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Perché i modernisti non vogliono sentir parlare di modernismo

 

Perché i modernisti non vogliono sentir parlare di modernismo

Perché parlare di modernismo?

Jacques Maritain già nel 1966, appena promulgati i documenti del Concilio Vaticano II, nel suo libro Le paysan de la Garonne, denunciò con occhio profetico un forte ritorno di modernismo, molto peggiore di quello dei tempi di S.Pio X, e ne descrisse i caratteri, mostrando come essi corrispondessero a una falsa interpretazione delle nuove dottrine del Concilio.

Maritain però non si accorse di chi era il principale promotore e diffusore del modernismo postconciliare; era Karl Rahner, le cui posizioni in merito ho ampiamente dimostrato nel mio libro Karl Rahner. Il Concilio tradito[1]. La cosa strana fu che S.Paolo VI, pur accorgendosi anche lui pochi anni dopo che si stava diffondendo una falsa interpretazione del Concilio che stava causando gravi danni alla Chiesa, con una forte ribellione al Magistero, nonostante la grande stima che egli aveva per Maritain, non pensò di riprendere la sua denuncia, ma usò altre categorie per condannare questa ribellione, soprattutto quella di «secolarismo» .  

Per quale motivo? Da notare che lo stesso Rahner, con fine astuzia, si presentò come nemico del modernismo, mentre affermava che ormai il modernismo non esisteva più. Ora, bisogna tener presente che Rahner, già durante i lavori del Concilio e poi sin dall’immediato postconcilio, con la sua opera intensissima di propagandista del Concilio in tutto il mondo, si era procurato tra gli stessi vescovi e negli ambienti teologici internazionali un enorme prestigio e diffusa fama di protagonista del Concilio ed autorevole interprete, benchè egli non nascondesse il rimprovero alla Chiesa di attardarsi ancora su posizioni dottrinali vecchie e superate e di non tener abbastanza conto dei valori del pensiero moderno a partire da Lutero e Cartesio.

Penso che San Paolo VI davanti all’exploit modernista di Rahner e dei rahneriani si sia trovato in una situazione difficilissima. Al Concilio Rahner aveva dato un notevole contributo ed era stato molto apprezzato dalla corrente progressista, anche se aveva incontrato resistenze nei conservatori, tra i quali vi erano sì Padri troppo attaccati al passato, ma anche teologi sapienti e avveduti come il Card. Ottaviani o il Card. Browne o il Card. Siri o il Card. Ciappi. Ma il Concilio aveva voluto realizzare un progresso nella dottrina e nella vita cattolica, sia pure nella continuità con la dottrina di sempre[2], per cui era giusto appoggiare la corrente progressista.

Il caso di Rahner mise dunque Paolo VI nella scomoda condizione di dover fronteggiare e conciliare due istanze opposte: da una parte correggere l’interpretazione modernistica del Concilio data da Rahner e seguaci e dall’altra riconoscere gli indubbi meriti che Rahner si era fatto nel corso dei lavori del Concilio.

Come denunciare i gravi errori di un teologo così prestigioso e di successo? Il Papa non voleva fare la figura del reazionario che si oppone alle novità conciliari, ma d’altra parte la sua coscienza gli ricordava il suo dovere di custode della fede. Scelse la via della denuncia delle deviazioni, ma in termini generici, che difficilmente facevano pensare alle idee di Rahner. Chi tuttavia conosceva Rahner avrebbe potuto decifrare il messaggio allusivo.

È interessante come la condanna del modernismo sia presente nei messaggi della Madonna a Medjugorje. Padre Livio Fanzaga ha scritto un libro L‘inganno del modernismo. L’ammonimento della Madonna a Medjugorje, nel quale riassume con efficacia il senso fondamentale della tentazione modernistica, consistente nella proposta di un umanesimo ateo nel quale l’uomo che fa Dio di se stesso e vuol mettersi al posto di Dio. Ciò corrisponde effettivamente al trend del pensiero moderno nato da Lutero e Cartesio con la supervalutazione dell’io come punto di partenza e di arrivo del ciclo dell’intera realtà che si racchiude e si raccoglie nell’autocoscienza nella quale Dio non è che un momento, anche se il principale del moto dell’io da se stesso verso se stesso.

