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L'esistenza di Dio - Conferenza di P. Tomas Tyn - Terza Parte (3/3)

 

L’esistenza di Dio

Conferenza di P. Tomas Tyn, OP

Bologna, 13 novembre 1986 - Presso Istituto Tincani

Terza Parte (3/3) 

 Audio:  http://youtu.be/GM5xcy5WQv0

         Adesso proviamo a vedere le singole prove proprio molto in breve. Le cose si muovono. È una evidenza. Voi sapete che c’era quel filosofo dell’antichità[1], che appunto per convincere Parmenide che esiste il movimento si alzò in piedi e si mise a camminare. Allora, è una evidenza insomma, quella del movimento. Le cose si muovono.

        Ora, il principio di causalità, riguardo alle cose che si muovono è questo: quidquid movetur ab alio movetur. Tutto ciò che si muove, è mosso da qualcos’altro. Quidquid movetur ab alio movetur. Tutto ciò che si muove, si muove da un altro[2]. Nessuna cosa dà a sé stessa il suo divenire[3]. Tutte le cose che divengono dipendono nel loro divenire da una cosa che è già arrivata al termine.

Così i genitori danno la vita, perché hanno già la vita. Se non avessero la vita, non potrebbero generare. Quindi in qualche modo il principio di causalità applicato al movimento dice che tutto ciò che si muove o è nel divenire, si richiama a un Datore della attualità, che è il termine del divenire. Quindi tutto ciò che si muove, si muove a causa di un altro.

Ora, tra il motore e i mossi ci potrebbe essere una serie lunghissima di condizionamenti reciproci. Però non può esser infinita, per il motivo che abbiamo detto. Quindi all’origine di questa serie di motorii e di mossi ci deve essere una entità realmente esistente, perché sennò non si spiega la realtà delle cose nel divenire. Una entità realmente esistente, che esiste come quella entità che elargisce il movimento senza essere mossa per nulla, senza ricevere per nulla una attuazione da un’altro, senza ricevere un divenire.

Vedete come la prima prova arriva a Dio, causa prima di tutte le cose, ma anche alla immobilità di Dio. Dio non è nel movimento, non è nel divenire, ma è la causa, la condizione assoluta di ogni divenire e di ogni movimento.

La seconda prova invece è questa. Essa parte dalla esistenza delle cause, che esercitano la loro causalità e che si condizionano a vicenda. Ciò vuol dire che nelle operazioni delle creature ci sono delle creature, che esercitando la loro attività, dipendono in questo esercizio da altre creature.

Ora, qui il discorso si fa un pochino complicatuccio. E cioè si distingue tra l’ordine causale, la subordinazione causale per se e quella per accidens. Adesso spiego subito. È una espressione che può creare difficoltà, ma un fondo si tratta di una cosa semplice. Ossia, è la distinzione tra la dipendenza dell’effetto dalla causa nel divenire e la dipendenza nell’essere.

Ci sono degli effetti, che dipendono dalle cause solo nel divenire. Faccio un esempio. Nella generazione, l’uomo generato dipende dai genitori finché è nel farsi, nel generarsi. Una volta che è partorito e diventa indipendente, non ha più bisogno dei genitori[4].

Ci sono invece altri effetti, che nel loro stesso esistere dipendono da determinate cause. Pensate a un effetto così banale, così semplice, come può essere quello di un mulino a vento. Ci sono gli ingranaggi del mulino a vento, il quale si muove, cioè è mosso dal vento. Il vento poi è mosso da tutta una meccanica molto problematica[5], gli spostamenti delle masse d’aria nell’atmosfera e via dicendo. Poi il vento muove questo aggeggio del mulino a vento. Poi c’è un mucchio di ingranaggi che si muovono a vicenda. Poi alla fine c’è la pietra del mulino, che appunto macina il grano.

Quindi, questo movimento dipende dalla esistenza del vento. Se il vento non c’è, il mulino si ferma. Quindi l’effetto, non solo quanto al divenire, ma quanto al suo stesso essere, dipende dalla causa superiore.

Ora, ciò che è rilevante per noi, non sono quelle cause che hanno un influsso solo sul divenire della cosa, ma quelle cause che condizionano l’essere stesso della cosa e del suo divenire.

Ora, in queste cause di nuovo non ci può essere una serie infinita di causanti e di causati. Quindi bisogna che all’origine ci sia una causa, che questa volta non appare solo come motrice, ma proprio come datrice di operazione a ogni causa subordinata. Quindi Dio è la causa prima causante e incausata.

