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Testi di P. Tomas Tyn, OP

Il Servo di Dio Padre Tomas Tyn - Un conservatore progressista

 

Il Servo di Dio Padre Tomas Tyn

Un conservatore progressista

 La vigna del Signore invasa dalle bestie

 

La devasta il cinghiale del bosco

E se ne pasce l’animale selvatico

Sal 80,14

 

Prima del Concilio Vaticano II la Chiesa era troppo chiusa nei confronti del mondo. Adesso una falsa interpretazione del Concilio l’ha resa troppo aperta.  Come una casa senza recinzioni, senza porte e senza difese, entrano i ladri e le bestie e gli inquilini si sentono a disagio e in pericolo. Si è formata una classe di prepotenti autonominatisi araldi del Concilio ma in realtà falsificatori, che nella Chiesa vogliono far da padroni intralciando, manipolando, strumentalizzando e limitando lo stesso potere del Papa.

È quella che è stata chiamata la «dittatura del relativismo». Padre Tomas Tyn nacque in Boemia, dove la Chiesa era allora oppressa dal comunismo. Egli offrì la sua vita per la liberazione della Patria da questo regime anticristiano e ottenne la grazia, e il Signore accolse il suo sacrificio, perché morì nel 1990 proprio in concomitanza con lo scioglimento dell’Unione Sovietica.

Venutisi a sapere dell’eroico gesto, Padre Tomas a tutta prima acquistò in patria la fama di eroe nazionale. E nel 2006 fu avviato addirittura un processo di beatificazione che giunse ad ottenergli da Roma il titolo di Servo di Dio. Ma poi in seguito i comunisti, alleati dei modernisti, si accorsero allarmati di quanto pericolosa era per loro la diffusione del culto a Padre Tomas e nel 2012 fermarono il processo.

Ma non sono riusciti e non riusciranno a spegnere la voce e la fama di questo uomo di Dio, che continua a risuonare nella Chiesa e a diffondersi laddove nella Chiesa esistono cattolici convinti, normali ed equilibrati, non faziosi, non partigiani, aperti a una legittima scelta o tradizionalista o progressista, non però al tradizionalismo scismatico dei lefevriani, né al falso progressismo dei modernisti.

Padre Tomas, con la sua dottrina e la sua vita ci insegna come uscire dal tragico vicolo cieco nel quale ci siamo cacciati con lo sterile e deleterio conflitto fra passatisti e modernisti, per una vera attuazione del Concilio, dove ogni cattolico sia libero di optare o per una maggiore attenzione alla tradizione o per una maggiore attenzione al progresso nella piena comunione col Papa e con la Chiesa.

Un problema fondamentale della Chiesa di oggi è infatti come mettere d’accordo conservazione del deposito della fede e progresso nella conoscenza di fede. Esistono all’interno della Chiesa due partiti estremisti, l’uno contro l’altro armato, che si insultano o si ignorano a vicenda, entrambi con la pretesa di rappresentare la vera Chiesa accusando il partito opposto o di essere una falsa Chiesa o di essere una Chiesa superata.

In una situazione ecclesiale nella quale tutti hanno sulla bocca il dialogo, abbiamo qui un drammatico problema di dialogo intraecclesiale. In un momento in cui viene esaltata la sinodalità, mai la Chiesa è stata così divisa al suo interno. In un periodo nel quale si esalta l’ecumenismo, non ci si accorge che i fratelli separati, ancor prima che i protestanti e gli ortodossi (anzi non più considerati separati) sono i cattolici della parrocchia accanto o dell’associazione cattolica di nostro figlio o del nostro vicino.

Sono evidenti in entrambi i partiti la mancanza di carità, la mancata percezione del bene comune della Chiesa, la disobbedienza al magistero della Chiesa, la spocchia, il disprezzo e la derisione reciproci, l’ambizione di presentarsi come modelli di cattolici, l’ignoranza sul vero essere cattolico, l’insensibilità alle critiche dell’altro, la sete di dominio sull’altro, l’incapacità di riconoscere i propri torti,  di un ascolto reciproco e di apprezzare i valori dell’altro.

