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P.Tomas Tyn

Testi di P. Tomas Tyn, OP

In preparazione del Giubileo 2025 - Seconda Parte (2/3)

 

In preparazione del Giubileo 2025

Secona Parte (2/3)
 

Testo originale: Dattiloscritto di P.Tomas Tyn, OP

 

STORIA DEI CONCILI DI NICEA, DI EFESO E DI CALCEDONIA

 

Da: Fulbert Cayré, Patrologia e storia della teologia; trad. di T. Pellizzari, Roma, Desclée e Ci., 1936, Vol.I e II 

Collocazione nella Biblioteca del Convento di Bologna: BQ0099.C2936 in sala: Basil.

 

I numeri si riferiscono alle pagine della suddetta opera.

L’Autore riproduce passi del Cayré selezionandoli secondo un suo personale criterio.

 

Concilio di EFESO

34

            CRISTOLOGIA DEI PADRI APOSTOLICI.

            La divinità di Cristo è pure affermata con grande nettezza dai Padri apostolici. Era anzi, codesto, il punto essenziale della catechesi cristiana. L’insistenza su tal verità non mancò d’indurre certi cristiani a mettere in dubbio il carattere reale della umanità di Gesù; il docetismo (da δοϰέω, sembrare) (dottrina che insegnava essere stato il corpo del Salvatore una pura parvenza si diffuse sopratutto in Asia Minore sui primi del secolo secondo, e sant’Ignazio dovè batterlo in breccia. In tutte le sue epistole alle chiese orientali, egli afferma, con incomparabile forza di espressione, che Gepù è veramente uomo e il suo zelo nel mantenere intatta la verità su cotal punto ha fatto di lui il primo teologo di Maria, di cui ha difeso tanto la divina maternità che la verginal concezione. Ma, nel medesimo 35 tempo, sant’Ignazio riconosce espressamente la divinità di Gesù chiamandolo ad ora ad ora Dio (ὁ Θεός ; Smyr. I), mio Dio (ὁ Θεός μου ; Rom. VI), nostro Dio (ὁ Θεός ἡμῶν ; Ef. Inscriz.), l’Iddio Gesù Cristo (Θεός Ἰεσοῦς Χριστός ; Trall. VII) e praticando con tutta sicurezza ciò che i teologi appelleranno la comunicazione degli idiomi. Gli altri padri apostolici presentano una simile dottrina.

 

100

            GIUDEO-CRISTIANI. La tendenza intransigente dei giudeo-cristiani dell’età apostolica sopravisse agli apostoli e, acutizzandosi, dié origine al gruppo di eretici chiamati più tardi esclusivamente ebioniti. Avevan costoro un vangelo che essi dicevano secondo san Matteo ma che è molto differente dal vangelo degli Ebrei usato dai Nazareni, osserva il P.Lagrange: Si tratta senza dubbio d’un rimaneggiamento del van­gelo di Cerinto. Vi mancavano specialmente i racconti della infanzia e non vi si parlava del concepimento sovrannaturale di Gesù, che gli ebioniti rifiutavano.

 

105

            IL MARCIONISMO. Marcione rifiuta l’autorità di tutto l’Antico, opera d’un Dio ingiusto, vendicativo e crudele, per non riconoscere che quella d’una parte del Nuovo (Vangelo di S.Luca e dieci lettere di S.Paolo) affermando che solo codeste sezioni del canone rivelano il Dio buono e misericordioso. Per quanto attenuato, il dualismo gnostico sussiste nelle idee di Marcione accoppiato al più stretto docetismo. Una morale rigida e angusta completa il suo insegnamento.

