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L'esistenza di Dio - Conferenza di P. Tomas Tyn - Prima Parte (1/3)

 

L’esistenza di Dio

Conferenza di P. Tomas Tyn, OP

Bologna, 13 novembre 1986 - Presso Istituto Tincani

 Prima Parte (1/3)

 Audio:  http://youtu.be/GM5xcy5WQv0

 

Sono molto felice di rivedervi così numerosi e soprattutto così entusiasti, per intraprendere questo non facile ma bello cammino delle nostre meditazioni. Quest’anno soprattutto avremo un tema particolarmente difficile da trattare. Ma tutte le cose belle sono difficili. E quindi ci facciamo coraggio.

E cioè si tratta esattamente di quello che classicamente si chiama il trattato De Deo Uno, della esistenza di Dio, degli attributi di Dio, le proprietà di Dio, il rapporto tra Dio e il mondo, tra Dio e le creature, la creazione, la conservazione delle cose nell’essere e il modo in cui Dio contribuisce all’attività di ogni creatura.

Quest’oggi cominciamo subito da quello che è proprio il fondamento del nostro discorso. Perché, vedete, per sapere che cosa è il Signore, chi è Dio, per quanto la nostra povera ragione umana ci può arrivare, per sapere questo bisogna anzitutto sapere se Dio c’è o meno. Quindi c’è anzitutto la domanda an sit, come si dice in latino, cioè se c’è. E poi c’è la domanda quid sit. Cioè se Dio ci sia e poi ci si orienterà, dopo aver visto che Dio c’è, si cercherà in qualche modo di vedere che cosa esattamente sia.

Non c’è dubbio che le due domande si presuppongono a vicenda. È chiaro che per sapere se Dio ci sia, bisogna anche poterlo in qualche modo definire. Ci proveremo. Sapete, il buon Dio non si lascia definire facilmente. Perché supera ogni categoria di realtà. Tuttavia cercheremo di descriverlo o almeno in maniera tale da afferrarlo tramite un qualche attributo, che spetta a Dio e solo a Dio, e poi cercheremo appunto di far vedere come un essere dotato di questo attributo, per esempio quello di causa prima, deve esserci in rerum natura, cioè deve esistere nelle cose stesse.

Anzitutto, come premessa, dobbiamo subito entrare in medias res, perché questo trattato non è proprio diciamo così poco esteso. Tuttavia una premessa è assolutamente di obbligo. Cioè l’importanza di questo trattato per il cristiano di oggi, direi per il cristiano di sempre, per l’uomo di sempre, ma soprattutto per il cristiano di oggi.

Perché dico questo? Perché, vedete, al giorno di oggi si ha una forte tendenza a contrappone due atteggiamenti: da una parte un razionalismo riduttivo o riduzionistico e dall’altra un fideismo che compie degli strani salti nel buio.

Come esemplificarlo? La scienza moderna, che certamente ha raggiunto degli egregi risultati, tuttavia tende in qualche modo a ridurre la contemplazione del reale, dell’ente, di ciò che esiste, diciamo così, a una dimensione, a un settore ristrettissimo dell’ente stesso. Da questo poi la scienza trae la sua enorme precisione. Cioè la scienza è esatta, proprio perché studia solo una dimensione estremamente povero della realtà. Mentre, come si fa in filosofia e in teologia, quando la nostra mente si apre alla realtà, all’essere in tutta la sua estensione, ahimè, la precisione non è più tale. Però bisogna che entrambi i discorsi razionali, sia quello sapienziale che quello scientifico, si completino a vicenda. Quindi non c’è inimicizia. Anzi c’è un richiamarsi reciproco, una complementarietà fra il discorso della scienza e il discorso della sapienza, che sia filosofica o teologica non ha importanza.

Ebbene, il guaio tuttavia nasce con il cosiddetto positivismo. Cioè la scienza tende a costituirsi come un che di assoluto, come un che di escludente la metafisica, un qualcosa che esclude la contemplazione e la meditazione sull’essere stesso. Queste sono cose, come dicono i positivisti, che sono prive di senso, meaningless dicono in inglese.

Non ha nessun senso farsi la domanda se Dio c’è o non c’è, se la nostra anima è mortale o immortale. Tutte queste cose vengono accantonate perché non misurabili, non sperimentabili, in qualche modo non esprimibili in termini scientifici, in termini di equazioni matematiche.