In questa situazione simile a quella di una bolgia dell’Inferno dantesco, dove gli schiamazzi si incrociano con gli schiamazzi, si sentono grida di disperazione, richieste di aiuto disatteso, volano le bestemmie, la carne soffoca lo spirito, il demonio tormenta o inganna le coscienze, e i pastori stanno a guardare, emerge, tra le altre,  la splendida e consolante figura del Servo di Dio Padre Tomas Tyn, grande figlio di San Domenico e di San Tommaso, erede fedele  della tradizione dell’Ordine, tutto dedicato al servizio del Vangelo, alla salvezza delle anime, alla diffusione della fede, alla difesa della verità, all’incremento della carità, alla promozione del Regno di Dio, alla pacificazione delle divisioni, alla crescita e al progresso della Chiesa.

Conservazione e progresso sono fatti per stare assieme perché sono le due leggi fondamentali ed essenziali della vita a qualunque livello del creato. Solo la vita divina, perfezione assoluta della vita, non ha bisogno di progredire o migliorare e tanto meno correggersi, perché è pura conservazione di se stessa, perché è bene infinito e il bene non ha altro bisogno che di essere conservato, praticato e affermato.

Non bisogna confondere il conservare col conservatorismo, il progresso con la sovversione, la rigidità con la fermezza, l’ammodernamento col modernismo, il rinnovamento col tradimento, la riforma con la deformazione.

Bisogna osservare inoltre a proposito della situazione attuale che le categorie «destra»-«sinistra», sempre di largo uso in politica,  possono benissimo essere del tutto innocue, e non è neppur proibito usarle con cautela per designare certe correnti ecclesiali, purchè non le si trasformi in criterio di giudizio su ciò che va amato e ciò che va odiato, purchè cioè non se ne faccia il principio di un’opposizione fra il bene e il male, ma le si riservi ad istanze politiche opinabili, lasciate alla libera scelta, accentuazioni diverse dell’azione politica entrambe legittime e accettabili nell’orizzonte della democrazia e del bene comune, all’interno della normale dialettica della convivenza civile.  

Sul concetto di rivoluzione

 

Trasformatevi rinnovando la vostra mente

Rm 12,3

Nel dibattito su conservazione e progresso c’è chi fa entrare il concetto di rivoluzione. Il progresso è una rivoluzione? Se per rivoluzione intendiamo profonda trasformazione, possiamo dire che Cristo ci chiede di operare nella nostra vita una rivoluzione, nel senso di un profondo mutamento o cambiamento di condotta e di orientamento della nostra vita: dalla soggezione al peccato alla soggezione alla giustizia; dalla soggezione a Satana alla soggezione a Dio; dall’uomo vecchio all’uomo nuovo. È quella che tradizionalmente si chiama conversione e San Paolo chiama metànoia.

Ma la parola «rivoluzione» non è del tutto libera da richiami o accenti che al cristiano non possono essere di gradimento, come quella di sedizione, insurrezione, violenza, disordine. Per questo il cristiano non la può non usare con cautela e una certa diffidenza, benchè in certi contesti possa avere un significato innocente, come quando per esempio si parla di «rivoluzione» nel campo della tecnica o dell’arte o del costume.

Padre Tomas sentiva particolare ripugnanza per la rivoluzione francese, faticava alquanto a vedervi qualche traccia di cristianesimo e di vera umanità, al di là della famosa triade che ha un’indubbia immediata risonanza evangelica, che tanti gli spiriti onesti, ma ingenui, ha attirato. Ma Padre Tomas sapeva bene che quella triade nasceva di fatto da uno sfondo massonico di un umanesimo dal vago deismo, in fin dei conti non fondato su Dio ma su se stesso.

La difesa dei diritti umani è cosa sacrosanta e Padre Tomas lo sapeva benissimo e non disprezzava il sistema democratico su di essi fondato, ma si era accorto dell’inganno modernista di un’interpretazione della dottrina sociale della Chiesa in chiave secolaristica, relativistica ed orizzontale chiusa al richiamo alla trascendenza.

Ma l’idea di rivoluzione che richiama quella di un mutamento dei princìpi, non si presta a rappresentare la metànoia cristiana, la quale al contrario si fonda su princìpi solidissimi ed immutabili.

Il progetto di annullare tutto per rifare tutto ha origine nel cogito cartesiano. Ricompare in Hegel con l’identificazione dell’essere col nulla, e trova nella Russia del sec. XIX un’applicazione politica rivoluzionaria radicalmente sovversiva, appunto una rivoluzione che distrugge tutto per tutto rifare daccapo nel cosiddetto nichilismo russo.

