L’uomo creatura secondo il disegno di Dio
Conferenza
Doctor Humanitatis 02.12.24 [1]
La creazione dell’uomo
L’insegnamento biblico più importante, più profondo e più originale sull’uomo è certamente quello contenuto nel famosissimo racconto del Genesi. Come è noto, per la Scrittura, l’uomo è creato da Dio: “Dio disse: ‘Facciamo l’uomo a nostra immagine (tzèlem), a nostra somiglianza (temunà). Domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra’. Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Gn 1,26-27). “Il Signore Dio plasmò l’uomo (adàm) con polvere del suolo (adamàh) e soffiò nelle sue narici un alito di vita (neshamàh) e l’uomo divenne un essere vivente (alla lett.: un’anima=nefesh)” (Gn 2,7).
Il fatto che l’uomo sia creato ad immagine e somiglianza di Dio consente la possibilità dell’elevazione cristiana dell’uomo allo stato di figlio di Dio, ad immagine del Figlio e mosso dallo Spirito Santo (Rm 8,29). S.Agostino, seguìto da S.Tommaso, si è chiesto se l’anima umana non possa in qualche modo essere un’immagine della SS.Trinità, e si è rifatto alla triade metafisica esse, nosse, velle[2].
Da notare che qui la “creazione” non è presentata come “creazione dal nulla”, ma come l’opera di un artista, che utilizza materiale precedente (polvere del suolo) e pone nel suo prodotto qualcosa di suo (soffio). È comunque ovvio che Dio ha creato anche la polvere del suolo, dato che è il creatore del cielo e della terra.
E’ già qui insinuata la dottrina secondo la quale, mentre il corpo dell’uomo è generato dai genitori, l’anima è creata immediatamente da Dio. Per la Bibbia, dunque, l’uomo è una semplice creatura, ma creatura dotata di un’altissima dignità, perchè creata “ad immagine e somiglianza del creatore”, al vertice del creato visibile, soltanto “di poco inferiore angeli” (cf Sal 8,6), animata da un “soffio” divino.
Già da questa primitiva descrizione dell’uomo, vediamo come il suo essere risulti dalla composizione di due elementi - il soffio vitale, nefesh, che sarà poi chiamato anche “rùach”, spirito - e la polvere tratta dal suolo, che corrisponderà a “bàsar”, il corpo: dunque, per esprimerci in termini della filosofia classica, un elemento “spirituale” ed un elemento “materiale”.
Questa composizione di spirito e corpo sarà poi insegnata dal Concilio Lateranense IV del 1215. Da notare la differenza fra i due elementi: quello materiale pare già dato, e quindi come trovarsi ad una certa distanza da Dio; quello spirituale invece è presentato come proveniente direttamente da Lui. In realtà anche il corpo proviene da Dio in quanto da lui creato: infatti è tratto da quella terra che in precedenza (cf 1,1) si è detto essere stata creata da Dio.
Dunque anche la Tzelem significa: oggetto plasmato, scolpito, quindi immagine non nel senso di rappresentazione (pensiero), ma nel senso di opera d’arte. Tzelem significa calco, impronta. Ritroviamo questo termine in greco (karaktèr) nella Lettera agli Ebrei in riferimento a Cristo: “Impronta della sostanza del Padre” (1,3).
E’ questo il fondamento biblico della dottrina, che Pio XII dichiara “di fede” nell’enciclica Humani Generis, e formulata per la prima volta da Papa Anastasio II nel 498 (Denz.360), secondo la quale l’anima umana non è generata dai genitori, ma è creata immediatamente da Dio. Infatti, come torneremo a vedere, l’anima è una forma spirituale sussistente; non è un composto di materia e forma. Ora solo il corpo umano può essere generato, in quanto generare vuol dire appunto edurre una forma da una materia o soggetto materiale. Ma l’anima umana è una pura forma, non educibile dalla materia (come quella degli animali e delle piante), perché appartiene a un livello superiore dell’essere, irraggiungibile dall’attività della materia.