Perché i Papi del postconcilio fino al presente Pontefice, nella denuncia degli errori del nostro tempo, delle contestazioni fatte al Magistero e nelle false interpretazioni del Concilio, non hanno mai usato il termine «modernismo», pur così adatto, ma sono ricorsi ad altre categorie come relativismo, storicismo, scetticismo, egocentrismo, edonismo, ateismo, soggettivismo, individualismo, gnosticismo, pelagianesimo, mondanità, idealismo, peraltro equivalenti?

I motivi possono essere i seguenti. Primo. Il termine modernismo può evocare ricordi traumatici legati all’esperienza storica del periodo del modernismo dell’epoca di S.Pio X, periodo nel quale purtroppo furono commesse anche delle ingiustizie colpendo degli innocenti, fu usata un’eccessiva severità e si attuò un’opposizione esagerata e indiscriminata contro il pensiero moderno, mentre in realtà, come chiedevano i modernisti, occorreva effettivamente un sano ammodernamento della vita e della dottrina cattoliche.

I modernisti ritenevano che come San Tommaso aveva usato Aristotele per incarnare il Vangelo nella cultura del suo tempo, così occorreva usare la filosofia moderna nata da Lutero e Cartesio per incarnare il Vangelo nella cultura moderna. L’idea non era in se stessa sbagliata, Senonchè in realtà la filosofia di Aristotele, nella sua sostanza, soprattutto nell’utilizzazione che ne aveva fatto San Tommaso, non è legata a un fase del pensiero umano superata dalla filosofia cartesiana ed postcartesiana, ma rappresenta il sapere della ragione come tale, e quindi è un sapere costituzionale e  perenne, mentre la filosofia cartesiana, al di là della sua sbandierata novità e modernità, in realtà è una ripresa più elaborata e arzigogolata dell’antica sofistica protagorea, già confutata da Aristotele. Il che non toglie che il pensiero di Cartesio offra aspetti nuovi rispetto ad Aristotele, utilizzabili dalla filosofia e teologia moderne.

Il difetto dei modernisti stava nel fatto che invece di valutare il pensiero moderno alla luce della dottrina di S.Tommaso e del Magistero della Chiesa, pretendevano di correggere e migliorare il Magistero della Chiesa facendo indiscriminato ricorso alla modernità, quasi fosse criterio assoluto di verità.

Secondo.  I Papi non usano il termine modernismo nel timore che noi andiamo a pensare al modernismo del tempo di San Pio X, modernismo che in questi precisi termini certamente oggi non c’è più. Ora però possiamo osservare che è chiaro che non possiamo parlare oggi di modernismo negli esatti termini nei quali Pio X lo descrisse nella Pascendi. La storia non si ripete.

Tuttavia la storia è anche storia di una condizione umana di fragilità, nella quale quelle che sono le cattive tendenze conseguenti al peccato originale sempre si ripetono, seppure in forme più o meno gravi e diverse a seconda dei tempi e dei luoghi.

Un vizio morale che è sempre presente in noi è quello della mondanità, dell’attaccamento a questo mondo che passa come se fosse l’assoluto. Non Dio che trascende il mondo, ma il mondo stesso come Dio. È l’immanentismo o l’ateismo o, se vogliamo, l’idolatria o l’uomo stesso che si fa Dio.

È l’assolutizzazione del momento presente, del moderno come tale, quale che esso sia, senza preoccuparci di sapere se esso è o non è conforme alla volontà o alla legge di Dio supposte come eterne e sovratemporali. Anzi Dio stesso è concepito come l’istante presente. Abbiamo qui lo storicismo. Ciò comporta delle conseguenze o, se vogliamo, discende da certe premesse.

Quali?  La premessa fondamentale è la nozione della verità, che non è fondata sull’oggetto ma sul soggetto. La Pascendi si esprime così: «La ragione umana è ristretta interamente nel campo dei fenomeni, cioè di quel che apparisce e nel modo in che apparisce» (n.7).

Nel fenomenismo ciò che appare a me non appare a te. Ciò comporta che i contradditori sono simultaneamente veri. Non vale più quindi il principio del terzo escluso, il quale invece viene incluso col pretesto della diversità e del pluralismo, così, oltre all’aut-aut essere-non-essere non si esclude una terza possibilità: quell’essere che è non-essere. L’intelletto quindi non ha un solo padrone, il vero, ma è al servizio anche del falso, giacchè vero e falso non si oppongono ma anzi si richiamano e l’uno ha bisogno dell’altro.

