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Testi di P. Tomas Tyn, OP

Un solo pastore una sola Chiesa una sola Messa

 Un solo pastore una sola Chiesa una sola Messa

Un solo corpo, un solo Spirito, come una sola

 è la speranza alla quale siete stati chiamati,

 quella della vostra vocazione; un solo Signore,

una sola fede, un solo battesimo.

Un solo Dio, Padre di tutti, che è al di sopra di tutti,

agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti.

Ef 4,6

 

Il fondamento dell’unità e dell’organicità della Chiesa 

Una sola fede. Ora, la verità di fede è una perché è la medesima per tutti i credenti, Essa è quindi «cattolica», cioè universale ed immutabile. Qualunque vera fede religiosa è una cosa molto seria, ha questa pretesa di verità, di universalità, di obbligatorietà per tutti, se vogliono salvarsi.

Quindi parlare di «fedi», come si sente oggi spesso dire, è una grande sciocchezza, vuol dire non sapere che cosa è una fede religiosa, fosse essa cristiana, ebraica, islamica o induista o buddista, e scambiare la fede per un’opinione, così come in Parlamento troviamo la molteplicità delle opinioni politiche. È chiaro che i contenuti delle diverse religioni sono diversi e spesso in contraddizione fra di loro. È ovvio che alcuni sono veri ed altri sono falsi.

Ma il vero costruttivo dialogo interreligioso non è il chiacchierare in un caffè su diverse opinioni restando della propria opinione e lasciando l’altro nella propria opinione, non è un confronto di idee o una coalizione di interessi o un pateracchio tra diverse «fedi», ma tra credenti di diverse religioni alla ricerca di un solo Dio, come emerge dall’accordo di Abu-Dhabi del Santo Padre con un alto Esponente ufficiale dell’Islam, senza che nessuna voce di rilievo dal mondo islamico abbia avuto qualcosa da ridire. Le lamentele e gli scandali sono venuti da certi cattolici, rimasti ancora all’epoca delle crociate o della battaglia di Lepanto.

Nella Chiesa la diversità, la varietà, il pluralismo, la molteplicità, il dinamismo, la mutabilità, la storia derivano dall’unità sostanziale e si fondano sull’unità. Dal concreto l’intelletto ricava l’astratto e l’astratto illumina il concreto. Nell’astratto cogliamo l’uno e l’universale. Ma nel concreto cogliamo con l’intelletto il molteplice e il diverso per mezzo dei sensi.

L’uno si ricava dai molti ed è a fondamento e principio dei molti. In assoluto, l’uno divino può essere senza i molti; Dio può essere senza il mondo; ma i molti non possono essere senza l’uno, divino o creato che sia. Nel creato, niente uno senza i molti. Ora, la Chiesa è una realtà creata. E dunque essa è una e molteplice, dove il molteplice deriva dall’uno – ecco Pietro, la roccia - e si raduna nell’uno: ecco la comunione ecclesiale cum Petro et sub Petro. 

Occorre dunque saper astrarre l’uni-versale (multa versus unum) dal concreto, l’universale contenuto nei molti (unum in multis et de multis), ricavare così l’uno reale astratto o estratto dai molti per poter concepire la sua verità ed applicare l’universale al concreto per guidare l’azione, perché l’astratto è il clima e la condizione del pensiero, mentre l’azione riguarda la realtà concreta. L’azione è l’applicazione del pensiero al reale e il pensiero è la ragione dell’azione concreta. Senza l’azione il pensiero è sterile; senza il pensiero l’azione è stolta. L’unità dell’azione nasce dall’unità del pensiero.

Il che vuol dire che l’unità dell’azione liturgica nasce dall’unità della fede sacramentale ed ecclesiale. Il Papa, Vicario di Cristo, è il principio vivente, il custode e il garante dell’unità della Chiesa e della comunione ecclesiale perché è il maestro e il custode della verità di fede. Egli infatti si adopera affinchè la Chiesa cammini nella verità, ossia sia fondata su di una sola fede: quella che ci ha insegnato Gesù Cristo.

Tutti i cattolici, quindi, per dirsi cattolici, devono accogliere la medesima fede insegnata dal Papa, mettere in pratica nella liturgia come in tutta la condotta morale, quella medesima fede, del cui insegnamento, della cui conservazione, della cui interpretazione, della cui sempre migliore conoscenza, della cui difesa e del cui annuncio e della cui diffusione il Papa è il primo promotore, garante, organizzatore e responsabile davanti a Dio e alla Chiesa stessa.

L’essenza della Messa è oggetto di fede. È un mistero di fede. Come tale è verità immutabile, universalmente accolta da tutta la Chiesa e da tutti i cattolici. Essa è verità insegnata e custodita dal Papa, trasmessagli da Gesù Cristo, accolta da tutti i cattolici che vogliono essere veri cattolici, in comunione fra di loro nella Chiesa. L’unità della Chiesa nasce dall’unità della fede praticata nella Messa, fons et culmen totius vitae chrstianae, della quale il Papa è il sommo liturgo e sacerdote, nonché moderatore e regolatore della sua ritualità e della sua retta e legittima celebrazione. 

Infatti, come è noto, Cristo ha ordinato agli Apostoli di celebrare la Messa facendo quello che ha fatto Lui nell’Ultima Cena; e per questo il Papa non può cambiare l’essenza della Messa, ossia quello che ha fatto Cristo, per esempio non può sostituire la transustanziazione del pane e del vino con un’azione diversa, ma la deve conservare diligentemente fino alla fine del mondo.

Invece Cristo ha affidato a Pietro il potere delle chiavi, per il quale spetta supremamente al Papa ordinare il modo legittimo e concreto di celebrare la Messa a seconda dei tempi e dei luoghi. Occorre pertanto distinguere attentamente il rito della Messa nella sua sostanza o natura essenziale ed immutabile, dalle diverse modalità rituali di celebrare la Messa.

Il rito è uno solo per tutta la Chiesa. I modi rituali della celebrazione, con le diverse cerimonie o usi liturgici che vi corrispondono, approvati dalla Chiesa, sono diversi, per cui abbiamo per esempio il rito romano, il rito ambrosiano, il rito domenicano, il rito malabarico, il copto, il bizantino. Il Papa non può mutare il rito nel primo senso, ma può mutarlo nel secondo o concedere o negare approvazioni o riconoscimenti ufficiali.

Riguardo alla questione del cosiddetto «pensiero unico», del quale tanti si lamentano, bisogna chiarire quali possono essere i contenuti del pensiero unico. Nessuna società o comunità sta unita e si regge se non sulla base di un pensiero fondamentale unico, un’unica verità pratica per tutti codificata nella carta costituzionale, la quale, tra l’altro, consente proprio a tutti la libertà di pensiero. Questo ovviamente vale anche per la Chiesa. Il semplice pluralismo delle opinioni non unificato da un principio comune di giustizia, come credono i liberali, crea solo il caos, l’anarchia e la sopraffazione dei prepotenti sui deboli.

