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P.Tomas Tyn

Testi di P. Tomas Tyn, OP

In preparazione del Giubileo 2025 - Prima Parte (1/3)

 

In preparazione del Giubileo 2025

Prima Parte (1/3)

Nell’imminenza della pubblicazione della Bolla di indizione del Giubileo da parte del Santo Padre*, ho pensato di fare cosa gradita ai Lettori pubblicare alcune note storiche redatte dal Servo di Dio Padre Tomas Tyn**, che possono aiutare a comprendere la grande importanza del Concilio di Nicea del 325, il quale definisce dogmaticamente che “Gesù è consostanziale al Padre” (omousios) ossia, come proclamiamo nel Credo, “della stessa sostanza del Padre”.

Siccome il Concilio di Nicea costituisce l’inizio del cammino fatto dalla Chiesa per chiarire il mistero della identità di Cristo, cammino che è proseguito con il Concilio di Efeso e si è concluso con il Concilio di Calcedonia, ho pensato di presentare ai Lettori anche gli insegnamenti di P. Tomas relativi a questi altri due Concili.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 30 aprile 2024

*https://www.vatican.va/news_services/liturgy/2024/documents/ns_lit_doc_20240509_notificazione_it.html

** http://www.arpato.org/testi/lezioni_dattiloscritte/Nicea-Efeso-Calcedonia.pdf


Testo originale: Dattiloscritto di P.Tomas Tyn, OP

 

STORIA DEI CONCILI DI NICEA, DI EFESO E DI CALCEDONIA

 

Da: Fulbert Cayré, Patrologia e storia della teologia; trad. di T. Pellizzari, Roma, Desclée e Ci., 1936, Vol.I e II 

Collocazione nella Biblioteca del Convento di Bologna: BQ0099.C2936 in sala: Basil.

 

I numeri si riferiscono alle pagine della suddetta opera.

L’Autore riproduce passi del Cayré selezionandoli secondo un suo personale criterio.

 

NICEA

69

            S.IGNAZIO (D’ANTIOCHIA) (+107 d.C.) combatte due specie di eretici: i Giudaizzanti e i Doceti. I Giudaizzanti insegnavano la necessità delle pratiche mosaiche per la salvezza ... I Doceti (da δοϰέω, parere) professavano che l’umanità di Cristo era stata una semplice parvenza, senza obiettiva realtà: e quindi la sua vita non sarebbe che una pura fantasmagoria e l’Eucaristia non è affatto il corpo di Cristo. ... Forse queste due eresie non erano, allora, che il duplice aspetto d’un medesimo errore, il giudeo-gnosticismo. Il santo martire si adopera specialmente a render vana la loro propagan­da cercando di riunire, per mezzo dell’obbedienza, in una stretta compagine fraterna, i fedeli, intorno alla gerarchia, senza di cui non c’e più Chiesa ...

 

174

            Il Modalismo. Il principale tra gli errori intorno alla Trinità, nel III secolo, è il modalismo, secondo il quale non v’ha in Dio che una sola e medesima Persona, chiamata però, Padre, Figliolo, e Spirito, a seconda delle manifestazioni successive dei suoi diversi attributi. Le Persone non sarebbero, in ultima analisi, che vari punti di vista (modi) da cui noi ci poniamo per riguardare Iddio a seconda delle opere da Lui, via via, compiute ad extra. Ma prima di presentarsi sotto questa forma scientifica, l’unitarismo 175 modalistico ebbe altri nomi corrispondenti al punto di vista preferito dai suoi primi fautori.

            Il modalismo si chiamò successivamente:

            (a) monarchianismo perché i novatori gridavano dovunque: monarchia, monarchia! “monarchiam, inquiunt, tenemus!”, esclama, con un certo umorismo, Tertulliano;

            (b) patripassianismo, perché, dicevano, il Padre, identico al Figlio, aveva sofferto in Gesù Cristo. Nelle chiese orientali, i modalisti si appellaron pure υἱοπάτορες, perché confondevano il Padre col Figlio.

