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Idealismo e castità - La superbia conduce alla lussuria

 

 

Idealismo e castità

La superbia conduce alla lussuria

 Molto fumo e poco arrosto

 È interessante come gli storici dell’idealismo tedesco che ha i suoi fondatori in Lutero e Cartesio e passa per Berkeley, Böhme, Kant, Fichte, Schelling, Hegel, fino ad Husserl, Gentile, Heidegger, Rahner, Severino e Bontadini, presentano i loro eroi come geni dello spirito, della coscienza, della libertà, dell’io trascendentale, del pensiero, araldi della verità, maestri della scienza rigorosa, di dialettica e dell’acume critico, filosofi dell’identità, della certezza, dell’universale, dell’assoluto e dell’infinito, rivelazioni e apparizioni di Dio, dell’essere e dell’eterno e sorvolano sistematicamente sulle vicende della loro condotta morale con particolare riferimento alla loro considerazione della castità e soprattutto alle conseguenze pratiche dei loro princìpi riguardo alla pratica della castità.

L’idealismo tedesco è distinto da quello platonico, abbracciato dai Padri della Chiesa e da Sant’Agostino ed apprezzato con riserva da San Tommaso. Infatti nell’idealismo platonico l’idea è visione interiore e rivelazione beata della verità divina, al di là delle vane, fuggevoli ed ingannevoli apparenze e delle opinioni, è modello, paradigma, esemplare divino, assoluto trascendente, spirituale ed immutabile, regola e fine del nostro essere, pensare ed agire. Accogliere ed accettare l’ideale nella nostra vita è segno di umiltà, sincerità e saggezza, sorgente di salvezza, di perfezione, di libertà e di felicità.

Il problema dell’idealismo platonico è il fatto di restare bloccati in un dualismo materia-spirito e quindi spirito-sesso, dal quale non riesce a venir fuori, per cui per salvare e liberare lo spirito si reputa costretto a rifiutare il corpo e il sesso. Ma ciò è evidentemente contrario al destino dell’uomo voluto da Dio, creatore tanto dello spirito quanto del sesso, tanto dell’uomo quanto della donna, la cui felicità finale sta nella loro per ora misteriosa unione anima e corpo nella futura resurrezione gloriosa.

Tommaso è ben lontano da ignorare che di fatto, a seguito del peccato originale, l’uomo, all’occasione, deve saper rinunciare alla carne per salvare lo spirito, e tuttavia Tommaso non accetta assolutamente l’opposizione dualistica platonica anima-corpo, che richiede addirittura l’abbandono del corpo per salvare l’anima, ma sceglie invece la concezione aristotelica, conforme all’antropologia biblica,  dell’anima forma sostanziale del corpo, dottrina che sarà dogmatizzata dalla Chiesa nel Concilio di Vienne del 1312. Egli sa bene che volontà di Dio per l’uomo animale ragionevole è la congiunzione della felicità spirituale con la felicità sessuale.

L’idealista tedesco, dal canto suo, con la sua preoccupazione del «concreto», del «sentimento», della «storicità» e del «divenire» sembrerebbe a tutta prima conciliare spirito e sesso, ma in realtà, siccome anche lui li oppone alla maniera di Platone, casca nella falsa soluzione di confonderli anziché unirli dopo averli distinti.

E così il sublime genio idealista che inizia dall’Assoluto e spazia negli orizzonti infiniti dell’Essere e dell’Assoluto, quando scende dall’apriori all’aposteriori, dal trascendentale al categoriale empirico, mostra a nudo e fa toccare con mano nella sua miserabile meschinità tutta la vuotaggine illusoria delle sue altissime speculazioni sull’essere, sull’assoluto, sull’eterno, sull’io puro, sull’autocoscienza, sull’infinito, sul pensiero e via discorrendo.

Ma tutto ciò dipende dal fatto che l’idealista tedesco, nonostante le sue roboanti affermazioni, non ha in realtà affatto l’idea del puro spirito, ma per lui lo spirito non è in fin dei conti, per sua stessa dichiarazione, altro che lo «spirito del mondo». Non è, per usare il linguaggio di San Paolo, altro che il «dio di questo mondo», un «dio», che, «senza il mondo», per dirla con Hegel, «non è Dio».

