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Della stessa sostanza del Padre - Riflessioni sul dogma cristologico di Nicea per una nuova evangelizzazione - Seconda Parte (2/4)

 

Della stessa sostanza del Padre

Riflessioni sul dogma cristologico di Nicea

per una nuova evangelizzazione

 Seconda Parte (2/4)

 L’autocoscienza al posto della sostanza

Un filosofo contemporaneo che vorrebbe concepire la persona abbandonando la nozione di sostanza, è Joseph Seifert, che così si esprime: «l’essere è persona. La persona come “io sono” è pertanto l’essere in senso proprio. La metafisica è scienza della persona più che scienza della sostanza»[1].

Seifert evidentemente non sa che cosa è l’analogia dell’essere e della sostanza, per cui riduce l’ente trascendentale, che abbraccia spirito e materia, al solo ente categoriale dello spirito e della persona. E non si accorge che le conseguenze di una simile confusione sono disastrose: se si riduce la materia a spirito (Berkeley, Hegel), la materia rivendica la sua dignità materializzando lo spirito (Marx, Comte)., per cui si arriva all’evoluzionismo schellinghiano e darwiniano,  al concetto della materia eterna e pensante, della persona come materia e di Dio come storia.

La persona è certo il grado più alto dell’essere, ma non è l’essere come tale. Se le cose stessero così, la materia sarebbe nulla o mera apparenza o illusione, come la maya indiana. Ma siccome anche l’idealista deve pur riconoscere che la materia esiste, è costretto a sostenere che anche la materia è spirito, coscienza e pensiero.

Se la materia fosse non essere, solo lo spirito-essere sarebbe buono; la materia sarebbe cattiva e pericolosa, ed abbiamo Platone. Se però la materia è pensante, come dice Locke, l’immortalità dell’anima separata dal corpo è impossibile, concepire uno spirito immateriale è un vaniloquio e la metafisica non ha senso, come dice Hume.

Seifert non considera che la sostanza non è solo quella materiale, ma anche quella spirituale, al punto che il Concilio Vaticano I definisce la natura divina come sostanza. E la sostanza del Padre del dogma niceno è evidentemente sostanza spirituale, essendo Dio puro spirito. Così pure, quando il Concilio di Viennes parla di «sostanza dell’anima razionale» (Denz.902), non si riferisce certo a una sostanza materiale.

Sostanza significa semplicemente sussistente: che a sussistere sia una materia o una pura forma, questo è accidentale. Altrimenti come farebbero i Greci a parlare di ipostasi nella Trinità, dato che ipostasi corrisponde a sostanza? Dunque la ritrosia a parlare di sostanza a proposito dello spirito e della persona è dovuta a una nozione grossolana di sostanza intesa falsamente come materia o ridotta alla sostanza chimica.

Che cosa vuol dire Figlio di Dio?

Il concetto di figlio di Dio è già presente nell’Antico Testamento e in altre religioni. Ma chiaramente si tratta nel primo caso di una metafora o se è presa in senso proprio, come nel secondo caso, allora si tratta delle grossolane visioni pagane, dove anche la divinità è sessuata. E allora non c’è problema.

Ma in una visione teologica seria, di tipo metafisico, come quella dell’Antico Testamento, che permane nell’islamismo e nell’ebraismo, in Dio non c’è spazio per il sesso, per cui il parlare in senso proprio di un «figlio di Dio», come se Dio generasse un altro Dio, è un pensiero blasfemo e pagano che infrange il monoteismo.

Certo, se ci fermiamo a pensare che per il dogma trinitario Dio è uno e tre, come fa il Corano, si capisce il suo grido minaccioso contro i cristiani: «non dite tre!». Ma appunto per evitare questa apparente assurdità la Chiesa distingue: tre persone, una natura. Tuttavia è chiaro che qui occorre modificare il concetto corrente di persona come sostanza, sennò saremmo daccapo.

Bisogna ricorrere al concetto di relazione sussistente, come fu già progettato da Sant’Agostino e confermato dal Concilio di Firenze del 1439. Infatti, relazione significa essere-verso (pros ti), per cui ci è utile per esprimere il fatto che le Persone divine sono in vari modi per essenza, non per volontà, rivolte le une verso le altre o relative alle altre.  

L’operazione condotta dalla Chiesa è stata quella allora di separare l’esistere accidentale (esse-in) della relazione dalla sua essenza (esse-ad) e di dare sussistenza e quindi personalità alla relazione.

Così pure il dogma cristiano di Dio che si unisce ad una donna per generare un individuo umano, che è uomo e Dio, per loro non è altro che mitologia pagana, perché non capiscono, come chiarisce bene il dogma calcedonese, che in Cristo le due nature restano perfettamente distinte e non c’è alcuna mescolanza o confusione, né l’una diventa l’altra o si muta nell’altra. Ma una sola è la Persona, generata ab aeterno come Dio e nel tempo come uomo, Figlio di Dio e figlio dell’uomo, nato da Maria, ossia il Figlio di Dio incarnato.

Una cosa importante del Concilio di Nicea è che considera Gesù come Dio da Dio, ossia Dio Figlio da Dio Padre. Appaiono dunque due Persone della Santissima Trinità. Il Concilio non spiega in che cosa consiste questa generazione e come è possibile che una Persona divina generi un’altra Persona senza evitare il diteismo e che senso possa avere un generare in Dio puro Spirito, dove il sesso non esiste.

Perché è nato l’Islam?

Sarà questo, nel sec. VII l’intoppo posto da Maometto alla diffusione del cristianesimo. Purtroppo la Chiesa non rispose all’obiezione di Maometto, che invece attirò moltissimi, tanto da far sorgere una nuova religione che a tutt’oggi conta centinaia di milioni di fedeli. Se la Chiesa avesse risposto subito all’obiezione di Maometto, chiarendo come stanno le cose, forse l’umanità si sarebbe risparmiata l’immane tragedia dello scontro sanguinoso tra cristiani e musulmani che è durato secoli e a tutt’oggi, anche se non c’è il conflitto armato non presenta chiare possibilità di soluzione.

È chiaro tuttavia che l’Islam ha anche altre radici e motivazioni. Occorre ricordare la situazione storica nella quale è sorto Maometto: un popolo arabo povero e ignorante sfruttato e maltrattato dall’altezzoso e prepotente Impero bizantino, i cui teologi si piccavano di essere dei geni, per essersi impelagati in infinite inutili, sofistiche e cavillose discussioni del dogma trinitario. La parola «bizantinismo» dice già tutto.

Si comprende il senso di umiliazione che il popolo arabo sentiva nei confronti dell’arroganza della cultura bizantina, che per la sua impressionante ricchezza, aveva lo scopo di assoggettare intellettualmente gli arabi. Si comprende allora a questo punto la gratitudine degli Arabi per Maometto, che, nuovo Mosè, si fece carico della liberazione del suo popolo dalla schiavitù bizantina.

Uomo certamente religioso e geniale e nel contempo abilissimo organizzatore, stratega e capo politico, Maometto credette che i dogmi cristiani fossero delle aggiunte puramente umane all’essenziale che si trova nell’Antico Testamento e in alcuni miti pagani del suo popolo. Pensò che la religione dovesse essere liberata da quelle aggiunte dannose ed essere ricondotta all’essenziale: il culto del Dio unico, l’ascolto dei profeti e l’osservanza dei divini comandamenti. Quindi egli si avvicinò all’ebraismo, ma, come ho detto, operando una sintesi originale con l’utilizzo della precedente religione araba e senza sdegnare anche alcuni elementi presi dal Vangelo.  

Ma qui appare la differenza fra Maometto e il rabbinismo: che mentre questi approvava l’uccisione di Gesù giudicato falso Messia, empio e bestemmiatore, Maometto fu colpito dalla figura di Gesù, nella quale vide un grande profeta, così che il Corano rimprovera i giudei per aver ucciso Gesù. Anche Maometto pensava che Gesù avesse esagerato nel considerarsi Dio. E tuttavia lo vede come suo predecessore nella rivelazione della vera religione. Per questo anche i musulmani come gli ebrei non hanno mai capito il mistero dell’Incarnazione e la spiegazione che ne dette il Concilio di Calcedonia.

Chiarimenti dell’insegnamento niceno

Abbiamo dovuto aspettare San Tommaso d’Aquino, nel sec. XIII per avere una chiara spiegazione, dopo i primi abbozzi di Padri della Chiesa, di che cosa significa il generare in Dio grazie al riferimento che Tommaso  fa a San Giovanni, il quale spiega appunto  che il generare in Dio è da intendere come produzione del pensiero e non in senso sessuale, come avveniva dell’unione fra il dio e la dea della mitologia pagana, sicchè Maria non è Madre di Dio perché è una dea, ma solo nel senso che suo Figlio è il Dio incarnato, Una Persona in due nature. Maria dà a Cristo solo l’umanità, mentre la divinità dipende da Dio Padre. Ed infatti il Figlio è il Logos del Padre.

Per quanto riguarda l’Antico Testamento, si parla sì di Dio come padre, del fatto che siamo suoi figli e dello spirito di Dio, ma si tratta di semplici metafore, che si trovano anche nelle altre religioni monoteistiche, salvo che fra i politeisti, dove non c’è difficoltà ad ammettere che un dio o una dea nasca dall’unione di un dio con una dea o con una donna.

Ma è chiaro che qui siamo ad un livello molto basso di religione, nella quale è assente il concetto vero e completo di divinità e ad essa è sostituito semplicemente quello di un personaggio in carne ed ossa (vedi gli dèi di Omero), uomo o donna più potente dell’uomo e felice di una felicità della quale il povero mortale non può godere.

La distinzione delle due nature

L’Antico Testamento sa bene che esiste un unico Dio, pura sostanza spirituale quindi persona, che nulla ha a che vedere con la generazione sessuale. Esso definisce e distingue molto bene gli attributi propri della natura umana da quelli della natura divina.

La prima è finita, temporale, composta, creata, ignorante, fabbricatrice, contingente, mutevole, passibile, fragile, peccabile, creata. La seconda è infinita, eterna, semplice, increata, onnisciente, onnipotente, creatrice, immutabile, impassibile, e innocente.

Dio, creatore di tutto, è al di sopra di tutto e non c’è nulla che gli sia alla pari e che non dipenda da Lui o che sia paragonabile a Lui. Non c’è altro Dio all’infuori di Lui. È dunque impensabile un altro Dio, che sia nel contempo uomo, accanto e alla pari del Dio Padre e creatore.

Senonchè purtroppo gli Ebrei ancor oggi non hanno capito – è il «velo sopra i loro occhi», del quale parla San Paolo - che Cristo non è un altro Dio distinto e accanto al Dio unico, il Dio Padre dell’Antico Testamento e di Mosè, l’ipsum Esse subsistens. Ma Gesù è l’unico Dio come il Padre è l’unico Dio, perché Gesù e il Padre non sono due dèi, ma l’unico Dio. Dunque il monoteismo è perfettamente salvo.