Occorre distinguere questo nichilismo dell’azione, che oggi attira molto pochi per la sua evidente e ripugnante crudeltà, dal nichilismo metafisico, che oggi seduce molti, del quale parlano Heidegger e Severino a proposito e a sproposito.

In campo cattolico alcuni sono favorevoli alla cosiddetta «controrivoluzione», teoria diffusa da Plinio Corrêa de Oliveira. Essa suppone un giudizio totalmente negativo riguardo al concetto di rivoluzione. Propone la denuncia del carattere anticristiano delle rivoluzioni dei secc. XVIII-XIX, ma non pare recepire il valore della riforma attuata dal Concilio Vaticano II. Padre Tyn non seguiva questa linea che sembra ostile al modernismo, perché aveva capito benissimo il valore del Concilio.

Per la concezione cristiana invece non sono i princìpi che devono essere rivoluzionati, ma è la stessa condotta del cristiano sulla base di quei princìpi. E questa era esattamente la visuale di Padre Tomas. Se egli era fermissimo sui princìpi, era perfettamente conscio della profonda trasformazione che deve avere la nostra vita nel passare dal peccato alla grazia, dai vizi alle virtù, dalla soggezione a Satana alla soggezione a Dio.

Se invece col termine rivoluzione intendiamo l’insurrezione contro un regime tirannico, questo concetto che tanto ha attirato gli spiriti in questi ultimi tre secoli, sembra oggi non suscitare più l’interesse di un tempo, anche tra i marxisti, quando sappiamo bene quale importanza Marx dava alla rivoluzione.

Anche a causa dei fallimenti storici i marxisti si sono resi conto che la prospettiva rivoluzionaria marxiana dell’abbattimento violento di una classe di oppressori da parte della classe oppressa nell’idea che ciò possa produrre un’umanità libera e liberata, è un progetto semplicistico, utopistico, irrealizzabile e controproducente.

Si potrebbe dire che l’idea rivoluzionaria come palingenesi radicale è rimasta nell’apocalittica cristiana, ma qui non è l’uomo che libera se stesso, ma è Dio stesso che libera l’uomo e la prospettiva pertanto per Padre Tyn non è l’affermazione dell’uomo come assoluto, ma la ripresa della tradizione dei Santi domenicani combattenti della fede e propugnatori dell’ordinazione dell’uomo a Dio.

Padre Tomas era molto sensibile all’aspetto agonistico della vita cristiana e se aborriva l’idea marxista della rivoluzione, apprezzava sommamente la buona battaglia della quale parla San Paolo contro il mondo, la carne e Satana. Aveva preso a modello i grandi Santi combattenti della fede della tradizione domenicana.

Il misericordismo

Lo sbilanciamento della Chiesa oggi verso una malintesa pratica della misericordia che non è altro che un’ipocrita scappatoia per chi vuol peccare senza temere la punizione, anzi con la certezza della salvezza (quale salvezza, poi?), è ormai da decenni sotto gi occhi di tutti i cattolici normali e degli stessi non-cristiani onesti. 

Salve le inviolabili dottrine del Concilio, è sempre più chiaro che la pastorale buonista e troppo indulgente avviata dal Concilio necessita di una correzione di rotta, non certo nel senso di tornare allo stile della controriforma, ma comunque di recuperare quella giusta severità che garantisce l’autentica misericordia e le impedisce di diventare una copertura per i prepotenti, i dissoluti e i relativisti.

Padre Tomas si era accorto che il misericordista si presenta come progressista e fedele al Concilio. Ma in realtà è un modernista. Egli nasconde sotto una patina di benevolenza, gentilezza, dolcezza, tolleranza, buon umore, allegria, indulgenza, amabilità, comprensione, tenerezza, apertura al dialogo, compassione per i poveri e i sofferenti, un animo sostanzialmente duro e crudele, dispotico, tirannico e violento. Lo dimostrano a loro spese coloro che sostengono che la misericordia perdonante dev’essere accompagnata e alternata dalla giustizia punitrice. Verso costoro infatti il misericordista diventa prepotente, spietato e crudele.

Per questo in fin dei conti il vero misericordioso, sull’esempio di Dio stesso, è proprio colui che ci ricorda che accanto alla misericordia bisogna attuare, quando le circostanze lo richiedono, le esigenze della giustizia punitiva.

