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Testi di P. Tomas Tyn, OP

La virtù della divina misericordia a confronto con la giustizia - Terza Parte (3/3)

 

La virtù della divina misericordia

  a confronto con la giustizia

Terza Parte (3/3)

 La punizione del peccato

Il termine «vendetta» certo è antipatico, perché fa pensare a uno sfogo di odio. Ma il problema è quello di evitare quell’ingiusta vendetta che sta nel ripagare il male col male e di rispondere al male con quel bene che può essere o il giusto castigo o il perdono, a seconda che l’offensore non si penta o si penta. Ma anche il perdono della colpa non comporta necessariamente la remissione della pena, San Giovanni Paolo II perdonò ad Alì Akgià pentito del suo crimine. Ma il carcere se lo fece lo stesso.

Quanto alla pena di morte, il Catechismo della Chiesa cattolica (n. 2267) la giudica non più consona alla moderna concezione della dignità della persona e al moderno sistema di giustizia penale, salva sempre la facoltà degli Stati di decidere secondo la loro costituzione.

L’esser giusto, per la Bibbia, può essere sinonimo di bontà o di santità. In tal senso essa include la misericordia, per la quale Dio, avendo pietà del peccatore, converte il suo cuore, gli fa grazia e, benché immeritevole, perdona i suoi peccati, rendendolo giusto e capace di meritare, opera, questa, che è propria della misericordia.

Le pene che Dio ci infligge nella via presente hanno uno scopo correttivo, purificativo ed educativo. Egli utilizza o le conseguenze in noi del peccato originale o quelle di certi nostri peccati o certe mancanze o ingiustizie provenienti dal prossimo nei nostri confronti o l’ostilità che ci viene dalle forze della natura o la stessa azione del demonio. Invece la pena dell’inferno è solo afflittiva, essendo ormai cessata nel dannato la possibilità di un miglioramento morale.

Dio bontà infinita ha creato l’uomo perché gioisse sia nel senso fisico che in quello spirituale, godesse di una vita immortale e fruisse in eterno di Lui sommo bene. Per questo la Bibbia ci dice che «Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi» (Sap 1,13). Ma «la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo» (Sap 2,24).

Dio creando la persona (uomo e angelo) l’ha dotata di una facoltà preziosissima, fondata sull’intelletto, il libero arbitrio, col quale può scegliere tra il bene e il male, la giustizia e il peccato, Dio o la creatura. La Bibbia narra che Dio, avendo sottoposto gli angeli e l’uomo ad una prova di fedeltà, alcuni angeli insieme con l’uomo hanno disobbedito al comando divino e sono stati puniti.

Se avesse voluto, avrebbe potuto creare uomini ed angeli così da porli nello stato di gloria muovendo la loro volontà ad unirsi immediatamente a Lui con un solo atto di libera scelta. E invece ha voluto non impedire l’ingresso del peccato nel mondo con le sue conseguenze penali. Non sappiamo per quale motivo, ma certamente sapientissimo.

In tal modo dobbiamo dire che Dio non ha voluto il male di colpa, ma ha voluto il male di pena come esigenza della sua giustizia. Egli comunque può togliere per misericordia a chi si pente alcune pene di questa vita, ma non può togliere la pena dell’inferno, perchè essa è il giusto castigo di coloro che Gli disobbediscono, nin si convertono, non praticano la misericordia e rifiutano la sua misericordia.

La Chiesa[1] ci dice che all’inferno ci sono dei dannati, anche se non sappiamo chi sono e quanti sono. Inoltre nel Concilio di Trento seguendo la dottrina paolina della predestinazione insegna che ci sono gli eletti e predestinati e ci sono i non eletti e non predestinati.

Perché Dio sceglie questi e non quelli? Non lo sappiamo. Certo sceglie i primi perché lo meritano e non sceglie i secondi perché non lo meritano. Ma anche la grazia che è causa del merito dipende dalla scelta divina. E quindi siamo daccapo. Dio predestina alla salvezza, ma non alla dannazione. Il dannarsi dipende esclusivamente da chi si danna.

Il Concilio di Trento ci insegna inoltre che non posiamo sapere per fede se siamo predestinati, ma lo possiamo solo sperare, operando il bene, che ci dà ragionevole motivo di sperare. Noi siamo padroni dei nostri atti volontari; essi dipendono da noi: se lo vogliamo, metteremo in pratica quello che vogliamo e se ciò è un bene, faremo una buona azione. Da parte di Dio c’è sicuramente la volontà di salvarci. Possiamo ancora avere timore di non salvarci?