C’è tuttavia una grave difficoltà: Gesù Cristo è evidentemente quel dato ente singolo con la sua propria essenza e il suo proprio atto d’essere, come avviene per ogni ente. Nella nostra comune esperienza ogni ente ha la sua propria natura, che è una sola, ossia la natura di quell’ente. Esso può avere varie facoltà o qualità o proprietà, emananti tutte da lui. Ma la sua essenza o natura non è una sua proprietà allo stesso modo di quegli accidenti. Quella data natura non è altro che quel poter essere tale, che, attuato dall’atto d’esser tale, costituisce essenzialmente quel dato ente con quella data natura e col suo proprio atto d’essere.

Ora ci domandiamo: come è possibile che un medesimo e determinato ente, supponiamo Gesù Cristo, abbia due nature non come proprietà essenziali o accidentali dell’ente, ma come ciò per cui quell’ente è quel dato ente? Due nature non fanno due enti? Gesù non ha un unico atto d‘essere? Due nature non sono il presupposto di due enti col loro proprio atto d‘essere? Due nature non fanno due enti diversi? Come fa dunque Cristo ad essere un unico ente con due nature?

Rispondiamo che l’atto d’essere di Cristo è certamente uno solo, come per ogni ente, Dio compreso, ed è l’atto d’essere della Persona divina, con la sua propria natura divina. Ora l’atto d’essere nella Persona non è altro che l’atto del sussistere. Come dunque la natura umana di Cristo non ha una sua propria sussistenza umana, se no avremmo l’assurdo di due persone, così non ha un proprio atto d’essere, ma le viene comunicato dalla Persona del Verbo, al quale è ipostaticamente unita.

In altre parole, come la natura umana di Cristo sussiste grazie alla sussistenza del Verbo, così la sua umanità esercita l’atto d’essere grazie all’atto d’essere del Verbo[2]. Così vediamo come l’unità d’essere in Cristo, nonostante le due nature, è certo misteriosa, e per questo è oggetto di fede, ma non offende affatto le esigenze della ragione e i princìpi della metafisica.

Fine Seconda Parte (2/4)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 11 aprile 2025


Cristo Risorto, Rubens

Se la materia fosse non essere, solo lo spirito-essere sarebbe buono; la materia sarebbe cattiva e pericolosa, ed abbiamo Platone. Se però la materia è pensante, come dice Locke, l’immortalità dell’anima separata dal corpo è impossibile, concepire uno spirito immateriale è un vaniloquio e la metafisica non ha senso, come dice Hume.

Seifert non considera che la sostanza non è solo quella materiale, ma anche quella spirituale, al punto che il Concilio Vaticano I definisce la natura divina come sostanza. E la sostanza del Padre del dogma niceno è evidentemente sostanza spirituale, essendo Dio puro spirito. Così pure, quando il Concilio di Viennes parla di «sostanza dell’anima razionale» (Denz.902), non si riferisce certo a una sostanza materiale.


Sostanza significa semplicemente sussistente: che a sussistere sia una materia o una pura forma, questo è accidentale. Altrimenti come farebbero i Greci a parlare di ipostasi nella Trinità, dato che ipostasi corrisponde a sostanza? 

Certo, se ci fermiamo a pensare che per il dogma trinitario Dio è uno e tre, come fa il Corano, si capisce il suo grido minaccioso contro i cristiani: «non dite tre!». Ma appunto per evitare questa apparente assurdità la Chiesa distingue: tre persone, una natura. Tuttavia è chiaro che qui occorre modificare il concetto corrente di persona come sostanza, sennò saremmo daccapo.

Bisogna ricorrere al concetto di relazione sussistente, come fu già progettato da Sant’Agostino e confermato dal Concilio di Firenze del 1439. Infatti, relazione significa essere-verso (pros ti), per cui ci è utile per esprimere il fatto che le Persone divine sono in vari modi per essenza, non per volontà, rivolte le une verso le altre o relative alle altre.  

L’operazione condotta dalla Chiesa è stata quella allora di separare l’esistere accidentale (esse-in) della relazione dalla sua essenza (esse-ad) e di dare sussistenza e quindi personalità alla relazione.

L’atto d’essere di Cristo è certamente uno solo, come per ogni ente, Dio compreso, ed è l’atto d’essere della Persona divina, con la sua propria natura divina. Ora l’atto d’essere nella Persona non è altro che l’atto del sussistere. Come dunque la natura umana di Cristo non ha una sua propria sussistenza umana, se no avremmo l’assurdo di due persone, così non ha un proprio atto d’essere, ma le viene comunicato dalla Persona del Verbo, al quale è ipostaticamente unita.

Immagini da Internet


[1] Essere e persona. Verso una fondazione fenomenologica di una metafisica classica e personalista, Edizioni Vita e Pensiero, Milano p.613.

[2] Su questo tema, vedi ol libro del Padre A.Patfoort, L’unité d’être dans le Christb d’après S.Thomas, Desclée. Rome-Paris 1964.

52 commenti:

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  2. Caro Padre Giovanni,
    mi ha sorpreso la seguente sua affermazione:
    “il Corano rimprovera i giudei per aver ucciso Gesù”.
    Avevo sempre ritenuto che la religione degli islamici negasse che colui, che ritengono il più importante profeta dopo Maometto, fosse morto in croce.
    Da Wikipedia:

    “Sulla figura di Gesù in particolare il Corano ricorda dottrine gnostiche e docetiste, sostenendo che sulla croce egli sarebbe stato sostituito con un sosia o con un simulacro, solo apparentemente dotato di vita.”

    «e per aver detto: "Abbiamo ucciso il Cristo, Gesù figlio di Maria, Messaggero di Dio", mentre né lo uccisero né lo crocifissero, bensì qualcuno fu reso ai loro occhi simile a Lui (e in verità coloro la cui opinione è divergente a questo proposito, son certo in dubbio né hanno di questo scienza alcuna, bensì seguono una congettura, ché, per certo, essi non lo uccisero / ma Iddio lo innalzò a sé, e Dio è potente e saggio.»
    (Corano, IV:157-158)

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    1. Caro Bruno,
      la questione che lei mi pone è interessantissima, di primaria importanza nel dialogo con i mussulmani e anche con gli ebrei. Io ho letto più volte il Corano e ricordo benissimo quello che ho detto, anche se non sono in grado di citare il passo.
      Comprendo molto bene la difficoltà che lei mi pone, con quello che ho letto io, citandomi un passo del Corano. Ma quello che ho detto io e il passo che lei mi cita non si escludono a vicenda. Infatti il passo citato da lei dice semplicemente che sulla croce non c’era il corpo reale di Gesù, ma, seguendo una dottrina gnostica docetista, c’era un corpo solo apparente, mentre il vero corpo di Gesù fu assunto in cielo da Dio.
      L’errore di Maometto, quindi, non sta nel riconoscere che Gesù fu assunto in cielo da Dio, ma nel ritenere con i docetisti che il corpo di Gesù, non essendo un corpo reale, non fu soggetto alla morte. Allora noi qui comprendiamo come per il Corano parlare di un sacrificio di Gesù per la nostra salvezza non ha nessun senso, sia perché sostengono che Gesù non è morto e sia perché negano la divinità di Cristo.

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    2. Nella prima omelia pronunciata nella Santa Messa pro Ecclesia, Papa Leone XIV, ha detto:

      “E ci sono anche “contesti in cui Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomo”, e questo “non solo tra i non credenti” sottolinea Leone XIV, “ma anche tra molti battezzati, che finiscono così col vivere”, purtroppo, “un ateismo di fatto”.”

      Parole molto pertinenti, peraltro scioccamente contestate dal sedicente teologo Vito Mancuso.

      Ora mi chiedo: se tra i battezzati, tra chi si definisce genericamente, culturalmente... cristiano, ritenere che Gesù sia stato solo un sapiente, un leader, un superuomo ma non il Figlio di Dio e Dio Lui stesso, si configura come “un ateismo di fatto”... perché per un musulmano non si potrebbe applicare egualmente la stessa conseguenza, dal momento che anche questi Lo ritiene solo un profeta?
      Chi si professa cristiano ma non crede che Gesù sia la seconda Persona della SS. Trinità, cade nella più grave contraddizione, in quanto nega nel profondo ciò che pretende di professare, perché un Dio Padre senza Cristo (e/o senza lo Spirito Santo) non è vero Dio, e dunque diviene un “ateo di fatto”. Ma non è anche questa, in qualche modo, la condizione dell’islamico che professa sì la fede nell’unico Dio di Abramo, ma rifiuta di considerare la filiazione divina di Gesù?

      A fronte delle parole di Papa Leone, faccio ancor più fatica ad accettare il passo della Nostra Aetate: “La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l'unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra (5), che ha parlato agli uomini”, e ciò che ne è seguito come la Dichiarazione di Abu Dhabi.
      Che i musulmani credano in un Dio “unico”, in quanto monoteisti, è corretto, ma che si possa dire che quel loro Dio, il quale non ha inviato Suo Figlio, morto sulla croce per redimerci, sia “lo stesso” Dio in cui crediamo noi... mi sembra quasi blasfemo: la Trinità, Gesù Cristo e lo Spirito Santo non sono degli “optional” che si possano rimuovere da Dio, e ciò che resta sarebbe comunque lo stesso Dio per cristiani, islamici ed ebrei.

      Mi sembra che su questo punto i tradizionalisti non abbiano tutti i torti.

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    3. Caro Bruno,
      la convinzione circa la divinità di Cristo nei cristiani nasce dalla loro fede, per cui, se essi volontariamente l’abbandonano, non possono essere senza colpa. Quando il Papa qui parla di ateismo, evidentemente non parla di ateismo speculativo, ma di ateismo pratico. Infatti chi commette peccato, di fatto non riconosce il primato di Dio nella sua vita e ciò equivale a negarne l’esistenza.
      Diverso è il caso del musulmano, il quale certamente è chiamato a credere in Cristo, ma per cause indipendenti dalla sua volontà è facile che egli neghi la divinità di Cristo, non in modo malizioso, ma semplicemente per ignoranza. Nel qual caso è scusato ed inoltre resta credente in Dio. In queste condizioni può giungere ad una fede implicita e quindi salvarsi.
      Il discorso del Concilio deve essere interpretato nella maniera giusta. Quando il Concilio dice che le tre religioni monoteistiche adorano il medesimo Dio Uno, Provvidente e Creatore del mondo, si riferisce alla esistenza oggettiva di Dio e non alle idee o conoscenze su Dio proprie delle tre religioni.
      Le faccio un paragone molto semplice, che aiuta a capire. La luna evidentemente è sempre la stessa per i cristiani, per gli ebrei e per i musulmani. Oppure si può dire così, la conoscenza che l’uomo oggi ha della luna è diversa da quella che si aveva nel Medioevo, ma la luna è sempre quella.
      Tornando al discorso teologico, il Concilio ci vuol dire che non è che ci sia un Dio Trinitario per i cristiani e un Dio non Trinitario per gli ebrei e i musulmani. Dio in Sé Stesso è il Dio Trinitario. Che cos’è che cambia allora, che cosa c’è di diverso? Non è che ci siano tre Dei, uno per i cristiani, uno per gli ebrei e uno per i musulmani, ma ci sono tre teologie: quella più completa, che è quella dei cristiani, che sanno che Dio è Trinitario; e quella delle altre due religioni, che non hanno ricevuto direttamente la rivelazione del Dio Trinitario.