San Tommaso osserva che il fenomenismo nasce dall’incapacità di riconoscere qualcosa di stabile o di fisso e quindi di determinato nel divenire. Si ha l’impressione che il divenire sia la simultaneità dei contradditori. Il divenire ci dice che l’essere è e non è; non ha un’identità, ma nega se stesso. Non è uno ma doppio: essere-non-essere, vero-falso, bene-male, gioia-dolore. È il principio della doppiezza.

Da qui segue, come osserva San Tommaso, che «la verità dell’opinione o proposizione non segue il modo determinato d’essere delle cose», dotato di una sua identità, «ma piuttosto ciò che appare al conoscente»[3]. La verità non è un valore assoluto, universale ed immutabile, uguale per tutti, ma è relativa al divenire, ai tempi, ai luoghi, alle culture, agli individui. È il relativismo.

Come sarà per Cartesio, non sono io con la mia idea che mi adeguo alla cosa esterna, ma è questa che si adegua alla mia idea. Cartesio continua a credere che Dio mi mostra le cose come sono, ma che Dio è questo Dio che Cartesio non trova partendo dalla realtà esterna ma da un’idea innata di Dio?

Kant preciserà: io non conosco l’essenza della cosa come è in sé, ma come appare a me, anche se questo «appare a me» per Kant non cambia da individuo a individuo, ma è uno solo per tutti. Ma ciò non serve a rimediare al soggettivismo, perché resta sempre l’identificazione dell’essere con l’apparire.

È chiaro che se il nostro sapere è chiuso nelle nostre idee; se, come dice Husserl, dal di fuori della coscienza nulla entra in essa, se non possiamo uscire dalla nostra coscienza per raggiungere una realtà esterna, se, come dice Vico, sappiamo solo quello che facciamo noi (verum ipsum factum), se cogliamo solo l’apparire-a-noi e non l’essere in sé o se l’essere coincide con l’apparire, che cosa possiamo sapere di Dio e della sua trascendenza? Da qui l’agnosticismo, come osserva la Pascendi. Da qui al posto di Dio, come essa riferisce, l’«inconoscibile». Ecco tuttavia intervenire il «sentimento». «Dio si presenta bensì all’uomo, ma in maniera così confusa che nulla o a malapena si distingue dal soggetto credente» (n.16).

Oggi i modernisti non parlano più di «sentimento», ma di «esperienza trascendentale», ma l’impostazione teoretica è la stessa: il concetto, sia pur anche quello dogmatico, non ha alcuna funzione realista, ma resta prigioniero dell’ipoteca soggettivista, relativista, storicista, idealista, fenomenista, oggi chiamata «fenomenologica», ed «esistenziale».

Oggi i modernisti parlano e straparlano di Dio. Come segnalava Papa Francesco, assistiamo ad un ritorno di gnosticismo, per il quale è possibile imparare una sapienza elevatissima che ti dice con dotti riferimenti a Parmenide, Meister Eckhart, Lutero, Spinoza, Böhme, Kant, Hegel, Schelling, Heidegger, Severino e la Kabbala qual è il Dio cristiano meglio di San Tommaso, della Scrittura, della Tradizione, del Magistero della Chiesa e dello stesso Signor Nostro Gesù Cristo.

Terzo. Altro motivo per il quale probabilmente i Papi del postconcilio non parlano di modernismo è il fatto che di questo termine si sono impossessati i lefevriani per farne un uso improprio e fuorviante, giacchè per loro le stesse dottrine del Concilio e gli insegnamenti dei Papi del postconcilio sono moderniste, quando invece a ben guardare esse con la proposta di una sana modernità, ci difendono proprio dall’insidia modernista.

Bisogna ancora parlare di modernismo

Il termine modernismo resta attualissimo e pastoralmente chiaro ed efficace naturalmente non come categoria della storia ma dello spirito, ossia l’idolatria della modernità, cioè il tentativo dissennato ed empio di voler giudicare il Vangelo col criterio della modernità anziché il vagliare nella modernità ciò che è assimilabile dal Vangelo e ciò che va respinto.

Si capisce che i modernisti respingono sdegnosamente l’accusa di modernismo, ma se poi guardate come giudicano il modernismo dell’epoca di S.Pio X, vi accorgerete che non mancano di farne le lodi come di precursori della Chiesa di oggi rinnovata dal Concilio e dalla loro opera.