Terza via. È la via che comincia dalla constatazione della contingenza delle cose. Per contingenza si intende la non necessità la corruttibilità delle cose. Tutte le cose generabili sono anche corruttibili. Perché? Perché tutte le cose generabili si generano ricevendo una forma in una materia. Ora, dalla forma scaturisce una certa necessità. Le cose sono quello che sono secondo necessità. Io, una volta che sono divenuto uomo, non posso non essere uomo[6].

Però la parte materiale, nella quale si realizza la forma, è una parte che è portatrice di corruttibilità[7]. Il mio corpo, lo so bene, è destinato a morire, a dissolversi. Però l’essenza umana non cambia. Se io muoio, l’essenza umana continua ad esserci[8]. Muore per così dire la mia materia[9], che si sottrae alla forma, alla sua essenza[10]. Quindi la materialità delle cose è portatrice di potenzialità, quindi di corruttibilità[11]. Tutte le cose materiali sono contingenti, cioè cose corruttibili, cose destinate a non essere.

Ora, San Tommaso dice che se tutte le cose fossero solo corruttibili, ad un certo momento, supponendo una infinità di tempo passato non ci sarebbe più nulla. Tutte le cose sarebbero esaurite, sprofondate nel nulla. E se non supponiamo questo, vuol dire che c’è stato un inizio. E allora c’è un Dio creatore.

Però, guardandoci attorno, vediamo che le cose ci sono. Questo è abbastanza convincente. Vediamo che esistono delle cose. Ciò vuol dire che quelle cose, che sono corruttibili e non necessarie, hanno la ragione del loro essere non in sé stesse, ma in qualche cosa di necessario, che è al di sopra di esse.

Ora, quel necessario, che supera le cose materiali, può essere ancora di un duplice tipo. Può essere un necessario, che è causato quanto alla sua necessità, o un necessario assoluto, che è solo necessario e quindi incausato. Mi spiego. Le anime umane e gli angeli sono sempiterni, vivono per sempre, non si dissolvono, non sprofondano nel nulla. Perché non hanno materia, non hanno corpo[12].

Non c’è la potenzialità. Quindi sono necessari, sotto un certo aspetto. Però sono necessari in modo tale da essere causati, con la modalità della loro necessità, da un essere superiore a loro. Qui il discorso si fa molto complicato. Però accenno solo brevemente. C’è una duplice composizione di potenza e di atto. Quindi un duplice tipo di contingenza, di non necessità.

C’è la non necessità delle cose materiali: composizione di materia e di forma. E c’è la non necessità delle cose finite: composizione di essenza finita e di un atto di essere, che supera i limiti della essenza. Ora, negli angeli non c’è materia, ma c’è finitezza della essenza. Quindi anche il loro essere non ce l’hanno di diritto, ma come dono.

Faccio l’esempio degli angeli, poi mi perdonano, no? Essi hanno una bensì una necessità, ma hanno una necessità ricevuta da Dio, una necessità creata. Solo Dio è necessario in assoluto. Perché in lui non c’è nessuna composizione di atto e di potenza. Dio è puro atto di essere. Ora, dice San Tommaso, la necessità condizionata è dipendente. Dipende da una necessità, che non è condizionata, che è divina, che è puro essere.

Quarta prova. Questa è molto platoneggiante. La quarta prova parte, come vi ho già preannunciato, dalla differenziazione delle perfezioni nelle cose. È un dato evidente. Le cose non sono di pari perfezione o non sono di pari essere, né di pari bontà, né di pari verità ontologica. Per esempio, anche nei cosiddetti perfettibili, cioè proprietà aggiunte alla esistenza, come può essere il vivere, il conoscere, il volere.

Non tutte le cose sono uguali. Gli angeli conoscono molto più perfettamente di quanto non conoscano gli uomini. Gli uomini conoscono molto più perfettamente con l’intelligenza, di quanto non conoscano gli animali con i sensi. Quindi c’è una, c’è una differenza.

Quindi la bontà finita, la perfezione finita, richiama una perfezione infinita, che causa le sue limitazioni in tutti gli enti limitati. E questo è Dio. Vedete che qui si giunge a Dio onniperfetto, all’essere che è proprio perfezione sotto ogni riguardo.

Ultima prova. San Tommaso fa l’esempio, non molto felice, della freccia lanciata da un arciere. Però, si potrebbe dire questo. Perché dico non felice? Proprio perché è un artefatto. Il lanciare una freccia non è una cosa di natura, è una cosa artificiale. Però esemplifica bene le cose. Si tratta della freccia, quando noi la vediamo volare e arrivare al suo bersaglio. Non ci meravigliamo. E diciamo: come è arrivata bersaglio? Certo, non per caso[13].