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    4. Caro Padre Giovanni,
      comprendo benissimo il suo discorso e ne apprezzo il suo valore. Tuttavia, permane in me una certa perplessità.
      Proviamo a sintetizzare in forma logica quel passo di Nostra Aetate (mi corregga se sbaglio). Esaminiamo il seguente primo sillogismo.

      Premessa maggiore:
      Il vero e unico Dio è la SS. Trinità (Padre, Figlio e Spirito Santo) rivelataci da Gesù Cristo, il Figlio del Padre fattosi uomo, morto in croce per la nostra redenzione, e poi risorto.

      Premessa minore:
      I musulmani credono che Dio non sia la SS. Trinità (Padre, Figlio e Spirito Santo) rivelataci da Gesù Cristo, il Figlio del Padre fattosi uomo, morto in croce per la nostra redenzione, e poi risorto.

      Conclusione:
      I musulmani non credono nel vero e unico Dio.
      --
      La premessa maggiore è vera? Sì. La premessa minore è vera? Sì. La conclusione presenta uno scarto logico rispetto alle premesse? Non mi pare.
      Ma se le cose stanno così, la conclusione del sillogismo deve necessariamente essere vera.

      Se lei mi obiettasse che la promessa maggiore è vera solo per noi cristiani, ma non per i musulmani in quanto non possiedono (e non ne hanno colpa) la stessa conoscenza di Dio che abbiamo noi, ma tuttavia noi e loro crediamo nell’unico Dio, avremmo questo secondo sillogismo.

      Premessa maggiore:
      Sia i cristiani che i musulmani credono nel vero e unico Dio.

      Premessa minore:
      I cristiani, a differenza dei musulmani, credono che Dio sia la SS. Trinità (Padre, Figlio e Spirito Santo) rivelataci da Gesù Cristo, il Figlio del Padre fattosi uomo, morto in croce per la nostra redenzione, e poi risorto.

      Conclusione:

      La SS. Trinità (Padre, Figlio e Spirito Santo), l’incarnazione del Figlio in Gesù Cristo, la sua morte in croce per la nostra redenzione, e la sua resurrezione, sono aspetti non essenziali del vero e unico Dio, e dunque secondari, non attengono alla vera natura di Dio.

      Se le due premesse di questo secondo sillogismo fossero ambedue vere, anche la relativa conclusione sarebbe vera. Ma è una conclusione per noi inaccettabile, e logicamente contraddice la premessa maggiore del primo sillogismo che abbiamo detto vera.
      Dunque in questo secondo sillogismo ci deve essere un difetto. La premessa minore è vera? Sì, infatti è l’unione delle due premesse del primo sillogismo che abbiamo detto essere ambedue vere. Allora, inevitabilmente, è la premessa maggiore che difetta, cioé non è vero che: sia i cristiani che i musulmani credono nel vero e unico Dio

      In conclusione, mi chiedo: come è possibile che se si rappresenti, in forma logica, quanto affermato in quel passaggio da Nostra Aetate... c’è sempre qualcosa che non funziona perfettamente?

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    5. Esempio metaforico 1:
      Io e lei, Padre Giovanni, ci troviamo in uno spazio aperto e, a un certo momento, vediamo in lontananza un uomo che si avvicina.
      Sia io che lei crediamo di averlo riconosciuto come un tale che si chiama Mario Rossi, ovvero una persona, unica e irripetibile, il cui nome è Mario, il cognome Rossi, la qual persona, sia io che lei abbiamo avuto modo di conoscere personalmente.
      Bruno dice: “quell’uomo è Mario Rossi e indossa una giacca blu”.
      P. Giovanni dice: “sì, quell’uomo è Mario Rossi, ma indossa una camicia azzurra”.
      Nella realtà, l’uomo che si sta avvicinando a noi è proprio quell’unico Mario Rossi che abbiamo conosciuto, solo che io e lei attribuiamo caratteristiche diverse al suo vestito. Possiamo dire che entrambi, io e lei, crediamo, correttamente, che quell’uomo sia il Mario Rossi di nostra conoscenza, come è nella realtà, anche se non concordiamo sul suo aspetto esteriore.
      In conclusione, in quel momento, sia io che lei, Padre Giovanni, crediamo (di vedere) l’unico e vero Mario Rossi di nostra conoscenza. Ed è proprio così. Le diversità di aspetto esteriore che crediamo di vedere, sono del tutto secondarie, trascurabili direi.

      Esempio metaforico 2:
      Stessa situazione di prima: un uomo si sta avvicinando a noi.
      Io credo di riconoscerlo nel Mario Rossi di prima. Lei invece crede di riconoscerlo in un altra persona di sua conoscenza, che si chiama Dario Bianchi.
      Bruno dice: “quell’uomo è Mario Rossi”.
      P. Giovanni dice: “no, quell’uomo assomiglia a Mario Rossi, ma è Dario Bianchi”.
      Ovviamente nella realtà esise un unico individuo Mario Rossi, e un unico individuo Dario Bianchi, si assomigliano ma ontologicamente non possono essere “la stessa” persona, altrimenti violeremmo il principio di non contraddizione. Ma chi è colui che si sta avvicinando? È Mario Rossi o è Dario Bianchi?
      Il soggetto giunge vicino a noi, e io dico: “aveva ragione lei, Padre Giovanni, quello che credevo essere Mario Rossi, e che gli assomiglia, in realtà non è Mario Rossi”.
      In conclusione, non c’è dubbio che nella realtà esterna a noi due, esiste un unico e vero Mario Rossi, come esiste un unico e vero Dio. Ma io prima ho creduto, sbagliando, di aver visto Mario Rossi. Io ho denominato “Mario Rossi”, uno che gli assomigliava sì, ma non era ontologicamente Mario Rossi.
      Se, nei due esempi, sostituiamo Mario Rossi con Dio, Bruno con “il musulmano” e lei con “il cristiano”, possiamo notare che il primo esempio rappresenta ciò che Nostra Aetate intende comunicarci, ovvero: il musulmano e il cristiano vedono/credono lo stesso, unico e vero Dio, pur attribuendogli caratteristiche diverse.
      Ma se invece fosse più vicino al vero il secondo esempio? Io/il musulmano, con convinzione, denomino come Mario Rossi/Dio, qualcuno che in realtà... non è l’unico e vero Mario Rossi/Dio, ma è solo uno che gli somiglia.
      In questo senso possiamo dire che il Dio in cui credono i musulmani, grazie alla caratteristiche di monoteismo, creatore, misericordia, ecc... assomiglia all’unico vero Dio, assomiglia sì, ma non è lo stesso unico vero Dio, che non può prescindere da essere la SS.Trinità.

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    6. Caro Bruno,
      è chiaro che Dio è il Dio Trinitario e sappiamo altrettanto bene che i musulmani riconoscono l’esistenza di Dio, ma si rifiutano di ammettere il Mistero della Santissima Trinità.
      Ora, che cosa fa il Concilio? Fa un’operazione del tutto legittima, perché riconosce che noi cristiani e musulmani riconosciamo l’esistenza di Dio e adoriamo l’unico vero Dio.
      Con tutto ciò è chiaro che per il Concilio noi cristiani, che senza merito possediamo in Cristo la pienezza della verità, cioè sappiamo che Dio è Santissima Trinità, abbiamo il dovere di adoperarci per condurre i nostri fratelli musulmani alla fede in Cristo.
      Questo discorso del Concilio suppone la distinzione tra la religione naturale e la religione rivelata. Noi e i musulmani sappiamo che Dio esiste e lo adoriamo in base alla religione naturale, che tutti gli uomini, in quanto essere ragionevoli, possono praticare. E in ciò consiste quella fratellanza universale, della quale parlava Papa Francesco e che è stata riconosciuta nella convenzione di Abu Dhabi.
      Noi cristiani però non pratichiamo soltanto una religione naturale, ma abbiamo ricevuto da Dio la grazia di accogliere anche quella religione soprannaturale, che è stata fondata da Cristo.
      Ora i musulmani sono privi di questa religione. Hanno colpa? Non hanno colpa? Bisogna vedere caso per caso, perché c’è chi non crede per malizia e c’è chi non crede perché in buona fede non ha motivo di credere.
      A questo punto si pone il nostro lavoro di evangelizzazione e qui bisogna collegare la Nostra Aetate col decreto Ad Gentes, che insegna quello che dobbiamo fare per diffondere il Vangelo tra i non cristiani.

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    7. Caro Bruno,
      ho detto e ripetuto che l’essere trinitario coincide con lo stesso essere divino. Però ho anche ricordato come il Concilio ammette la verità della religione naturale, riconoscendo che noi e i musulmani, in base alla ragione, sappiamo che Dio esiste. Bisogna quindi distinguere l’essere divino, che coincide con la Trinità, dalla conoscenza che noi abbiamo di Dio.
      Questa distinzione consente al Concilio di ammettere che i musulmani conoscono il vero Dio, anche se non sanno, o non vogliono sapere, che il vero Dio è trinitario.
      Posso aggiungere che Dio ha voluto rendersi conoscibile da tutti gli uomini in base alla semplice ragione naturale, ma che poi, dopo il peccato originale, ha voluto per sua misericordia aggiungere alla conoscenza naturale di Dio quel sapere soprannaturale, che è oggetto della rivelazione cristiana.
      Il fatto che il musulmano, come essere ragionevole, sappia che Dio esiste, può accompagnarsi con la sua ignoranza, colpevole o non colpevole, del fatto che Dio è trinitario. Quindi sta a noi cristiani illuminarlo su questo punto.

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    8. Il fatto che i musulmani, a causa dell’educazione familiare ricevuta e della tradizione geo-culturale in cui affondano le loro radici, possano non essere responsabili di aver rifiutato il Cristianesimo, non ci autorizza per questo, ad effettuare un’operazione di riduzionismo sull’unico e vero Dio, pur col proposito in sé buono di abbracciare fraternamente i credenti in altre religioni.
      Nostro Signore non ci disse “Io, assieme ad altri, sono la via, la verità e la vita. Ci sono più vie, oltre la mia, per giungere al Padre”, ma:

      “Gli disse Gesù: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6).

      Nessuno è autorizzato a “correggere” le parole di Gesù Cristo, nemmeno il Papa.
      Affermare che cristiani e musulmani credano nell’unico e vero Dio, significa dire che Allah coincida fondamentalmente con la SS. Trinità, oppure che “Allah” e “SS. Trinità” siano dei semplici nomi che gli uomini avrebbero dato all’unico e vero Dio, minimizzando se non annullando le enormi differenze di sostanza teologica che si celano dietro tali nomi.
      Come sempre accade quando si comincia a cedere su una questione di principio, il buco si allarga sempre più fino a divenire voragine, perché si finisce in quello che gli anglosassoni definiscono the Slippery slope (il pendio scivoloso) in cui ci si illude di poter frenare la caduta... e così dopo Nostra Aetate, sono arrivati: gli incontri interreligiosi di Assisi del 1986 sotto Giovanni Paolo II, in cui la statuetta del Budda fu posta sul Tabernacolo della Chiesa di san Pietro e gli indiani pellerossa preparono i loro calumet della pace sull’altare della Chiesa di Santa Maria Maggiore; l’intronizzazione dell’idolo pagano della Pachamama in Vaticano sotto Francesco; la Dichiarazione di Abu Dhabi, fino alle parole dello stesso Francesco per cui tutte le diverse religioni sono “cammini” per giungere a Dio.
      Ciò che Nostra Aetate aveva riservato alle sole religioni abramitiche, ha finito, in qualche modo, per estendersi a tutte le altre, comprese quelle pagane.