L’uomo per Tommaso è una creatura, il che vuol dire che il suo essere è stato tratto dal nulla, ossia fatto passare dal non-essere all’essere ad opera di Dio. L’uomo, infatti, per Tommaso, è un ente contingente. Non esiste necessariamente. Esiste sì di fatto, ma potrebbe anche non esistere e non essere mai esistito. Dunque non esiste da sè, in forza propria, ma come effetto di un atto divino, che è appunto la creazione. Il che è come dire che l’uomo, in quanto creatura, non esiste per essenza. La sua essenza è distinta dal suo essere, non coincide col suo essere, ma questo è distinto dall’essenza, per cui il suo essere può venir meno, ossia l’uomo può morire, ma l’essenza-uomo resta sempre un possibile.
Dire che l’uomo è una creatura, per Tommaso, non detrae in nulla all’altissima dignità della sua natura personale, creata ad immagine e somiglianza di Dio, con particolare riferimento alla sua facoltà intellettiva (Sum.Theol., I, q.93, a.6) o, come dice Tommaso con un termine agostiniano, alla sua «mente». Esistenza, dunque, contingente, ma preziosissima agli occhi di Dio. Da qui il dovere assoluto del rispetto per la vita umana.
Se il contingente può esistere come non esistere, ciò non vuol dire che sia indifferente se esiste o non esiste. Contingenza non vuol dire insensatezza, come credono i nichilisti. S.Tommaso è ben lontano da Sartre. Ma Tommaso non è neanche idolatra dell’uomo come lo sono panteisti ed atei, e non è neppure spregiatore della vita come gli abortisti e i fautori dell’eutanasia.
L’atto creativo divino
L’uomo è stato creato da Dio un tot di anni fa il cui computo vien fatto dai paleoantropologi conformemente al progresso della loro scienza, la quale, a causa dell’avverarsi di sempre nuove scoperte, li ha condotti in questi ultimi due secoli a far retrocedere più volte la data, senza che fra gli stessi scienziati esista un perfetto accordo.
Ma noi teologi questa questione del quando la lasciamo risolvere ai competenti. Quello che a noi interessa sapere, chiarire e approfondire è che Dio ha plasmato l’uomo un certo numero di anni fà da una «iam exsistente ac vivente materia», creando la sua anima razionale – come si esprime Pio XII nell’enciclica Humani generis -, un’espressione alquanto misteriosa, perché il Papa non precisa le sue parole che aprono alla possibile preesistenza di primati ominidi, ma che da allora suscita e stimola l’interesse dei ricercatori per vedere meglio quale può essere questa materia corporea preesistente e vivente, alla quale Dio ha infuso creandola l’anima spirituale dei nostri progenitori.
Quello che a noi interessa adesso è chiarire e spiegare l’affermazione per la quale il Papa parla della creazione dell’anima e non del corpo. Ma l’uomo non è una creatura di Dio? Certamente. Ma allora per questo dobbiamo chiarire che cosa questa affermazione significa. Per far questo vediamo brevemente che cosa è la creazione e in che cosa si distingue dalla generazione, dall’arte e dalla causalità fisica e spirituale.
Il creare è opera divina e rientra genericamente nella categoria dell’attuare, dell’agire, del realizzare, del fare, del produrre, del causare, che può essere opera anche della creatura. Ma il creare ha un’essenza sua propria, che non è semplicemente quella generica di quegli atti. Mentre infatti gli atti propri della creatura producono un’azione, un moto, una qualità, una forma, una proprietà, in un soggetto o una materia precedente, il creare divino produce l’ente nella sua totalità, materia e forma, sostanza e accidenti, senza la presupposizione o precedenza di alcuna materia, ma semplicemente dal nulla.
Insomma il creare divino fa essere, dona l’essere, l’esistere, mentre gli atti della creatura si limitano a muovere, plasmare, far diventare, trasformare, organizzare, ordinare, costruire, generare, presupponendo una materia già esistente.