Ma se il pensiero unico sono i dogmi della fede cattolica, ben venga il pensiero unico e Papa Francesco fa bene a proporlo a tutta l’umanità come unica via di salvezza. Ma se questo pensiero unico dev’essere il lefevrismo o il rahnerismo, al diavolo il pensiero unico!

Occorre allora evitare tanto la mentalità liberale quanto quella fascista. La prima ti dice: «pensa e fa’ quello che ti pare, basta che non dia fastidio agli altri». La seconda comanda che tutti la devono pensare allo stesso modo sotto gli ordini del capo e sotto sanzione penale. L’attuale progetto di legge Zan sull’omofobia, per esempio, è ispirato a questa seconda mentalità. La prima ti dice: «vivi e lascia vivere»; la seconda: «vivi a capo chino». La condotta giusta è: vivi e fa’ vivere in obbedienza a Dio.

Il famoso paragone che il Papa fa della Chiesa con un poliedro è giusto, ma non dice tutta la verità sulla Chiesa. Esso fa capire come la Chiesa, simile ad un corpo organico, è composta di vari carismi, organi e diverse tendenze di pensiero e di azione, che devono armonizzare tra di loro, integrarsi e completarsi a vicenda con amore per formare il tutto, che ordini le parti in unità.

Ma la Chiesa può e dev’essere paragonata anche ad una sfera, perché è questa e non il poliedro, che dà l’idea come tutti i fedeli, simili ai raggi della sfera, devono ugualmente obbedire al Papa, rappresentato dal centro della sfera, verso il quale tutti raggi tendono e dal quale tutti partono.

Quest’immagine dà l’idea dell’unità, dell’una ed unica Chiesa, ma non dà quella della varietà, della pluralità e della molteplicità. Quella del poliedro invece suggerisce tutti questi aspetti, ma lascia in ombra l’universalità ed unità della fede e quindi del culto divino sotto la guida del Papa. Occorre dunque metterle assieme, perché si integrano e si spiegano a vicenda. I modernisti vorrebbero il poliedro senza la sfera. I lefevriani vorrebbero la sfera senza il poliedro.

Papa Francesco nel suo motu proprio Traditionis custodes ha detto che il novus ordo è e dev’essere l’unico rito odierno della Messa, che tutti sono tenuti a seguire, senza tuttavia escludere la legittimità, ad alcune condizioni da lui poste, di celebrare anche nel vetus ordo secondo la modalità stabilita da San Giovanni XXIII nel 1962.

Non è chiaro se i fedeli del vetus ordo possono assolvere al precetto festivo con la loro Messa o sono obbligati anch’essi a seguire il novus ordo. Francesco non precisa, ma suppongo che, concedendo l’indulto, conceda anche la validità del vetus ordo per l’assolvimento del precetto festivo, purché celebrato nel giorno festivo.

Tuttavia, con tutto il rispetto, Francesco sembra troppo rigido, egli così nemico dell’esclusivismo e amico della diversità, nell’apologia del novus ordo. Il vetus ordo sembra semplicemente tollerato come farebbe il tale che, avendo in casa un vecchio armadio sconnesso, che non interessa a nessuno, se lo tiene in cantina accanto al nuovo, il solo che egli usa.

Benedetto era più flessibile e comprensivo, e ha cercato di ottenere una serena e fraterna convivenza tra i fedeli dei due riti. Alcuni sacerdoti in perfetta obbedienza al Concilio, passavano facilmente dall’uno all’altro, come negli anni ’80, faceva il Servo di Dio Padre Tomas Tyn.

Benedetto conosceva benissimo l’opposizione lefevriana al Concilio e ai Papi del postconcilio, ma con il lavoro di mediazione dell’Istituto Ecclesia Dei diretto dall’ottimo ed equilibratissimo Mons. Guido Pozzo, sperava che i lefevriani si aprissero alla riconciliazione, nel contempo richiamandoli paternamente a una piena comunione con Roma.

Anche Francesco fece il bel gesto di concedere ai sacerdoti lefevriani il permesso di confessare i fedeli durante l’Anno Santo della Misericordia. Con quale risultato? Devo pertanto riconoscere con Papa Francesco, anch’io partecipe del suo dolore, che i lefevriani non hanno fatto un passo verso Roma, orgogliosamente ostinati nel rifiuto del Concilio e dell’obbedienza ai Papi del postconcilio.

Tuttavia, secondo me, Benedetto aveva un’altra visione, più ampia e comprensiva nel riconoscere la mistica bellezza del rito antico, il maggior senso del sacro che esso ispirava, il fascino della lingua latina, la maggior chiarezza con la quale il vetus ordo fa capire che la Messa è un sacrificio, la funzione propria, insostituibile e preminente del sacerdote rispetto a tutti gli altri servizi e ministeri liturgici.

Bisogna peraltro osservare che è del tutto impropria l’espressione «Messa in latino» per designare la Messa vetus ordo, giacchè esiste anche un testo latino della Messa novus ordo e nulla impedirebbe tradurre in italiano la Messa vetus  ordo.

La questione della lingua liturgica ci mostra come non sia facile dire se sia meglio la Messa in latino o quella in lingua volgare, sia il vetus ordo o sia il novus ordo. Come si sa bene, vi sono argomenti sia a favore dell’una che dell’altra. Si tratta di pregi reciprocamente complementari, per cui sarebbe bene che potessero essere soddisfatti gli uni e gli altri.

Di fatto, la quasi scomparsa dell’uso del latino ha creato disagi e difficoltà per i sacerdoti che devono celebrare all’estero senza conoscere la lingua del luogo, mentre prima della nuova Messa, la lingua latina univa sacerdoti e fedeli in tutto il mondo, per cui, come osserva il Card. Burke in un suo recente commento al Motu proprio, questo fatto era tangibile segno di quell’unità nella liturgia, che pure giustamente sta a cuore al Papa. Meraviglia, pertanto, che il Papa non accenni assolutamente a questa questione. Ricordo che prima della riforma esistevano messalini per i fedeli, nei quali, a parte le letture che erano in italiano, le preghiere della Messa erano sì in latino, ma con traduzione italiana a fronte.

Il Papa si dice addolorato, ed ha ben donde, per il fatto che il movimento scismatico che si rifiuta di accettare i decreti del Concilio, ha strumentalizzato il Motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI per farne la bandiera e il simbolo del movimento ribelle ai Papi del postconcilio, i quali hanno portato avanti la riforma conciliare. Evidentemente il favorire ciò era alienissimo dalle intenzioni di Benedetto. Francesco fa bene a metterlo in luce.