Potrebbe anche capitare che tra un miliardo di frecce scagliate per caso[14] una arrivi anche forse alla destinazione. Ma se vediamo più frecce, una dietro l’altra arrivare al bersaglio, pensiamo che ci sia qualcuno, che ha intelligenza e che miri proprio per giungere al bersaglio.

Ora, similmente nelle cose naturali, c’è una certa destinazione operativa. Le cose sono destinate a fare questo e non quell’altro. Ciò avviene anche nelle cose supreme, nell’uomo l’intelligenza. L’intelligenza è fatta per conoscere il vero, non ad amare il bene, come la volontà. L’intelligenza ha un compito, la volontà ne ha un altro. Quindi ogni facoltà dell’anima è destinata dal Creatore ad un certo tipo di operazione.

Allora, il fatto che ogni entità e ogni realtà abbia una destinazione razionale al fine, suppone che ci sia una ragione ordinatrice. Questa ragione ordinatrice e creatrice, cioè finalizzatrice, è Dio, il quale dà, il quale dà ad ogni cosa, con il suo essere anche la sua natura e con la natura anche l’ordine a determinati fini. Quindi dalla finalità noi risaliamo a Dio razionale e creatore di razionalità e di intelligibilità nelle cose create. Non è, ripeto, un puro architetto del mondo, ma è Dio creatore.

Ora, miei cari, dopo aver visto queste cinque vie, quinque sunt viae, come dice San Tommaso, intratteniamoci solo brevemente su quelli che possono essere altri tentativi di provare l’esistenza di Dio. Ce ne sono sostanzialmente altri tre. Anzitutto la prova ontologica di Sant’Anselmo. Questa è divenuta celebre.

I cari confratelli di Sant’Anselmo, andarono da lui, come spesso gli studenti fanno, e gli chiesero: “Caro Padre, le sue dimostrazioni dell’esistenza di Dio sono troppo difficili, complicate insomma, noi vogliamo una prova che sia semplice, che arrivi subito da una idea molto molto evidente, che arrivi subito a Dio”.

Sant’Anselmo, poverino, cuore buono, vuole aiutare gli studenti e disse: “Chi ve  lo fa fare a studiare tanto? E allora escogitiamo un pochino una prova semplice, che proprio sia lampante per tutti”. E allora dice: “Partiamo da quella idea che ogni uomo ha di Dio; anche l’ateo, che nega che esista Dio, per negarlo deve avere una idea di Dio”. Allora, Sant’Anselmo dice: “Mettiamoci d’accordo”. L’idea di Dio[15] è l’idea di quell’essere, che racchiude in sè ogni perfezione, nel senso che non è pensabile un essere più perfetto di quello. Dio è ciò di cui non si può pensare nulla di più perfetto.

Ora, Sant’Anselmo è qui acuto, però purtroppo non conclude. Dice: “Ora, se io pensassi Dio come non esistente, Dio non sarebbe più l’idea più perfetta e suprema[16], perché io potrei pensare qualcosa di più perfetto, cioè ciò che ho pensato prima con l’aggiunta di essere”. Perciò Dio non può non esistere. Nell’idea stessa di Dio, di ciò che di cui non si può pensare nulla di più alto e di più perfetto, è racchiusa l’esigenza di essere.

Qui gli spiriti si sono divisi. Per esempio San Bonaventura e la scuola francescana sono più benevolmente disposti verso Sant’Anselmo. San Tommaso non gliela perdona, quella prova. E dice: “Non si passa dall’essere conosciuto all’essere reale”[17]. Anche Kant farà una critica simile. Dirà: “Sant’Anselmo non ha affermato l’essere reale di Dio, ma ha solo detto che Dio, che non può essere pensato se non come esistente, è pensato come esistente; ma l’essere che gli attribuisce non è l’essere reale; è sempre e solo l’essere pensato”.

Ci ha messo dentro l’essere, per estrarlo poi fuori, alla fine della prova. Sant’Anselmo mi perdoni. Comunque, nonostante tutto non c’è nulla da perdonare, penso. Perché è un colpo di genio lo stesso. Nel senso che Sant’Anselmo per quanto non abbia dimostrato l’esistenza di Dio, ha però fatto vedere che l’essenza di Dio consiste nella identità tra essenza ed essere. Il che non è poco. Quindi Sant’Anselmo rimane lì in cielo con il suo grande merito.

