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Il cristianesimo insipido - Seconda Parte (2/2)

 

Il cristianesimo insipido

Seconda Parte (2/2)

Come ha fatto il Medioevo a edificare l’Europa cristiana?

Come è riuscito il Medioevo a creare l’Europa cristiana dal Portogallo alla Russia? E com’è che a partire dal sec. XIV l’Europa cristiana ha cominciato a decadere e a disgregarsi? L’esperienza cristiana è fallita? Ha deluso l’Europa? Essa ha trovato qualcosa di meglio? L’Unione Europea guidata dalla Von der Leyen? La massoneria?

Certo nel frattempo la Chiesa non ha cessato di progredire e nuovi paesi del mondo hanno accolto il cristianesimo. Tuttavia resta il fatto che occorre rimediare all’attuale decadenza dell’Europa cristiana, per cui bisogna che l’Europa scopra il modo per ritrovare la strada di casa prima che sia troppo tardi. Il Concilio ha svolto questo servizio all’Europa, alla Chiesa e all’umanità.

Chiediamoci però: ma come mai l’Europa cristiana tra il sec. XIV e il XVII, dopo lo splendore della cristianità medioevale dei secc. XI-XIII, ha gradualmente perso la fede? Che cosa è successo? Le è capitata la disgrazia di Cartesio, il quale, convinto (?) di essere «cattolico», ha dato la base filosofica al fideismo soggettivista di Lutero, precorso dal volontarismo di Ockham. Non bastava Lutero: ci voleva anche Cartesio?[1]

Da qui, l’Europa, che già  a cominciare dal pur splendido Rinascimento italiano era entrata in crisi, iniziò con Cartesio un cammino sempre più deciso ed accentuato  di abbandono della fede, che gradualmente l’ha fatta ritornare, sotto la strombazzata etichetta della «filosofia moderna», al soggettivismo scettico e relativista di Protagora, basato sulla negazione del principio di non-contraddizione, che Aristotele con tanta acribia aveva confutato, per cui non c’è da meravigliarsi che si siano oggi oscurati il concetti della verità, del sapere, della morale e della realtà e per conseguenza i concetti dell’uomo e di Dio.

Con Cartesio la verità non è più effetto dell’intelletto ma della volontà. La verità coincide con la libertà.  L’amare non segue al sapere ma coincide con l’amare. La prassi non è l’applicazione del vero ma la sorgente del vero. Vale il detto sit pro ratione voluntas, il motto di tutte le violenze, i totalitarismi e le tirannidi.

Ma allora, se la verità non sta più nell’adeguazione del pensiero all’essere, non c’è più obbligo di affermare il vero e di evitare il falso, ma tutto diventa vero e falso a seconda del volere del soggetto e delle circostanze. Non c’è da meravigliarsi se Heidegger al seguito di Hölderlin e Dugin al seguito di Heidegger, facciano l’apologia del caos.

Come fare per riportare l’Europa alla fede?

Una questione sulla quale oggi occorre far chiarezza è il concetto di Europa. Su quale concetto di Europa si basa l’attuale Unione Europea? Che idee stanno alla base di un’Unione Europea che ha rifiutato la proposta di San Giovanni Paolo II di citare nella sua Costituzione le sue radici di cristiane e nel contempo considera l’aborto, la sodomia e l’eutanasia come diritti?

Che tipo di veleno è entrato nella coscienza degli Europei, così da aver distrutto quella coscienza del diritto naturale, dello jus gentium che è stato il vanto della Romanità che ha diffuso la sua sapienza giuridica in tutto il mondo civile e che ha costruito la civiltà mondiale?

Quale tipo di barbarie sta risorgendo dai caotici meandri del paganesimo precristiano? Quali speranze ha un’«Europa» del genere di porsi dignitosamente e autorevolmente nel contesto della comunità internazionale, un’Europa che si sta degradando al livello delle tribù del Congo o della Terra del Fuoco o degli aborigeni dell’Australia?  

E perchè un’alleanza militare che raccolga l’Europa dell’Ovest contro quella dell’Est? Che senso ha? L’Europa non va dal Portogallo agli Urali? Il cristianesimo non è presente tanto all’Ovest che all’Est? Allora su quali basi ideali si fonda l’Unione Europea? Che concetto ha del diritto? Da dove l’ha preso? Dallo sciamanismo? Dai culti dionisiaci? Dalla teosofia? Dalla mitologia germanica? Da Federico Nietzsche?

Non è paradossale che proprio l’Europa, dove si trova da duemila anni il centro diffusore e direttivo del cristianesimo mondiale (Roma), la luce che illumina tutto il mondo, proprio lei sia diventata una sentina di vizi, una fabbrica di scismi, di empietà e di immoralità? Il Concilio di Trento è stato forse troppo severo nei confronti del mondo moderno? Può essere. Ma questo non è un buon motivo per gettarlo nella spazzatura come fanno i modernisti.