            Le origini di tale errore sono molto oscure. I primi a propagarlo furono PRASSEA e NOETO. Prassea sembra fosse un asiatico che, alla fine del II secolo, venne a Roma per denunciare il montanismo e vi fissò la sua dimora: si approfittò della benevolenza del papa Zefirino per diffondere la sua dottrina, ma ebbe la imprudenza di recarsi a dommatizzare a Cartagine, dove Tertulliano lo confutò trionfalmente; il che dette luogo alla composizione dell’Adversus Praxeam del focoso polemista africano.

            Ippolito, il quale par che ignorasse Prassea, si scagliò specialmente contro Noeto che bandiva una dottrina consimile, a Smirne, confutandolo nel Contra Noetum ...

            SABELLIO ... esercitò, nella stessa epoca, sotto Zefirino o Callisto, una grande influenza dando il suo nome al partito. Il sabellianismo subì, a poco a poco, notevoli modificazioni e, quando i Padri del IV sec. si videro costretti a combatterlo, presentava la sua dottrina sotto forme sottilissime e capziosissime. Ma sin dalla fine del III secolo, ai tempi di DIONIGI DI ALESSANDRIA, era già costituito nel sistema nuovo ideato da Sabellio.

            Nel vecchio sistema non si trattava che del Padre e del Figliolo. Lo Spirito Santo entrò nell’unitarismo perfezionato, detto modalismo, che, del resto, non ammetteva il patripassianismo propriamente tale. Dio è unità, semplice e indivisibile: è Padre-Figlio (υἱοπάτωρ), e si chiama, Verbo in quanto creatore, Padre in quanto Legislatore dell’Antico Testamento, Figlio in quanto Redentore, Spirito Santo in quanto santificatore. Ma non è che la medesima ed unica persona che si presenta sotto tutti questi aspetti diversi. I quali aspetti o stati sono transitorii, di modo che Dio cessa 176 d’essere Padre per diventar Figliolo incarnandosi, e così, il Figliolo soltanto ha patito sulla Croce. D’altra parte, gli aspetti o stati sono uguali e non si possono in niuna maniera subordinar le persone. Il modalismo, come ognun vede, si distingue da quel subordinazionismo assoluto che è l’arianesimo.

 

176

            PAOLO DI SAMOSATA ... per combattere le teorie alessandrine sul Logos, negò la divinità di Cristo non vedendo in Gesù che un uomo ordinario a cui Dio si è comunicato 177 più che a qualunque altro profeta. Lo si chiami pure Dio, ma non è che una semplice figura retorica. Attaccato da un concilio raccoltosi ad Antiochia, nel 264, sotto la presidenza di FIRMILIANO DI CESAREA, Paolo dissi­mulò il suo pensiero col vocabolo allora equivoco di ὁμοούσιος, intendendo ςύσία di natura e di persona. Messo alle strette perché si spiegasse chiaramente davanti ad un nuovo concilio, nel 268, fu convinto d’errore, deposto e la parola ομοούσιος venne proscritta.

            ... La dottrina di Paolo è una forma modalistica dell’adozionismo. Paolo accettava il nome delle tre Persone nell’amministra­zione del Battesimo e nell’insegnamento teologico, ma sopprimeva di fatto la personalità del Figliolo e dello Spirito Santo, applicando, in questo senso al Logos la qualifica di ομοούσιος (consustanziale), formula che egli comprometteva con questa sua interpretazione modalistica. Il Cristo non è, per altro, Dio, ma un uomo qualunque unito alla sapienza (συναφθείς τῇ σοφία), mediante un’unione puramente accidentale, determinata dall’inabitazione in lui della virtù o potenza di Dio (ένοίϰησις ϰατʹἐνέργειαν). E così, cotale dottrina adozia­nistica preparava le strade al nestorianesimo.