      È inutile poi rammaricarsi che nelle nostre celebrazioni eucaristiche, nonché nelle riflessioni di tanti teologi cattolici, il sacrifico di Cristo sul Golgota e nella Santa Eucaristia, venga sempre più attenuato, obnubilato, sostituito da “mensa conviviale, banchetto comunitario”, “memoria pasquale, memoria dell’Ultima cena”... perché la croce di Cristo diventa sempre più scomoda da capire, e sotto sotto, anche se non si ha il coraggio di ammetterlo esplicitamente, ci si domanda “ma in definitiva, se ci si salva anche credendo in altre religioni e persino se non si crede affatto... c’era proprio bisogno che Gesù soffrisse in quel modo sulla croce?”.

      Se la Chiesa non troverà il coraggio di rivedere alcuni aspetti problematici del Vaticano II, e ancor più del cosiddetto post-Concilio, penso che il Cattolicesimo si protestantizzerà sempre più, e le contrapposizioni tra progressisti e tradizionalisti si esacerberanno ancor di più.

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    9. Caro Bruno,
      il giusto paragone non è il suo, ma quello che le propongo io, restando nella modalità del suo paragone.
      Tutti e due incontriamo Mario Rossi, solo che io so che gli è nato un figlio e lei non lo sa. Che significa ciò? Può essere una buona rappresentazione della differenza di ciò che noi sappiamo di Dio e di ciò che i musulmani non sanno.
      Certamente noi cristiani, che conosciamo il Mistero trinitario, vediamo che i musulmani lo negano. A questo punto non possiamo non dire che sono nell’errore. Tuttavia dobbiamo anche riconoscere che, con la loro ragione, sanno che Dio esiste, ma purtroppo essi non hanno la fede cristiana. Non è escluso che Dio doni a loro una fede implicita.
      Quindi dobbiamo riconoscere che dal punto di vista della ragione naturale sono nella verità, ma per quanto riguarda la rivelazione cristiana la negano, abbiano o non abbiano colpa.

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    10. Caro Bruno, il Concilio non fa nessun riduzionismo: dice chiaro e tondo che dobbiamo annunciare il Mistero trinitario a tutto il mondo, quindi musulmani compresi, ma non bisogna confondere il decreto Ad Gentes con il decreto Nostra Aetate. Questo secondo documento è solo il punto di partenza per passare all’applicazione dell’Ad Gentes. Tuttavia anche l’obbiettivo del primo decreto non è sempre di facile attuazione, perché non è sempre semplice accordarsi con i musulmani sugli attributi dell’unico Dio.
      La Nostra Aetate effettivamente mette in luce i punti che abbiamo in comune, ma per introdurre i musulmani ad accettare la rivelazione cristiana, bisognerebbe prima correggere certi errori della loro teologia naturale. Papa Benedetto XVI a Ratisbona ha accennato alla loro concezione volontaristica della divinità. Però purtroppo, come sappiamo, ci fu nel mondo islamico una violenta reazione. Papa Francesco, vedendo questa reazione, preferì fermarsi ai punti in comune e a soprassedere agli errori.
      Nessun cattolico normale si sogna di dire che Allah è la Santissima Trinità o che la santissima Trinità è un nome aggiunto ad Allah. Infatti, quando diciamo Allah, intendiamo certamente l’unico Dio, nel quale crediamo anche noi, ma, come ho detto, nella concezione islamica di Dio ci sono degli errori. Quindi la prima cosa da fare è quella di insegnare ai musulmani tutti quelli che i veri attributi di Dio.
      Se con il nome Allah, un musulmano, che ha raggiunto una corretta teologia naturale, intende ciò che noi chiamiamo Dio, a questo punto anche il musulmano, se viene illuminato dalla fede, riconoscerà con noi che Dio è Trinità, cioè sarà in grado di capire che Dio è uno e trino, Uno nella natura e Trino nelle persone.

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    11. Caro Bruno,
      la dottrina della Nostra Aetate non è affatto un principio pericoloso, che può portare a conseguenze sempre più gravi, come è successo col pensiero di Lutero e di Cartesio, dai quali alla fine è venuto fuori il nazismo e il comunismo, ma essa pone un criterio ben preciso che consiste nel riconoscere i punti teologici in comune esistenti tra le tre religioni monoteistiche.
      Chi si attiene a questo criterio non corre alcun pericolo di indifferentismo, perché si tratta di verità oggettive e indiscutibili proprie della religione naturale.
      Per quanto riguarda le famose Giornate di preghiera di Assisi, una riflessione successiva, fatta dallo stesso San Giovanni Paolo II, portò alla cessazione di questi incontri piuttosto discutibili.
      Cosa ben diversa è stata la convenzione di Abu Dhabi, perché si è mantenuta strettamente entro i limiti fissate dalla Nostra Aetate.

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    12. Caro Bruno,
      lo so che la morale protestante o genderista o modernista o secolarista è più comoda di quella cattolica, con le austerità che essa comporta per il fatto che ci chiede di partecipare al sacrificio di Cristo. Tuttavia, se siamo onesti, dobbiamo riconoscere francamente che il messaggio e l’esempio di Cristo posseggono una credibilità e una purezza dottrinale e morale che supera quella delle altre religioni. Per cui, chi si accorge di questa superiorità del cattolicesimo sulle altre confessioni cristiane e sulle altre religioni, effettivamente è tenuto a seguire la Chiesa cattolica, anche se ciò costa di più. Però è chiaro che ci attende già da questa vita quel centuplo che Gesù ci ha promesso e la beatitudine nella vita futura.
      Il compito che dovrà assumersi il nuovo Papa sarà quello di una piena ed autentica realizzazione delle dottrine conciliari, come ha cercato di fare Papa Francesco. Per quanto riguarda la pastorale, già Benedetto XVI disse che in parte poteva essere discussa. Egli si riferiva ad una certa tendenza buonistica o troppo ottimista, che ha causato l’attuale lassismo e una falsa concezione della misericordia, che sconfina con la complicità e connivenza col peccato.

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    13. Caro Padre Giovanni,
      la ringrazio dell’attenzione che ha dedicato ai miei commenti.

      Vorrei fare solo un’ultima considerazione su questo tema.

      Lei ha scritto:
      “Il fatto che il musulmano, come essere ragionevole, sappia che Dio esiste, può accompagnarsi con la sua ignoranza, colpevole o non colpevole, del fatto che Dio è trinitario”.

      Non sono d’accordo: “ignoranza” del musulmano, riguardo al fatto che Dio sia unitrino, non mi sembra il termine appropriato. Non è che qualora il musulmano venga a conoscenza, pur nel modo più appropriato, della SS. Trinità, egli possa procedere a “implementare” il suo Allah, attribuendogli nel suo essere le tre relazioni sussistenti, ecc... né potrebbe poi introdurre l’incarnazione del Figlio e la sua morte in croce. La teologia (se così vogliamo chiamarla) islamica nega con tutta la sua forza la possibilità di una evoluzione anche minima in tal senso. Del resto, lo ha ricordato anche lei citando il coranico “non dite tre”.

      In pratica un islamico che tentasse di “adattare” ad Allah i misteri della SS. Trinità e dell’Incarnazione, dovrebbe talmente scardinare l’attuale concezione dello stesso Allah che, di questa, oltre al monoteismo, rimarrebbero solo alcuni elementi, alcuni semi di verità. In altre parole, dovrebbe cambiare la concezione islamica di Dio, con quella cristiana, “cambiare” ripeto non far “evolvere” grazie a nuove conoscenze acquisite. Insomma dovrebbe convertirsi al Cristianesimo. E proprio il cambiamento della concezione di Dio, cioé il passaggio dalla concezione islamica alla concezione cristiana, certifica, a mio avviso, che la prima era “altra” rispetto a quest’ultima, ovvero che il Dio della concezione islamica è altro, rispetto al Dio della concezione cristiana: non sono, in quest senso, lo “stesso” Dio, come concezione di Dio, per quanto vi possano essere alcune somiglianze, e anche se poi, all’esterno delle menti umane, c’è un unico vero Dio.
      Dunque, a mio avviso, era pienamente condivisibile quanto i pontefici fino a Pio XII, quindi precedenti al Concilio, avevano affermato delle altre religioni, e cioé che contengono dei semi di verità e, in particolare, relativamente agli altri due monoteismi abramitici, l’Ebraismo e l’Islam, tali semi di verità condivisi col Cristianesimo, sono certamente in quantità e qualità maggiori rispetto ad altre religioni come, per esempio, l’Induismo o il Confucianesimo. Ci si poteva fermare qui, ma il Concilio Vaticano II, di certo animato da nobili intenzioni, ha voluto spingersi oltre, arrivando però a una formulazione, quale quella di Nostra Aetate, che a sessant’anni dalla fine del Concilio, risulta tutt’altro che pacifica all’interno della cristianità, anzi talora causa di divisione e continui dibattiti.

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    14. Caro Bruno,
      il musulmano che grazie alla fede arriva a riconoscere che Dio è Trino evidentemente corregge la concezione che in precedenza aveva di Dio, la quale comportava la convinzione che la Trinità sia una assurdità.
      Certamente loro chiamano Allah Colui che è Dio, però, come ho detto, sbagliano in alcuni attributi. A questo punto alcuni cristiani ritengono che sarebbe bene che il musulmano, che si converte, non chiamasse più Dio con il nome di Allah, ma lo chiamasse Dio, perché nel nome Dio abbiamo tutti gli attributi convenienti che troviamo anche nella teologia di San Tommaso.

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    15. Caro Bruno,
      è chiaro che uno dei fini dell’evangelizzazione è operare per la conversione dei musulmani.
      Detto questo, come le ho già detto, la concezione islamica di Dio nel suo insieme è buona, solvo alcuni difetti. Lei stessa potrebbe provare a fare un confronto sugli attributi divini in San Tommaso e nel Corano e vedrà che c’è quasi una piena corrispondenza.
      Se c’è una concezione di Dio che bisogna rifare da capo a fondo è quella dei modernisti, per cui c’è da dire che sono più vicini al cristianesimo i musulmani che i modernisti.

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    16. Caro Bruno,
      le ho già detto che dal punto di vista della teologia naturale ci sono poche correzioni da apportare ed è forse per questo che la Nostra Aetate non ne ha parlato, ma ha citato solamente le verità che abbiamo in comune.
      È chiaro allora che questo documento non va preso da solo, altrimenti caschiamo nelle illusioni e nella faciloneria. Invece bisogna completarlo con la consapevolezza degli errori, per cui nella evangelizzazione dei musulmani, quando si tratta di teologia naturale occorre riconoscere il positivo e di cercare di correggere il negativo.