 

150

            S.IRENEO DI LIONE. (Cristo) è Dio, il Verbo di Dio, il Figlio di Dio, il creatore e, nel tempo stesso, Egli è uomo, della nostra razza e nostro fratello. E non ostante la sua nascita verginale (che sant’Ireneo dimostra ampiamente), Egli ha trascorso tutti gli stati umani (età, prove, dolori). Sant’Ireneo ha l’idea nettissima e dell’unità per­sonale e della dualità delle nature in Cristo, dimostrando ciò magistral­mente per il largo uso ch’ei fa della comunicazione degli idiomi (“ipsum Verbum incarnatum suspensum est super lignum” Adv.haer.V, 18, 1). D’altra parte, Gesù Cristo deve essere Dio perché possa compiere la sua missione nel mondo. Sant’Ireneo chiama οἰκονομία l’insieme del piano divino per la salvezza degli uomini.

 

241

            TERTULLIANO. Il De Carne Christi stabilisce, contro il docetis­mo, la realtà del corpo di Gesù: negarla equivale a distruggere la stessa redenzione: ed è in questo punto che il nostro scatta in

quella celebre ed appassionata espressione: “parce unicae spei totius orbis![1]” (cap.5). Il corpo di Gesù non è già un corpo celeste, ma un vero e proprio corpo nato di donna: Gesù doveva nascere perché doveva morire. E per meglio accentuar la prova di tal dottrina, Tertulliano arriva a negar la verginità di Maria, non, però, si badi, ante partum, ma solamente in partum, per altre ragioni si spinge sino a negar la verginità della Madonna post partum.

 

251

            (Nella sua Cristologia) Tertulliano distingue benissimo le due nature, duae substantiae, e difende specialmente la realtà della natura umana contro il docetismo affermando però con ogni chiarezza la loro unione in una sola persona: “Videmus duplicem statum, non confusum, sed coniunctum in una persona, Deum et hominem Jesum[2]” (Adv.Parx. 27).

 

304

            SCUOLA DI ALESSANDRIA. In cristologia si nota la medesima tendenza a mettere in luce il lato divino dell’Uomo-Dio, la sua natura divina, soprattutto la sua divina Persona, a rischio, anche qui, di lasciar forse un po’ in ombra la sua umanità, come in esegesi è abitudine degli alessandrini fermarsi appena alla lettera per assurger d’un colpo allo spirito di essa, che ne 305 costituisce appunto l’elemento divino. Gli alessandrini saranno i difensori dell’unità sostan­ziale e personale del Cristo e nel secolo che vien dopo un san Cirillo affermerà tal punto con tanta forza, che il monofisismo si ammanterà, per darsi un tono autorevole, delle sue formule audaci, deformandone però l’intimo e giusto pensiero.

 

307

            SCUOLA DI ANTIOCHIA. ... in materia cristologica s’insiste volentieri ad Antiochia sull’umanità del Salvatore, (come s’insiste non men volentieri sulla lettera della Bibbia) fino al punto di sembrar qualche volta negligere il vincolo sostanziale che unisce questa umanità alla divinità nell’unità personale del Verbo fatto carne. Insomma, la tendenza a distinguere nel Cristo l’uomo e Dio, sboccherà purtroppo anche prima di Nestorio nella negazione dell’Uomo-Dio.

 

412

            Sant’EPIFANIO (315-403). In Cristologia, Epifanio si pronunzia energicamente contro Apollinare, per la integrità della natura umana del Cristo, ma, d’altra parte, a differenza di certi Antiocheni, egli mantiene la comunicazione degli idiomi e, specialmente, il titolo di θεοτόκος riguardo a Maria (cf. Ancoratus, n.75).

 

Altaner, 348-349

 

            NESTORIO.

 

            Nestorio, nato dopo il 381 da genitori persiani, fu ieromonaco in Antiochia e probabilmente discepolo di Teodoro di Mopsuestia. Per la fama che gli procurò la sua eloquenza venne invitato dall’imperatore Teodosio II a occupare la sede patriarcale di Costantinopoli, nel 428. Mostrò grande zelo contro i Giudei e gli eretici; invece trattò i Pelagiani con dolcezza e riguardo.

            Allorché portò sul pulpito la Cristologia antiochena (controversia intorno al titolo Theotokos) fu ritenuto eretico. Il concilio di Efeso (431) condannò la sua dottrina e lo dichiarò decadu­to perché “maestro empio”. L’imperatore lo relegò in un monastero, e nell’anno 436 lo esiliò a Oasi in Egitto, dove morì non prima dell’anno 451.