Il pensiero di S.Tommaso
S.Tommaso così definisce la creazione[3]:
«Che esista la creazione non lo afferma solo la fede, ma lo dimostra anche la ragione. Consta infatti che tutto ciò che è imperfetto in un dato genere sorge da ciò in cui innanzitutto e perfettamente si trova nella natura del genere, come appare dal calore delle cose scaldate dal fuoco.
Ora, dato che ogni cosa e tutto ciò che è in lei partecipa in qualche modo dell’essere ed è misto ad imperfezione, occorre che ogni cosa secondo tutto ciò che è in lei tragga origine dal primo e perfetto ente. Ora, noi chiamiamo creare il produrre la cosa nell’essere secondo tutta la sua sostanza. Per cui è necessario che tutte le cose procedano dal primo ente per creazione.
Bisogna d’altra parte sapere che alla ragione di creazione appartengono due cose: la prima è che non presuppone nulla nella cosa che si dice essere creata, per cui differisce dagli altri mutamenti nel fatto che la generazione presuppone la materia che non è generata, ma per mezzo della generazione si completa venendo tramutata nell’atto della forma; invece negli altri mutamenti si presuppone il soggetto, che è ente completo; per cui la causalità del generante o dell’alterante non si estende così a tutto ciò che si trova nella cosa, ma alla forma, che è condotta dalla potenza all’atto. Ma la causalità creante si estende a tutto ciò che c’è nella cosa, per cui la creazione si dice che attua dal nulla, perché non c’è nulla che preesista alla creazione, quasi sia non creato.
La seconda cosa è che nella cosa che è detta esser creata, c’è prima il non essere dell’essere: non certo secondo una priorità di tempo o di durata, così da non essere prima e da essere dopo; ma secondo una priorità di natura, cosicchè la cosa creata, se fosse lasciata a se stessa, conseguirebbe il non essere, dato che l’essere non ce l’ha se non per l’influsso della causa superiore.
In ogni cosa infatti c’è prima ciò che non riceve da altro, di ciò che riceve da altro; e in ciò differisce la creazione dalla generazione eterna. Così non si può dire che il Figlio di Dio lasciato a Se stesso non ha l’essere, dal momento che riceve dal Padre lo stesso essere del Padre che è l’essere assoluto, non dipendente da qualcuno.
E secondo queste due cose si dice che la creazione proviene dal nulla in due modi. In un modo, così che la negazione neghi l’ordine della creazione comportata da questa preposizione “da” (ex) a qualcosa di preesistente, così che si dica essere dal nulla, perché non è da qualcosa di preesistente; e ciò per quanto riguarda il primo punto.
In un secondo modo, così che rimanga l’ordine della creazione a nulla di preesistente in quanto affermato; così da dire che la creazione è dal nulla perché la cosa creata ha naturalmente prima il non essere che l’essere; e se queste due cose bastano alla ragione di creazione, in questo modo la creazione si può dimostrare e in questo senso i filosofi hanno ammesso la creazione».
La creatura
Come sappiamo che l’ente che cade sotto i nostri sensi ed è oggetto del nostro intelletto è creato? Perché ci accorgiamo che non esiste per essenza, ma per partecipazione: non ha l’esser da sé, ma da altro: non ha in sè la ragione sufficiente del suo esistere, ma da altro; non esiste necessariamente, ma in modo contingente; ossia esiste bensì, ma sarebbe potuto non esistere e potrebbe non esistere. Il suo essere è causato da un ente che deve poter esistere da sé, possedere l’essere da sé e per conto proprio: essere egli stesso lo stesso essere sussistente, un ente la cui essenza è quella di essere, quindi essere assoluto, infinito e perfettissimo: e questo è Dio creatore. Solo l’essere può produrre l’essere.
Come insegna il Concilio Lateranense IV e la sana filosofia, Dio ha creato due generi di enti: gli enti temporali, o sostanze materiali o corporee, composte di materia e forma e gli enti eviterni o sostanze spirituali, gli angeli, che sono pure forme sussistenti.