Il rimedio che il Papa propone per ricomporre lo scisma

Per ricomporre questo scisma il Papa ha ritenuto utile restringere le norme del Summorum Pontificum relative alla celebrazione della Messa vetus ordo. Che cosa spera di ottenere il Papa? Incontrerà obbedienza? Lo scisma sarà ricomposto o per lo meno gli scismatici si decideranno a fare qualche passo avanti? Capiranno che devono una buona volta accettare le dottrine del Concilio? È sufficiente un semplice intervento nel campo liturgico o forse occorrerebbe un’azione più in profondità, volta a persuadere questi fratelli sviati che e perché hanno preso una strada sbagliata, che non difende affatto la Tradizione, ma la falsifica?

Perché si ostinano a ritenere che il loro concetto di tradizione sia quello vero contro il concetto che ne propone il Papa, quando per il vero cattolico sono il Papa e i Concili ad essere i custodi infallibili della Tradizione? Gli apparenti tradimenti della Tradizione, operati dal Concilio, esaminati con occhio critico e sereno, si rivelano essere appunto solo apparenti; e semmai sono stati i modernisti, con la loro falsa interpretazione, a farli apparire come reali.

Dubito, pertanto che questo intervento di Francesco, per quanto valido e necessario, sarà sufficiente, perché questo scisma, originato da Mons. Lefebvre ormai 60 anni fa, ha preso radici così profonde, che non toccano solo il modo di celebrare la Messa, ma comportano il rifiuto delle dottrine conciliari da esso considerate modernistiche. 

 Stupisce peraltro che ancora dopo 60 anni, dopo tutti i chiarimenti e le spiegazioni che sono stati loro forniti, questi fedeli non abbiano ancora capito che dalle dottrine del Concilio e dai Papi del postconcilio non c’è nulla da temere riguardo il rispetto dovuto alla Tradizione, ché anzi, come nota Papa Francesco nel Motu proprio da essi la Tradizione è stata confermata e sviluppata. Semmai sono state abbandonate certe tradizioni umane che avevano fatto il loro tempo ed erano diventate più di intralcio che di vantaggio per l’evangelizzazione del mondo moderno.

Bisogna inoltre notare la necessità di distinguere il diverso o il riformatore dallo scismatico. La libertà di critica dei costumi, di critica teologica o di critica alla condotta dei pastori o del Papa, attuata con carità e giustizia, sono nella Chiesa fattori essenziali per il miglioramento dei costumi, per il progresso della teologia e di aiuto al ministero dei pastori e del Papa. Ma diventano scisma ed eresia, quando si usano criteri di giudizio scismatici o eretici, venendo quindi meno e carità e giustizia, come oggi purtroppo succede sia nei lefevriani che nei modernisti.

Bisogna che ci abituiamo a convivere serenamente nella Chiesa, vorrei dire fianco a fianco e nella speranza insieme con i fratelli non solo scismatici, ma anche eretici, molti dei quali probabilmente non si rendono conto di esserlo, a causa dell’estrema ignoranza in materia religiosa, mancanza di discernimento e assenza di vigilanza dei vescovi. Bisogna sopportarli ed anche accettare da essi disprezzo, umiliazioni, emarginazione e persecuzione.

I nemici non sono fuori, ma li abbiamo in casa e spesso in posizioni di potere. Ebbene Gesù ci ha comandato di amare i nemici. Possiamo, all’occorrenza, se ne abbiamo il coraggio e se è conveniente, usare il linguaggio che Gesù usava contro i farisei. Dobbiamo fare il possibile per convertirli dando innanzitutto noi stessi il buon esempio e pregando per loro. Ho saputo alcuni anni fa da fonte sicura che lo stesso Papa Francesco ha detto a un suo confidente: «ho le mani legate». Dunque, se il Papa stesso non sa come liberarsene, figuriamoci cosa possiamo fare noi comuni fedeli.

Non siamo più ai tempi non dico di San Pio V, ma neppure San Pio X, quando esisteva ancora la figura dell’haereticus vitandus e le scomuniche fioccavano come i temporali d’estate. Allora i teologi erano in gran parte tomisti e l’episcopato e il collegio cardinalizio si strinse attorno al Papa. I modernisti furono isolati ed oggetto della generale riprovazione.

Ma essi non demorsero. Continuarono a tramare di nascosto con una formidabile tenacia, degna di ben altra causa, aspettando il momento favorevole, che fu l’atmosfera di ingenuo buonismo ed eccessivo ottimismo che disgraziatamente si creò nell’immediato postconcilio. Così oggi, dopo 50 anni di avanzata dei modernisti senza che i Papi siano riusciti a fermarli, essi hanno invaso tutta la Chiesa.

Così sono oggi moltissime le persone, finti cattolici, che giuridicamente meriterebbero di essere scomunicate, ma che non lo sono ed anzi occupano posti importanti e di successo nella Chiesa. Comunque sono scomunicate nel loro cuore, sicchè stanno solo materialmente fra noi, ma il loro cuore è con i nemici della Chiesa.

All’inizio del secolo scorso il famoso modernista Ernesto Buonaiuti espresse il voto che un giorno i modernisti fossero giunti a persuadere Roma stessa della bontà del modernismo. Purtroppo la nefasta profezia del Buonaiuti si è avverata ed oggi troviamo modernisti ad insegnare nelle Facoltà Pontificie, fra vescovi e Cardinali. Già nel '500 Giordano Bruno era sceso in Italia nell’intento di persuadere il Papa della bontà delle sue teorie, ma, come sappiamo mal glie ne incolse, come usava a quei tempi.

Modesti suggerimenti a Papa Francesco

Io credo che per risolvere il problema in radice, il Papa, prima ancora che all’unità del culto ed alla sua guida di pastorale universale della Chiesa, dovrebbe fare appello all’unità della fede. Infatti l’unità del culto e l’obbedienza al Papa si fondano e si basano sulla verità di fede concernente la Messa e l’autorità del Papa, verità insegnata dallo stesso Papa, universalmente accettata da tutti i buoni cattolici in quanto cattolici.

In questa luce di fede appare evidente che la Messa è una nella sua essenza, ma molteplice nella varietà dei riti; è immutabile nella sua essenza, ma soggetta a mutamenti accidentali nel corso dei tempi. È legittimo che a Milano vi sia il rito ambrosiano, a Roma il rito romano, in Egitto il rito copto, a Istambul il rito bizantino e così via.

Similmente i fedeli della riforma gregoriana hanno seguito la Messa gregoriana; i fedeli dell’epoca di San Pio V hanno accolto la riforma di Sa Pio V; i buoni fedeli di oggi accolgono la Messa riformata del Concilio Vaticano II. Questo richiede al fedele la comunione con la Chiesa e col Papa. Il buon cattolico fruisce della libertà liturgica che la Chiesa gli concede e cammina nella storia adeguandosi al progresso liturgico attuato dalla Chiesa.

