna dell’idealismo e col pronunciare la condanna dello gnosticismo, cosa che nessun Papa aveva mai fatto prima di lui. 

Immagini da Internet: Cattedrale di Notre Dame, Parigi



[1] Siamo qui all’origine di quella che fu chiamata ai tempi di San Paolo VI «secolarizzazione». Esponente tipico fu Mons. Luigi Bettazzi, che scrisse un libro dal titolo significativo: «E il prete si fece uomo», mentre in realtà il problema è ben altro. Il Concilio insegna la bellezza del sacerdozio e quindi come da uomo si diventa prete. Se il prete si riduce al suo esser uomo, come fa ad essere sale della terra? E difatti si sono visti i risultati di questa impostazione col calo delle vocazioni sacerdotali, le defezioni e il prete ridotto a psicologo o ad assistente sociale e la Messa celebrata in costume da bagno.

Nessun commento:

Posta un commento

I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.