 

            Errori di Nestorio. Secondo l’opinione tradizionale (Cirillo, Concilio efesino), Nestorio negava l’unione iposta­tica in Cristo, insegnando esservi in lui due ipostasi unite solo moral­mente. Nestorio protestò contro l’accusa ch’egli sostenesse la dottrina, già condannata dalla Chiesa, dei “due Figli”, distruggendo l’unità del Cristo; in base alle sue convinzioni filosofiche (neoplatoniche) intorno al legame esistente fra l’elemento corporeo e l’intelligibile, egli non riteneva menomata l’unità del Cristo. Nel fatto però il suo insegnamento dell’ ἕν πρώσοπον in Cristo, a cui si uniscono (κατ’εὐδοκίαν ) i due prosopa della natura umana e divina, non era tale da eliminare l’idea di una unione puramente morale delle due nature. In tal modo Nestorio veniva a negare espressamente una unione fisica o ipostatica, riconoscendo per tal modo ovviamente il Cristo, non già il Logos, come il soggetto di tutti gli attributi e di tutti gli atti divini ed umani. In confronto di ciò, l’ammissione che egli era disposto a fare della communicatio idiomatum - in base alla quale dichiarò più tardi di poter anche accettare il titolo di theotokos purché “rettamente inteso” - come pure il suo silenzio intorno al pericoloso insegnamento antiocheno della “ricerca positiva”, non hanno una decisiva importanza. Nestorio ritenne fino all’ora della morte di essere nella fede ortodossa e che anche lo stesso papa Leone I avesse insegnato il suo dualismo (EP 2057 a/g).

 

452

            I CAPPADOCI. In Cristologia, i Cappadoci han sostenuto con grande energia, contro Apollinare, l’integrità della natura umana del 453 Salvatore, pur evitando il dualismo ipostatico di Teodoro di Mopsuestia. Nel Cristo vi son due nature ma non già due figlioli scrive S.GREGORIO DI NAZIANZO (Epist.,X), il quale, d’altra parte, rico­nosce espressamente a Maria il titolo di θεοτόκος, madre Dio. S.GREGORIO DI NISSA afferma ugualmente che il Cristo non è ἄλλος ed  ἕτερος, ma ἕν πρώσοπον (cf. Contra Eunom.,V), sviluppando anche la teoria della comunicazione degli idiomi, già abbozzata da Origene. - Nonostante però tale fermezza della loro fede, basata sulla tradizione, si incontrano nei loro libri certe espressioni che, a non ispiegarle a dovere badando all’insieme della loro dottrina, sembrerebbero favorire ora il monofisismo ed ora il nestorianesimo. La terminologia cristologica non venne stabilita e definitivamente sancita che dopo le grandi controversie del quinto secolo.

 

464

            APOLLINARE DI LAODICEA. Se per il suo culto del senso lette­rale, Apollinare si ricollegava alla scuola d’Antiochia, ne dissentiva toto coelo nei suoi concetti cristologici. Gli Antiocheni erano indotti dalla loro insistenza sul letteralismo biblico a mettere in primissima linea il lato umano di Gesù, a far risaltare di tutto rilievo la perfezione umana nel Cristo usando talvolta termini e frasi così audaci da quasi compromettere l’unità personale del Signore e da far sembrare impossibile che codest’uomo perfetto fosse, nel tempo medesimo, anche verissimo Iddio. Dualismo eccessivo che menava obliquamente all’arianesimo. Apollinare giudicò tal conclusione come ineluttabile e per mantener l’unità di persona in Gesù, vale a dire per difendere la sua personalità divina, credé necessario di mutilarne l’umanità affermando che, non possedendo il Cristo anima umana in proprio, il Verbo teneva il luogo in lui di codest’anima. Dal che si vede che ad Apollinare mancava un’esatta nozione della persona. E accadde così che, mentre la sua confu­tazione dell’esagerato dualismo colpì nel segno, la sua teoria esplica­tiva del mistero fu invece disastrosa.