La misericordia

La misericordia è quella virtù per la quale la persona, avendo pietà o compassione per il misero o il povero o il sofferente o bisognoso o l’oppresso pentito del male fatto o che non ha da pagare o non sa liberarsi da solo del male che lo affligge o della sua miseria materiale e spirituale, lo perdona o gli dona gratuitamente o gli rimette l’eventuale debito soddisfacendo così al suo bisogno o reintegrandolo in salute e benessere.

La misericordia divina rimette anche il peccato, cosa che non può fare la misericordia umana, la quale, nell’ordine giudiziario o anche pubblico o privato, può perdonare, scontare o far grazia solo nel campo degli atti esterni, delle infrazioni alla legge positiva, dei rapporti sociali, dei delitti e delle pene, ma non delle colpe in foro interno davanti a Dio.

E questo perchè nel campo del peccato e della colpa davanti a Dio il perdono comporta la restituzione della grazia divina perduta col peccato, cosa che richiede un atto creatore, come è il ridare la vita a un morto in senso spirituale, cosa che solo Dio può fare eventualmente per mezzo del sacerdote.

In base a ciò la suprema bontà della persona, quella per la quale essa aspira al sommo bene, è la pietà o virtù di religione[2], quella pietas che era già nota ai Romani e che si muove in due direzioni: verso l’alto, come culto divino e verso il basso, ossia verso i miseri, come misericordia. La pietà verso Dio e quella verso i poveri sono inscindibili e sono l’espressione dell’unico amore verso Dio che fonda l’amore del prossimo.

La misericordia assomiglia a quella forma suprema di bontà che abbiamo visto, la generosità, con la differenza che mentre la generosità è un atto facoltativo che dona al di là dei bisogni e delle aspettative del beneficato, la misericordia è un preciso dovere. E qui essa assomiglia alla giustizia, con la differenza che mentre la giustizia ricompensa per una prestazione o un lavoro fatti, la misericordia dona e solleva gratuitamente al di là del merito il bisognoso che non ce la fà da solo a sollevarsi.

La misericordia è già nota agli antichi Romani: un cuore per i miseri. Essa era sinonimo della pietas, che è quella virtù che induce ad onorare la divinità in quanto misericordiosa. I Romani veneravano addirittura una dea della Pietà. Risparmiare, non incrudelire con in vinti: parcere subiectis, come dirà Virgilio. Esiste già il concetto del facere gratiam, nel senso del perdonare o del condonare.

Inoltre già gli antichi Romani conoscono una serie di virtù, la aequitas, la clementia e l’indulgentia, che comportano una forma di mitezza, un senso di umanità ed una ragionevolezza, che senza rinunciare, all’occorrenza, alla severità, moderano o mitigano le pene ed evitano che esse degenerino nella durezza, nella rigidità e nella crudeltà. Si tratta di forme superiori, sagge e delicate di giustizia, simili a quella che Aristotele chiama epièikeia[3], e Tommaso epikìa.

Tommaso dice che

 «l’epieikeìa è superiore alla giustizia legale, ma non è una virtù cardinale, perché è un supplemento della giustizia legale, che la presuppone»[4]. «L’epieikeia è la parte soggettiva della giustizia. E di essa si dice che è giustizia prima di quella legale; infatti la giustizia legale è guidata secondo l’epieikeia. Per questo l’epieikeia è quasi la regola superiore degli atti umani»[5]. «Se si dice che la giustizia legale obbedisce alla legge sia quanto alle parole, sia quanto all’intenzione del legislatore, che è più importante, così l’epieikeia è la parte più importante della giustizia legale»[6]. «L’epieikeia è una certa qual migliore giustizia, ossia della giustizia legale, che osserva le parole della legge. Poiché tuttavia anche questa è una certa giustizia, non è migliore di ogni forma di giustizia»[7].

Nel linguaggio corrente diremmo che bada più alla sostanza che alla forma. Si tratta di quello «Spirito» che «vivifica», mentre «le lettera uccide», del quale parla Paolo. L’epicheia è quella forma di giustizia che è superiore a quella dei farisei, quella superiore giustizia che è raccomandata e praticata da Cristo, giustizia superata o migliorata dalla misericordia e dalla capacità di saper discernere quando occorre soprassedere a un valore inferiore per salvarne uno superiore.