Chi oggi fa filosofia seriamente? Aristotele si chiedeva: che cosa è l’ente? Ma oggi a chi interessa la metafisica? La questione dell’essere sollevata da Heidegger e Severino a chi interessa? A chi interessa il confronto che Padre Fabro ha fatto tra l’essere di San Tommaso e quello di Heidegger? Tutto ciò riguarda il problema dell’essenza del Dio biblico?

Tutto è uno come pensava Parmenide oppure esiste una molteplicità di enti ognuno diverso dall’altro? Il divenire è contradditorio e impossibile come credeva Parmenide oppure ha anch’esso una sua identità come afferma Aristotele? Oppure è reale proprio perché contradditorio, come credeva Hegel?

Se l’essere coincide col non-essere o col nulla come pensa Hegel e il divenire coincide con l’essere come crede Eraclito, come meravigliarsi se la notte avanza e la luce scompare, come stupirsi del trionfo del nichilismo sull’affermazione dell’essere? Questo è il risultato del rifiuto cartesiano della metafisica, sostituita dalla falsa metafisica del cogito, che, come ha dimostrato Fabro, ci conduce all’ateismo e all’insensatezza.

Chi oggi fa teologia seriamente? Ragioniamo con la ragione o col basso ventre? San Tommaso si domandava: chi è Dio? Siamo post-teisti o ultrateisti? Sappiamo distinguere lo sciamanesimo dallo Spirito Santo? A chi interessa sapere qual è il nome di Dio? Sappiamo distinguere Dio dal diavolo?

A chi oggi interessa fissare in modo rigoroso gli attributi divini come fece San Tommaso? A chi interessano i dogmi teologici? Ci ricordiamo ancora di quel Comandamento che dice: Non nominare il nome di Dio invano? Conosciamo la distinzione fra la mistica e la mastica?

A chi interessa oggi il linguaggio limpido ed onesto del sì, sì, no, no? Ricordiamo che lo spirito della contraddizione è lo spirito del demonio; l’obbedienza al reale viene dallo Spirito Santo. Cristo, come osserva San Paolo, non ha detto sì e no, ma in Lui c’è solo il sì.  Come mai siamo così portati alla doppiezza, all’astuzia, al doppio senso, all’ambiguità, all’opportunismo? Abbiamo una dirittura morale o siamo canne sbattute dal vento? Stiamo costruendo sulla roccia o sulla sabbia?

A chi oggi interessa seriamente il problema della verità? Perchè si preferisce la confusione alla chiarezza se non perché si odia la verità? Che cosa c’entrano il mistero e la mistica col buio dove non si capisce niente e dove non si vede niente?

Perché Heidegger respinge la definizione della verità come adeguazione del pensiero all’essere e Bontadini dice che il pensiero è intrascendibile, se non perché vogliono che sia l’uomo e non Dio ad essere la regola dell’essere?

Nel buio abbiamo bisogno di luce. Infatti nel buio non vediamo niente. Occorre una fiaccola che faccia luce. Il cristiano è questa fiaccola. La cecità ci è insopportabile.

Come mai la certezza è considerata violenza e la doppiezza è oggetto di ammirazione? Perché l’affermazione è considerata dogmatismo e l’ambiguità attira l’interesse? Non sarà che si preferiscono le tenebre alla luce? E perché questo? Non è forse perché non si vuole che le proprie opere vengano alla luce?

«Quale unione c’è tra la luce e le tenebre?» (II Cor 6,14). Bisogna scegliere. Non possiamo servire due padroni. È gravissimo peccato opporsi all’evidenza, alla verità conosciuta. Pare che oggi si stia realizzando la profezia di Gioele, per cui il sole si sta cambiando in tenebra (Gl 3,4). Forse Nietzsche intendeva questo quando ha parlato della «morte di Dio»? O lo ha detto per sghignazzarci su?

Interessano ancora le cose del cielo? San Paolo, dal canto suo ci invita a fissare lo sguardo sulle cose invisibili (II Cor 4,18) e a cercare le cose di lassù, non quelle della terra. E Cristo: cercate anzitutto il regno di Dio. E il Salmista: come la cerva anela ai corsi d’acqua, così la mia anima anela a te, o Dio.

Siamo veramente interessati alla pace? Che cosa ha inteso dire Cristo quando ha detto che non è venuto a portare la pace, ma una spada? Che cosa significa che Cristo è segno di contraddizione? Che il cristiano è un combattente e ad un tempo un pacificatore. Non è divisivo, non semina discordia, non fomenta odio e ribellioni, come il demonio. Distingue l’anima dallo spirito, non per contrapporli, ma per unirli; se provvisoriamente rinuncia alla carne per salvare lo spirito, lo fa in vista del dominio dello spirito e della sua unione con la carne.