Ha poi voluto creare anche una terza sostanza, composta in qualche modo della prime due, fatta bensì di materia e di forma, ma in modo tale da essere una sostanza corporea animata ed informata da una forma spirituale: l’anima spirituale, così da formare non la congiunzione di un corpo fisico con un puro spirito, come credeva Cartesio, perché ciò impedirebbe l’unità sostanziale, ma un’unica sostanza nella quale materia e forma fanno un corpo la cui forma sostanziale è l’anima. Questo è l’uomo. Che l’anima sia forma sostanziale del corpo umano è dogma definito dal Concilio di Viennes nel 1312.
Infatti la creatura non spiega sufficientemente la creatura. Se noi ci fermiamo ad una retrocessione sia pure infinita, non risolviamo nulla perché restiamo sempre nel campo del causato e del contingente. L’intera serie, ammesso che esista, ha bisogno di essere fondata, ma non può fondare se stessa. Bisogna invece fermarsi a ciò che spiega tutta la serie e questi è il Creatore, causa totale della creatura e non solo parziale come lo è una causa creata.
Dio e mondo appartengono all’orizzonte dell’essere. L’essere non è uno solo; l’essere è uno e molteplice, ha molti significati, ci sono molti modi e gradi di essere, simili tra loro o diversi tra di loro. L’essere divino non è l’essere del mondo. L’essere necessario non è l’essere contingente. L’essere eterno si distingue dal temporale. L’essere materiale non è l’essere spirituale. L’essere finito non è l’essere infinito. L’effetto non è la causa. Il creatore non è la creatura.
L’uomo a somiglianza o similitudine di Dio
Quanto alla somiglianza, la similitudo per Tommaso è una relazione di equiparanza tra due estremi, in modo tale però che se uno è subordinato all’altro, la relazione va solo da quello a questo e non da questo a quello. Così «si dice che la creatura è simile a Dio, ma non si dice che Dio è simile alla creatura»[4].
In altro luogo Tommaso sviluppa questo pensiero:
«È più conveniente dire che le creature sono simili a Dio che non viceversa. Si dice infatti che una cosa è simile a un’altra in quanto possiede la sua qualità o forma. Poiché dunque ciò che in Dio esiste perfettamente, nelle altre cose si trova secondo una deficiente partecipazione, ciò secondo cui si considera la similitudine appartiene semplicemente a Dio, ma non alla creatura. E così la creatura ha ciò che Dio è, per cui giustamente si dice che è simile a Dio. Invece non si può dire che Dio abbia ciò che appartiene alla creatura. Per cui non è conveniente dire che Dio è simile alla creatura, così come non diciamo che l’uomo è simile alla sua immagine, al quale uomo tuttavia diciamo che l’immagine è simile»[5].
Tommaso espone tre tipi di similitudine, per poi spiegare in che senso la creatura è simile a Dio:
«dato che la similitudine si considera secondo la convenienza o la comunicazione nella forma, molteplice è la similitudine, secondo molti modi di comunicare nella forma. Alcune cose infatti si dicono simili in quanto comunicano nella medesima forma secondo la medesima ragione e nello stesso modo, e queste non sono solo simili ma uguali nella loro somiglianza, così come due cose egualmente bianche si dicono simili nella bianchezza.
In altro modo si dicono simili quelle cose che comunicano nella medesima forma, non però nel medesimo modo, ma secondo un più e un meno, così come un meno bianco si dice simile a un più bianco. E questa è una similitudine imperfetta. In un terzo modo si dicono simili quelle cose che comunicano nella medesima forma, ma non secondo la medesima ragione, come appare evidente negli agenti non univoci.
… Se dunque c’è un agente, che non è contenuto in un genere, i suoi effetti accederanno ancora più remotamente alla similitudine della forma dell’agente, non tuttavia nel senso che partecipino una similitudine della forma dell’agente secondo la medesima ragione di specie e di genere, ma secondo una certa analogia, così come l’essere è comune a tutte le cose. E in tal modo le cose che provengono da Dio (sunt a Deo) sono assimilate a Lui in quanto sono enti, come al primo ed universale principio di tutto l’essere»[6].