Oggetto della divina misericordia è l’uomo peccatore e sofferente a seguito del peccato originale, col fine di salvarlo dalla morte, di mostrargli la via della salvezza e della beatitudine, di ridargli le forze perdute, di purificarlo dal peccato, di dargli la grazia necessaria per obbedire ai comandamenti, di liberarlo dalla sofferenza e dalla schiavitù di Satana, di riconciliarlo con Dio, col prossimo e con la natura.

L’uomo col peccato originale era precipitato in uno stato di miseria umanamente irreparabile con la prospettiva di scendere negli inferi dopo la morte. Aveva quello che si era meritato e di cui Dio lo aveva avvertito se avesse peccato. Dio, a rigor di giustizia, avrebbe potuto, se avesse voluto, lasciarlo in quella miserevole condizione e nessuno poteva lamentarsi o protestare. Ma Egli, infinitamente buono, ha avuto pietà dell’uomo e fin da dopo la caduta promette un Salvatore.

Ora il piano del Padre nel donarci Cristo non è stato solo quello di risollevarci dalla caduta e di risanare la nostra natura, accontentandola nella possibilità di contemplare Dio in cielo, cosa che era già stata desiderata dai filosofi pagani, ma anche di costituire l’uomo nello stato di figlio di Dio, ad immagine del Figlio, mosso dallo Spirito Santo, destinato a vedere in cielo faccia a faccia il Volto del Dio trinitario.

Dunque non solo la grazia sanante della salvezza, ma in più – aggiunta della bontà divina al di sopra delle esigenze stesse della felicità naturale – una vita soprannaturale divina, effetto di una bontà divina superiore a quella della stessa misericordia e che va addebitata ad una generosità che può essere solo di Dio.

Oggi la Chiesa sa meglio del passato dove arriva la misericordia di Dio ed ha ragioni per essere più misericordiosa che per il passato. Gli insegnamenti del Concilio Vaticano II ampliano la nostra conoscenza sull’opera della misericordia divina nella storia dell’umanità e ci danno una nozione di misericordia più ricca che per il passato. Ci insegna ad essere più misericordiosi di quanto lo eravamo nel passato.

La misericordia divina è infinita non nel senso che Dio quando fa misericordia non vi ponga un limite, ma nel senso che per sé è illimitata, in quanto Egli, là dona non in riferimento ad una misura prefissata, come avviene nella giustizia, ma semplicemente a sua sovrana e generosa discrezione.

Non dobbiamo nasconderci che giustizia, sotto l’aspetto di severità, e misericordia si oppongono e si escludono a vicenda, perchè mentre la giustizia infligge o irroga la pena, la misericordia la mitiga o la toglie. Per questo alcuni si sforzano di ridurre la giustizia alla misericordia o semplicemente per evitare quella che a loro sembra una contraddizione, negano che Dio castighi e affermano che fa sempre e solo misericordia a tutti, lasciando poi del tutto senza ragione o senza spiegazione l’esistenza del dolore, della sofferenza e della morte, quando uno dei pregi della divina rivelazione è proprio quello di spiegarci il perchè della sofferenza, anche se in ultima analisi questo perchè resta misterioso.

Eppure è molto facile sciogliere quest’apparente contraddizione. Basta considerare che Dio punisce una persona diversa da quella che Egli perdona: oppure una medesima persona prima viene punita e poi premiata. Contraddizione ci sarebbe se ammettessimo che una medesima persona simultaneamente viene punita e perdonata. Ma chi va a pensare una cosa del genere?

Dall’Antica alla Nuova Alleanza

Nel sostituire la Nuova all’Antica Alleanza Dio ha aumentato la sua misericordia. Certamente Egli ha manifestato la sua misericordia fin da quando nell’Eden aveva promesso alla coppia peccatrice un Salvatore. E molte sono le manifestazioni della misericordia divina nell’Antico Testamento, oltre ai nobili insegnamenti su di essa.

Tuttavia non c’è bisogno di prendere da Marcione o da Lutero, se diciamo che il Dio dell’Antico Testamento è un Dio terrorizzante, non diciamo crudele, ma certamente di una severità che oggi, dopo duemila anni di cristianesimo, ci lascia sconcertati. È chiaro che certe immagini veterotestamentarie del Dio punitore acceso d’ira appartengono alla rozza concezione propria dell’agiografo piu che rispecchiare la Parola di Dio.