 

213

            Sul Verbo ORIGENE afferma chiaramente:

1)     che è Dio per essenza, benché lo si debba chiamare Θεός, invece che ὁ Θεός, titolo ri­servato al Padre, Dio ingenerato;

2)     che è della stessa sostanza del Padre, generato in modo tutto spirituale, come il volere procede dall’anima;

3)     che è eterno, poiché egli “non erat quando non erat”.

            Tutte codeste affermazioni sono la confutazione anticipata dell’arianesimo. E, anzi, fu forse proprio Origene che per la prima volta, se il testo relativo è davvero autentico, adoperò la parola ὁμοούσιος, ragionando del Figlio, di cui definisce la generazione: aporhoea gloriae omni­potentis pura et sincera.

 

282

            Gli accusatori di DIONIGI (D’ALESSANDRIA, + 264 cca) afferma­vano che egli separava completamente il Figlio dal Padre, facendone una semplice creatura adottata da Dio. E, in realtà, le formule usate da Dionigi erano identiche a quelle di cui si sarebbero, più tardi, serviti gli ariani: “ci fu un tempo in cui Dio non era Padre e in cui il Figlio non esisteva, ἦν ποτε ότε ούχ ἦν”. D’altra parte l’attribuzione del titolo d’ipostasi a ciascuna delle persone divine, di cui i sabelliani negavano la realtà, lasciava l’impressione che Dionigi sboccasse colla sua dottrina in un vero triteismo e tale accusa, già fatta ad Ippolito, riassumeva tutte le altre lanciate contro il vescovo d’Alessandria.

 

 

317

            L’ARIANESIMO.

            Sotto Costantino (+ 337). L’arianesimo consiste essenzial­mente nella negazione della divinità del Verbo, del Figlio, cioè, di Dio, di Gesù Cristo, Nostro Signore. ARIO manifestò apertamente il suo errore, ad Alessandria, un po’ prima del 320. Il quale errore venne colpito di condanna nel 320 da un concilio alessandrino e, nel 325, dal concilio ecumenico di Nicea, in cui il Figlio di Dio fu dichiarato consustanziale 318 (ὁμοούσιος)  al Padre. Costantino fece esiliare Ario e i suoi principali fautori. Il capo di questi, EUSEBIO DI NICOMEDIA, ritornò ben presto nelle grazie dell’imperatore e seppe rapidamente raccogliere, intorno a sè, un considerevole numero di vescovi, specialmente della Siria e dell’Asia Minore che denunciarono nel vocabolo ὁμοούσιος accettato da essi stessi a Nicea, l’errore sabelliano o modalista.

 

            Sotto Costanzo II e Costante (337-350). Se Costante, impera­tore d’Occidente, si mostrò favorevole ai cattolici, suo fratello Costan­zo (337-361), imperatore d’Oriente, invaso dalla mania di dommatizzare, si lasciò ben presto vincer la mano dagli eusebiani. Gli esiliati, che eran potuti ritornare in patria, doveron quasi subito ripartire, Marcello nel 338, Paolo di Costantinopoli nel 339 e, nel 340, sant’Ata­nasio che si recò a chieder l’appoggio di papa Giulio I. Gli orientali, che avevano pur essi fatto ricorso al papa, rifiutarono allora di obbe­dirgli e tennero ad Antiochia una serie di riunioni sinodali con ten­denza separatista.

 

319

            Sotto Costanzo II, diventato unico imperatore (350-361), gli aria­ni ripresero le loro agitazioni e tentaron di imporsi colla forza a tutto l’impero. Dopo aver deposto Fotino vescovo di Sirmio, in un sinodo della stessa Sirmio (351) che adottò una nuova professione di fede, detta Prima formula sirmiense, spinsero l’imperatore a staccar da Atanasio l’Occidente. Costanzo vi si mise d’impegno nei concili d’Arles (353) e di Milano (355) ed esiliò i ricalcitranti. Allora gli ariani si divisero apertamente secondo le varie loro tendenze, in tre gruppi che, a volta a volta, si cattivarono i favori di Costanzo.