La corruzione del concetto di Dio

Bisogna tornare al vero concetto di Dio che era comune nella cristianità medioevale, abbandonando tutte le fantasie volgari, panteiste, pseudomistiche, pseudobibliche, occultiste, gnostiche, eterodosse e pagane.

Il vero «oblio dell’essere» non è l’aver dimenticato l’essere parmenideo denunciato con grande apprensione da Heidegger, Severino e Bontadini. Tutto sommato non è un gran guaio ed anzi è un bene. Il vero, tragico oblio dell’essere, che ha condotto alle due guerre mondiali e minaccia una terza (ed ultima), è l’aver dimenticato l’esse tomistico, giacchè è questo l’esse che ci serve per concepire correttamente Dio, il Dio BIBLICO di Es.3,14.

Certamente chi ha il gusto infetto non può gustare il buon cibo. Alla persona insipida piacciono le cose insipide.  Voi potete offrire un cibo saporitissimo, ma se il tizio ha il gusto guasto, state sicuri che del vostro cibo non sa che farsene. La metafisica è la scienza umana più sublime, quella che maggiormente avvicina a Dio. Ma al materialista, al positivista, all’empirista, all’uomo volgare e carnale essa non dice niente.

Per questo la proposta cristiana di un cibo saporito non garantisce un successo universale. Alcuni, come gli scarabei stercorari preferiscono cibarsi di escrementi. Che cosa potete farci? Dio li lascia liberi di scegliere.

Per questo Gesù Cristo da una parte è il maestro premuroso e misericordioso, nei confronti di coloro che, pentiti dei loro peccati, vogliono gustare il buon cibo, ma dall’altra parte è il cavaliere dell’Apocalisse, che non scherza, ma è quel cavaliere che combatte con giustizia, dalla cui bocca «esce una spada affilata per colpire con essa le genti» (Ap 19,15), ossia nei confronti dei ribelli e dei superbi.

Per questo, quando Mons. Fisichella dichiara che dobbiamo «sperare per tutti», vorrei chiedergli: sperare che cosa? Che accolgano Cristo? Tutti buoni? Tutti pentiti? Tutti a chiedere misericordia? Tutti salvi? E gli atei? E i panteisti? E gli idolatri? E i terroristi? E i puttanieri? Tutti in paradiso?

Le parole dell’Apocalisse confortano le speranze di Mons. Fisichella? O vogliamo essere più misericordiosi di Nostro Signore? Accogliamo la bontà di Dio non come la vorremmo noi, ma come è in sé stessa e realizzeremo il vero amore, troveremo la salvezza, la vera pace e la vera beatitudine per noi e per gli altri.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 13 luglio 2024


Una questione sulla quale oggi occorre far chiarezza è il concetto di Europa. Su quale concetto di Europa si basa l’attuale Unione Europea? Che idee stanno alla base di un’Unione Europea che ha rifiutato la proposta di San Giovanni Paolo II di citare nella sua Costituzione le sue radici di cristiane e nel contempo considera l’aborto, la sodomia e l’eutanasia come diritti?

Nel buio abbiamo bisogno di luce. Infatti nel buio non vediamo niente. Occorre una fiaccola che faccia luce. Il cristiano è questa fiaccola. La cecità ci è insopportabile.

Per questo Gesù Cristo da una parte è il maestro premuroso e misericordioso, nei confronti di coloro che, pentiti dei loro peccati, vogliono gustare il buon cibo, ma dall’altra parte è il cavaliere dell’Apocalisse, che non scherza, ma è quel cavaliere che combatte con giustizia, dalla cui bocca «esce una spada affilata per colpire con essa le genti» (Ap 19,15), ossia nei confronti dei ribelli e dei superbi.

 Immagini da Internet: San Pietro, Roma



[1] Vedi J. Maritain, Tre riformatori. Lutero Cartesio Rousseau, Morcelliana, Brescia 1964.

6 commenti:

  1. Grazie Padre Cavalcoli. Non solo per questo suo ennesimo testo di alto valore, ma anche per tutto il suo lavoro paziente, preciso, onesto, sincero, sintetico, premuroso, rispettoso verso tutti. Per noi che leggiamo il suo blog é molto prezioso.

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    1. Caro Alessandro,
      la ringrazio per queste sue parole per me incoraggianti, che mi stimolano a proseguire nella mia missione di Domenicano, di annunziatore del Vangelo e di aiuto ai Fratelli nelle difficoltà, nelle sofferenze, nei dubbi e nella ricerca della verità.