Invece noi dobbiamo farci coraggio, nel senso che la reazione buona al positivismo non è quella di una certa quasi disperazione. Condannare assieme a questo riduzionismo scientistico anche la scienza stessa o addirittura la ragione. Ci sono queste reazioni fideistiche Per esempio, tanto per citare uno, anche Kierkegaard tende a questo: reagire dinanzi al razionalismo con il fideismo

Quindi io non posso dimostrare l’esistenza di Dio, ma faccio un atto di fede. Notate, miei cari. Un cristiano cattolico non può pensare così. Un cristiano cattolico è obbligato, proprio è un dogma di fede, definito dal Concilio Ecumenico Vaticano I nella Costituzione Dei Filius, un buon cristiano cattolico è obbligato a credere per fede rivelata, che è possibile alla intelligenza umana, alla pura intelligenza senza essere sostenuta dalla fede. Notate bene. Quindi è possibile alla pura naturale intelligenza umana, a livello puramente filosofico, elevarsi alla conoscenza di Dio, conoscere l’esistenza di Dio ed alcuni suoi attributi fondamentali.

Perché la Chiesa ci tiene tanto? Perché, come diceva San Tommaso d’Aquino di beata memoria la gratia naturam non tollit sed supponit et perficit. Cioè la grazia non toglie la natura, ma la suppone. La grazia non è campata in aria. La grazia afferra l’anima umana, che per natura sua è razionale e quindi chiamata a conoscere razionalmente. Così anche la fede. È certamente una conoscenza soprannaturalmente mediata, perché, se non ci fosse la luce della fede, noi il mistero della Trinità non lo conosceremmo in nessun modo.

Tuttavia, grazie alla luce della fede, noi siamo in grado di conoscere, di conoscere Dio razionalmente. Cioè è la ragione che elicita l’atto di fede, anche se sostenuta ovviamente dalla luce della divina rivelazione. Ossia Dio non si rivolge a degli animali, piante, pietre: si rivolge a uomini dotati natura umana, dotati di ragione, quel dono benedetto del Signore. E che il Signore ci mantenga sempre nella sana ragione. Facciamo quella preghiera.

Quindi bisogna assolutamente partire da questo dato di fatto, che il presupposto della fede, conoscenza soprannaturale di Dio, è la ragione naturale, che già con le sue forze connaturali è in grado di conoscere Dio, così come è conoscibile dall’uomo. Non certo così come è conoscibile solo da Dio.

Quindi ci sono due conoscenze di Dio. Una, alla luce della nostra ragione naturale e della conoscenza filosofica. L’altra, alla luce della conoscenza che Dio Stesso ha di Se Stesso e che ci ha rivelato nel Figlio Suo Prediletto, Gesù Cristo Nostro Signore. Quindi la conoscenza naturale filosofica è presupposta alla conoscenza di fede.

Se uno dice: “Io faccio a meno della filosofia, non si penso, io faccio il salto nella fede”, quel tale non ha fede, cioè non ha la fede vera. Perché la fede vera presuppone il discorso razionale, perlomeno come è possibile. Cioè non è detto che tutti debbano proprio scervellarsi sulle prove della esistenza di Dio.. Però tutti devono avere la consapevolezza che tali prove sono perlomeno possibili.

Perché dico questo, miei cari? Mi sta molto a cuore. Perché, sapete come l’ateismo in qualche modo fa una strage di anime, al giorno di oggi, soprattutto nella sua forma marxiana, l’ateismo che presume di essere scientifico, l’ateismo cosiddetto scientifico. Quindi la scienza ha dimostrato, secondo costoro, che Dio non esiste.

La scienza non può dimostrare certe cose. Bisogna che sia più umile e che si renda conto che, appunto limitandosi al misurabile e all’esprimibile in termini matematici, può e deve parlare di quello e solo di quello. Non deve pronunciarsi sull’esistenza o meno di cose che si sottraggono appunto alla sperimentazione e alla esprimibilità in termini quantitativi o matematici.

Quindi naturalmente c’è una grossa prevaricazione riduzionistica, in quanto proprio Dio, né quanto all’esistenza né quanto alla non esistenza, non può essere oggetto della scienza onesta, se si comprende onestamente come è limitata al suo oggetto formale, direbbe S. Tommaso.