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    17. Caro Bruno,
      il Concilio non ha fatto altro che farci conoscere meglio quei semi di verità, dei quali già parlavano i Padri della Chiesa. In questi secoli la conoscenza della teologia islamica da parte dei teologi cattolici è migliorata e tutto ciò è andato a favore della prospettiva della loro conversione.
      Quindi tornare indietro da quanto il Concilio ci insegna sull’Islam, sarebbe come abbandonare la medicina di oggi per ritornare alla medicina del secolo XVI.
      Per quanto riguarda i contrasti a proposito della Nostra Aetate, è vero che ci sono, ma la colpa non è di quel documento. La colpa è dei modernisti, che ignorano gli errori del Corano, e degli indietristi che credono che il Corano sia una massa di bestemmie.

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    18. Caro Padre Giovanni,
      lei ha scritto “la concezione islamica di Dio nel suo insieme è buona, salvo alcuni difetti” e “dal punto di vista della teologia naturale ci sono poche correzioni da apportare”.
      Solo “alcuni” difetti? Solo “poche” correzioni da apportare? Quindi, secondo lei, nella sostanza Islam e Cristianesimo non sarebbero molto lontane?
      Il suo confratello Padre Angelo Bellon, in una delle sue risposte sul portale amicidomenicani.it, riportava le seguenti affermazioni di un riconosciuto esperto del mondo islamico, il padre gesuita Samir Khalil Samir:
      “Nel cristianesimo Dio è Trinità nella sua essenza, pluralità unita dall’amore. È un po’ più che sola clemenza e misericordia. Abbiamo due concezioni abbastanza diverse dell’unicità divina.
      Quella musulmana caratterizza Dio come inaccessibile. La visione cristiana dell’unicità trinitaria sottolinea che Dio è Amore che si comunica: Padre-Figlio-Spirito, oppure Amante-Amato-Amore, come suggeriva Sant’Agostino. [...]
      La misericordia nel caso dell’Islam è quella del ricco che si china sul povero e gli concede qualcosa.
      Ma il Dio cristiano è Colui che scende verso il povero per innalzarlo al suo livello; non mostra la sua ricchezza per essere rispettato (o temuto) dal povero: dona se stesso per far vivere il povero.
      Anche l’affermazione che "gli scritti sacri islamici conservano parte degli insegnamenti cristiani" (Evangelii Gaudium n. 252) è vera in un certo senso, ma può essere anche ambigua: “È vero che i musulmani riprendono parole o fatti dei vangeli canonici, ad esempio il racconto del l’Annunciazione si ritrova quasi letteralmente nei capitoli 3 (la famiglia di ‘‘Imr?n) e 19 (Mariam).
      Ma più frequentemente il Corano s’ispira ai pii racconti dei Vangeli apocrifi, e non ne tirano il senso teologico che ci si trova, e non danno a questi fatti o parole il senso che hanno in realtà [...] a dir il vero, Gesù non è oggetto di venerazione nella tradizione musulmana. [..] In realtà, tutto ciò che si dice di Gesù nel Corano è l’opposto degli insegnamenti cristiani. Egli non è Figlio di Dio: è un profeta e basta. Non è nemmeno l’ultimo dei profeti perché invece il "sigillo dei profeti" è Maometto (Corano 33:40). La rivelazione cristiana è vista solo come una tappa verso la rivelazione ultima, portata da Maometto, cioè l’Islam [...] Addirittura [il Corano] afferma che Gesù Cristo non è morto in croce, ma è stato crocifisso un suo sosia: "Non l’hanno ucciso, non l’hanno crocifisso, ma è sembrato loro" (Corano 4:157). In tal modo Dio ha salvato Gesù dalla cattiveria dei giudei. Ma così Cristo non ha salvato il mondo!”.
      [...] il Corano cita Gesù perché pretende di completare la rivelazione di Cristo per esaltare Maometto. Del resto, vedendo quanto Gesù e Maria fanno nel Corano, ci si accorge che essi non fanno altro che applicare le preghiere e il digiuno secondo il Corano”.

      Peraltro, aggiungo io, la “Maria del Corano” talvolta non ha nulla a che vedere con la S.ma Vergine, ma viene confusa con “Maria, sorella di Aronne”, il fratello di Mosè, vissuta circa dodici secoli prima di Cristo.

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    19. Il concetto cristiano della “paternità” di Dio, condivisa in parte dal Giudaismo, è percepito dai musulmani come un assurdo blasfemo. Pensare Dio come “Padre” significherebbe per i maomettani incrinarne l’unicità assoluta. E pensare che l’uomo possa esser stato creato a sua “immagine e somiglianza” significherebbe evidentemente offendere anche da questo lato l’unicità di Allah e divinizzare l’uomo.

      Tra le palesi forzature o imprecisioni di alcuni testi conciliari, figlie di “buonistiche” intenzioni, vi è il far credere che cristiani, ebrei e musulmani condividano la stessa fede di Abramo e in Abramo, che Abramo sarebbe il padre riconosciuto della fede per loro così come lo è per noi. L’idea di un comune onore tributato ad Abramo quale “padre della fede” è un concetto chiave del “dialogo” con l’islam e l’ebraismo, concetto però poco sostenibile per l’Islam per il semplice motivo che l’Abramo del Corano non corrisponde affatto a quello storico della Bibbia. Maometto ne ha rielaborato la figura a suo uso e consumo e proprio in funzione esplicitamente antiebraica e anticristiana, cosa a cui non viene dato rilievo.
      L’Abramo coranico che avrebbe creduto per primo, nella storia dell’umanità, al vero Allah, se si guarda attentamente, non corrisponde affatto al Dio dell’Antico Testamento, a Colui che ha chiamato Abramo alla vera fede, volendo stringere con lui il Patto dell’Antica Alleanza. Maometto costruisce la figura di Abramo quale prototipo del “musulmano” in modo da escludere Antico e Nuovo Testamento dalla vera Rivelazione.
      Dice infatti il Corano:
      “ O gente del Libro [ebrei e cristiani], perché disputate riguardo ad Abramo, mentre il Pentateuco e il Vangelo non sono stati fatti scendere se non dopo di lui? Non comprenderete dunque mai la verità? Abramo non era giudeo né cristiano: era ensì hanif e muslim e non era politeista” (3, 60-61).

      E che dire del fatto che anche gli islamici condividono l’idea del Dio creatore?
      Nella sura 23 o dei credenti, ai vv. 12-16, si narra in questo modo la creazione dell’uomo. “ 12. In verità, noi creammo l’uomo di argilla fina. 13. Poi lo ponemmo come in una goccia di sperma in un ricettacolo sicuro [l’utero materno]. 14. Poi trasformammo la goccia di sperma in sangue coagulato, poi il sangue coagulato in un pezzo di carne, il pezzo di carne in ossa, e le ossa noi rivestimmo di carne, quindi portammo esso alla luce, come un’altra creazione; benedetto sia quindi Dio, il migliore dei creatori! 15. Poi, certamente, voi, dopo di ciò, morrete. 16. E in seguito, voi verrete risuscitati il giorno della risurrezione”[10]. L’uomo appare qui come un semplice oggetto nelle mani di Allah che lo plasma dall’argilla, senza fornire spiegazioni e senza benedirlo, assieme alla donna, della cui creazione si accenna altrove. Gli annuncia morte e resurrezione, che restano inspiegabili. È il decreto di Allah, e tanto basta.

      Un essere umano che viene ad esistere ad opera della volontà inspiegata di Dio, è sempre e solo “sottomesso a Dio”, in modo assoluto, totalmente passivo, senza che si richieda l’adesione del suo intelletto ai Decreti di Allah. Deve obbedire, e basta. In cambio, Allah lo ricompenserà materialmente in questo mondo, spiritualmente e materialmente nell’altra vita, mentre l’Inferno, se ci andrà, non sarà mai eterno per lui. Poche sure sembrano ammettere l’esistenza del libero arbitrio nell’uomo, all’opposto di altre più numerose che affermano il contrario e che costituiscono il dogma ufficiale dell’islam, mentre i sostenitori dell’esistenza di un libero arbitrio nell’uomo (detti “razionalisti” o mutaziliti) sono considerati eretici. Il dualismo di determinismo e libero arbitrio rappresenta uno dei casi più noti di contraddizione nel Corano, anche se l’esistenza di tale dualismo è negata dall’interpretazione ortodossa (sunnita).

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    20. Sulla problematicità di certe espressioni dei testi del Concilio, e sul documento di ABU Dhabi, ha scritto nel 2020 il vescovo Athanasius Schneider (https://www.lifesitenews.com/blogs/bishop-schneider-catholics-and-muslims-share-no-common-faith-in-god-no-common-adoration):
      “Affermare che i musulmani adorano insieme a noi l'unico Dio (“nobiscum Deum adorant”), come afferma il Concilio Vaticano II in Lumen Gentium 16, teologicamente è un'affermazione molto ambigua. Che noi cattolici adoriamo con i musulmani l'unico Dio non è vero. Nell'atto di adorazione adoriamo sempre la Santissima Trinità, non adoriamo semplicemente “l'unico Dio” ma, piuttosto, consapevolmente, la Santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. L'Islam rifiuta la Santissima Trinità. [...] Forse si potrebbe formulare in questo modo: "I musulmani adorano Dio in un atto di adorazione naturale, e quindi in un senso sostanzialmente diverso da quello che facciamo noi cattolici, dato che adoriamo Dio sempre con fede soprannaturale".
      [...] Bisogna tener presente che i musulmani, accettando proposizioni rivendicate come divine ma che non sono di origine divina, rischiano di offrire una falsa conoscenza e una falsa adorazione a Dio anche a livello naturale.

      Il documento di Abu Dhabi parla della “base della nostra comune fede in Dio”. Tuttavia, coloro che seguono l'Islam vedono Dio come distante, privo di una relazione personale, e questa è un'idea di Dio molto carente. Una parte considerevole dei musulmani possiede un'immagine distorta e falsa di Dio come Uno che non può comunicare personalmente con noi e che noi non possiamo amare veramente e personalmente come nostro Padre e nostro Redentore. [...]
      Inoltre, la loro comprensione che la vita è “per” Dio non è la stessa rispetto alla nostra, poiché Gesù ha insegnato che Dio è nostro Padre, che viviamo per Lui, al fine di accrescere il nostro amore per Lui ed essere felici con Lui per sempre, mentre la loro concezione di vivere per Dio è quella di uno schiavo che vive per servire un potente Maestro. Infine, il concetto di misericordia musulmano è diverso da quello cristiano perché noi siamo misericordiosi, come il Padre è stato misericordioso con noi, mandando suo Figlio e morire per noi [...]
      Secondo la Sura 9:29, i musulmani devono “combattere coloro che non credono in Allah e nell'Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo [jizyah] e siano soggiogati”. [...]
      Le successive Sure del Corano sono molto violente nei confronti dei non musulmani e richiedono l'occupazione dei paesi non musulmani per mezzo della violenza. [...]

      Pertanto, dal punto di vista teologico, è fuorviante e fonte di confusione che il Romano Pontefice abbia firmato un documento comune con un'autorità religiosa islamica usando i termini "Dio", "Fede", "pluralismo e diversità delle religioni", "fraternità", nonostante questi termini abbiano significati sostanzialmente diversi negli insegnamenti del Corano e nella Divina Rivelazione di Nostro Signore Gesù Cristo. Inoltre, bisogna anche tener presente il fatto che i musulmani non hanno un'autorità per risolvere le controversie con autorità universale, poiché non hanno magistero [...] e non esiste nell'Islam un'autorità che decida questioni dottrinali per tutti i musulmani.