Papa Francesco si è accorto che il movimento scismatico originato da Mons. Lefebvre utilizzava il Summorum Pontificum al di fuori della finalità che si era proposto Benedetto XVI nel pubblicarlo e che era quella di una ragionevole valorizzazione del rito antico, ma nel rispetto del rito nuovo e in comunione con la Chiesa. Invece il documento di Benedetto veniva utilizzato come tessera di riconoscimento dei nemici del Concilio e dei Papi del postconcilio. Da qui l’intervento restrittivo di Papa Francesco.

È la prima volta che il Papa parla di scismatici fanatici del vetus ordo, sostenitori di essere la «vera Chiesa» contro la falsa Chiesa o «Chiesa bergogliana» o «neochiesa», come la chiamano, di Papa Bergoglio. Come vediamo, allora, la rottura della comunione ecclesiale e la frattura col Papa sono molto più gravi di una semplice questione liturgica pro o contra il novus ordo. Qui non c’è in gioco semplicemente la disciplina liturgica o l’unità del culto. Qui c’è in gioco la dottrina della fede, la nozione di Chiesa e dell’autorità del Papa.

Qui non si è ancora capito, dopo 50 anni, che le dottrine del Concilio, come ha detto Papa Benedetto XVI, non rompono con la tradizione, non sono in discontinuità con essa, ma fanno progredire la conoscenza di fede in continuità con la fede di sempre. Non si è ancora capito che la Messa novus ordo non è un ibrido tra Messa cattolica e Cena luterana, ma è la Messa di sempre con apertura ecumenica e ad una maggiore e più convinta partecipazione dei fedeli, con un maggiore annuncio della Parola di Dio, con uno spazio maggiore dato alla legittima creatività, all’inventiva spontanea e al sacro silenzio.

Con Romano Amerio, acuto interprete della protesta lefevriana, nonostante il suo tomismo e la volontà di essere cattolico, e proprio in nome del cattolicesimo come egli lo intende, siamo di fatto davanti a una concezione della Chiesa, che non coincide con quella cattolica. È il pensiero di coloro, che, con Amerio, autore del famoso libro Iota unum, credono che l’ecclesiologia del Concilio abbia mutato l’essenza della Chiesa e l’essenza della Messa.

Il che è da intendersi che le ha falsificate. Ha cambiato ciò che non si doveva cambiare. Ha abbandonato ciò che occorreva conservare. Ha abbandonato la verità per l’errore. Col pretesto dell’aggiornamento, del rinnovamento e del progresso, ha mancato di fedeltà all’Alleanza. Ha falsificato la dottrina tradizionale. Ha considerato come vecchio e superato ciò che è  sempre attuale e valido. Ha voluto ammodernare ciò che non può migliorare, perchè essendo Parola di Dio non si può concepire nulla di meglio.  Ha rinunciato ad essere luce del mondo e ha voluto farsi illuminare dal mondo. Ha sostituito l’eterno con ciò che passa. Ha proposto un Cristo non heri, hodie et cras, ma solo per l’oggi. Per converso ha lascato penetrare nella Chiesa e nella liturgia gli errori della modernità e del protestantesimo. Ha accolto come verità ciò che in passato la Chiesa ha giudicato eresia. Ha accolto un Concilio infetto da una mentalità modernista.

Lo scontro dei lefevriani col Papa verte sulla nozione di «cattolico», su cosa significa essere cattolico. I lefevriani sembrano voler correggere le dottrine del Concilio e il magistero dei Papi del postconcilio su questo punto, senza rendersi conto che essere cattolico vuol dire accettare ciò che il Papa definisce essere cattolico.

Per questo la pretesa di correggere il Papa su questo punto non è da cattolici. Come Lutero, essi credono che la dottrina di un Concilio possa essere sbagliata. Credono che il Concilio sia stato solo pastorale e non anche dottrinale, o abbia spacciato per pastorali delle false dottrine, per cui, dato che la pastorale può essere discussa – questo lo ha detto Papa Benedetto a proposito del Concilio -credono che tutto quello che ha detto il Concilio possa essere discusso, dimenticando che esso contiene anche delle Costituzioni dogmatiche, le quali, benché non definiscano nuovi dogmi, enunciano nuove dottrine che un domani potranno essere dogmatizzate.

Papa Francesco sulla questione del Concilio è tropo schematico. Trascura il fatto che la questione è più complessa di come ce la presenta lui. Egli si ferma a distinguere chi è contro il Concilio, cioè i lefevriani ed oggi i minutelliani e i viganoniani[1], da chi è per il Concilio, ossia chi ha accettato il progresso ecclesiale voluto dal Concilio.

Questo va senza dubbio benissimo, ma non basta. San Paolo VI e Benedetto XVI avevano segnalato l’esistenza di una nefasta corrente, che il primo chiamava «secolarista» o «magistero parallelo» e il secondo chiamava «relativista» o il «Concilio dei mass-media». Ebbene, questa corrente, ci hanno avvertito questi Papi, diffonde una falsa interpretazione di tipo modernistico del Concilio. Papa Francesco dovrebbe riprendere questo discorso.

A ciò si doveva il fatto che il postconcilio non ha dato tutti quei frutti che ci si attendeva ed anzi ha spesso prodotto il contrario[2]; da qui la reazione lefevriana, certo estremista, in quanto anch’essa ha creduto che il Concilio fosse infetto di modernismo, ma non priva di ragioni contro i modernisti. Invece Papa Francesco non fa questa distinzione all’interno dei favorevoli al Concilio, cioè non distingue i progressisti, come per esempio i maritainiani e i congariani, fedeli all’interpretazione del Concilio fatta dai Papi, dall’infido appoggio dato al Concilio dei modernisti, come per esempio i rahneriani, che lo interpretano in senso modernista in contrasto con l’interpretazione del Magistero.

In tal modo il conciliarismo di Francesco non pare distinguersi abbastanza da quello falso dei modernisti. Ora ciò purtroppo non fa altro che alimentare il fuoco della polemica lefevriana, fornendole ragioni. Per questo, un’auspicabile distinzione fra progressisti e modernisti, oltre a fare il bene di tutta la Chiesa e a promuovere la vera riforma conciliare, condurrebbe a soddisfare quanto c’è di giusto nella protesta lefevriana.

Francesco quindi farebbe bene a rispondere a quanto di valido c’è nella protesta lefevriana. Si nota nella sua condotta verso i lefevriani una forte ripugnanza, Francesco dovrebbe vincere tale ripugnanza, ricordare che è anche loro padre, benché siano figli ingrati e scismatici. E nel contempo dovrebbe segnalare meglio e condannare gli errori dei modernisti[3], come fece Benedetto XVI, soprattutto da Cardinale, quando fu a capo della CDF.