Le due forme di disobbedienza al Papa.

Come sappiamo, disobbedienza al Papa e scisma vanno assieme. I passatisti sono scomunicati ufficialmente. I modernisti sono di fatto scismatici e addirittura eretici, eppure non sono ufficialmente scomunicati. Perché? Perché probabilmente il Papa, mentre non è disposto ad accettare la ribellione aperta dei passatisti, è disposto ad accettare e a sopportare la finta obbedienza e devozione dei modernisti per il fatto che essi nel loro cospicuo numero e potente partito contano personaggi che non mancano di buone qualità, dei quali il Papa può servirsi nel governo della Chiesa.

Il Papa non se la sente di affrontarli esplicitamente, ma basta seguire gli insegnamenti quotidiani del Papa assieme con quelli del Concilio e della tradizione e ci si accorge subito della stridente dissonanza delle loro eresie dal Magistero della Chiesa, eresie peraltro già condannate dalla Chiesa.

Essi tuttavia nella loro astuzia, non mancano di testimoniare autentici valori umani e cristiani, dei quali il Papa approfitta, anche perché i veri cattolici non sempre si distinguono per le loro capacità intellettuali ed organizzative. Spetta allora al cattolico, sotto la guida di buoni maestri, tenere d’occhio questi impostori, scoprire le loro insidie e attuare una diligente obbedienza al Papa. Guida eccellente in questa preziosa opera di discernimento è il Padre Tyn.

Padre Tomas modello della vera attuazione del Concilio

L’esemplarità di Padre Tomas è il fatto di averci mostrato come apprezzare ed operare la sintesi fra tradizionalismo e progressismo, fra il conservare e il far avanzare. Ci ha mostrato come entro i confini della retta fede e della comunione ecclesiale sia lecito al fedele sentire maggiormente le esigenze della tradizione e del conservare o sentire di più le esigenze del progresso, del miglioramento, del superamento, dell’aggiornamento, dell’ammodernamento, della ricerca, dell’avanzamento, della riforma.

Il Servo di Dio distingueva un tradizionalismo sano e proficuo alla Chiesa, ed era la scelta che aveva fatta lui, dal tradizionalismo lefevriano, scismatico, che aveva frainteso le novità del Concilio credendo che fossero luteranesimo, modernismo e liberalismo.

Padre Tomas sapeva bene che la fermezza sui princìpi non comporta assolutamente un fermarsi nel cammino verso il regno di Dio e d’altra parte sapeva bene che progredire e avanzare non significa, col pretesto del «dubbio metodico», distruggere tutte le verità conosciute per ripartire da zero con la menzogna, ma accrescere e migliorare ciò che già si possiede.

Era ben conscio che quando un teologo propone una dottrina nuova, che a tutta prima può sconcertare o scandalizzare, occorre fare un attento esame alla luce della Scrittura, della Tradizione e del Magistero e capire se la novità è o non è in continuità col dato rivelato e tradizionale. Lo fà capire meglio o lo contraddice? Se è in continuità e lo fa capire meglio, allora è un vero progresso. Se no è sovversione, tradimento, infedeltà, inganno, modernismo.

Nel campo della liturgia Padre Tomas aveva una speciale stima per la Messa Vetus Ordo, e su incarico ricevuto dal Padre Provinciale, che a sua volta rispondeva a una richiesta dell’Arcivescovo di Bologna Card. Biffi, la celebrava settimanalmente in forma privata per un gruppo di fedeli; ma non aveva nessuna difficoltà a celebrare regolarmente la Messa Novus Ordo. Anzi per 14 anni rese servizio a una parrocchia bolognese con punta di modernismo, ma la sua bontà, apertura d’animo mista a franchezza gli meritò comunque la stima del parroco e dei parrocchiani. Celebrò regolarmente la Messa di San Paolo VI.

Padre Tomas attuò il suo tradizionalismo prudente e sapiente dedicandosi in modo speciale al recupero e alla rivisitazione di valori dottrinali e morali che il clima del postconcilio, influenzato dal modernismo, aveva abbandonato, dimenticato o accantonato, forse considerandoli superati; in particolar modo, secondo la migliore tradizione domenicana, alla cura coscienziosa, basata sulla sua straordinaria preparazione tomistica, della purezza della dottrina, e con l’acume critico si era dedicato all’individuazione e correzione dell’errore, nella pratica della carità e con saggezza pastorale sapeva illuminare, avvertire o ammonire i fedeli.