Tuttavia questo materialismo cosiddetto scientifico e ateo, fa una strage di anime proprio in quanto in qualche modo condiziona questa spaccatura dentro all’anima dell’uomo tra il suo essere razionale solo nell’ambito di cose quotidiane e immediate, cose banali diciamocelo pure e invece essere irrazionale in tutte le cose che contano più di tutte le altre. Nelle vicende di Dio, nelle vicende dell’anima, lì siamo irrazionali, facciamo dei salti nel buio.

Ora, il predecessore di Marx, Feuerbach, diceva una cosa molto interessante e cioè che non è Dio - il Signore mi perdoni, voi sapete, ogni tanto bisogna ripetere certe bestemmie, che sono veramente orrende -, dice: non è Dio che ha creato l’uomo, ma è l’uomo che si crea il suo Dio a sua immagine e somiglianza[1].

Ora, notate bene una cosa. Feuerbach per quanto sbagli, moltissimo, tuttavia, tuttavia ci fa vedere l’importanza del nostro discorso. Perché se il discorso dei fideisti è vero, cioè se non è possibile dimostrare l’esistenza di Dio, allora ha ragione Feuerbach.  Chi dice: “Io faccio il salto nel buio; io semplicemente faccio un atto di fede, ma non so nulla riguardo a Dio, alla oggettività del suo essere”, allora a un certo punto ha ragione Feuerbach a dire: “Figliuolo, sei stato tu a crearti il tuo Dio secondo la tua immagine e somiglianza”.

Vedete allora come con molta umiltà bisogna mettere la ragione a servizio della fede, come facevano i grandi teologi del Medioevo, Sant’Alberto e San Tommaso. Si avvicina la festa di Sant’Alberto. Quindi è giusto ricordarlo, sottomettere la scienza e la sapienza anche filosofica, alle esigenze della fede. Cioè esplorare con la ragione l’esistenza obiettiva di Dio, per poi innestare su questo discorso razionale, su un altro piano discontinuo, il discorso della rivelazione, la quale rivelazione tuttavia non è più soggettiva, perché si fonda su un Dio di cui abbiamo obiettivamente dimostrato la obiettiva esistenza.

Solo alla luce del Concilio Vaticano I, che stabilisce questa dimostrabilità razionale di Dio, si capisce l’inconsistenza del discorso di Feuerbach. Dio non è un’idea cara alla nostra anima. Dio è un’esistenza, somma esistenza, esistente in rerum natura, indipendentemente dal nostro intelletto e dai nostri pii desideri. Dopo aver stabilito questo, possiamo procedere con il nostro discorso.

Anzitutto, come si fa a elevare l’anima a Dio? È una cosa molto interessante. Le prove dell’esistenza di Dio sono state tante. Cioè tanti sono stati i tentativi di arrivare con la mente umana a Dio. Ebbene, vedete, il fatto è, miei cari, che anzitutto l’esistenza di Dio, per quanto sia evidente, quanto all’essere, non è evidente quanto al nostro conoscere umano. Adesso cercherò di spiegare questa distinzione, che non è facile ma è importante, l’esistenza di Dio.

Adesso ci provo a spiegare questo punto. Non è facile, però è importante. Sarà meglio che vi spieghi. Cominciamo col vedere la posizione di Sant’Anselmo, la sua cosiddetta prova ontologica di Sant’Anselmo. Sant’Anselmo parte dicendo che Dio è l’essenza, che racchiude in sé il suo essere. Ossia Dio è quella essenza, il cui essere stesso è il semplice essere.

Dio non è null’altro che essere. Noi siamo sì esistenti, ma esistenti come uomini. Quindi il nostro essere uomini non è un essere semplice e pieno. Invece in Dio ciò che Dio è, non è altro che essere. I Padri della Chiesa Orientale, soprattutto i Cappatoci, dicevano: “Dio è l’oceano dell’essere”. L’essere infinito, il puro esistere.

A questo punto, se noi definiamo Dio in questo modo: Dio è per essenza tutto, cioè, Dio è il semplice esistere. Quindi in quanto all’essere, Dio non può non esistere. Perché la sua essenza stessa consiste nell’atto di esistere.

Ora, questo è vero per quanto riguarda Dio. E Dio lo sa bene che è così. Ma non è manifesto a noi. E questo è il punto difficile. L’esistenza di Dio è evidente a un intelletto come quello divino, che conosce perfettamente la sua essenza. Dio nella sua essenza afferra la necessità del suo esistere.