Dal punto di vista dottrinale i modernisti sono peggiori dei lefevriani: questi ammettono l’immutabilità della verità e quindi accettano tutto il Magistero della Chiesa fino a Pio XII; i modernisti, che sono degli storicisti ed evoluzionisti, non accettano l’immutabilità della verità, e relativizzano tutti i dogmi. Si salva solo, ma non del tutto, il Concilio Vaticano II, giudicato dai kasperiani troppo conservatore.

In realtà, se c’è uno che non ha il senso del progresso è proprio il modernista, il quale ad ogni cambiar di vento ha bisogno di rimetter tutto in discussione, annullando così le conquiste definitive fatte in duemila anni di progresso dogmatico e sempre di nuovo ripartendo da zero, convinto ogni volta di aver finalmente scoperto la verità, che non è altro che la fantasia della sua mente esaltata.

Nessuno nega che si possono dare cose credute vere per molto tempo, ma che poi, ad una migliore verifica, si rivelano false. Ma la stoltezza del modernista è di non saper distinguere l’essere dal divenire, l’apparenza dalla realtà, l’opinione dalla scienza, la fede dal fideismo, il dogma dal dogmatismo, l’eretico dal diverso, ciò che può cambiare da ciò che non può cambiare, ciò che è certamente vero da ciò che potrebbe non esser vero, di vagare in allucinazioni gnostiche con la pretesa di farsi maestro del Papa e di Gesù Cristo.

Il Papa accenna bensì agli abusi liturgici delle Messe moderniste, ma solo di sfuggita, senza accennare per nulla all’orrendo sfondo dottrinale, che sta dietro a quegli abusi. Il danno che fa il sacerdote modernista più che dalla manomissione delle regole della celebrazione eucaristica, proviene dal suo modo eretico di concepire i sacramenti e la liturgia. Potremmo infatti domandarci che Messa è quella di quei preti che si basano su di un’idea errata del sacerdozio, che non credono nella transustanziazione, che negano il valore soddisfattorio ed espiativo della Redenzione di Cristo, che confondono in Cristo l’uomo con Dio, che non ammettono la Messa come sacrificio, che vogliono il sacerdozio della donna, che strumentalizzano le dottrine del Concilio, che fanno le lodi di Lutero e che rifiutano le dottrine dei Concili precedenti al Vaticano II?

Una Messa di tali sacerdoti sedicenti amici di Papa Francesco è forse meno biasimevole è più sconveniente di una Messa vetus ordo celebrata in spregio al Vaticano II? Non c’è il rischio che i lefevriani dicano a Francesco: prima metti a posto i tuoi scagnozzi modernisti e poi noi obbediremo al tuo Motu proprio?

D’altra parte Francesco corregge là dove spera di poter correggere. Circondato, coccolato e pressato com’è da modernisti, li deve sopportare. Invece nei confronti di una piccola minoranza di fedeli preconciliari, spera forse di ottenere ascolto o con le buone o con le cattive.

Per parafrasare infine le parole del Signore, possiamo dire: Sulla cattedra del Concilio si sono seduti i modernisti e i rahneriani: non fate quello che fanno, ma non fate neppure quello che vi dicono!

C’è però un altro sulla cattedra del Concilio che conta di più di voi: è Papa Francesco, perché Cristo ha voluto un solo pastore una sola Chiesa una sola Messa.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 18 luglio 2021


Il Papa si dice addolorato, ed ha ben donde, per il fatto che il movimento scismatico che si rifiuta di accettare i decreti del Concilio, ha strumentalizzato il Motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI per farne la bandiera e il simbolo del movimento ribelle ai Papi del postconcilio, i quali hanno portato avanti la riforma conciliare. Evidentemente il favorire ciò era alienissimo dalle intenzioni di Benedetto. Francesco fa bene a metterlo in luce.

 

Sulla cattedra del Concilio c’è Papa Francesco, perché Cristo ha voluto un solo pastore una sola Chiesa una sola Messa.

 

 Immagini da internet



[1] Aldo Maria Valli ha curato il libro L’altro Vaticano II. Voci su di un Concilio che non vuole finire, una raccolta di giudizi negativi sul Concilio Vaticano II, se si escludono il mio e quello di Mons. Guido Pozzo, Edizioni Chorabooks, Hong Kong 2021.

[2] «Ci si aspettava una primavera – disse San Paolo VI dieci anni dopo il Concilio -  ed è venuta una tempesta».

[3] Abbiamo la vigorosa condanna dello gnosticismo, che peraltro è l’altro nome del modernismo.

69 commenti:

  1. Articolo equilibrato e chiarificatore che aspettavo. Effettivamente, da semplice lettore, anche io pensavo che le priorità fossero altrrove e Lei le ha elencate molto bene puntando il dito verso la strana fede di alcuni sacerdoti sedicenti cattolici che ci tocca ascoltare talvolta a messa o in privato (e qualche volta nel confessionale)...

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  2. Nel complesso un bellissimo contributo sul Motu proprio

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  3. Papa Francesco non potrà mai sconfessare l'ala modernista, peraltro maggioritaria, perchè è egli stesso modernista.
    Preferisce prendersela con i vecchi, che sa essere in via di estinzione.
    Ai preti tedeschi che benedicono le coppie omo gli basta dare una tiratina d'orecchi.
    Nessun motu proprio per loro, nè per condannare il ddl Zan.
    Se il pontefice regnante ha sempre ragione, perchè la Chiesa è una ed il pontefice è uno, allora aveva ragione anche il pontefice che regnava quando l'Università Cattolica mi fece fare il giuramento antimodernista.
    Non credo che fosse un giuramento a tempo.
    In ogni caso:
    1. Io credo che Dio preferisca l'organo alla chitarra;
    2. L'espressione "Una Chiesa, un Pontefice, una Messa" mi giunge nuova.
    Io ritenevo (e tuttora ritengo) che i riti possano essere molteplici.
    Se poi uno viene preferito ad un altro, pazienza: importante è pregare. In qualsivoglia maniera!
    PS Pensi, padre, a quante energie ha dovuto spendere, non per arricchire il consenso al Papa, ma per parare gli attacchi che immancabilmente gli saranno rivolti!