Invece per l’idealista tedesco l’idea soggettiva, come in Lutero (che chiama «parola di Dio») e in Cartesio (la cosiddetta «idea innata»), non si fonda su di una visione oggettiva del trascendente spirituale, ma è l’effetto di un ripiegamento dubitante, narcisistico e compiaciuto dell’io su sé stesso.

L’idea non è, come in Platone, proposta da Dio all’uomo come regola assoluta della verità e della sua condotta, come intendevano i Padri della Chiesa e Sant’Agostino, ma è «apriori», cioè posta dall’io stesso che pensa sé stesso e così fa di sé stesso sorgente originaria della verità. L’io non mira più all’oggetto, ma a sé stesso. È quella che Rahner chiama «svolta al soggetto», che sarebbe il carattere della «filosofia moderna» e Kant chiama «rivoluzione copernicana»

Ora vorrei osservare che a parte l’aperto disprezzo per la castità in Lutero, la non edificante vita in merito di un Cartesio di uno Schelling o di un Rahner, non voglio dire che tanti di essi non abbiano avuto in merito una condotta decente e dignitosa, che non abbiano saputo dominare le passioni, forse anche fino al rigorismo o alla sessuofobia, pensiamo per esempio ad un Kant o ad un Husserl.

Ma se è avvenuto ciò, ciò non è accaduto grazie all’applicazione dei loro princìpi morali, ma perché sono stati trattenuti da ragioni di convenienza o per un residuo di coscienza morale.

Ché se invece avessero nella loro condotta applicato fino in fondo le loro idee, che confondono il pensiero con l’essere, l’essere con l’agire,  lo spirito con la materia,  il senso con l’intelletto, la volontà con la passione, Dio con l’uomo, si sarebbero permessi qualunque forma di prevaricazione, trasgressione e dissolutezza a causa della confusione fra essere ed apparire, dell’idea del  divenire di Dio e dell’infinità dell’uomo, del loro relativismo ed evoluzionismo morale, dell’identità del sapere umano con quello divino, della libertà umana con quella divina, della natura umana con la natura divina,  e dell’io trascendentale o dell’esperienza atematica. 

La vera spiritualità è la conciliazione dello spirito col sesso

La vera spiritualità e la vera nostra grandezza e per conseguenza la vera affermazione della dignità dell’uomo, dei valori morali e della santità, e quindi la salvezza eterna si raggiungono con l’osservanza coscienziosa e fedele dei divini comandamenti, soccorsi dal dono della grazia, riconoscendoci creati da Dio a sua immagine e somiglianza, nella pratica dell’ascesi e della penitenza, docili alle ispirazioni dello Spirito, in comunione con la Chiesa cattolica, con l’umile consapevolezza dei limiti della natura umana e in particolare della nostra animalità e la necessità pertanto che abbiamo di trarre le nostre idee, anche le più elevate, da un’adeguata e intelligente elaborazione di ciò che ci danno i sensi, governando le passioni con la buona volontà, comprendendo la dignità della distinzione e congiunzione tra uomo e donna voluta da Dio, realizzata nell’eden, perduta col peccato, riconquistata con la grazia di Cristo mediante il sacrificio e l’astinenza, pregustata come primizia dello Spirito nella vita presente, destinata a pienezza nella futura vita  della risurrezione gloriosa.

Il superbo o colui che si crede superintelligente gingillandosi con le proprie autoincensazioni è punito da Dio con la stoltezza e la cecità mentale, invaghitosi delle proprie smisurate pretese e considerandosi infinitamente al di sopra della comune massa dei mortali.