      L'unica fraternità universale stabile è la fraternità in Cristo. Solo in Gesù Cristo e nello Spirito Santo da Lui inviato, le persone possono veramente essere figli di Dio e chiamare Dio Padre e di conseguenza essere veramente fratelli. “Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio... E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo” (Rm. 8: 14-17).

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    21. A proposito dell’arrendevolezza della Chiesa di fronte all’avanzare dell’Islam, così scrisse il giornalista, convertito al cattolicesimo, Magdi Cristiano Allam nel 2015 (https://www.ilgiornale.it/news/politica/leggere-corano-capire-che-lislam-non-si-fermer-1103020.html):
      Se dovessimo attendere non 464 anni ma anche soltanto 40 anni per deciderci ad intervenire per salvare quel che resterà di cristianità sulle altre sponde del Mediterraneo ma soprattutto per salvarci dal terrorismo e dall'invasione islamica all'interno stesso dell'Europa, sarà decisamente troppo tardi. Non esisteremo più né come società europea né come civiltà laica e liberale dalle radici cristiane. La nostra debolezza l'ha descritta in modo impeccabile monsignor Giuseppe Bernardini, vescovo di Smirne, quando il 13 ottobre 1999, ha raccontato che «durante un incontro ufficiale sul dialogo islamo-cristiano, un autorevole personaggio musulmano, rivolgendosi ai partecipanti cristiani, disse a un certo punto con calma e sicurezza: «Grazie alle vostre leggi democratiche vi invaderemo; grazie alle nostre leggi religiose vi domineremo». C'è da crederci, perché il «dominio» è già cominciato con i petrodollari, usati non per creare lavoro nei Paesi poveri del Nord Africa e del Medio Oriente, ma per costruire moschee e centri culturali nei Paesi dell'immigrazione islamica, compresa Roma, centro della cristianità.
      Come non vedere in tutto questo un chiaro programma di espansione e di riconquista? È un fatto che termini come «dialogo», «giustizia», «reciprocità», o concetti come «diritti dell'uomo», «democrazia», hanno per i musulmani un significato completamente diverso dal nostro. Sappiamo tutti che bisogna distinguere la minoranza fanatica e violenta dalla maggioranza tranquilla e onesta, ma questa, a un ordine dato in nome di Allah o del Corano, marcerà sempre compatta e senza esitazioni. Ecco perché oggi più che mai è necessario conoscere il Corano:
      «O voi che credete, non sceglietevi per alleati i giudei e i nazareni, essi sono alleati gli uni degli altri. E chi li sceglie come alleati è uno di loro. In verità Allah non guida un popolo di ingiusti» (5, 51).
      «Vorrebbero che foste miscredenti come lo sono loro e allora sareste tutti uguali. Non sceglietevi amici tra loro, finché non emigrano per la causa di Allah. Ma se vi volgono le spalle, allora afferrateli e uccideteli ovunque li troviate» (4, 89).

      Sono decenni che la Chiesa promuove, legittima e difende il dialogo con i musulmani. Il risultato concreto è che i cristiani che rappresentavano il 30% della popolazione del Medio Oriente fino al 1945, oggi si sono assottigliati al 3% e continuano a subire un vero e proprio genocidio. Dico che è arrivato il momento di svegliarci dal sonno della ragione con cui ci siamo imposti di non conoscere la verità presente nel Corano, che per i musulmani è Allah stesso. Solo riscattando il nostro dovere di conoscere la verità del Corano potremo salvaguardare la nostra civiltà.

      Come ha scritto il filosofo Rémi Brague, autore di Sur l’islam:
      “Il Corano chiama più volte a combattere gli “infedeli” con le armi, fino a quando non si sottomettono e accettano di pagare il tributo in una situazione di umiliazione (IX, 29). Tutti i versetti che invocano un dialogo pacifico, presumibilmente rivelati alla Mecca, all’inizio della carriera di Maometto, quando si trovava in una situazione di debolezza, sono stati abrogati dai versetti successivi, dati a Medina, dove Maometto è sia profeta che generale.”

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    22. Da un’intervista del 2018 all'arcivescovo Giampaolo Crepaldi che spiegava il X Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa, pubblicato dall'Osservatorio Cardinale Van Thuân (https://lanuovabq.it/it/crepaldi-siamo-realisti-lislam-e-un-problema-politico):

      E come concepisce Dio l’islam?
      Dal Rapporto emerge che lo concepisce come volontà e onnipotenza, non come verità e essenza. Dio emana dei decreti ai quali chiede cieca e letterale obbedienza. Come disse Benedetto XVI a Ratisbona nel 2006, il Dio dell’Islam è oltre ogni categoria, non c’è una analogia col mondo fondata sulla verità, ma Dio avrebbe potuto darci anche i precetti contrari a quelli che ci ha dato. Questa impostazione non ha bisogno, quindi, del rapporto tra fede e ragione presente invece come essenziale nel cattolicesimo. L’Islam non dice: in principio era il Logos, ma la Volontà.

      Anche l’islam però parla di creazione da parte di Dio e quindi anche l’islam troverà nel creato un ordine, una legge impressavi da Dio.

      Certamente anche l’Islam pensa che il mondo sia creazione divina. Però tale creazione è stata un atto di volontà svincolato da esigenze di verità, è stato un decreto divino e non l’espressione di un Logos. I precetti di ordine morale non derivano quindi da un ordine finalistico espresso dalla natura creata, ove ragione e rivelazione si possano incontrare, Non può esistere, in altre parole, un diritto naturale e una legge morale naturale. I precetti morali nascono da decisioni divine contenute nel Corano o nella vita (parole e gesti) di Maometto e chiedono di essere eseguiti in totale sottomissione. L’Islam è una religione giuridica.

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    23. A proposito di dialogo con l’Islam, un intervento del cardinale Giacomo Biffi nel 2015
      (https://www.corrispondenzaromana.it/notizie-dalla-rete/biffi-con-lislam-io-non-dialogo-cosi/):

      “Paolo VI – che con l´enciclica Ecclesiam suam (1964) ha introdotto ufficialmente il tema nei documenti del Magistero – ha chiarito le opportunità, i metodi, i fini, ma si è volutamente astenuto da dare alla proposta di “dialogo” una vera e propria fondazione teologica. Il che è forse alla fonte delle intemperanze e delle ambiguità che hanno poi aduggiato la cristianità .
      Nel tentativo di attenuare tale inconveniente e nella speranza che il discorso sia poi proseguito dagli addetti ai lavori (possibilmente senza eccessive precomprensioni ideologiche e senza troppo indulgere alla moda del “politicamente corretto”), mi proverò a elencare alcuni elementi di riflessione a mio avviso incontestabili e ineludibili.

      1. L´evento salvifico – nei due fatti costitutivi dell´incarnazione del Verbo e della risurrezione di Gesù – sta all´origine del cristianesimo e ne rappresenta in forma perenne e definitiva il senso e il cuore. Essendo dei “fatti”, essi non sono “trattabili”: chi “crede” non li può, restando logico, né attenuare né mettere tra parentesi; chi “non crede” non li può razionalmente accettare.
      Sono dunque culturalmente “laceranti”. Il che è chiaramente insegnato dalla parola di Dio in alcuni testi oggi abbondantemente censurati:
      – “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2,34-35).
      – “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada” (Mt 10,34).
      – “La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d´angolo. Chi cadrà su questa pietra sara sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà” (Mt 21,42.44).

      Alla luce di questi insegnamenti, il principio che “bisogna guardare più a ciò che ci unisce che a quello che ci divide” (utilissimo nella sua accezione “politica” e comportamentale) diventa ambiguo fino a essere deviato e alienante nell´ambito del dialogo interreligioso: il cristiano guarda – e non può mai cessare di guardare – soprattutto a ciò che la Rivelazione gli ha indicato come eminente e sostanziale”.

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    24. Non si può dire che pecchi di chiarezza il vescovo Athanasius Schneider, nel suo libro Credo (Fede & Cultura, 2024):

      “I, 194. La religione naurale è sufficiente per l’uomo?
      No. Poiché Dio si è rivelato all’uomo, tutti hanno il dovere di ricercare questa rivelazione divina e sottomettervisi, cioé di professare la religione soprannaturale.

      I, 195. Che cos’è la religione soprannaturale?
      È l’insieme di quelle verità che Dio stesso ha rivelato e dei comandi positivi che Egli ha imposto, per esempio: i misteri dell’Incarnazione e della Redenzione, il culto appropriato che Egli desidera, ecc.

      I, 200. Tutte le religioni, con le loro rispettive forme di culto, sono ugualmente gradite a Dio?
      No. Solo la religione stabilita da Dio e condotta alla pienezza in Cristo, con il suo culto divinamente rivelato, è soprannaturale, santa e gradita a Dio. Tutte le altre religioni sono intrinsecamente false e le loro forme di culto perniciose, o quanto meno inutili per la vita eterna.

      I, 201. Perché le religioni non cristiane sono intrinsecamente false?
      “Non può darsi vera religione fuori di quella che si fonda sulla parola di Dio, la quale rivelazione, cominciata da principio e continuata nell’Antico Testamento, fu compiuta nel Nuovo dallo stesso Gesù Cristo (Pio XI, Mortalium animos, 6 gennaio 1928)”.

      I, 207. La religione islamica adora l’unico vero Dio?
      No. La religione islamica rigetta l’autorivelazione di Dio quale Trinità e nega la divinità di Gesù Cristo. L’adorazione proposta in questa religione non può essere vera, poiché “ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio” (1Gv 4,3). Quand’anche un singolo musulmano adorasse Dio come Creatore, si tratterebbe di un culto al livello meramente naturale, secondo la capacità di conoscenza naturale di Dio di cui l’uomo è capace.

      I, 208. Quindi i musulmani non “adorano con noi un Dio unico, misericordioso”?
      No. I cattolici consapevolmente professano e adorano “un unico Dio della Trinità e la Trinità nell’unità” (Credo atanasiano, Quicumque Vult), e non semplicemente “l’unico Dio”. Al contrario, una delle preghiere musulmane più famose e frequenti, l’Al-Ikhlas Ayat, rigetta solennemente questa rivelazione divina. Conosciuta come la Dichiarazione dell’Unità di Dio e Al-Tawhid (monoteismo), questa preghiera della Sura 112 è annoverata tra i capitoli più importanti del Corano ed è considerata dai musulmani in tutto il mondo pari per valore a un terzo dell’intero Corano: “Egli, Dio, è Uno! Dio l’Inconoscibile. Non generante, non generato! Nessuno è simile a Lui! Egli è Uno”.

      I, 209. È corretto affermare che i musulmani professano la fede di Abramo?
      No. Abramo ha visto tre e ha adorato uno (Papa san Gregorio Magno dice: “Abramo vide il giorno del Signore quando ricevette presso la sua casa i tre angeli della SS. Trinità: tre ospiti cui egli sicuramente si rivolse come a uno, perché pur se le Persone della Trinità sono tre in numero, la natura della divinità è una (Homiliae in Evangelia, omelia 18, n. 3)”, (cfr. Gen 18, 2-3) e ha gioito nella visione del futuro Redentore (cfr. Gv 8,56), senza escludere nella sua fede né Cristo né la Trinità. I musulmani, al contrario, escludono esplicitamente la fede in Cristo e nella Santissima Trinità”.