Secondo Tommaso le creature sono simili a Dio «non in quanto arrivano ad essere simili a Dio secondo la sua natura, simili secondo la specie, così come l’uomo generato è simile all’uomo generante; attinge tuttavia alla sua similitudine secondo la rappresentazione del progetto ideato da Dio (repraesentationem rationis intellectae a Deo), come la casa cheè nella materia, è simile alla casa che è nella mente dell’architetto»[7].
Tommaso distingue una similitudine intenzionale, cognitiva, secondo la rappresentazione e una somiglianza ontologica[8]. Il concetto o l’immagine di una cosa è una similitudine della cosa. Non in tal senso l’uomo è creato a somiglianza di Dio. Si tratta qui di una somiglianza ontologica, secondo l’essere, non secondo il conoscere.
Per Tommaso la similitudine è il modo col quale l’immagine procede o dall’immaginato o dal conoscente per immaginare l’immaginato. Insomma l’immagine è una similitudine dell’immaginato, ossia della cosa. Tommaso però precisa che «ciò a somiglianza del quale qualcosa procede propriamente si dice “esemplare”»[9] .
Ora, posto che l’uomo procede dall’idea divina con la quale Dio lo ha progettato, ecco che nella mente divina è contenuto il modello, l’esemplare e l’ ideale eterno dell’uomo, ideale al quale l’uomo deve conformarsi per raggiungere il suo fine e la sua beatitudine.
L’origine dell’uomo.
Similmente a quanto accade per le origini dell’universo, anche per quanto concerne il problema delle origini dell’uomo esistono oggi certi evoluzionisti per i quali la teoria dell’evoluzione dovrebbe necessariamente escludere quella della creazione, per cui si dovrebbe esser costretti a scegliere tra l’una e l’altra dottrina. I creazionisti, ovviamente presenti fra i cattolici, pur favorevoli a un intelligente evoluzionismo, non sono di questo avviso.
Lo stesso racconto del Genesi sembra suggerire la posizione dell’evoluzionismo cattolico, così codificata da Pio XII nell’enciclica Humani Generis del 1950: “Il Magistero della Chiesa non proibisce che la dottrina dell’evoluzionismo, in quanto indaga sulla origine del corpo umano da una precedente materia vivente - la fede cattolica infatti ci ingiunge di ritenere che le anime sono immediatamente create da Dio - venga trattata in conformità alla situazione odierna delle scienze umane e della sacra teologia, mediante le investigazioni e le discussioni dei periti in entrambi i campi, in modo tale naturalmente che gli argomenti di entrambe le opinioni, cioè dei favorevoli e dei contrari, vengano soppesati e giudicati con la dovuta serietà, moderazione ed equilibrio, e purchè tutti siano pronti ad obbedire al giudizio della Chiesa, alla quale è stato affidato da Cristo il compito sia di interpretare autenticamente le Sacre Scritture, sia di custodire i dogmi della fede” (Denz.3896).
Da queste parole di Pio XII risulta chiaro che al cattolico non è consentito di aderire ad una teoria evoluzionistica che coinvolga anche l’anima umana, giacchè essa, come ricorda il Papa, in quanto forma spirituale, non può essere il risultato di un’evoluzione, e quindi non può essere generata dai genitori del soggetto, precisamente per il fatto d’essere pura forma, mentre l’evoluzione e la generazione comportano che un medesimo soggetto materiale assume un’altra forma. Ma l’anima non è un composto di soggetto (materiale) e forma, ma è, come ho detto, pura forma. Non è attuazione di un soggetto o di una potenzialità materiale, perché questa non c’è: non resta altro, allora, che sia creata immediatamente da Dio.
Diversa è la condizione del corpo umano: questo è un composto di materia e forma, dove la forma è appunto l’anima razionale, come vedremo meglio. Nel caso del corpo umano, allora, si può parlare sensatamente di trasformazione, di evoluzione e di generazione; e precisamente il Papa accenna, sia pur cautamente e velatamente, all’ipotesi di derivazione del corpo umano da forme viventi inferiori (ex iam exsistente ac vivente materia), non dotate di anima razionale.