            I primi che ottennero il suo appoggio e che fecero riconoscere da Costanzo la loro formula (detta II formula di Sirmio, 357), furono gli ariani assoluti, dottrinarii intransigenti che, parteggiando per un monarchianismo integrale, non solo non ammettevano che il Verbo fosse Dio, ma, anzi, affermavano che il Verbo è addirittura dissimile dal Padre, ἀνόμοιος; si chiamano, per ciò, anomèi.       

            Contro di loro si schierarono gli ariani moderati, gente cieca che non aveva sin allora voluto veder che il pericolo sabelliano: costoro proclamarono, in un’adunanza sinodale d’Ancira (358) che il verbo è simile in sostanza (ὁμοιούσιος) al Padre, e, di lì a poco, in un altro sinodo riunito a Sirmio, esposero la loro fede mettendo insieme diversi documenti anteriori: ... il tutto, relativamente ortodosso, benché incompleto e, per ciò, pericoloso, ebbe il nome di III formula di Sirmio che Costanzo sanzionò. Codesti moderati che ebbero il merito di combattere finalmente l’anomeismo, si appellarono semiariani oppure omoiusiasti ...

            Ben presto però gli ariani propriamente detti ripresero il sopravvento nei favori imperiali, presentandosi sotto una forma più sfumata del crudo e nudo anomeismo: riconobbero che il Verbo è simile (ὅμοιος) al 320 Padre, ma rifiutarono ogni e qualunque uso della parola οὐσία, condannando in tal guisa tanto l’ὁμοιούσιος quanto l’ὁμοούσιος.

            Codesti partigiani dell’ὅμοιος, ariani più politici che dottrinari, formularono la loro fede a Sirmio nel 359; ed è la IV formula sirmiense. Avendo poi certi vescovi aggiunto alla parola “simile” l’avverbio totalmente (ϰατά πάντα) rimpiazzando così l’οὐσία, cotale aggiunta fu soppressa in una nuova redazione fatta, poco dopo a Nice, di Tracia. L’Imperatore guadagnato dai fautori dell’ὅμοιος, impose, a forza di violenza e d’astuzia, il loro simbolo all’episcopato occidentale riuni­to a Rimini e all’episcopato orientale, se non proprio a Seleucia, nel 359, per lo meno a Costantinopoli, nel 360.

 

            Dopo Costanzo II (361-381). Il trionfo della fede nicena. La reazio­ne nicena si determinò subito dopo la morte di Costanzo, progredendo assai rapidamente in Occidente. La nomina di Sant’Ambrogio a vescovo di Milano, segna il tramonto della potenza ariana (374). In Oriente, invece, la reazione fu più lenta e ciò a causa delle scissioni della chiesa antiochena. Ma fu, anche là, molto efficace, grazie specialmente ad Atanasio che ne fu l’iniziatore dal 362 e ne rimase l’anima sino alla sua morte e grazie anche ai Cappadoci che dimostraron possibile l’accordo delle due formule: una natura (fondamento dell’ὁμοούσιος) e tre ipostasi.

 

321

            ARIO E I SUOI PRIMI FAUTORI.