Certamente nell’Antico Testamento Dio mostra la sua benevolenza e misericordia con l’elezione di Israele, insegnando i suoi comandamenti, suscitando giusti e profeti, compiendo miracoli e prodigi; certamente raccomanda la misericordia, la pietà e il soccorso dei miseri, dei poveri e dei sofferenti, perché Egli stesso è pietoso e misericordioso.

Certamente la rivelazione della sua bontà ha un culmine nella persona di Mosè. Ciò che consola è l’attesa del Messia. La prospettiva dopo la morte ha qualche barlume di eternità, ma pesa la triste previsione di scendere agli inferi. Si direbbe quasi che siano più ottimisti Platone con la contemplazione delle Idee ed Aristotele con la contemplazione del sommo Bene.

Naturalmente la giustizia punitiva non viene meno col Nuovo Testamento. È questa l’eresia dei buonisti e dei misericordisti. Anzi, il Dio del Nuovo Testamento, più misericordioso di quello dell’Antico, è però più esigente e quindi più severo, ed ha ragione, come argomenta in modo stringente la Lettera agli Ebrei:

«Se pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati, ma soltanto una terribile attesa del giudizio e la vampa di un fuoco che dovrà divorare i ribelli. Quando qualcuno ha violato la legge di Mosè, viene messo a morte senza pietà sulla parola di due o tre testimoni. Di quanto maggior castigo allora pensate che sarà ritenuto degno chi avrà calpestato il Figlio di Dio e ritenuto profano quel sangue dell’alleanza dal quale è stato un giorno santificato e avrà disprezzato lo Spirito della grazia?» (Eb 10,26-29).

Per questo, se Cristo discendendo agli inferi libera i giusti che Lo attendevano, salendo al cielo alla destra del Padre istituisce però l’inferno, che è castigo ben più grave degli antichi inferi, se è vero che è peccato più grave rifiutare un bene maggiore. Ora la proposta della Nuova Alleanza è migliore di quella dell’Antica, per cui è giusto che chi rifiuta la Nuova, venga più severamente punito, anche se è vero che la misericordia della Nuova Alleanza è maggiore perché. mentre nella Prima Alleanza Dio si limitava a concedere la sua grazia, nella Nuova Egli ci ha donato il suo stesso Figlio e lo Spirito Santo, con la prospettiva di vedere in cielo la Santissima Trinità, beatitudine ineffabile ignorata dall’Antico Testamento.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 6 aprile 2025

 

 

Oggetto della divina misericordia è l’uomo peccatore e sofferente a seguito del peccato originale, col fine di salvarlo dalla morte, di mostrargli la via della salvezza e della beatitudine, di ridargli le forze perdute, di purificarlo dal peccato, di dargli la grazia necessaria per obbedire ai comandamenti, di liberarlo dalla sofferenza e dalla schiavitù di Satana, di riconciliarlo con Dio, col prossimo e con la natura.

Ma Egli, infinitamente buono, ha avuto pietà dell’uomo e fin da dopo la caduta promette un Salvatore.


Ora il piano del Padre nel donarci Cristo non è stato solo quello di risollevarci dalla caduta e di risanare la nostra natura, accontentandola nella possibilità di contemplare Dio in cielo, cosa che era già stata desiderata dai filosofi pagani, ma anche di costituire l’uomo nello stato di figlio di Dio, ad immagine del Figlio, mosso dallo Spirito Santo, destinato a vedere in cielo faccia a faccia il Volto del Dio trinitario. 

Dunque non solo la grazia sanante della salvezza, ma in più – aggiunta della bontà divina al di sopra delle esigenze stesse della felicità naturale – una vita soprannaturale divina, effetto di una bontà divina superiore a quella della stessa misericordia e che va addebitata ad una generosità che può essere solo di Dio.

Immagini da Internet:
- Adamo Ed Eva, Benjamin West
- Figliol prodigo, Rembrandt van Rijn


[1] Vedi il mio libro L’inferno esiste. La verità negata, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2010.

[2] In tal senso il Concilio Vaticano II nella Sacrosanctum Concilium dice che «la liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua virtù» (n.10).

[3] Etica nicomachea, Editori Laterza, Bari 1965, l.V, c.10, pp.141-142.

[4] Commento alle Sentenze, III, D.33, q.3, a.4, q.5, 5m.

[5] Sum.Theol.,II-II, q.120, a.2.

[6] Ibid., ad 1m.

[7] Ibid., ad 2m.

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