 

466

            Apollinare dicotomista nel primo periodo della sua vita, comin­ciò col negare in Cristo ogni anima creata, anche puramente animale. Più tardi, divenuto tricotomista, riconobbe nell’umanità di Gesù un corpo e un’anima animale (ψυχή), ma gli rifiutò un’anima intelligente, affermando che il Verbo era il suo νοῦς, il suo πνεῦμα.

Le conseguenze logiche del sistema erano queste:

1)     il Verbo non s’è fatto uomo, ma s’è incarnato nel senso crudamente letterale della parola. Non vi fu dunque ἐνανθρώπησις, ma semplicemente σάρκωσις. Pur tuttavia Apollinare ammise l’espressione “perfectus homo”, intendendola però a modo suo.

2)     E’, quindi, la carne di Gesù che ci salva: soltanto la nostra carne è salvata: l’anima nostra lo sarà mediante l’unione morale con Cristo.

3)     Il monofisismo è il vertice e il centro di tutto il sistema: in Gesù Cristo non c’è che un’unica natura, senza che, d’altra parte, vi sia trasformazione dell’una delle due nature nell’altra, o fusione delle due in una nuova: il Verbo, natura completa, non diventa già un altro, ma esiste “altrimenti” nel Cristo: la sua natura divina, che è ἄσαρκος, diventa σεσαρκωμένη: ma non v’ha in lui che una natura perché il corpo non è di per se stesso una natura: è l’unione 467 dell’anima e del corpo che spiega nel miglior modo l’unione del Verbo e della carne.

4)     Rebus sic stantibus, non solo non v’è nel Cristo che un termine delle nostre adorazioni, ma non v’è pure che un solo principio d’operazioni e di libera attività. Il monotelismo completava logicamente la tesi monofisita.

 

475

            TEODORO DI MOPSUESTIA (350-428). La Cristologia di Teodoro ci è nota non solamente per il suo De Incarnatione e il suo De Assumente et Assumpto ovvero Contra Apollinarium, ma anche per le sue opere ese­getiche. La detta cristologia teodoriana si riduce tutta all’afferma­zione d’una doppia personalità nel Cristo, quella dell’uomo e quella del Verbo, Figlio di Dio. Afferma, sì, Teodoro con la tradizione che c’è in Cristo “unità personale, unità di filiazione, di signoria, di dignità, d’autorità, unità di grandezza adorabile”, ma preoccupato dall’ idea di salvare la perfezione delle nature e confondendo la natura completa con la persona, l’unità personale che egli professa ed insegna è puramente morale: “Quando noi distinguiamo le nature, diciamo che la natura del Dio Verbo è completa e completa pure la sua persona, poiché non può dirsi che un’ipostasi sia impersonale. [In simil guisa diciamo] che la natura dell’uomo Cristo è completa e completa anche la sua persona. Ma quando consideriamo l’unione diciamo che non v’ha che una persona” (De Incarnatione Filii Dei; VIII; PG 66, 981). La quale unione è un legame, una relazione, una inabitazione del Verbo nell’uomo, non già in virtù di una presenza in sostanza o sostanziale (οὐσία) e nemmeno in azione o operativa (ἐνεργέιᾳ), ma solo in virtù di una compiacenza (εὐδοκία) del Verbo nell’ uomo. 

            Contro tutta la tradizione, Teodoro negava la comunicazione degli idiomi: il Gesù della storia è soltanto l’uomo, nè gli si possono attribuire le azioni e i titoli del Verbo. Maria non è θεοτόκος  (madre di Dio), che per relazione (idest per metafora); Gesù è, sì, detto Figliol di Dio, ma solo per grazia (χάριτι). Non è già Iddio che è nato e che è morto, ma l’uomo, il figliol di David. Teodoro distingueva dunque netta­mente due figli in Gesù Cristo: e la sua cristologia è un vero dualismo ipostatico.