Non si tratta certo di ripetere contro i modernisti quella severità che fu adottata dalla Chiesa di San Pio X. Edotta dallo stile più evangelico e più pastoralmente articolato introdotto dal Concilio, la Chiesa oggi è più attenta che nel passato ai valori che sono presenti anche nelle dottrine più malsane e soprattutto nella dignità dell’errante, che va comunque sempre apprezzato nei lati positivi della sua condotta ed impiegato laddove può fare del bene.

Bisogna togliere peraltro ai lefevriani l’uso della parola modernismo perché la fraintendono accusando ingiustamente di modernismo le nuove dottrine del Concilio e il Magistero dei Papi del postconcilio. Il pericolo del modernismo effettivamente oggi esiste come non mai, ma il Papa stesso dovrebbe rientrare in possesso della parola e spiegare lui che cosa si deve intendere per modernismo e qual è oggi realmente il modernismo.

A Papa Francesco piace la categoria del nuovo, che è profondamente umana e genuinamente biblica: nuova alleanza, nuova dottrina, nuova creatura, uomo nuovo, nuova Gerusalemme, nuovi cieli e nuova terra, lingue nuove, cose nuove, nuova creazione, spirito nuovo, vita nuova, legge nuova, nuovo sacrificio, cuore nuovo, pasta nuova, vino nuovo, canto nuovo. S’intende che il nuovo al quale dobbiamo essere aperti sia buono, perché purtroppo esistono anche novità cattive, tristi, fuorvianti, scandalose, quindi indubbiamente da respingere.

L’esperienza del nuovo è legata al nostro desiderio di scoprire, di conoscere meglio, di imparare, di indagare, di chiarire e di approfondire ciò che contiene una ricchezza inesauribile. ci attira e ci fa bene: questo tesoro sono i misteri della natura e della nostra umanità, ma è anche è la parola di Dio, la verità di fede, il mistero di Dio e della salvezza, le promesse del Signore, la futura Gerusalemme che ci attende, la meta del nostro cammino terreno.

Il moderno e il nuovo sono collegati e si illuminano a vicenda. Papa Francesco farebbe bene a toccare assieme alla tematica del nuovo, quella della modernità, che oggi è molto sentita dagli uomini del nostro tempo. Chi non desidera essere moderno, supponendo che esso sia meglio del passato? Certo, se per «moderno» intendiamo ciò che c’è oggi, in tal caso restiamo indifferenti; vogliamo sapere che cosa c’è di buono nell’oggi. Questo c’interessa.

Invece lo sbaglio del modernista sta nella ricerca e nell’apprezzamento di ciò che c’è oggi per il semplice fatto che oggi va di moda ed ha successo. Come nota la Pascendi, il modernista non ha un sincero interesse per ciò che è validamente e proficuamente nuovo, ma è preso dalla «smania di novità», ossia dalla vanità di voler presentare nuove teorie a tutti i costi e dal pretesto della novità per disattendere ai valori già noti ed acquisiti.

Preoccupazione del modernista non è tanto l’uso di filosofi recenti o contemporanei; egli può utilizzare anche filosofi antichi. Ciò a cui tiene è accontentare i gusti non importa quali degli uomini di oggi o della maggioranza, cosa che gli garantisce il successo e la fama, ai quali tiene in modo assoluto.

Altro difetto del modernismo è il fatto che esso promuove un progresso e un avanzamento verso un futuro il cui contenuto o è assente, immerso nella nebbia di una pseudomistica o è meramente terreno. Il modernista ignora i contenuti dell’escatologia cristiana, per cui non ne fa oggetto di indagine teologica, cosicchè il modernista si lancia nel progresso ma non sa verso che cosa progredisce. Non gl’interessa la coerenza, la linearità, raggiungere una meta, realizzare un ideale, seguire un modello. L’importante è muoversi, agitarsi, spararle grosse, far sì che gli altri parlino di lui.

Per il modernista il moderno non ha bisogno di essere giudicato o vagliato in base ad un superiore criterio estrinseco, perché esso stesso è il criterio per giudicare se stesso, il passato e il futuro. Per il modernista non esiste una verità oggettiva, immutabile, universale sovratemporale che possa far da criterio per giudicare ciò che nel passato, nel presente e nel futuro vale o non vale, ma la verità è ciò che oggi i modernisti intendono per verità, non importa se contrasta con ciò che si pensava in passato o si penserà in futuro.