            Ario, oriundo della Libia, discepolo di LUCIANO DI ANTIOCHIA con EUSEBIO DI NICOMEDIA (in una lettera Ario chiama Eusebio il suo collucianista), era, agli inizi del IV secolo, cittadino di Egitto. Ordinato diacono circa il 308 e sacerdote circa il 310, aveva nel 313, l’incarico di governar la chiesa di Baucalis, una parrocchia di Alessan­dria ... Ario s’approfittò della sua situazione per diffondere ad Alessandria, una dottrina nuova che, forse per il tramite di Luciano, si riannodava all’adozianismo di Paolo Samosatense. Non si sa in quali circostanze si determinò il conflitto tra Ario e il suo vescovo sant’Alessandro, poiché gli storici recano notizie assai divergenti se non addirittura contraddittorie. Condannato da un Concilio riunitosi, probabilmente nel 320, ad Alessandria, Ario si ritirò in Palestina, quindi, presso l’amico suo Eusebio, a Nicomedia, ed a Nicomedia compose per far conoscere le sue idee, un lavoro intitolato Talia (θαλία, banchetto), un misto di prosa e di versi o canzoni da cantarsi dagli operai durante la loro fatica. Fu contro Ario che si celebrò il primo concilio ecumenico di Nicea, nel 325. Condannato ed esiliato nell’Illi­rico, Ario ottenne, dopo il 330, la sua riabilitazione da Costantino a cui aveva presentato una professione di fede assai vaga, ma Atanasio non lo volle ricevere ... /Morì improvvisamente tornando a Costantino­poli nel 336/.

 

322

            ... la sua dottrina ... può riassumersi in questi punti:

(a)   Dio è unico e ingenerato (ἀγέννητος). Non può esservi comu­nicazione veruna della sua sostanza: tutto quel che esiste al di fuori dell’unico Iddio è creato, ex nihilo, dalla volontà d’Iddio.

 

(b)   Il Verbo è un intermediario tra Dio e il mondo, anteriore al tempo, ma non eterno: vi fu un tempo in cui il Verbo non c’era: ἦν ποτε ὅτε οὐϰ ἦν.

 

(c)   Il Verbo è, dunque, creato: ἐξ οὐϰ ὄντων γέγονε. Il Verbo è fatto: γενητός. Se si dice che il Verbo è nato, che è generato, γεννητός, ciò devesi intendere di una filiazione adottiva.

 

(d)   Da queste premesse consegue che il Verbo è fallibile per natura, ma la sua rettitudine morale lo salvò da ogni caduta. Il Verbo è inferiore a Dio, ma, d’altra parte, è creatura sì perfetta che non può esistere un essere che lo superi.

 

            Rappresentanti degli anomèi: EUNOMIO; degli omèi: Acacio di Cesarea; degli omoiusiani: Basilio di Ancira.

 

336

            I PRINCIPALI DIFENSORI DELLA FEDE NICENA.

 

            Sant’Alessandro d’Alessandria (212-328). ... il Verbo non è creato, ma è eterno, è Dio. Inferiore al Padre soltanto per il suo carattere di generato, il Verbo deriva il suo essere dall’essere stesso del Padre (ἐξ αὐτοῦ τοῦ ὄντος Πατρός), formula che, implicitamente, contiene l’ὁμοούσιος.

            Sant’Atanasio (295-373) d’Alessandria. 359 ... identifica ordinaria­mente οὐσία e ὑπόστασις; tuttavia, nel consiglio del 362, permette di dire tre ipostasi, il che non gli 360 vieta di scrivere, nel 369, (lettera agli Africani), che l’ipostasi è la sostanza. Atanasio adopera spesso dei termini inesatti (similitudine del Padre e del Figliolo, similitudine secundum substantiam ...) che hanno indotto certi lettori, prevenuti o superficiali, a credere che Atanasio abbia, qualche volta, rigettato il consustanziale. “In realtà il consustanziale si riscontra, sì, in tutte le opere atanasiane, ma dovunque mischiato ad espressioni sospette” (G.BARDY). ... Riguardo alla Trinità, “Atanasio non si stanca mai d’enunciare, sotto tutte le forme e ad ogni occasione, i due o tre principi che, per lui, riassumono il mistero: il Figliolo procede dal Padre per generazione, non per creazione, apparte­nendo dunque alla sostanza del Padre di cui è, per ciò, l’immagine vi­vente. E’ lo zampillo della fonte, è lo splendore inseparabile dalla luce. Dal canto suo, lo Spirito appartiene alla sostanza del Figliolo da cui Egli riceve e siccome il Figliolo è nel Padre alla stessa guisa che lo Spirito è nel 361 Figliolo di cui è l’immagine, ne consegue esistere nella Trinità una misteriosa unione di natura che, in una sostanza comune, produce una comune operazione e che non ha nulla a vedere con l’unione morale, sola accessibile alla creatura. - Al di là di queste idee che sono poi il mistero in se stesso, Atanasio non vuol intendere più altro, ma esige che la mente umana rispetti l’arcano e si arresti là dove la Bibbia riman muta. E così in Dio, insieme al Padre e costituente con Esso una sola natura (ταυτόν), v’è un Figliolo eternamente generato dalla sua sostanza e uno Spirito Santo che ha, dal Figliolo, tutto quel che possiede ( Ep. Serap. III, 1). Questa concezione trinitaria, saldissima, sì, ma anche rudimentalissima, sarà poi completata dai Cappàdoci.          