 

II. p.48

           

            TEODORETO DI CIRO (393 - 458). Quando cominciarono le controversie nestoriane, TEODORETO si sentì spinto ad entrar nella lotta, non tanto per la simpatia che lo legava al vescovo di Costanti­nopoli, suo amico, quanto a ciò che sembra, per un suo personal convincimento. Nel 430, Teodoreto suggerì a Nestorio di sottomettersi al papa, ma quando apparvero gli anatematismi di SAN CIRILLO, credé riscontrarvi l’apollinarismo e non esitò a criticarli in un trattato che la replica cirillana (Apologia contra Theoeoretum) ci conservò forse interamente. Nel concilio di Efeso Teodoreto stié a fianco di Giovanni d’Antiochia. E ben presto attaccò di nuovo Cirillo non che lo stesso concilio efesino in un ampio lavoro di 5 libri (perduti tranne alcuni frammenti), il Pentalogium de Incarnatione. Gli opuscoli di Teodoreto sulla Trinità e sul Verbo fattosi uomo videro la luce nel medesimo torno di tempo. Nel 433, per ragioni piuttosto personali che dottrinali, Teodoreto rifiutò di sottoscrivere la formula d’unione che pure egli aveva ispirata, se non addirittura redatta. Non vi aderì che nel 435, ma per molto tempo ancora non acconsentì a condannar Nestorio. Anzi, di lì a poco prese a difendere Teodoro di Mopsuestia contro gli attacchi di S.Cirillo che aveva aperta allora una campagna contro codesto autentico padre del nestorianismo.

            Pur tuttavia il vero e proprio monofisismo faceva reali progressi abusando e del concilio di Efeso e dell’autorità del vescovo d’Alessan­dria. Teodoreto fu uno dei primi a denunciarlo, nell’Eranistes (il Mendicante), scritto che s’intitola pure il Versatile (πολύμορφος), nel 447: nel qual 49 libro, effettivamente, l’autore denuncia una dottrina che non è altro che un centone di sciocchezze mendicate qua e là di sui libri dei vecchi eretici, una chimera dalle molteplici forme e dai molteplici aspetti. Il lavoro comincia con tre dialoghi in cui si stabilisce che il Verbo incarnato non ha subito, incarnandosi, nessun cambiamento nella sua divina natura (ἄτρεπτος, immutatus), che non v’è in Esso mischianza di divino e d’umano (ἀσυγχύτος, inconfusus) e che Esso è assolutamente impassibile (ἀπαθής, impassibilis). Una quarta parte riassume la discussione in forma di trattato didattico.

           

            Uno scritto di tal genere doveva guadagnare a Teodoreto l’odio dei monofisiti, i quali infatti dopo il brigantaggio di Efeso (449), lo deposero e lo confinarono nel suo vecchio convento di Nicerta ... Chiamato ed accolto dal Concilio di Calcedonia, nonostante le proteste dei monofisiti, fu riabilitato e restituito alla sua cattedra dai legati del papa e dell’imperatore, ma soltanto dopo aver sotto­scritto alla condanna di Nestorio e averne colpite di anatema le dottrine: “Anàtema a Nestorio, anàtema a chiunque non chiama la santa Vergine Maria Madre di Dio, e divide in due il Figlio unico di Dio” (MANSI VII, 189). Il Concilio rispose a questa franca e solenne dichiarazione salutando il vescovo di Ciro con il titolo di “Dottore cattolico”. Teodoreto morì circa il 458, nella comunion della Chiesa. 

 

Testo originale: Dattiloscritto di P. Tomas Tyn

Riveduto da P. Giovanni Cavalcoli, OP – Bologna, 25 marzo 2010




Immagine da Internet:

Concilio di Efeso del 431, Dértail de la mosaïque de la basilique de Fourvière à Lyon (partie de droite)
 
 
 
 
 
 

[1][1] Sii comprensivo verso l’unica speranza di tutto il mondo!

[2] Vediamo un unico stato, non confuso, ma congiunto in una sola persona, Dio e l’uomo Gesù.

 

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