La prova agostiniana. La prova di Sant’Agostino si può chiamare psicologica, che poi è stata ripresa anche da Cartesio. La prova psicologica parte sempre dalla idea di Dio nell’anima umana e ci si chiede da dove viene mai questa benedetta idea. Non può venire dei sensi, che sono mutevoli. Né dalla ragione, che anch’essa è mutevole, perché cambia parere. Quindi viene dalla roccia di eternità, che è Dio, sorgente di ogni intelligibilità. Poi Sant’Agostino lo collega molto con la sua teoria di illuminazione. Quindi Dio esiste, perché il riflesso sulla mia anima di Dio, è il mio concepire delle idee eterne.

Poi c’è la prova morale. È quella kantiana. È un postulato della ragione pratica, come dice Kant. Quindi non una vera dimostrazione. Comunque Kant dice questo: “In qualche modo le anime buone e sante non sono sempre le meglio trattate in questo mondo”, come ben sappiamo. Quindi dice: “Sarebbe ingiusto se quelle anime beate non fossero poi realmente beate almeno in un’altra vita”.

Quindi, dice Kant: “Bisogna che esista sia l’immortalità dell’anima sia poi un garante di quella confluenza dei due ordini, cioè dell’ordine della bontà morale, della santità se volete e dell’ordine della beatitudine e della felicità”. Insomma bisogna che ci sia un Dio remuneratore, che ricompensa le opere buone. È una prova metafisicamente, che non sta molto in piedi[18]. Però esprime una certa, un certo anelito dell’anima umana.

Al giorno d’oggi è la prova preferita. Tutti i tomisti un po’ tomisti, scusate se li metto tra virgolette, che si compromettono con l’esistenzialismo, tendono, come Blondel per esempio, a dire che la vera prova della esistenza di Dio è quella che si fonda sul desiderio di Dio: l’anima ha sete di Dio. Ne avete la descrizione in un bel libro di Amerio.

Solo che non è una prova molto convincente. Perché un ateo potrebbe sempre dire: il mondo è assurdo. Quindi può anche darsi anche che abbiamo la sete di qualche cosa che non c’è. Invece contro le prove cosmologiche non datur argomentum. Oh, vi ringrazio molto della vostra attenzione. Che Dio vi benedica tutti.

 

P. Tomas Tyn, OP - a cura di P. Giovanni Cavalcoli, OP

Audio:  http://youtu.be/GM5xcy5WQv0

Registrazione e/o custodia degli audio a cura di Amelia Monesi e/o Altri

Trascrizione da registrazione su nastro di Sr. Matilde Nicoletti, OP – Bologna, 16 maggio 2015

Testo rivisto con note da Padre Giovanni Cavalcoli, OP - Fontanellato, 18 marzo 2022 e 14 maggio 2024

Testo rivisto con note da Padre Giovanni Cavalcoli, OP - Varazze, 22 dicembre 2017 e Fontanellato, 14 maggio 2024

Servo di Dio Padre Tomas Tyn

La prima prova arriva a Dio, causa prima di tutte le cose, ma anche alla immobilità di Dio. Dio non è nel movimento, non è nel divenire, ma è la causa, la condizione assoluta di ogni divenire e di ogni movimento. …
Non è, ripeto, un puro architetto del mondo, ma è Dio creatore.

Ora, miei cari, dopo aver visto queste cinque vie, quinque sunt viae, come dice San Tommaso, intratteniamoci solo brevemente su quelli che possono essere altri tentativi di provare l’esistenza di Dio. Ce ne sono sostanzialmente altri tre.

Anzitutto la prova ontologica di Sant’Anselmo. Questa è divenuta celebre. Sant’Anselmo è qui acuto, però purtroppo non conclude. San Tommaso non gliela perdona, quella prova. E dice: “Non si passa dall’essere conosciuto all’essere reale”. Anche Kant farà una critica simile.


Comunque, nonostante tutto non c’è nulla da perdonare, penso. Perché è un colpo di genio lo stesso. Nel senso che Sant’Anselmo per quanto non abbia dimostrato l’esistenza di Dio, ha però fatto vedere che l’essenza di Dio consiste nella identità tra essenza ed essere. Il che non è poco.

La prova di Sant’Agostino si può chiamare psicologica.

Poi c’è la prova morale. È quella kantiana. Solo che non è una prova molto convincente. Perché un ateo potrebbe sempre dire: il mondo è assurdo. Quindi può anche darsi che abbiamo la sete di qualche cosa che non c’è. Invece contro le prove cosmologiche non datur argomentum.