L’enciclica, cioè, non esclude la possibilità che l’uomo derivi dalla scimmia, ma solo relativamente al corpo, non all’anima, la quale invece è creata immediatamente da Dio; per cui, se è possibile ammettere che ad un certo punto dell’evoluzione dei viventi, da una scimmia sia nato un uomo, ciò, per quanto riguarda l’esistenza dell’anima di quest’uomo, ha richiesto l’intervento creativo di Dio, mentre è ammissibile che la materia di questo primo essere umano sia derivata dal corpo di una scimmia.
Indubbiamente si tratta di un’ipotesi di non facile comprensione, se teniamo conto di altri dati della fede, cioè del fatto che l’umanità discende da Adamo ed Eva (dottrina ribadita nella medesima enciclica: cf Denz.3897); per cui ci si chiede come bisognerebbe pensare che i nostri stessi progenitori siano stati generati da scimmie? Il racconto genesiaco non ne fa parola. A meno che, però, non interpretiamo la “polvere del suolo” come ex iam exsistente ac vivente materia, per usare l’espressione dell’enciclica.
Indubbiamente l’atto creativo in due tempi – prima la polvere del suolo e poi l’insufflazione – fa pensare ad un’evoluzione dal basso. Ma, probabilmente ciò che sta a cuore all’autore sacro è evidenziare la differenza tra la polvere del suolo – il corpo materiale – e il soffio divino – l’anima. Abbiamo già visto questo punto in precedenza. Una precisazione che qui possiamo fare è il momento in cui Dio crea l’anima del nuovo individuo.
Possiamo pensare che sia il momento della formazione dello zigote, che è la prima cellula del nuovo individuo, la cellula primordiale e fondamentale, dalla quale deriveranno successivamente per scissione tutte le altre. Lo zigote è quindi già il soggetto sostanzialmente completo, anche se ovviamente in questo momento tutti gli organi sono solo in potenza. Ma lo zigote è già il corpo umano, è il corpo dell’individuo. Essendo dunque umano non può non avere l’anima.
Per questo si deve pensare che Dio crea e infonde l’anima nel momento in cui i due gameti si fondono appunto per formare lo zigote. L’individuo o sostanza vivente che risulta dalla fusione dei gameti, lo zigote, è l’individuo umano, è la persona, anche se ovviamente solo dopo alcuni anni di sviluppo comincerà a dare i segni propri del suo essere persona. Il Sommo Pontefice Benedetto XVI in un suo discorso ha ricordato i nomi della coppia primitiva, quasi a smentire la tesi di certi esegeti, i quali presentano questa coppia semplicemente come un mito (Messaggio per la Quaresima 2010).
Oppure una soluzione può essere fornita tenendo conto di un altro dato di fede: la decadenza e l’abbrutimento dell’umanità conseguente al peccato originale, e quindi il profondo dislivello esistenziale e l’imparagonabilità che esiste fra lo stato d’innocenza precedente il peccato e l’attuale stato di natura decaduta, conseguente il peccato originale. Secondo la Scrittura, esiste una profonda discontinuità fra questi due stati (cf Gn 3,24), anche se questa discontinuità non va esagerata, tanto che Papa Giovanni Paolo II ha parlato anche di una certa continuità, ricostituita soprattutto dalla redenzione di Cristo, che in certo modo riporta l’uomo all’innocenza primitiva.
Tenendo conto allora di questi dati esistenziali e di fede, si potrebbe pensare che la derivazione dalla “scimmia” non sia da prendersi alla lettera, come se veramente l’uomo derivasse da esseri puramente animali, ma sia da intendere come derivazione da esseri umani dall’aspetto scimmiesco, in quanto, si potrebbe pensare che questo aspetto animalesco costituisca il castigo del peccato originale; quindi tale condizione potrebbe essere interpretata come il punto di partenza di una evoluzione storica consistente nel graduale recupero della perfezione fisica originaria, un progresso che viene potenziato dall’opera redentrice di Cristo.