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    1. Caro Giglio,
      1. "Papa Francesco non potrà mai sconfessare l'ala modernista, peraltro maggioritaria, perchè è egli stesso modernista". Falsissimo. Il modernismo è eresia e un Papa non può essere eretico,
      2. "Preferisce prendersela con i vecchi, che sa essere in via di estinzione.
      Ai preti tedeschi che benedicono le coppie omo gli basta dare una tiratina d'orecchi.
      Nessun motu proprio per loro, nè per condannare il ddl Zan ".
      Sappiamo che è troppo indulgente verso i modernisti. Portiamo pazienza e badiamo ai lati buoni.
      3. "Se il pontefice regnante ha sempre ragione, perchè la Chiesa è una ed il pontefice è uno, allora aveva ragione anche il pontefice che regnava quando l'Università Cattolica mi fece fare il giuramento antimodernista. Non credo che fosse un giuramento a tempo".
      Infatti il giuramento antimodernista vale oggi più che mai. E il Papa dovrebbe ripristinarlo. Non è vero che in campo pastorale il Papa ha sempre ragione. Ha tolto il giuramento proprio quando ce n'era maggiormente bisogno.
      4."Io credo che Dio preferisca l'organo alla chitarra". Lo credo anch'io. La chitarra va bene per le canzonette d'amore, mentre l'organo è al servizio della musica sacra.
      5. "L'espressione "Una Chiesa, un Pontefice, una Messa" mi giunge nuova.
      Io ritenevo (e tuttora ritengo) che i riti possano essere molteplici". Una Messa vuol dire: 1. che il novus ordo è l'unico rito ufficiale obbligatorio per tutti un linea di massima. Ma, sotto certe condizioni, sono permessi anche altri riti, come per esempio il vetus ordo, 2. che Cristo istituì l'unico rito della Messa nell'Ultima Cena, dando a Pitro facoltà nei secoli seguenti fino alla fine del mondo, di regolamentare la disciplina del rito secondo i tempi e i luoghi, mutando, abolendo e rinnovando a sua discrezione, permettendo anche l'istituzione di riti diversi dal rito romano.

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  4. Non sono "unknown". Sono Giglio Reduzzi

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  5. Caro Padre Cavalcoli,
    Il suo articolo è assolutamente illuminante, e meritorio anche per l'equilibrio e il rispetto nei confronti del Santo Padre, anche nei suoi modesti suggerimenti, che dovrebbero essere ascoltati dal Romano Pontefice.
    La chiarezza con cui distingue anche tra la costituzione essenziale del Santo Sacrificio della Messa, e il contingente rituale, storico e mutevole, è molto lucida e chiara.
    E a proposito di quest'ultimo, una domanda, di cui suppongo di conoscere già la risposta: si può dire che San Pio V, nella Quo Primum, abbia superato le sue attribuzioni (ultra vires) nesprimendo di aver stabilito il suo rito "in perpetuo"?
    Sono ben note le loro espressioni, ad esempio: "...a questo Messale da noi appena pubblicato, nulla viene aggiunto, tolto o cambiato in nessun momento e in questo modo lo decretiamo e lo ordiniamo in perpetuo, pena la nostra indignazione, sotto la nostra costituzione». "Che assolutamente nessuno, quindi, può annullare questa pagina che esprime il Nostro permesso, la Nostra decisione, il Nostro comandamento, il Nostro precetto, la Nostra concessione, il Nostro perdono, la Nostra dichiarazione, il Nostro decreto e il Nostro divieto, né osare andare avventatamente contro queste disposizioni. Se, tuttavia, qualcuno dovesse permettersi tale alterazione, sappiate che incorre nell'indignazione di Dio Onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo”.
    Purtroppo, tale è l'ignoranza tra il dogmatico e il disciplinare (anche tra Vescovi e sacerdoti) che questi testi sono usati per idolatrare un rito che non è perpetuo, come nessun rito fa (nel secondo senso che indichi nel tuo articolo).
    Sbaglio in quello che dico?
    Grazie in anticipo.

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    1. Caro Fabio,
      comprendo la difficoltà che nasce dalla lettura del testo di San Pio V. Lei dice bene quando ricorda che non si tratta di materia di dottrina, ma di materia disciplinare. Per capire il senso e la portata delle parole del Santo Pontefice, occorre inserirle nelle modalità espressive del tempo, come sempre bisogna fare quando noi vogliamo interpretare bene un testo letterario, ed anche il linguaggio della Chiesa non sfugge a questa relatività al suo tempo.
      Allora usavano modi espressivi piuttosto categorici, anche in materie che di per sé potevano essere soggette a mutamento. E questo di San Pio V è appunto il caso.
      Occorre inoltre ricordare che il Papa Pio V vuole sottolineare la sua autorità, ma lo fa con lo stile del suo tempo, per il quale l’autorità tendeva ad affermarsi intimorendo in certo qual modo i sudditi.
      È chiaro che Papa Pio V vuole affermare che solo il Papa può legiferare riguardo alla disciplina della Liturgia e modificare gli usi liturgici a sua discrezione. E come Pio V ha modificato i precedenti riti, così Papa Paolo VI ha provveduto alla riforma attuale.

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    2. Caro Padre Cavalcoli,
      ringraziandolo per la sua risposta, e convinto delle sue argomentazioni, non posso però fare a meno di riconoscere la confusione che oggi esiste su questo argomento, anche negli alti prelati della Chiesa, come il cardinale Burke, che - a mio modesto parere - sembra capire (come attualmente i lefebvriani) che il rito tridentino è “la “Messa” di sempre”.
      Mi riferisco a ciò che esprime sul proprio sito web (https://www.cardinalburke.com/presentations/traditionis-custodes):
      "Ma può il Romano Pontefice abrogare legalmente l'Uso Antico, Usus Antiquior? La pienezza del potere (plenitudo potestatis) del Romano Pontefice è il potere necessario per difendere e promuovere la dottrina e la disciplina della Chiesa. Non è un 'potere assoluto' che includa il potere di cambiare la dottrina o sradicare una disciplina liturgica che è viva nella Chiesa dai tempi di papa Gregorio Magno e anche prima. La corretta interpretazione dell'articolo 1 (Traditionis custodes) non può essere la negazione che l'Uso Antico sia un'espressione sempre viva della 'lex orandi del rito romano'. Nostro Signore, che ha concesso il meraviglioso dono dell'Uso Antico, non permetterà che venga sradicato dalla vita della Chiesa".
      Apprezzerei molto qualsiasi tuo commento.

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    3. Caro Fabio,
      secondo me il card. Burke pone la questione in termini che non si confanno alla natura della questione.
      Infatti egli accenna a due cose: abrogare e cambiare la dottrina. Riguardo alla prima cosa, se per abrogare intendiamo annullare, non è pensabile che alcun Papa possa abrogare la Messa di un dato rito. Se invece per abrogare intendiamo “accantonare”, in quanto esiste un altro rito più attuale e rispondente alle esigenze di oggi, possiamo dire che Papa Francesco ha abrogato il vetus ordo, come del resto hanno fatto i Papi precedenti dopo la riforma di San Paolo VI.
      Per quanto riguarda la questione della dottrina, in un caso come questo di scelta tra il vetus ordo e il novus ordo, la detta questione è completamente fuori luogo, in quanto è evidente che tanto il vetus ordo quanto il novus ordo sono modalità rituali diverse della medesima Messa o del medesimo rito romano, come Mistero di fede istituito da Nostro Signore Gesù Cristo.
      Teniamo presente che sia il vetus ordo che il novus ordo fanno riferimento al Concilio Vaticano II, in quanto il vetus ordo è il Messale Romano del 1962 autorizzato da San Giovanni XXIII e il novus ordo è il Messale Romano del 1970 autorizzato da San Paolo VI. Tutti i Papi del postconcilio usano i termini novus ordo e vetus ordo in questo senso.