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  2. Caro padre Cavalcoli, nella riflessione che lei sviluppa sotto il titolo: "Come fare per riportare l’Europa alla fede?", se non sembra rispondere alla domanda posta, capisco che la risposta che lei ci vuole offrire è che: l'Europa ha bisogno di tornare alla vera metafisica. Quindi, perché l'Europa torni alla fede, occorre prima un lavoro di preambula fidei, opera della ragione.
    Mi sbaglio o no?

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    1. Caro Dino,
      è esattamente quello che penso.
      A partire da Cartesio l’Europa si è illusa di inaugurare l’era della ragione e della libertà, non fondata sul contatto con la realtà, ma sull’autocoscienza, una linea che assomiglia a quella di Lutero, con la differenza che Lutero soggettivizzava la fede, mentre Cartesio soggettivizzava la ragione. La conclusione di questa avventura sono state le due guerre mondiali e oggi, che stentiamo ancora a tornare sulla retta via, rischiamo la terza e ultima guerra mondiale.
      Dall’unione di questi due soggettivismi nacque l’idealismo tedesco, che è penetrato nella Chiesa Cattolica sotto forma di modernismo. Che fare, allora? Occorre, come ci indicano il Concilio Vaticano II e Papa Francesco, tornare a San Tommaso, ma arricchendone il pensiero mediante un vaglio critico della modernità, assumendo, alla luce dell’Aquinate, il positivo e rifiutando il negativo. In tal modo compiamo un lavoro simile a quello che fece Giovanni Battista: prepariamo le vie del Signore.

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  3. Gentile Padre,

    Mi unisco al grazie degli altri lettori. La sua voce, vox clamans in deserto, magari non sarà ascoltata dai grandi del secolo o della Chiesa, ma mi/ci riempie di speranza. E a proposito di speranza, visto che lei fa un riferimento al libro di Mons. Fisichella in preparazione al Giubileo 2025, su un sito vaticano leggo che "le vicende di questi anni e di questi mesi recenti sembrano obbligare la Chiesa a tenere fisso lo sguardo sulla virtù della speranza, fondamento della vita cristiana insieme alle altre due virtù teologali - la fede e la carità -, che richiama tutti a essere responsabili costruttori di un mondo migliore". Ammetto di essere deluso e confuso nel vedere sistematicamente il termine speranza associato ad attese intramondane (per quanto nobili esse siano) e non trascendenti. È vero o non è vero che l'oggetto formale della speranza teologale sono quei beni eterni, invisibili e desiderabilissimi che la fede ci comanda di credere e che Dio ha preparato per coloro che lo amano? Possibile che nessuno parli mai della speranza delle cose di lassù, delle quali sole l'Apostolo ci dice di occuparci? Possibile che la stella polare di un Giubileo della Chiesa Cattolica sia il desiderio di un mondo migliore? Forse che anche senza fame e guerra non ci sarà ancora la concupiscenza a distruggere la anime e a trascinarle all'Inferno? Perdoni la serie di domande retoriche, a cui non pretendo dia una risposta. Mi unisco a lei nella perplessità per questa speranza vagamente universalistica che si cita con la stessa facilità di uno slogan senza che nessuno prenda la pena di spiegare al povero popolo cristiano che cosa debba sperare...

    Suo in Cristo,

    Pietro

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    1. Caro Pietro,
      è vero che il contenuto proprio della speranza cristiana è un contenuto sovramondano e celeste, ma essa possiede anche un contenuto umano basato sulle forze positive dell’uomo. Lo stesso Vangelo incoraggia gli uomini, nonostante le loro debolezze, a sperare nelle loro stesse forze umane, che vengono soccorse dalla grazia.
      Per questo non è sbagliato sperare che si risolva il problema dell’immigrazione o della giustizia sociale o dell’ecologia o dell’ecumenismo e della pace tra le Nazioni.
      Nell’ambito della stessa vita sessuale, l’etica sessuale che ci ha insegnato San Giovanni Paolo II, senza che essa ignori il persistere della concupiscenza, ci insegna a trovare una conciliazione tra sesso e spirito, che un tempo era più difficile a causa della effettiva opposizione tra carne e spirito. La stessa promozione della dignità femminile ci rende oggi più sereni nel campo sella sessualità.
      Per quanto riguarda i contenuti soprannaturali della virtù teologale della speranza, essi devono essere rintracciati in ciò che la fede ci dice sulla realizzazione finale del piano di Dio sull’umanità. A questo proposito c’è il rischio di concepire la speranza alla maniera di Von Balthasar, ossia uno sperare per tutti, che esclude l’esistenza dei dannati. Ma non è questa la vera speranza cristiana. Come ho già detto, il suo oggetto proprio non è la salvezza degli altri, ma la mia propria salvezza, perché io non posso essere responsabile degli altri.
      Certo, nessuno mi impedisce di sperare anche per parenti o amici non credenti; però è chiaro che in fin dei conti saranno loro a fare la loro scelta e Dio stesso li lascia liberi in questo senso.

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