            La dottrina ariana del Verbo aveva,  per principio, la trascendenza divina e la necessità d’un mediatore fra Dio e la creatura. A codesta base filosofica Atanasio ne oppone un’altra, rivelata, cioè a dire, il mistero della Redenzione che sembra preoccuparlo più di qualunque altro.

            Atanasio combatte con tanta energia gli ariani unicamente perché essi, rifiutando di riconoscere Cristo come Dio, gli rubano, per così esprimerci, il suo Salvatore. Come potrà l’uomo esser liberato dalla sua schiavitù della colpa, domanda Atanasio, se Cristo non è DIO? “Se il Cristo non fosse stato di per se stesso l’immagine sostanziale del Padre, se non fosse stato Dio che per imprestito e per partecipazione, non avrebbe mai potuto deificar nessuno, non essendo, egli medesimo, che un essere deificato. E, difatti, non può comunicar nulla agli altri, perché ciò che ha non è roba sua, ma resta proprietà del donatore, e l’elemosina da lui ricevuta non serve che a coprire la sua miseria e la sua nudezza (De Synodis, cap.51)”.

 

377

            S.Cirillo di Gerusalemme (313-386). Cirillo variò nelle sue comunioni, ma non è ugualmente certo che variasse nella sua fede, checché ne dica RUFINO: aliquando in fide, saepius in confessione variabat (St.Eccl. I, 23). Sembra che egli volesse mantenersi, da prima, neutrale fra i partiti, ma non si può provare che abbia mai impugnato o combattuto la fede di Nicea. Sostenne, sì, gli omoiusiasti, nella loro lotta contro i partigiani dell’ὅμοιος, ma non agì diversamente da come aveva agito sant’Ilario. Cirillo non adopera la parola ὁμοούσιος, ma codesta parola non aveva nessuna ragione d’essere adoperata nelle celebri Catechèsi.

 

449

            I CAPPADOCI.

            S.Basilio definisce l’οὐσία o sostanza: “Ciò che è comune negli individui della medesima specie (τὸ ϰοινόν), ciò che tali individui posseggono tutti ugualmente e che fa sì che si designino tutti con un medesimo vocabolo senza bisogno di designarli uno per uno”. Questa οὐσία, perché esista veramente, dev’essere completata mediante caratteri propri che la determinano e la circoscrivano: la persona o ipostasi (ὑπόστασις), è l’essere così determinato e differenziato, l’essere concre­to. Tal definizione non distingue abbastanza la persona dall’individuo.

Tuttavia san Basilio poneva le basi d’una distinzione più esatta affermando che l’ipostasi è un essere ϰαθ̓ ἔϰαστον, cioè a dire esistente di per se stesso, benché poi non insistesse abbastanza su questa esistenza propria della persona, dell’essere appartenente a se stesso. Con tali distinzioni, Basilio spiegava l’uso ch’egli faceva della for­mula origenica delle tre ipostasi, nella qual formula egli vedeva il complemento necessario della definizione nicena. I due Gregorii erano dello stesso parere.