Credo che questa sia l’unica soluzione accettabile, la quale non mette in difficoltà i dati della fede, ossia il pensare che questa “derivazione dalla scimmia” sia stata derivazione da esseri in realtà umani, però dall’aspetto scimmiesco e dall’intelligenza estremamente limitata e primitiva, a causa della caduta originale. In tal modo potremmo conciliare i dati della scienza, che ci forniscono molti reperti dal carattere scimmiesco, con i dati della fede, che ci parlano di una continuità tra noi e i nostri progenitori vissuti nel paradiso terrestre.
Inoltre, la dottrina di fede circa le conseguenze rovinose del peccato originale sembra venire incontro ai dati della scienza, che ci presentano appunto degli esseri viventi estremamente arretrati, tali da avere un aspetto quasi uguale a quello delle scimmie.
I dati rivelati della Genesi ci mostrano il punto di partenza dell’uomo: da una parte il modello di umanità che dobbiamo attuare e dall’altra, quella condizione di miseria conseguente al peccato, dalla quale ci solleva Gesù Cristo rendendoci figli di Dio eredi della vita eterna.
L’uomo è attuazione di un disegno di Dio
La Bibbia concepisce Dio sul modello di un artista che concepisce un’opera e la realizza; oggi diremmo di un ingegnere che concepisce una macchina, la realizza e ne stabilisce le regole del suo uso. Così già per Anassagora il nus, per Platone l’idea, per Aristotele la noesis o l’eidos sono princìpi divini, i quali danno forma, intelligibilità, organizzazione e moto alla materia ed alla realtà. Ecco allora il mito platonico del Demiurgo, un mediatore fra le Idee e il mondo, il quale in base alla contemplazione delle Idee e sul modello delle Idee plasma la realtà sensibile. Anche l’uomo per Platone ed Aristotele ha questo potere simile a quello di un dio, e questo potere è fondato sul possesso della psychè.
È successo così che S.Agostino e S.Tommaso hanno rintracciato nella dottrina platonica delle idee un aiuto a capire o a interpretare la dottrina biblica della Mente divina ideatrice e creatrice del mondo. Tommaso tuttavia precisa che in Dio non esiste una molteplicità reale di idee in forza della sua assoluta semplicità, ma Egli è una sola Idea assoluta, coincidente col suo Essere, il Logos, «per quem omnia facta sunt», come diciamo nel Credo, il Verbo, nel quale il Padre concepisce e realizza tutte le cose e l’uomo stesso. Le idee divine sono quindi modi diversi delle cose di imitare e di partecipare all’unica Idea assoluta creatrice che è Dio stesso[10].
La Bibbia ci dice dunque che come Dio ab aeterno ci ha pensati, concepiti, progettati, amati, così esistiamo ed agiamo. Però attenzione: agiamo non come macchine o burattini, ma come esseri dotati di libero arbitrio. È questa la meraviglia della causalità e della mozione divina nei nostri confronti: che essa causa la libertà del nostro agire responsabile. Con ciò la Bibbia esclude sia un agire necessitato come quello degli animali, sia un agire incausato come quello divino.
Noi siamo dunque l’attuazione di un’idea divina, siamo mossi dalla volontà divina e siamo sotto il governo della sua provvidenza, fossimo anche all’inferno. Ma anche qui dobbiamo fare attenzione: siamo mossi fisicamente od ontologicamente, ma non tutti noi siamo mossi moralmente al bene, perché tra di noi alcuni, in forza del loro libero arbitrio, preferiscono scegliere ciò che è male agli occhi di Dio.
Il che vuol dire che Dio muove tutti noi verso di Lui, ci fa tendere tutti a Lui, ma nel contempo vuole essere l’oggetto di una libera scelta, cioè vuole che questo tendere sia volontario, giacchè, sebbene per natura siamo fatti per Lui e solo in Lui troviamo la nostra vera felicità, abbiamo la possibilità di scegliere come nostro fine ultimo ed assoluto non Lui, ma qualcos’altro da Lui.