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  6. Caro Padre Cavalcoli,
    Per quanto riguarda la tua risposta al Sig. Fabio. Condivido il tuo ragionamento, ed è per me molto facile capire la differenza tra insegnamento dottrinale e orientamento disciplinare o giuridico, nell'ufficio del Papa, cosa che tante volte hai spiegato in tanti tuoi articoli.
    Tuttavia, trovo sorprendente che Papa Benedetto, nella sua lettera ai Vescovi del 2007 che accompagna il Motu Proprio, affermi che: "Quanto all’uso del Messale del 1962, come forma extraordinaria della Liturgia della Messa, vorrei attirare l’attenzione sul fatto che questo Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso".
    Si tratta dunque di un errore "legale" di Papa Paolo VI? O è stata una sua consapevole decisione pastorale, di non abrogare il Messale precedente, per rispetto dei fedeli che ancora lo usavano? Comunque sia, capisco che siamo ancora lì: in campo giuridico, in campo contingente, storico e mutevole.
    Ora, capisco che l'affermazione di certi settori del tradizionalismo (lefebvriano e non) che sia l'affermazione di papa Pio V sia l'affermazione di papa Benedetto implicherebbero che la messa tridentina non avrebbe mai potuto essere annullata è un'esagerazione assoluta.
    Grazie.

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    1. Caro Luigi,
      il Messale del 1962 non è mai stato abrogato ed anche Papa Francesco conferma questo stato di cose appunto regolamentando, sia pure in modo restrittivo, la celebrazione secondo quel Messale.

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  7. Caro Padre Cavalcoli,
    Grazie per il tuo bellissimo articolo, che condivido in toto, e che mi ha fatto comprendere con serenità e pace il Motu Proprio Traditionis Custodes, pur riconoscendo che questo orientamento giuridico di Papa Francesco potrebbe rivelare molti limiti umani comprensibili, in il Santo Padre, che non devono farci diminuire la nostra devozione al Papa come Maestro della Fede e Pastore Universale della Chiesa.
    D'altra parte credo di non sbagliarmi nemmeno io se sintetizzo una delle idee centrali che hai voluto trasmettere nel tuo articolo, è che il problema sollevato dalla Traditionis Custodes non è un problema liturgico, ma un problema di Fede e Unità nella Chiesa (cattolicità), cioè è un problema di eresia e di scisma. Penso che sia chiaro nella sua frase di apertura del secondo sottotitolo: "Per ricomporre questo scisma il Papa ha ritenuto utile restringere le norme del Summorum Pontificum relative alla celebrazione della Messa vetus ordo". E anche nella sua prima frase del terzo sottotitolo: "Io credo che per risolvere il problema in radice, il Papa, prima ancora che all’unità del culto ed alla sua guida di pastorale universale della Chiesa, dovrebbe fare appello all’unità della fede".
    Evidenzia alcune carenze umane di Papa Francesco, e penso che la tua opinione sia corretta: "Si nota nella sua condotta verso i lefevriani una forte ripugnanza...".
    Ora, tenuto conto che si vede che in questo pontificato non sembra esserci possibilità che il Romano Pontefice chiami le cose con il loro nome, scisma scisma, eresia eresia, così che risulti chiaro chi sono gli autentici cattolici e quali sono no (come credo che lei abbia chiesto altre volte nei suoi articoli), la mia impressione è che la divina Provvidenza si serva di queste mancanze dell'attuale Papa, e di questo Motu Proprio (con il suo probabile disagio pastorale) per realizzare quanto è tanto necessario . Vale a dire che nell'avversione a tanti atteggiamenti umani di papa Francesco e ai suoi provvedimenti (così rigidi per i tradizionalisti e così lassisti per i progressisti), si chiarisce, alla fine, la Verità di fronte all'Eresia , e l'Unità Cattolica contro lo Scisma. Sarebbe questo un modo in cui Dio trae il bene dal male?
    Grazie, Padre Cavalcoli, e non smettere di donarci la ricchezza delle tue riflessioni.

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    1. Caro Antonio,
      credo anch’io che la Provvidenza, come ricava dai nostri difetti un maggior bene, lo stesso faccia col Papa. Il fatto che sembri non sufficientemente attento alle numerose eresie, che sono in circolazione, stimola in noi teologi, nei buoni pastori e nello stesso popolo di Dio, sotto la guida dello Spirito Santo, una reazione salutare che crea degli anticorpi in difesa contro le insidie dell’errore.

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  8. "Non si è ancora capito che la Messa novus ordo non è un ibrido tra Messa cattolica e Cena luterana, ma è la Messa di sempre con apertura ecumenica e ad una maggiore e più convinta partecipazione dei fedeli, con un maggiore annuncio della Parola di Dio, con uno spazio maggiore dato alla legittima creatività, all’inventiva spontanea e al sacro silenzio".
    ---
    Da quanto si può vedere su siti e blog tradizionalisti su internet, attraverso le prime reazioni al motu proprio di papa Francesco, i tradizionalisti (credo tutti i filolefebvriani) sono estremamente offesi dall'accusa mossa dal Papa di aver strumentalizzato il Summorum Pontificum per manifestare contro il Concilio e il Magistero pontificio postconciliare.
    Penso che non abbiano motivo di offendersi.
    Basterebbe fare un sondaggio tra loro per avvertirlo: se dovessero rispondere su ciò che pensano delle dottrine conciliari quali: apertura ecumenica, sacerdozio comune dei fedeli, libertà religiosa, dialogo con la modernità nei suoi aspetti validi, la dignità della donna, il posto e il ruolo dei laici nella Chiesa... cosa pensi che risponderebbero?
    Grazie, Padre Cavalcoli, per aver fatto luce su tutto questo!

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    1. Cara Catalina,
      penso anch’io che il Santo Padre potrebbe dare un contributo notevole a smorzare la tensione emanando un documento nel quale 1) metta in rilievo la continuità delle dottrine del Concilio con la Tradizione; 2) dimostri come l’interpretazione modernistica del Concilio è una falsa interpretazione, dissonante con l’interpretazione autentica dei Pontefici postconciliari; 3) in base a ciò, come già fece Benedetto XVI, dovrebbe esortare i filolefevriani ad assumere serenamente le nuove dottrine del Concilio; 4) citando Benedetto XVI, dovrebbe ammettere che certe posizioni della pastorale possono essere discusse.