            Quanto al termine πρώσοπον, che traduce, letteralmente, la parola latina persona, san Basilio non l’accettava che con le debite riserve, a causa della sua origine: tal vocabolo, venuto dal teatro, poteva non designar che una parte rappresentata e quindi c’era pericolo che favorisse il sabellianismo per il quale la distinzione delle persone in Dio era soltanto l’espressione delle diverse parti rappresentate dalla medesima ed unica persona divina. Il termine ipostasi offriva ai loro occhi maggiori garanzie di ortodossia (BASIL., Epist. 236; il NAZIANZENO è meno assoluto di san Basilio e adopra il vocabolo πρώσοπον con, del resto, le opportune riserve. Orat. 29 (teol. III), 2. Anche S.GRE­GORIO DI NISSA l’adopra. Con tutto ciò, il vocabolo non divenne, in Oriente, d’uso comune che nel secolo quinto.)

 

450

            La natura stessa del mistero della Trinità fa sì che non solamente non possiamo capire la pluralità delle persone nell’unità di natura, ma che possiamo pur difficilmente esporre il mistero mede­simo. Mettendo in primissima linea l’unità di natura, come si faceva in Occidente e in Egitto, si corre il pericolo di compromettere la distinzione reale delle persone e si può cadere nel modalismo. Se, invece, in primissima linea si pone la distinzione delle persone, si può facilmente cadere nel triteismo, pur essendo possibile evitarlo sostenendo categoricamente l’unità divina. Questi due punti di vista sono ambedue legittimi ed ortodossi, a patto però che non si escludano a vicenda.

 

            S.Basilio: “In quanto a noi, stando alla parola di verità, non diciamo il Figliolo né simile al Padre né dissimile dal Padre, poiché l’una cosa e l’altra ugualmente ripugnano. Simile e dissimile si dice delle qualità [accidentali] e in Dio qualità accidentali non esistono. Ma, confessando l’identità della natura, noi ammettiamo l’ ὁμοούσιος, ed evitiamo di aggiungere [per composizione] al Padre, che è Dio in sostanza, il Figliolo generato, Dio anch’Esso in sostanza, perché è proprio ciò che significa la parola ὁμοούσιος” (Epist.VIII, 3).

            S.Gregorio di Nazianzo intende l’ὁμοούσιος nel senso d’una identità sostanziale assoluta: per lui, le persone sono distinte, ma non è già distinta la divinità 451 che permane indivisa. (Orat. 31 (teol.V),14). Sembra ch’egli abbia condensata tutta la sua dottrina in questa formula davvero lapidaria ἕν τὰ τρία τῇ θεότητι: unum (sunt) tres divinitate, et (hoc) unum (est) tres proprietatibus (personalibus) (ibid.,n.9).   

            S.Gregorio di Nissa ... insegna che l’οὐσία non è condivisa fra le persone, in maniera che vi siano tre , come vi sono tre πρώσοπα. E’ vero che egli esige che, come diciamo, parlando del Padre, del Figliolo e dello Spirito Santo, ch’ei sono un solo Iddio e non già tre dèi, così pure, parlando di Pietro, Giacomo e Giovanni, dovremmo dire ch’ei sono un solo uomo e non già tre uomini, ma da ciò non si può dedurre che, dunque, per lui, le tre Persone sono distinte come sono distinti tre uomini. Gregorio qui s’inganna non già su Dio ..., ma sull’ uomo: illuso da un idealismo esagerato dovuto all’influsso platonico, egli non si accorge che fra gli uomini, a differenza di Dio, solo l’essenza astratta è comune, ma non quella essenza concreta e real­mente esistente, in sè e di per sè, che è appunto la persona. 

Testo originale: Dattiloscritto di P. Tomas Tyn

Riveduto da P. Giovanni Cavalcoli, OP – Bologna, 25 marzo 2010


 

  

 



Immagine da Internet:

Il primo Concilio di Nicea del 325, icona ortodossa

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