Padre Tomas, come non ebbe paura dei comunisti – se fosse tornato in patria durante il regime lo avrebbero messo in prigione – così tanto meno aveva paura dei modernisti, che criticava e confutava apertamente, in particolare gli errori di Rahner, del quale si era accorto sin da quando era semplice studente di teologia in Germania, tanto da scrivere addirittura un libro per confutare la sua etica esistenzialista[1].

Si comprende allora come i modernisti, certamente appoggiati dai comunisti, ai quali evidentemente bruciava che Padre Tomas avesse offerto la sua vita per la liberazione della Patria dal comunismo, abbiano diffamato il Servo di Dio diffondendo menzogne sul suo conto, presentandolo come un inquisitore medioevale e un reazionario di destra nemico del Concilio.

Il tradizionalismo di Padre Tomas presenta effettivamente qualche accento che può indurre a vederlo vicino ai lefevriani. E di fatti essi tentarono di impossessarsi di lui, causando danno alla sua fama di santità e favorendo le calunnie moderniste, finchè nel 2012 essi riuscirono a fermare la Causa, che è tuttora ferma, anche se non mancano segni di ripresa.  

Ma non sarà certo la loro vergognosa opposizione a far trionfare le menzogne, dato che, come si espresse il Padre Vito Gomez, l’allora Postulatore Generale dell’Ordine Domenicano, la Causa di Padre Tyn è un’«opera di Dio» e nessuno può fermare le opere di Dio.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 22 luglio 2024

Padre Tomas, con la sua dottrina e la sua vita ci insegna come uscire dal tragico vicolo cieco nel quale ci siamo cacciati con lo sterile e deleterio conflitto fra passatisti e modernisti, per una vera attuazione del Concilio, dove ogni cattolico sia libero di optare o per una maggiore attenzione alla tradizione o per una maggiore attenzione al progresso nella piena comunione col Papa e con la Chiesa.

P. Tomas Tyn, Roma, 1975

Conservazione e progresso sono fatti per stare assieme perché sono le due leggi fondamentali ed essenziali della vita a qualunque livello del creato. Solo la vita divina, perfezione assoluta della vita, non ha bisogno di progredire o migliorare e tanto meno correggersi, perché è pura conservazione di se stessa, perché è bene infinito e il bene non ha altro bisogno che di essere conservato, praticato e affermato.

Padre Tomas era molto sensibile all’aspetto agonistico della vita cristiana e se aborriva l’idea marxista della rivoluzione, apprezzava sommamente la buona battaglia della quale parla San Paolo contro il mondo, la carne e Satana. Aveva preso a modello i grandi Santi combattenti della fede della tradizione domenicana.

Padre Tomas sapeva bene che la fermezza sui princìpi non comporta assolutamente un fermarsi nel cammino verso il regno di Dio e d’altra parte sapeva bene che progredire e avanzare non significa, col pretesto del «dubbio metodico», distruggere tutte le verità conosciute per ripartire da zero con la menzogna, ma accrescere e migliorare ciò che già si possiede.



[1] Saggio sull’etica esistenziale formale di Karl Rahner, Edizioni Fede&Cultura,Verona 2012.

7 commenti:

  1. Caro padre Cavalcoli,
    La ringrazio per questo articolo, in cui ci permette di conoscere un po' più a fondo la personalità del Servo di Dio, padre Tomas Tyn. Lei lo ha conosciuto e trattato regolarmente, per cui le sue impressioni mi sono molto utili, in questo momento nel credo che noi che siamo consapevoli della drammatica divisione che si vive nella Chiesa tra modernisti e filolefebvriani, abbiamo bisogno di chiari esempi di ciò che lei chiama "sintesi tra conservazione e progresso". Alla luce di quanto lei esprime nel suo articolo, dà l'impressione che, nonostante la brevità della sua vita, padre Tyn sia riuscito a realizzare questa sintesi, anche con la sua tendenza o maggiore sensibilità verso la conservazione.
    Il riferimento che fa alla vita liturgica di padre Tyn, nei suoi anni di sacerdote, dimostra che egli celebrava, come si addice a un sacerdote del nostro tempo, la Messa di san Paolo VI e che, per ordine del suo Provinciale, celebrava privatamente una volta alla settimana con il Messale del 1962.
    Il riferimento, per inciso, è molto breve, ma vorrei chiederle, che ha personalmente trattato padre Tyn, se egli non avesse mai manifestato qualche riserva verso la celebrazione del vetus ordo in questo momento. Lo chiedo perché non posso fare a meno di pensare che Tyn: 1. era un eminente teologo, e 2. conosceva profondamente il Concilio Vaticano II e le sue nuove dottrine.
    Ora, per me è indubbio che il novus ordo (nel suo contingente essere de lex orandi eclesialis, come lei sa dire, per differenziarla dalla lex orandi divina immutabile) ha la sua ragione di essere teologica proprio in queste nuove dottrine conciliari, che, sotto molti aspetti, superano le vecchie dottrine conciliari, essendo per esse un necessario progresso, anche se nella continuità dottrinale (che implica rottura liturgica).
    La mia domanda è dunque: in nessun momento avete notato che padre Tyn avvertisse l'incoerenza di continuare a celebrare il Messale del 1962, al quale appunto il Concilio avvertì la necessità di riformare?

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    1. Caro padre: una piccola correzione al mio commento.
      Quando ho detto: "...superano le vecchie dottrine conciliari..."
      Volevo dire "preconciliare".

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    2. Caro Don Silvano,
      uno degli aspetti della santità del Servo di Dio consiste proprio nel suo modo di considerare la Santa Messa, che, come sai bene, è la fonte e il culmine di tutta la vita cristiana.
      Egli era un ammiratore del vetus ordo per l’aspetto di sacralità che presentava e per lui non fu facile rinunciare a questo rito, ma, data la sua piena obbedienza alla Santa Madre Chiesa, accolse con gioia e fiducia il novus ordo e lo celebrava abitualmente con molta devozione nella piena osservanza delle regole liturgiche, rifuggendo da quegli abusi e quelle scorrettezze che già da allora cominciavano a diffondersi nell’ambiente modernista, il quale sottintendeva a volte una concezione errata della Messa, assimilata alla Cena protestante, dove a volte si negava persino la fede nella Transustanziazione, il che implica la negazione del Sacerdozio ministeriale.
      Il card. Biffi, Arcivescovo di Bologna, chiese al Superiore dei Domenicani di provvedere alla celebrazione di una Santa Messa di rito antico presso la Basilica di San Domenico di Bologna, che non è una parrocchia, in giorno di sabato alle ore 11 del mattino. I Superiori scelsero i Padri Angelico Menetti e Tomas Tyn.
      Questa accoglienza serena del novus ordo, che non dimenticava il valore del vetus ordo, è un fatto di grande importanza, che testimonia in P. Tomas la profonda percezione dell’unità della Chiesa e della sorgente di questa unità, che è appunto la Santa Messa.
      Infatti, l’unità della Chiesa nasce dall’unità della Liturgia, per cui i conflitti intraecclesiali si risolvono pacificando gli animi quando essi sono divisi in campo liturgico. La cura quindi dell’unità liturgica è il principio essenziale della conciliazione e della pace nella Chiesa e P. Tyn aveva vivissima coscienza di questo fondamentale principio di unità e comunione ecclesiale.
      Il sapere apprezzare, come fece lui, caso piuttosto raro, la conciliabilità dei due riti, entrambi espressioni della immutabile lex orandi, lex credendi, di diritto divino, è un dono di saggezza per tutta la Chiesa soprattutto in riferimento alla grave questione del conflitto tra indietristi, legati al vetus ordo, e modernisti, che tendono a strumentalizzare il novus ordo.
      Di recente Papa Francesco ha parlato di una lex orandi di diritto ecclesiastico per riunire tutti i cattolici attorno al novus ordo. Non c’è dubbio che P. Tomas si sarebbe adeguato a questa disposizione del Papa, con la quale il Pontefice esprimeva la sua facoltà di disciplinare la lex orandi ecclesiastica, che non è altro che una modalità storica di realizzazione della lex orandi divina, che costituisce l’essenza immutabile della Santa Messa.
      P. Tomas, in una lunga lettera al card. Ratzinger manifestò la sua ammirazione per il vetus ordo, ma ciò non gli impedì di accogliere con gratitudine quella Messa riformata, che nasceva dalla riforma conciliare. A tal riguardo il Servo di Dio manifestò grande ammirazione per il Concilio, prendendo nettamente distanza dalle proteste e dai fraintendimenti che erano sorti in ambiente lefevriano.
      Ho pubblicato questa lettera, con relativa risposta del card. Ratzinger, nel mio libro “Padre Tomas Tyn. Un tradizionalista postconciliare”, Ed. Fede&Cultura, Verona, 2007, pp.122-130.
      Inoltre ho pubblicato tale corrispondenza sul mio blog:
      https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/lettera-di-p-tyn-al-card-ratzinger-e.html