Noi invece, poveretti, che siamo ovviamente purtroppo per fortuna nostra non abbiamo come oggetto della nostra intelligenza l’essenza di Dio, ma l’essenza di cose ben più umili. Quindi siccome non vediamo l’essenza di Dio - la vedremo in paradiso, fortunati noi -, ma per adesso vediamo altre cose, non l’essenza di Dio. Perciò, non conoscendo l’essenza di Dio, non vediamo nemmeno il legame necessario, che di fatto c’è, tra essenza ed esistenza.

Perciò noi dobbiamo purtroppo fare tutta una lunga strada, partendo da quegli oggetti poveri, umili, semplici, che cadono sotto i nostri poveri occhi carnali., Dobbiamo accontentarci di partire da queste cose così umili, per poi risalire a Dio onnipotente.

Quindi sarebbero sbagliate tutte quelle pretese che in qualche modo partono dalla evidenza stessa della esistenza di Dio, Dio è evidente rispetto alla intelligenza divina, ma è alquanto inevidente rispetto alla intelligenza umana. Cioè l’intelligenza umana deve fare tutto un cammino per elevarsi faticosamente dal suo oggetto, che le è evidente, a quell’oggetto inevidente, che è Dio.

Fine Prima Parte (1/3)

 P. Tomas Tyn, OP - a cura di P. Giovanni Cavalcoli, OP

Audio:  http://youtu.be/GM5xcy5WQv0

Registrazione e/o custodia degli audio a cura di Amelia Monesi e/o Altri

Trascrizione da registrazione su nastro di Sr. Matilde Nicoletti, OP – Bologna, 16 maggio 2015

Testo rivisto con note da Padre Giovanni Cavalcoli, OP - Fontanellato, 18 marzo 2022 e 14 maggio 2024

Servo di Dio Padre Tomas Tyn, OP

Un cristiano cattolico è obbligato, proprio è un dogma di fede, definito dal Concilio Ecumenico Vaticano I nella Costituzione Dei Filius, un buon cristiano cattolico è obbligato a credere per fede rivelata, che è possibile alla intelligenza umana, alla pura intelligenza senza essere sostenuta dalla fede, è possibile alla pura naturale intelligenza umana, a livello puramente filosofico, elevarsi alla conoscenza di Dio, conoscere l’esistenza di Dio ed alcuni suoi attributi fondamentali.

Perché la Chiesa ci tiene tanto? Perché, come diceva San Tommaso d’Aquino di beata memoria la gratia naturam non tollit sed supponit et perficit. Cioè la grazia non toglie la natura, ma la suppone. La grazia non è campata in aria. La grazia afferra l’anima umana, che per natura sua è razionale e quindi chiamata a conoscere razionalmente. Così anche la fede. È certamente una conoscenza soprannaturalmente mediata, perché, se non ci fosse la luce della fede, noi il mistero della Trinità non lo conosceremmo in nessun modo. Tuttavia, grazie alla luce della fede, noi siamo in grado di conoscere, di conoscere Dio razionalmente. Cioè è la ragione che elicita l’atto di fede, anche se sostenuta ovviamente dalla luce della divina rivelazione. Ossia Dio non si rivolge a degli animali, piante, pietre: si rivolge a uomini dotati di natura umana, dotati di ragione, quel dono benedetto del Signore. E che il Signore ci mantenga sempre nella sana ragione. Facciamo quella preghiera.


Quindi bisogna assolutamente partire da questo dato di fatto, che il presupposto della fede, conoscenza soprannaturale di Dio, è la ragione naturale, che già con le sue forze connaturali è in grado di conoscere Dio, così come è conoscibile dall’uomo. Non certo così come è conoscibile solo da Dio.

Quindi ci sono due conoscenze di Dio. Una, alla luce della nostra ragione naturale e della conoscenza filosofica. L’altra, alla luce della conoscenza che Dio Stesso ha di Sé Stesso e che ci ha rivelato nel Figlio Suo Prediletto, Gesù Cristo Nostro Signore. Quindi la conoscenza naturale filosofica è presupposta alla conoscenza di fede.

Immagine da Internet: 
- Un filosofo, Jacques-Louis David

[1] Questo purtroppo avviene nella pratica dell’idolatria. L’errore di Feuerbach è quello di ritenere che la stessa religione si costituita dal fatto che l’uomo crea un essere fittizio al quale attribuisce il compito di promozione dell’uomo che in realtà spetta all’uomo stesso. Per cui scarica su Dio quella responsabilità che in realtà spetta a lui. Occorre invece negare l’esistenza degli idoli e non quella di Dio.

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