Immagine da Internet: Statua Di San Tommaso, Giuliano Vangi


[1] Zenone.

[2] Occorre tuttavia considerare l’azione propria del vivente, che è quella di muovere sé stesso. Questa automozione consiste nel fatto che un organo direttivo, per esempio il cuore o il cervello, muove il resto dell’organismo. Ma è chiaro che il cuore e il cervello sono mossi e tenuti in essere da Dio.

[3] In quanto è creato da Dio, il quale muove il diveniente mediante una causa seconda.

[4] Vive per conto suo.

[5] Complessa

[6] Questa affermazione colpisce evidentemente coloro che negano che la natura umana sia qualcosa di determinato e quindi di immutabile, per cui ognuno avrebbe la facoltà di mutarla a suo piacimento.

[7] Che significa ciò? Che la materia corporale è composta di elementi chimici i quali sono tenuti insieme dall’anima. Ma quando l’anima cessa di dar vita al corpo, inizia il processo della corruzione del corpo, ossia avviene la morte del vivente e sorge il cadavere, che comporta la dissoluzione del corpo.

[8] Esistere.

[9] La morte consiste nel fatto che la materia della forma umana perde la sua forma, ma la materia in se stessa non può morire perchè non è composta è pura potenzialità di essere.

[10] Propriamente parlando l’essenza umana completa non è la sola forma, ma l’unione della forma con la materia, cioè dell’anima col corpo.

[11] Potenzialità e corruttibilità sono collegate perché la potenzialità, che è  la materia, vuol dire disponibilità e possibilità di assumere diverse forme, il che nel vivente che muore è il fatto della corruzione del corpo, ossia il momento in cui la materia perde la forma.

[12] Perché non sono sostanze composte di materia e forma, ma sono pure forme oppure si potrebbe dire che sono forme semplici.

[13] Anche nei moti dei corpi fisici gravi o leggeri troviamo una finalità immancabilmente raggiunta, salvo ostacolo frapposto, la quale determina la direzione del moto impresso al corpo dall’agente, direzione che è fissata e regolata dalle leggi fisiche riguardanti la loro natura.

[14] Si intende in riferimento al moto impresso dall’arciere, che può non essere intenzionale, È chiaro invece che il moto della freccia, considerato in se stesso, possiede e mantiene la finalità che dipende dal fatto materiale dell’azione dell’arciere è stata giusta.

[15] Per l’esattezza: ciò di cui non si può pensare nulla di più grande (id quo nihil maius cogitari potest)

[16] Meglio dire: Dio non sarebbe ciò di cui non ci può essere nulla di più grande.

[17] Per la precisione: «Concedendo che chiunque intenda che con questo nome Dio si voglia significare ciò di cui nulla si può pensare di maggiore, non per questo segue che intenda che ciò che è significato dal nome esista nella realtà, ma che esiste solo nell’apprensione dell’intelletto» Sum.Theol.,I, q.2, a.1, 2m; cf anche Contra Gentes,  I, c.11 e III c.47; In I Sent., D.3, q.1, a.2 co. e 1m. È vero che l’ente perfettissimo non sarebbe perfettissimo se gli mancasse l’esistere o l’essere, per cui non deve esistere solo nella mente ma anche nella realtà. Ma per sapere che esiste nella realtà non basta concepirlo esistente, perché qui siamo solo sul piano del pensiero e non del reale. Non basta la semplice apprensione per formare un giudizio di esistenza, ma occorre  interrogarsi sull’esistente. Così per sapere che Dio esiste in realtà, occorre interrogarsi sulla causa della realtà. Solo quando avremo scoperto in tal modo Dio, potremmo chiederci che caratteri deve avere la natura divina per essere causa prima e potremo formare la nozione dell’essere necessario o perfettissimo. Il concetto di Dio come ipsum Esse ce l’ha anche S.Tommaso, solo che egli ha potuto determinare questo concetto solo dopo essersi accorto dell’esistenza di Dio partendo dalle creature. Se abbiamo quel concetto di Dio vuol dire che sappiamo già che esiste e allora non serve per dimostrare che esiste. La parola Dio la usiamo per designare la causa prima che abbiamo scoperto applicando il principio di causalità in riferimento agli enti che cadono sotto la nostra esperienza.

[18] La consapevolezza che in questo mondo non c’è giustizia ci induce a ritenere che in una vita futura Dio ripari alle ingiustizie della vita presente. Ora tale considerazione suppone l’affermazione dell’esistenza di Dio un base alla limitatezza della giustizia umana.

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