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    3. Ringrazio, caro Padre, per la sua risposta che mi fa capire un po' meglio la situazione personale del Servo di Dio verso l'antica Messa.
      Credo che dobbiamo capire la loro situazione particolare. Essendo nato nel 1950, è evidente che fin da bambino era nato in lui un grande affetto (quanto umano si voglia) verso i riti antichi. E naturalmente che questo attaccamento umano è stato difficile da eliminare da un giorno all'altro, a 19 o 20 anni... Mi è comunque chiaro che lui, nonostante tutto quell'attaccamento umano al vetus ordo, fu però pienamente obbediente a celebrare la Messa di Paolo VI; e, soprattutto, non ebbe difficoltà a notare che, al di là dei cambiamenti nelle cerimonie, c'era continuità nell'essenziale, la lex orandi divina e immutabile.
      Un'altra cosa molto diversa credo si dia oggi, a sei decenni dalla promulgazione della Sacrosanctum Concilium. Oggi, io ritengo incoerente continuare a celebrare con il Messale del 1962, perché ciò indicherebbe un passatismo retrogrado e ostile alle nuove dottrine del Concilio Vaticano II che sono alla base della riforma liturgica. Questo è stato avvertito da papa Francesco, e da qui il suo motu proprio Traditionis custodes.

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    4. Caro Don Silvano,
      io ritengo che il novus ordo, se celebrato bene, contenga in sé stesso notevoli possibilità di essere improntato ad una grande sacralità, non inferiore a quella del vetus ordo.
      Non posso che concordare su quanto lei dice circa il dovere di tutti di partecipare al novus ordo, soprattutto nei giorni festivi.
      Tuttavia non è male ricordare che appena dieci anni fa abbiamo avuto un Papa di grande virtù e sensibilità liturgica, quale fu Benedetto XV, il quale liberalizzò il vetus ordo, anche se dobbiamo riconoscere che gli indietristi ne approfittarono per contrastare Papa Francesco.

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    5. Ringrazio ancora, caro padre Giovanni, per le sue valutazioni che, come ho detto, mi aiutano a capire l'atteggiamento di padre Tyn verso il vetus ordo.
      Anzi, in effetti, l'atteggiamento di padre Tyn mi aiuta anche a capire la decisione pastorale (naturalmente non infallibile) di papa Benedetto XVI sul vetus ordo. Entrambi, Benedetto XVI e padre Tyn, mantenevano un comprensibile attaccamento umano al rito abrogato nel 1969, ma entrambi seppero riconoscere la validità e la saggietà della decisione del Concilio Vaticano II di riformare il Messale Romano.
      Credo che questo tema che abbiamo toccato, quello dell'atteggiamento di padre Tyn e di Benedetto XVI, confermi il fatto che Tyn e Benedetto XVI sono modelli attuali per i tradizionalisti di oggi, spesso tironati dal passatismo lefebvriano e filolefebvriano. Sia Benedetto XVI che padre Tyn sono modelli di conservatori progressisti.

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    6. Caro Don Silvano,
      indubbiamente le grandi figure di P. Tyn e di Benedetto XVI sono adatte ad attirare l’attenzione da parte del mondo del tradizionalismo, accontentando le esigenze di un sano rispetto della Tradizione e nel contempo mostrando la sconvenienza di un tradizionalismo che fa capo ad ambienti lefevriani o filolefevriani, con l’implicito invito a prendere in seria considerazione quella che è una sana concezione della Tradizione, la quale, ben lungi dall’opporsi al rinnovamento e al progresso, è ad essi strettamente legata, perché, come ho già detto ancora, conservazione e progresso sono i due movimenti essenziali dell’organismo vivente e la Chiesa, come sappiamo bene, è una realtà viva, perché è lo stesso Corpo Mistico di Cristo.

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