Qualche suggerimento a Papa Francesco

Papa Francesco ci esorta spesso a camminare, avanzare, progredire, rinnovarci, convertirci, stare in movimento, ad evitare la rigidezza, l’immobilismo, il conservatorismo, a non star fermi, a non restare o tornare indietro.  

Vuol forse con ciò negare il valore della tradizione, il dovere di conservare e custodire il deposito della rivelazione, la fedeltà al dogma, la continuità e coerenza nella storia del Magistero della Chiesa, l’immutabilità dei princìpi del sapere, del reale e della morale, l’assolutezza e inviolabilità delle leggi divine, degli articoli della fede, l’esistenza di valori assoluti e non negoziabili?

Niente affatto: questo sarebbe modernismo, il quale, però, essendo eresia, non è pensabile in un Papa, anche se a volte può avere qualche espressione che potrebbe suonare in tal senso. Ma è chiaro che va interpretata correttamente in senso ortodosso.

Papa Francesco ci invita ad avere un concetto giusto di tradizione: essa non è un blocco monolitico o una conchiglia fossile da ricevere, custodire e trasmettere ai posteri nella sua intatta materialità senza modifiche, aggiunte o sottrazioni.   Tradizione, ancor prima che documento scritto, è trasmissione orale, è predicazione. Per questo la Chiesa parla di tradizione «viva». È vero che lo scritto dà precisione e certezza, ma la parola spiega quello che non c’è nello scritto.

La tradizione è un patrimonio di concetti i cui contenuti divini immutabili certamente non possono e non devono da noi essere cambiati o modificati o aumentati o soppressi, ma che devono essere da noi accolti così come sono e sempre meglio conosciuti. Non mutano quindi i contenuti, espressi nei dogmi, come credono i modernisti, ma il nostro modo di conoscerli.  

I Papi del postconcilio si sono sforzati finora purtroppo invano di far capire ai lefevriani che essi non hanno capito che le nuove dottrine del Concilio non costituiscono nessuna rottura o smentita o contraddizione o tradimento nei confronti dei contenuti della Tradizione, ma li confermano, li chiariscono, li esplicitano, li spiegano meglio, con un linguaggio adatto agli uomini di oggi, un linguaggio moderno.

Dobbiamo certamente cercare nel passato e guardare al passato per trovarvi i valori permanenti sui quali basare il nostro presente e il nostro futuro. Dobbiamo certamente conservare gelosamente e fedelmente memoria dell’immutabile patrimonio ideale, profetico, sapienziale e divinamente rivelato che ereditiamo e ci viene consegnato dal passato da Gesù Cristo, dagli apostoli, dai padri, dai dottori, dai martiri e dai santi.

Ma dobbiamo anche saperci liberare con adeguata penitenza da un passato di colpe che ci sono state perdonate, di cose vecchie che non servono più, di realtà un tempo valide ed utili, ma che ormai hanno esaurito la loro funzione, di idee e comportamenti superati. Dobbiamo tornare ad un passato tuttora valido, che avevamo dimenticato, ma non ad un passato che deve restare passato. In questo senso il Papa parla del vizio dell’indietrismo.

Sarebbe auspicabile che il Papa intervenisse per far chiarezza in questa intricata problematica e tematica, dove abbondano gli equivoci, attinente al rapporto fra modernità e modernismo, fra tradizione e progresso, fra ciò che passa e ciò che non passa, fra conservazione e sviluppo, fedeltà e rinnovamento, continuità e mutamento, fra passato, presente e futuro del vivere e pensare cristiani.

In particolare, il Papa dovrebbe spiegare che il modernismo non è quello che intendono gli indietristi, ma ciò che ho spiegato in questo articolo. Così come egli si scagiona dall’accusa che gli viene fatta di essere comunista o eretico, dovrebbe scagionarsi anche dall’accusa di modernista, la quale fa presa su molti cattolici amanti della tradizione.

Il progressismo può essere confuso col modernismo. Il Papa dovrebbe dire chiaramente che progredire non è sovvertire. Progredire è costruire, non distruggere. Progredire è migliorare ciò che va conservato.  Gli indietristi devono imparare che cosa è il progresso e che fedeltà al dogma ed alla tradizione non è immobilismo e conservatorismo. Dobbiamo saper essere moderni senza essere modernisti; e il Concilio ci indica la strada.