L’idealista tedesco, come dimostrano le applicazioni storiche e individuali della sua etica, finisce per immergere lo spirito umano nel turbine delle più basse passioni. San Paolo direbbe: «comincia con lo spirito e finisce nella carne», anziché vincere la ribellione della carne con l’assoggettare la carne allo spirito.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 29 luglio 2024

Tommaso è ben lontano da ignorare che di fatto, a seguito del peccato originale, l’uomo, all’occasione, deve saper rinunciare alla carne per salvare lo spirito, e tuttavia Tommaso non accetta assolutamente l’opposizione dualistica platonica anima-corpo, che richiede addirittura l’abbandono del corpo per salvare l’anima, ma sceglie invece la concezione aristotelica, conforme all’antropologia biblica, dell’anima forma sostanziale del corpo, dottrina che sarà dogmatizzata dalla Chiesa nel Concilio di Vienne del 1312. Egli sa bene che volontà di Dio per l’uomo animale ragionevole è la congiunzione della felicità spirituale con la felicità sessuale.

L’idealista tedesco, nonostante le sue roboanti affermazioni, non ha in realtà affatto l’idea del puro spirito, ma per lui lo spirito non è in fin dei conti, per sua stessa dichiarazione, altro che lo «spirito del mondo». Non è, per usare il linguaggio di San Paolo, altro che il «dio di questo mondo», un «dio», che, «senza il mondo», per dirla con Hegel, «non è Dio».

La vera spiritualità e la vera nostra grandezza, e per conseguenza la vera affermazione della dignità dell’uomo, si raggiungono con l’umile consapevolezza dei limiti della natura umana e in particolare della nostra animalità 

e la necessità pertanto che abbiamo di trarre le nostre idee, anche le più elevate, da un’adeguata e intelligente elaborazione di ciò che ci danno i sensi, governando le passioni con la buona volontà, comprendendo la dignità della distinzione e congiunzione tra uomo e donna voluta da Dio, realizzata nell’eden, perduta col peccato, riconquistata con la grazia di Cristo mediante il sacrificio e l’astinenza, pregustata come primizia dello Spirito nella vita presente, destinata a pienezza nella futura vita  della risurrezione gloriosa.

Immagine da Internet: Resurrezione dei morti, Victor Mottez

4 commenti:

  1. Caro padre Cavalcoli,
    la sua affermazione:

    "Invece per l’idealista tedesco l’idea soggettiva, come in Lutero (che chiama «parola di Dio») e in Cartesio (la cosiddetta «idea innata»), non si fonda su di una visione oggettiva del trascendente spirituale, ma è l’effetto di un ripiegamento dubitante, narcisistico e compiaciuto dell’io su sé stesso."

    mi ha fatto pensare... certo il fatto che esista una sorta di "gnosticismo" (per dirlo con papa Francesco), cioè di "idealismo", non solo nel modernismo ma anche nell'indietrismo lefebvriano... non si potrebbe dire che "l'idea soggettiva, come in Lutero (che chiama 'parola di Dio') e in Cartesio (la cosiddetta 'idea innata')", non sia anche "la Tradizione", per Lefebvre?

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    1. E il suo penultimo passaggio mi fa pensare anche ai farisei del tempo di Gesù, e a quelli di oggi, in particolare ai lefebvriani:

      "Il superbo o colui che si crede superintelligente gingillandosi con le proprie autoincensazioni è punito da Dio con la stoltezza e la cecità mentale, invaghitosi delle proprie smisurate pretese e considerandosi infinitamente al di sopra della comune massa dei mortali."

      Lo detto: gnosticismo.

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    2. Caro Dino,
      sono pienamente d’accordo nel rintracciare una tendenza gnostica anche nel tradizionalismo filolefevriano, perché qui abbiamo la caratteristica pretesa gnostica di conoscere la verità teologica meglio del Papa o addirittura di Gesù Cristo.
      Per questo questi tradizionalisti si permettono di giudicare il Papa alla luce di una “tradizione”, che non è la Tradizione interpretata dal Papa, ma è una loro interpretazione della Tradizione, in base alla quale si permettono di accusare il Papa o il Concilio Vaticano II di tradire la Tradizione.

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    3. Caro Dino,
      certamente i farisei dell’epoca di Cristo, i quali del resto in Israele esistono ancora, si possono considerare degli gnostici, sempre usando il criterio che ho esposto, cioè la pretesa di conoscere Cristo e Dio meglio della Chiesa Cattolica o della Sacra Scrittura o della Sacra Tradizione.

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