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    25. Ancora il vescovo A. Schneider:

      “I, 210. Nostro Signore Gesù Cristo ammonisce coloro che pretendono di adorare il Dio unico e misericordioso, o soltanto il Padre, mentre rifiutano di adorare Lui, il Figlio di Dio?
      Sì. “Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui” (Gv 3,36). “Tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che Lo ha mandato” (Gv 5,23).

      I, 213. Ciò nonostante, le religioni false contengono “semi” o “frutti” del Verbo divino?
      Si possono discernere elementi di verità e bontà di Dio in tutte le cose create. Tali elementi, se presenti nelle religioni false, sono doni naturali di Dio alla ragione umana, che alcuni Padri della Chiesa hanno chiamato “semi della Parola” e che fungono da preambula fidei (S. Th.,I, q. 2, a. 2, rep.1). Tuttavia, ciò non dà valore ai precetti di una religione falsa, né rende sacri i suoi riti e cerimonie. [...]

      I, 214. Quindi Dio non vuole la diversità delle religioni che si riscontra oggi nel mondo?
      No. Dio non può essere l’autore dell’errore religioso o di qualsiasi altro male, perché “Dio è veritiero” (Gv 3,33). “Necessariamente Dio, somma verità, non può essere nel modo più assoluto autore di alcun errore” (Papa Leone XIII, Providentissimus Deus, Parte III, § Scrittura e inerranza). Piuttosto, la falsa religione nasce dall’inganno del diavolo, dal peccato e dall’ignoranza; mali che Dio meramente tollera nel nostro mondo decaduto.

      I, 216. Cristo è semplicemente una “via privilegiata” a Dio, tra le molte altre vie possibili?
      No. Tale nozione è espressione di indifferentismo religioso, la credenza secondo cui tutte le religioni siano canali di grazia, di santità e salvezza, benché alcune siano più “efficaci” di altre. Ciò rigetta l’unità del piano divino, insulta il nostro Redentore e contraddice le sue più solenni parole: “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6), “Io sono la via” (Gv 14,6), e “non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (At 4,12).”.

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    26. Caro Bruno,
      le ho parlato di un confronto tra gli attributi divini, sul piano della teologia naturale, risultanti dal Corano e quelli della dottrina di San Tommaso. Io ho letto con attenzione sia il Corano che San Tommaso e ho constatato quella convergenza che le ho detto, salvo alcune differenze.
      Se lei ha qualche dubbio su quello che le ho detto, faccia una verifica personale confrontando il testo coranico con la Somma Teologica di San Tommaso.

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    27. Caro Bruno,
      le osservazioni del Gesuita Samir Khalil Samir sono certamente degne di considerazione, ma esse scendono in molti dettagli, che adesso qui non possiamo considerare. Andrebbero esaminate una per una. Alcune le trovo giuste, altre discutibili e altre sbagliate.
      Bisogna che riportiamo la nostra discussione nei termini adatti al metodo di questo blog, che comporta da parte mia la risposta a messaggi dei Lettori, che abbiano un contenuto tale da poter rispondere in modo breve.
      Quello che invece lei mi propone è materia adatta a un Corso di islamismo a livello accademico. Per questo lei capirà che non posso fermarmi a rispondere ai singoli punti.
      Quindi, la cosa migliore da fare, dato che questa materia è interessantissima e di primaria importanza, è che noi torniamo ai punti che abbiamo trattato. E quindi il lavoro che potrebbe fare, se crede, è quel confronto tra il Corano e San Tommaso a proposito degli attributi divini.
      È chiaro che il problema dei contenuti specifici del Cristianesimo, che vanno al di là della teologia naturale e riguardano una dottrina rivelata, custodita dalla Chiesa, è un problema enorme che va trattato con la dovuta serietà in ambienti adatti, che, come ho detto non corrispondono al metodo del mio blog.
      Qui invece bisogna che torniamo al punto della nostra discussione, che riguarda l’insegnamento della Nostra Aetate. A questo proposito le ho già detto come va interpretata. Essa accenna solamente al fatto che anche l’Islam crede che Dio ci parli e ci doni la sua grazia per mezzo dei profeti.
      Questo insegnamento del Concilio deve invogliarci ad avviare con i musulmani un dialogo che deve partire dalla teologia naturale in vista di aiutarli, con prove persuasive e una testimonianza di carità, a scoprire il Mistero di Cristo e per conseguenza il Mistero Trinitario e il piano cristiano della salvezza.

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    28. Caro Bruno,
      il Corano rifiuta il concetto di paternità divinità nel senso di un Dio Padre che abbia un Figlio, ma non respinge affatto una paternità metaforica, che si esprime nella misericordia, nel perdono e nella giustizia.
      Inoltre anche il Corano riconosce che l’uomo è creato da Dio, per cui, anche in base alla filosofia islamica, l’uomo risulta essere simile a Dio in base al principio filosofico che l’effetto è simile alla causa.

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    29. Caro Bruno,
      per quanto riguarda la devozione per Abramo, il Concilio riconosce che i musulmani intendono sottomettersi a Dio come si è sottomesso Abramo. Ora questa dichiarazione del Concilio, per noi cattolici, ha una autorità indiscutibile, la quale respinge tutte quelle teorie islamiche che presentano la figura di Abramo in modo incompatibile con quello a cui fa riferimento il Concilio.
      Queste falsificazioni della figura di Abramo non devono scoraggiarci nella nostra volontà di accordarci con i musulmani su questo punto.

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    30. Caro Bruno,
      per quanto riguarda le osservazioni che toccano l’antropologia e la morale, valgono le cose che ho già detto concernenti la teologia. E cioè le dette osservazioni entrano in un tale numero di dettagli, che potrebbero essere affrontati solamente in un dibattito a lungo termine, cosa che non mi posso permettere nella limitatezza di questo blog.
      Certamente la Nostra Aetate non entra in questo argomento complesso e molto importante, per cui qui è necessario che noi cristiani e i musulmani ci incontriamo con la volontà di mettere in luce i punti che ci accomunano e con la franchezza di esprimere liberamente il nostro parere.
      L’importante è che questo tema, che il Concilio non affronta, non divenga un pretesto per infirmare la validità di quanto il Concilio insegna circa il rapporto tra la teologia naturale cristiana e quella coranica.

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    31. Caro Bruno,
      Mons. Schneider non tiene conto del fatto che noi cristiani, quando adoriamo la Santissima Trinità, adoriamo nel medesimo tempo il Dio Uno, oggetto della religione naturale, esattamente quel Dio Uno del quale parla il Concilio come il Dio che viene adorato sia da noi cristiani che dai musulmani.

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    32. Caro Bruno,
      quando nel documento di Abu Dhabi si parla della nostra comune fede in Dio, dobbiamo fare riferimento al decreto Nostra Aetate e poiché è stato firmato dall’autorità islamica dobbiamo supporre che essa conoscesse che cosa il Papa intendeva dire con quella espressione, per cui, avendo firmato, dobbiamo supporre che fosse d'accordo con il Papa.

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    33. Da: DOCUMENTO SULLA FRATELLANZA UMANA PER LA PACE MONDIALE E LA CONVIVENZA COMUNE:
      “Altresì dichiariamo – fermamente – che le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue. Queste sciagure sono frutto della deviazione dagli insegnamenti religiosi, dell’uso politico delle religioni e anche delle interpretazioni di gruppi di uomini di religione che hanno abusato – in alcune fasi della storia – dell’influenza del sentimento religioso sui cuori degli uomini per portali a compiere ciò che non ha nulla a che vedere con la verità della religione, per realizzare fini politici e economici mondani e miopi. Per questo noi chiediamo a tutti di cessare di strumentalizzare le religioni per incitare all’odio, alla violenza, all’estremismo e al fanatismo cieco e di smettere di usare il nome di Dio per giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione. Lo chiediamo per la nostra fede comune in Dio, che non ha creato gli uomini per essere uccisi o per scontrarsi tra di loro e neppure per essere torturati o umiliati nella loro vita e nella loro esistenza. Infatti Dio, l’Onnipotente, non ha bisogno di essere difeso da nessuno e non vuole che il Suo nome venga usato per terrorizzare la gente.”
      Da: https://www.vatican.va/content/francesco/it/travels/2019/outside/documents/papa-francesco_20190204_documento-fratellanza-umana.html

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    34. Caro Bruno,
      bisogna distinguere una fratellanza naturale e una soprannaturale. Il documento di Abu Dhabi si riferisce a quella fraternità naturale ed universale, basata sulla ragione, della quale più volte ha parlato Papa Francesco, fratellanza che è motivata dal fatto che apparteniamo tutti alla medesima specie umana e quindi in questo senso siamo tutti uguali, tutti fratelli e di pari dignità, uomini e donne.
      Per quanto riguarda la fratellanza soprannaturale, intendo la fratellanza cristiana, cioè il fatto di diventare figli di Dio grazie al Battesimo. Da questo punto di vista i musulmani chiaramente in quanto tali non possono essere nostri fratelli, ma questo non vuol dire che Dio non chiami anche loro a diventare figli di Dio e la nostra responsabilità è quella di renderci strumenti del piano divino della salvezza, che vuole che tutti si salvino in Gesù Cristo.

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    35. Caro Bruno,
      il tentativo islamico di servirsi dell’immigrazione per diffondere l’Islam in Europa, se non col terrorismo, certamente mediante una sistematica attività propagandistica, è ormai cosa nota. E’ vero, come dice Magdi Cristiano Allam, che questo fatto deve stimolarci ad assumere le nostre responsabilità, ma questo fatto non giustifica il suo allarmismo, perché dobbiamo avere fiducia, e io spero anche in questo nuovo Papa, che il dialogo con l’Islam avviato dal Concilio smetterà di essere una ruota che gira a vuoto e comincerà ad acquistare, come vuole lo stesso Concilio, uno stile di vera evangelizzazione, ossia la capacità di dare ai musulmani una testimonianza così credibile da indurli ad avvicinarsi a Cristo.

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    36. Caro Bruno,
      se da quattordici secoli i musulmani sono stati aggressivi nei nostri confronti, chi ci assicura che continueranno a farlo anche in futuro? Stiamo attenti al fatalismo, a non cadere noi stessi in quel fatalismo che rimproveriamo a loro.
      Esiste lo Spirito Santo? E che cosa fa lo Spirito Santo se non cambiare i cuori? Vogliamo darGli spazio? Vogliamo metterci al Suo servizio? Spero di essermi fatto capire.

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    37. Caro Bruno,
      il Concilio Ecumenico Vaticano II che cosa è venuto a fare? Chi lo ha ispirato? Allora, il problema non è quello di un certo tipo di dialogo che porta alla resa. Il problema è che lo stimolo che ci ha dato il Concilio alla evangelizzazione è stato reso inefficace dalla falsa interpretazione che i modernisti hanno dato al Concilio.
      Papa San Giovanni XXIII, parlando del Concilio, non aveva forse auspicato una Nuova Pentecoste? Purtroppo gli uomini possono porre ostacoli al soffio dello Spirito Santo. Tuttavia la fede che suscita in noi il messaggio conciliare deve farci sperare che, nonostante l’opposizione delle forze del male, in Regno di Dio cresce in questo mondo.