La novità dottrinale non è necessariamente infedeltà o tradimento o rivoluzione o apostasia, ma è conoscere meglio ciò che già sapevamo. Il presente non è l’assoluto; eppure Dio è nel momento presente. La meta non è nel passato ma nel futuro. C’è un passato da abbandonare, un passato da conservare e un passato da ritrovare. Ogni tanto occorre fermarsi per vedere quanto cammino abbiamo fatto e quanto ne resta da fare, correggendo la rotta, nel caso che stiamo andando fuori strada. Questo è lo scopo dei Concili ecumenici.

Inoltre, Papa Francesco, che, in quanto promotore della riforma conciliare, è un deciso progressista, dovrebbe a mio avviso fare attenzione a non pronunciare frasi che potrebbero essere volutamente fraintese e strumentalizzate dai modernisti per dire che il Papa dà ragione a loro.

E quando il Papa si accorge di questa strumentalizzazione, salvo che essa non sia evidente, non dovrebbe tacere, perché ciò favorisce l’impressione che l’interpretazione dei modernisti sia giusta, ma dovrebbe prendere esplicitamente le distanze.

Sull’esempio dei Papi precedenti il Santo Padre non dovrebbe limitarsi a dire che chi è contro il Concilio è fuori della Chiesa, ma dovrebbe distinguere una falsa da una vera interpretazione del Concilio – quella fatta dai Papi -, dove quella falsa è quella di vedere nel Concilio una tendenza modernista, i modernisti per rallegrarsene col farsi  passare per sostenitori del Concilio, mentre ne sono i falsificatori, e gli indietristi per lamentarsi senza fondamento con l’accusare il Concilio di modernismo.

Inoltre il Papa, nel riconoscere il ritorno di modernismo, dovrebbe dire molto chiaramente che esso non è affatto dovuto, come gridano da sessant’anni gli indietristi, agli effetti delle nuove dottrine del Concilio, che si sarebbe scostato dalla tradizione, ma alla loro falsificazione ad opera dei modernisti.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 20 aprile 2024


Oggi i modernisti non parlano più di «sentimento», ma di «esperienza trascendentale», ma l’impostazione teoretica è la stessa: il concetto, sia pur anche quello dogmatico, non ha alcuna funzione realista, ma resta prigioniero dell’ipoteca soggettivista, relativista, storicista, idealista, fenomenista, oggi chiamata «fenomenologica», ed «esistenziale».

Oggi i modernisti parlano e straparlano di Dio. Come segnalava Papa Francesco, assistiamo ad un ritorno di gnosticismo, per il quale è possibile imparare una sapienza elevatissima che ti dice con dotti riferimenti a Parmenide, Meister Eckhart, Lutero, Spinoza, Böhme, Kant, Hegel, Schelling, Heidegger, Severino e la Kabbala qual è il Dio cristiano meglio di San Tommaso, della Scrittura, della Tradizione, del Magistero della Chiesa e dello stesso Signor Nostro Gesù Cristo.

Sull’esempio dei Papi precedenti il Santo Padre non dovrebbe limitarsi a dire che chi è contro il Concilio è fuori della Chiesa, ma dovrebbe distinguere una falsa da una vera interpretazione del Concilio – quella fatta dai Papi -, dove quella falsa è quella di vedere nel Concilio una tendenza modernista, i modernisti per rallegrarsene col farsi  passare per sostenitori del Concilio, mentre ne sono i falsificatori, e gli indietristi per lamentarsi senza fondamento con l’accusare il Concilio di modernismo. 

Immagine da Internet: - Ernesto Buonaiuti


[1] Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009.

[2] Vedi il mio libro Progresso nella continuità. La questione del Concilio Vaticano II e del post-concilio, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2011.

[3] San Tommaso, Commento alla Metafisica di Aristotele, libro IV, cap.V, lect.XIII, n.683, Edizioni Marietti, Torino-Roma 1964, p.188.

2 commenti:

  1. Su Rahner ha molto da dire il P. Daniel Ols, soprattutto nel suo libro Cristologie contemporanee e lo loro posizione al vaglio della dottrina di S. Tommaso.
    In quel libro analizza minuziosamente Rahner e Schillebeeckx dimostrando l'incompatibilità di questi due teologi con la teologia cattolica.

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    1. Cara Caterina,
      conosco molto bene Padre Ols e anche quel libro, che lei mi cita, che è fatto molto bene.
      Comunque la ringrazio per la segnalazione e mi compiaccio per la sua attenzione al valore della sana dottrina.

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