Rahner confonde questo tendere naturale, questo esser tutti progettati per Dio, con la nostra scelta di Dio, col fatto che Dio attira a Sé e predestina alla salvezza. La Bibbia ci dice chiaramente che non è la stessa cosa. Mentre tutti gli enti naturali infraumani tendono a Dio per natura e necessariamente, l’uomo è chiamato da Dio a tendere a Lui per libera scelta. Per questo, mentre non può darsi che qualcuno di noi non tenda a Dio per natura, può accadere che qualcuno non scelga Dio, ma qualcos’altro come fine della sua vita.
Ma affinchè avvenga il vero beatificante incontro finale con Dio nella vita eterna non basta – ci dice la Bibbia - la tendenza naturale o «trascendentale» come la chiama Rahner, ma occorre che tale tendenza, che è di tutti ed è insopprimibile, sia confermata dalla libera scelta, scelta di Dio e per Dio, scelta che non è di tutti, ma, come dice S.Paolo, dei soli eletti e predestinati. Così gli eletti sono ad un tempo scelti da Dio e scelgono Dio.
Lutero, benché neghi il libero arbitrio, conserva la predestinazione degli eletti. Rahner, invece, che pure nega la parte del libero arbitrio nella tendenza verso Dio e nella dinamica della salvezza, e intende questa tendenza come essenziale alla natura umana, arriva logicamente, contro la dottrina del Vangelo e contro Lutero, ad affermare che tutti si salvano, se è vero che tutti sono esseri umani. Quindi su questo punto il «cattolico» Rahner è lontano dal cattolicesimo ancora di più di Lutero.
Ma occorre aggiungere che, secondo la Scrittura, Dio ha avuto un duplice piano su di noi: un progetto iniziale, primordiale, di costituirci in comunione con Lui nell’Eden. E, dopo la caduta dei progenitori, ha ideato nel Verbo un secondo e più alto piano non solo di salvezza dal peccato, ma di elevazione allo stato di figli di Dio, così da togliere il male di colpa, il peccato, ma utilizzando il male di pena come mezzo di salvezza ed effetto della sua giustizia.
Il disegno ultimo di Dio Padre sull’uomo è un disegno che ha concepito nel Verbo, ossia in Cristo, di glorificare Cristo al di sopra di tutte le cose e l’uomo con Cristo ed in Cristo, un disegno ad un tempo individuale per ciascuno di noi, diverso da individuo a individuo e collettivo per l’intera umanità come dice S.Paolo:
«il disegno di ricapitolare (anakefalàiosthai) in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra. In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati secondo il piano (prothesis) di Colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà, perché fossimo a lode della sua gloria» (Ef 1,10-12).
Si tratta di un disegno imperscrutabile, sapientissimo e misterioso di misericordia, per il quale, pur volendo tutti salvare ed offrendo a tutti la possibilità e i mezzi, lascia a tutti la facoltà di scegliere, per cui alcuni colpevolmente non corrispondono a questo disegno, mentre altri lo accettano. Ma poiché l’accettazione è dono della divina misericordia, ciò comporta che Dio elegga dall’umanità peccatrice coloro che Egli predestina alla salvezza, secondo le parole dell’Apostolo:
«Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno (prothesis). Poiché quelli che Egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché Egli sia il primogenito fra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati» (Rm 8, 28-30).
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 25 novembre 2024
[1] https://www.dropbox.com/scl/fi/6oxt7474puwyhxmni30pi/Attivit-DOCTOR-HUMANITATIS_2024-25.pdf?rlkey=xqtwalhp06lemt7snejwudqls&e=1&dl=0
[2] Cf G. Carbone, L’uomo immagine e somiglianza di Dio nello Scritto Sulle Sentenze di S.Tommaso d’Aquino, Pontificia Università S.Tommaso, Roma 2003.
[3] Commento alle Sentenze, II,D.1, q.1, a.2.
[4] Ibid., q.4, a.3, ad 4m.
[5] Contra Gentes, libro I, cap.29.
[6] Ibid., corpus articuli.
[7] Ibid., q.44, a.3.
[8] Ibid,. q.85, a,8, ad 3m.
[9] 35, a.1, ad 1m.
[10] Sum.Theol.,I, q.15.
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