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    38. Caro Bruno,
      l’aspetto volontaristico e dispotico del Dio coranico è abbastanza noto. Certamente questo è un punto di teologia naturale circa il quale occorre da parte di noi cristiani uno sforzo per elaborare una argomentazione capace di persuadere i musulmani.
      A tal fine bisogna far leva su quanto di vero c’è già nella loro concezione di Dio e mostrare che, se essi vogliono essere coerenti in questa verità, devono eliminare questo aspetto che certamente non è degno di Dio, ma è fonte di violenza e, a livello morale e politico, giustifica le tirannidi e le dittature.

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    39. Caro Bruno,
      mi sembra che Mons. Crepaldi sia troppo severo nel delineare l’attività del Dio coranico. Teniamo presente che il decreto Nostra Aetate dice che anche i musulmani adorano l’Unico Dio “Misericordioso e Onnipotente”.
      Ciò vuol dire che nell’entrare in questo argomento dobbiamo essere molto prudenti. Io stesso, leggendo il Corano, ho molto riflettuto su questo punto e ho notato che bisogna distinguere i diversi passi del Corano, perché in alcuni troviamo effettivamente un Dio dispotico e violento, ma in altri troviamo un Dio misericordioso e onnipotente, come ne parla il Concilio.

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    40. Caro Bruno,
      queste parole del Card. Biffi valgono senz’altro in quelle forme di dialogo che, per opportunismo o timidezza, cadono nella reticenza. Tuttavia non solo in politica, ma anche in teologia, il principio di san Giovanni XXIII di cercare innanzitutto ciò che ci unisce è di fondamentale importanza, anche se è solo un punto di partenza.
      L’errore di un certo falso ecumenismo e dialogo interreligioso sta nell’accontentarsi di questi punti comuni e nella rinuncia ad esortare il fratello alla correzione, scambiando l’errore di cui egli è vittima con una forma di diversità e così legittimando ciò che invece deve essere disapprovato e corretto.

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    41. Caro Bruno,
      riguardo a I, 200. Cominciamo con l’osservare che l’unica religione soprannaturale, cioè fondata da Dio, è la religione cristiana. Tutte le altre si pongono sul piano naturale. Tra queste è privilegiata la religione ebraica, perché profetizza la venuta della religione soprannaturale, che è quella cristiana.
      Per quanto riguarda le religioni non cristiane, stando all’insegnamento del decreto Nostra Aetate, bisogna fare una distinzione tra la religione ebraica e le altre. La religione ebraica è esente da errori e prepara quella cristiana. Le altre religioni contengono verità miste ad errori. In quanto contengono verità, sono utili per raggiungere la salvezza, ma hanno bisogno di essere completate.
      Coloro che in buona fede aderiscono a queste religioni, possono ugualmente salvarsi. Tuttavia compito del missionario cristiano è quello di condurre a Cristo anche i fedeli di queste religioni. La diversità di queste religioni, come ha detto Papa Francesco, è una cosa buona e voluta da Dio non riguardo ai contenuti, tra i quali ci sono alcuni che sono falsi, ma riguardo a diverse modalità di adorare Dio relative alle diverse spiritualità, ai modi di esprimersi, di pregare e all’arte sacra.

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    42. Caro Bruno,
      riguardo a I, 207. Il decreto Nostra Aetate insegna che anche i musulmani adorano l’unico vero Dio, senza però precisare che, tra gli attributi che assegnano a Dio, alcuni sono falsi. Stando così le cose il musulmano che assume gli attributi divini validi e adora Dio così concepito, supponendo che in buona fede non si renda conto degli errori, riceve certamente la grazia e acquista una fede cristiana implicita capace di salvarlo.

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    43. Caro Bruno,
      riguardo a I, 208. È vero che il Corano ci rimprovera di adorare tre Dei e quindi ci accusa di essere politeisti, in nome del monoteismo. Ma qui c’è un equivoco duro a morire che bisogna dissipare. Bisogna fare capire al musulmano che la distinzione in Dio tra Padre e Figlio non ha nulla a che vedere con una generazione di tipo sessuale, ma, come spiega San Giovanni, si tratta di un fatto spirituale, che suppone una nozione di persona come relazione sussistente, un concetto che lascia intatta l’unità divina.

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    44. Caro Bruno,
      riguardo a I, 209. Posso ammettere che nel Corano Abramo non sia presentato in quella maniera totalmente pura e veridica secondo la quale appare nella Bibbia, ma questo non toglie che, come dice il Concilio, “i musulmani cercano di sottomettersi a Dio come si è sottomesso Abramo, al quale la fede islamica volentieri si riferisce”.
      È chiaro che se un musulmano in buona fede non sa degli errori che il Corano contiene circa Abramo, viene ugualmente a conoscenza di Abramo come Padre della fede e quindi si trova sul cammino della salvezza.

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    45. Caro Bruno,
      riguardo a I, 210. Bisogna considerare due casi diversi: c’è il caso del musulmano che in buona fede non sa che noi raggiungiamo Dio per mezzo di Cristo, e questo qui si salva; e ci può essere il musulmano al quale è stato insegnato che senza Cristo non arriviamo al Padre e, nonostante gli abbiamo dimostrato questa cosa, egli non vuole credere. È chiaro allora che in questo secondo caso, egli, dimostrando una cattiva volontà, mette in pericolo la sua anima.

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    46. Caro Bruno,
      riguardo a I, 213. Dobbiamo ricordare che le verità presenti nelle altre religioni sono principi di salvezza, nonostante la presenza di errori. Se pertanto i fedeli di queste religioni accolgono quelle verità, senza rendersi conto degli errori, certamente la grazia li guida alla salvezza. Ciò tuttavia non toglie al missionario il dovere di avvertire il musulmano della presenza degli errori al fine di correggerli, giacchè è evidente che una religione come quella cristiana, che contiene la pienezza della verità, è sempre preferibile ad un’altra religione, che è infetta da qualche errore.

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    47. Caro Bruno,
      riguardo a I, 214. Osservo che, parlando di diversità di religioni, si possono intendere due cose: esiste una diversità legittima ed esiste una falsa diversità.
      Papa Francesco, quando fece le lodi della diversità delle religioni dicendo che sono tutte vie per arrivare a Dio e quindi in questo senso volute da Dio, non si riferiva affatto ai contenuti dottrinali delle religioni, ma, come ho spiegato molte volte nel mio blog, si riferiva semplicemente a modalità diverse del tutto accidentali rispetto ai contenuti dottrinali.
      Detto ciò, bisogna notare che esiste anche un falso concetto di diversità delle religioni, che nasce dall’indifferentismo religioso, il quale prende a pretesto la diversità per legittimare gli errori contenuti nelle altre religioni. Ma questa tesi, certamente ereticale perché nega il primato del Cristianesimo, fu completamente al di fuori delle intenzioni con le quali Papa Francesco parlò della diversità delle religioni.
      Per capire le parole del Papa è bene tener presente la premessa, dalla quale è partito. Egli giustamente condannò l’arroganza di chi pretende di imporre agli altri la propria religione, perché in questo modo l’interlocutore viene umiliato.

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    48. Caro Bruno,
      riguardo a I, 216. Il Concilio insegna che le religioni non cristiane contengono delle verità insieme con errori, mentre la pienezza della verità si trova soltanto nella religione cristiana. Quindi esso effettivamente stabilisce una graduatoria di perfezione, dove la massima si trova nel Cristianesimo, mentre anche nelle altre religioni ci sono gradi inferiori di verità.
      Il fatto che Cristo sia l’unico Salvatore non toglie affatto, secondo il Concilio, che nelle altre religioni e nelle stesse sapienze naturali della umanità vi siano stati personaggi notevoli, i quali, sia pur in mezzo ad errori, hanno indicato all’umanità una via verso Dio. Io penso per esempio a filosofi come Platone ed Aristotele in Grecia oppure i saggi della antica sapienza indiana.

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  3. Lei ha scritto:
    “Per quanto riguarda l’Antico Testamento, si parla sì di Dio come padre, del fatto che siamo suoi figli e dello spirito di Dio, ma si tratta di semplici metafore, che si trovano anche nelle altre religioni monoteistiche”.

    Riguardo l’attribuzione di paternità di Dio nei confronti dell’uomo, convengo con lei che si tratta di riferimenti metaforici, nei testi più antichi dell’Antico Testamento come:
    • “Riconosci dunque in cuor tuo che, come un uomo corregge il figlio, così il Signore, tuo Dio, corregge te” (Dt 8,5).
    • “Come è tenero un padre verso i figli,
    così il Signore è tenero verso quelli che lo temono” (Sal 103,13).

    Tuttavia, mi sembra che, progressivamente, come avviene spesso nella pedagogia divina della Sacra Scrittura, a partire dagli scritti profetici, i riferimenti alla paternità divina comincino ad essere più diretti.
    In Osea:
    “Quando Israele era fanciullo, io l'ho amato e dall'Egitto ho chiamato mio figlio” (Os 11,1ss).

    Ma ancor più in Isaia:
    • “Non forzarti all'insensibilità,
    perché tu sei nostro padre,
    poiché Abramo non ci riconosce
    e Israele non si ricorda di noi.
    Tu, Signore, sei nostro padre,
    da sempre ti chiami nostro redentore” (Is 63,15-16)
    • “Ma, Signore, tu sei nostro padre;
    noi siamo argilla e tu colui che ci plasma,
    tutti noi siamo opera delle tue mani” (Is 64,7).

    In questi versetti non c’è più la similitudine metaforica del tipo “come un padre... così...” / “come un uomo corregge il figlio, così...”, ma l’autore (o gli autori) del testo osano rivolgersi direttamente a Dio dicendogli apertamente “tu sei nostro padre”.
    Non crede, Padre Giovanni, che Isaia che profetizzò la passione di nostro Signore crocifisso, "annoverato tra i malfattori" (Is 53,12), potrebbe anche aver anticipato, pur in forma embrionale, la rivelazione che Gesù ci farà su Dio Padre?

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    1. Caro Bruno,
      io ritengo che la Rivelazione di Dio come Padre, nel senso della Persona del Padre, ci è data soltanto da Cristo, il quale si presenta come Figlio di Dio Padre, mentre ci rivela che noi possiamo essere suoi figli.
      L’Antico Testamento rivela sì Dio come persona, ma solo in senso ontologico, non nel senso trinitario. In altre parole Dio si manifesta come sostanza spirituale, dotata di intelletto e di volontà, rispetto alla quale le nostre persone sono da lui create ad immagine e somiglianza.
      Per questo sono d’accordo con lei che l’immagine veterotestamentaria della paternità divina non è solo una metafora o un paragone, ma è un vero attributo di Dio, sempre però del Dio Uno, nel senso che Dio è provvidente, giusto e misericordioso, ma non è ancora rivelata la personalità del Padre nel senso di persona divina, dalla quale procede il Figlio e lo Spirito Santo.
      Quanto ad Isaia 53, certamente c’è una profezia di Cristo Redentore, ma il testo isaiano non chiarisce qual è la personalità di questo Redentore, perché chi legge si domanda come fa questo “uomo dei dolori” ad offrirsi in sacrificio per i nostri peccati, così da salvare tutti noi? Potrà essere soltanto un uomo?

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