PADRE BARZAGHI VI PRESENTA LA METAFISICA
Non è facile presentare in poche parole che cosa è la metafisica e la sua importanza.
Ho pensato di far cosa gradita ai Lettori riferire quanto dice il Padre Giuseppe Barzaghi*, Direttore dello Studio Filosofico Domenicano di Bologna e Docente di Metafisica nel medesimo Studio. In esso sono stato suo predecessore nella medesima docenza, che ho tenuto dal 1990 al 2011.
La visione di Padre Barzaghi, che risente del suo maestro Gustavo Bontadini, è ampia e profonda, ma suscita anche forti riserve.
* Vedi
https://www.facebook.com/search/top?q=studio%20filosofico%20domenicano del 13 e 20 ottobre 2025
Metafisica - Giuseppe Barzaghi OP
La Metafisica è la scienza della mediazione dell'esperienza. Noi non siamo mai nell'immediato. Quando ci si dice "è possibile sommare capre e cavoli?". Non posso dire che 3 cavoli più 2 capre facciano 5 capre o 5 cavoli, devo trovare qualcosa che attraversi il tutto.
Se dico che sia le capre che i cavoli sono "cose", 3 cose più 2 cose fa 5 cose. La stessa cosa capita quando noi cerchiamo di leggere l'esperienza, che è quella che ci capita, e vediamo che c'è un essere che nasce e perisce, ma noi sappiamo che l'essere non può non essere. Allora la mediazione ci dice che questa esperienza non è totalmente l'essere, esiste un essere assoluto che è trascendente e sarà creatore.
Padre Barzaghi presenta la funzione della metafisica come mediazione dell’esperienza.
La prima cosa che uno si domanda è: esperienza di che cosa? Probabilmente Barzaghi intende l’esperienza dell’essere e dice che l’essere non può non essere.
Possiamo anche chiederci: che cosa è questo “immediato”? È forse l’essere che non può non essere? Ma questo è l’Assoluto. Abbiamo forse dunque adesso una esperienza immediata dell’Assoluto?
Ora, parlando dell’essere, bisogna ricordare che c’è anche un essere che può non essere, cioè l’ente contingente, che sono le cose che ci stanno attorno, come le capre e i cavoli.
Barzaghi inoltre aggiunge che noi vediamo cose che nascono e periscono. Tuttavia precisa che l’essere non può non essere.
Dal suo discorso allora sembra che il contingente, che è appunto ciò che nasce e perisce, sia solo una semplice apparenza, un qualcosa di immediato, che però rimanderebbe all’essere che non può non essere, che in ultima analisi è Dio stesso.
Se ho ben capito, la metafisica sarebbe questa mediazione che conduce all’esperienza dell’essere che non può non essere, che sarebbe Dio.
Però voi capite che se noi concepiamo Dio in questo modo succede che da una parte il contingente è al di fuori dell’essere, perché è un essere che può non-essere, ma nello stesso tempo è ridotto a mera apparenza, perde la sua autonomia ontologica di ente contingente e diventa una apparizione di Dio.
Ora l’apparizione di Dio o teofania non è un ente creato distinto da Dio, ma è Dio stesso in quanto appare. Allora voi capite che, considerando le cose come apparire di Dio, le cose vengono divinizzate e si cade nel panteismo.
La vera dimostrazione dell’esistenza di Dio, come insegna San Tommaso, consiste nel riconoscere che anche il contingente appartiene all’orizzonte dell’essere e non è un mero apparire, per cui l’esperienza è innanzitutto l’esperienza sensibile delle cose esterne. Questa esperienza ci spinge ad interrogarci qual è la loro causa e a questo punto veniamo a scoprire l’esistenza di Dio.
Possiamo notare inoltre che il cavolo può essere mangiato dalla capra e quindi viene trasformato nella natura della capra, secondo la legge fisica di Lavoisier “nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”.
Quindi il divenire esiste. Ma da dove trae il suo essere? O è Dio oppure è prodotto da Dio, che è l’unico essere assolutamente necessario.
Tutto ciò comporta che la creazione non è un semplice apparire di Dio, ma è la produzione dal nulla da parte di Dio dell’ente diveniente o contingente.
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 21 ottobre 2025
Nel mio piccolo, capisco quando Barzaghi fa l'esempio della mediazione dell'esperienza con le capre e i cavoli: vuol dire che il nostro ragionare estrapola e inventa nuovi concetti, un nuovo ente, le “cose”. Questo si capisce. Ma poi non si capisce la frase improvvisa all’inizio del suo dire "noi non siamo mai nell'immediato". Quando mi tiro una martellata sul dito vorrei proprio capire perché, secondo lui, non siamo mai nell’immediato quando urliamo dal dolore. Manca la logica, la costruzione dal piccolo al grande ragionamento, il passaggio di comprensione, la definizione di "immediato", il contesto (l'esperienza é ragionare?). Alla fine, la frase risulta essere più un espediente estetico, una mossa retorica che non spiega niente ma fa effetto senza sapere perché. Ma questo, ho capito, non è fare filosofia, tantomeno metafisica, per la quale si comincia a studiare con lo studio della logica, no? E dalle definizioni dei termini, come “immediato”. E perché l’uso dell’avverbio “mai” (come fa a dirlo?). Manca, insomma, un metodo rigoroso, che, ho capito, è necessario in questo ambito. Naturalmente, io che non sono studioso di filosofia, posso anche aver capito male.
RispondiEliminaAlessandro