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  9. Caro padre,
    Riconosco con voi la distinzione tra dottrinale e disciplinare nell'opera di un Papa. Tuttavia, l'autoritarismo degli ultimi papi, e specialmente di papa Francesco, mi sembra eccedere ogni ragionevolezza. Ma non ritengo che sia un difetto personale di questo attuale Papa, in particolare. Piuttosto, è un sovradimensionamento del papato che si è verificato nella Chiesa cattolica a partire da papa Pio IX.
    Quindi, mi sembra che per diversi pontificati la Chiesa abbia adottato un carattere più vicino a quello di movimento che a quello di istituzione. E questo è avvenuto, a mio avviso, dal pontificato di Pio IX e dalla sua esaltazione del papato romano a livelli che non aveva mai avuto, trasformando così il Papa in un caudillo.
    Vale la pena qui ricordare due aneddoti di Pio IX. Nel pomeriggio del 18 giugno 1870, mentre si svolgeva il Concilio Vaticano I, si svolse un'accesa discussione tra questo pontefice e il cardinal Guidi a causa delle riserve che il dotto cardinale domenicano aveva sulla convenienza di proclamare il dogma dell'infallibilità sulla motivi di ciò non era una verità chiaramente conservata nella Tradizione. Pio IX gli gridò di rimando: “…io, io sono la Tradizione, io, io, io sono la Chiesa”. (Cfr. K. Schatz, Vaticanum I, vol. III, Paderborn, 1992, p. 312-322). E in un'altra occasione, durante l'incontro tra il pontefice e il patriarca melchita Gregorio II Youssef-Sayour, fermo oppositore della definizione del dogma dell'infallibilità, il vescovo orientale fu gettato a terra da una guardia svizzera e da Pio IX, mentre pestandogli la testa, disse: "Gregorio testardo" (Ken Parry - David Melling, The Blackwell Dictionary of Eastern Christianity, Malden 1999, p. 313).
    Al di là della comodità o dell'inconveniente della proclamazione di quel dogma, la verità è che Pio IX era diventato un capo, che disfaceva nella Chiesa secondo la sua volontà onnicomprensiva e trattava come lui il resto dei vescovi, successori degli apostoli , come semplici dipendenti.

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    1. Caro Ruben,
      mi permetta di avere qualche dubbio circa l’esattezza dei racconti riferiti al Beato Pio IX. Ad ogni modo la cosa importante è che si tratta di un Santo riconosciuto dalla Chiesa.
      Inoltre io credo che più che guardare a questi episodi del passato, in ogni modo da verificare, sia bene considerare realisticamente e con rispetto il comportamento del Papa attuale.
      Per quanto riguarda il Motu Proprio di Papa Francesco, si nota certamente un atteggiamento sdegnato, ma credo sia giustificato dal fatto che i filolefevriani si sono serviti del Motu Proprio di Benedetto XVI per contestare le dottrine del Concilio, la Messa Novus Ordo e il Magistero dei Papi del postconcilio, allargando i confini oltre il Messale del 1962 al Messa di San Pio V, che non è consentita.

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  10. Padre, non ho ben capito se sei d'accordo o meno con la posizione di Romano Amerio. O quello che dice Amerio non è ben compreso, e se è giusto per te o no.

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    2. Caro Anonimo,
      Romano Amerio è stato un intellettuale laico cattolico dottissimo e fedele alla Chiesa. Solo che ha avuto notevoli difficoltà a comprendere le novità del Concilio.
      Purtroppo ha creduto che il Concilio abbia proposto un concetto di Chiesa contrario alla Tradizione, per l’esattezza ha detto che il Concilio aveva cambiato l’essenza della Chiesa. È qui che egli ha mancato, perché è impensabile che un Concilio, le cui dottrine sono infallibili, possa commettere errori di questo genere.

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  11. Io provo solo una grande tristezza perchè da poco avevo scoperto la Messa tradizionale e ne ho tratto grandi frutti spirituali. Ora sarà dura tornare nel recinto modernisa del novus ordo come è declinato ai nostri giorni.

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    1. Caro Stefano,
      innanzitutto io ti esorto a continuare per quanto è possibile a partecipare alla Messa vetus ordo.
      Tuttavia ti consiglio anche di partecipare alla Messa novus ordo, auspicando che sia ben celebrata.
      Tieni presente che si tratta di due modalità di celebrazione della medesima Messa Romana. Inoltre stai attento a non considerare modernista il novus ordo, perché questo non è affatto vero. Semmai possono esistere delle concezioni moderniste della Messa, che nulla hanno a che vedere col vero novus ordo.

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  12. Lei pone delle domande a cui, a pare mio, non trova risposta a causa del suo evidente sovradimensionare il fenomeno lefevriano. Forse sente bisogno di ingigantirlo per farlo apparire dialetticamente comparabile col certamente gigantesco fenomeno modernista? Epperò, non può essere ricondotta ai lefevriani ogni posizione critica dell'attuale pontificato, comprese le attuali reazioni alla cancellazione della lingua che appartenne a una chiesa non a caso detta "chiesa latina". Inoltre, davvero non riesco a vedere alcuna particolare lotta di Francesco contro i lefevriani, un gruppo che proprio in quanto "disobbediente" sarà paradossalmente salvaguardato dalle nuove disposizioni. Salvaguardati come gli eretici tedeschi! Colpiti sono sempre gli altri, quelli sostanzialmente obbedienti. Ciò che lascia interdetti è che, dietro cortine fumogene di belle parole e spiegazioni, sia in atto l'archiviazione di ben due pontificati precedenti: quello di Giovanni Paolo II (al cui chiaro insegnamento morale si preferisce oggi l'ambigua predicazione eretica del p. James Martin) e quello di Benedetto XVI che non voleva affatto preservare in apposite "riserve" ristretti gruppi di fedeli, ma offrire a tutti la ricchezza liturgica della chiesa perché a tutti essa appartiene. Le decisioni di BXVI oltretutto sono state cancellate dopo una manciata di anni col suo autore ancora in vita, con una evidente mancanza di sensibilità. Non ho mai partecipato ad alcuna messa in latino eppure percepisco questa tradizione come importante e bella. Ho studiato latino a scuola e so che è la mia lingua, la lingua della mia cultura e della mia storia: dunque una "madre" che merita di essere difesa (come aveva insegnato, mutatis mutandis, proprio papa Francesco) quando fosse offesa, dimenticata, attaccata. Non capisco perché i popoli andini possano celebrare in Quecha e con riti controversi mentre i fedeli italiani debbano vedere negletta la lingua delle proprie origini, quasi fosse pericolosa per la fede. Non usano forse i mussulmani l'arabo classico? E gli ebrei non usano la loro antica lingua? E gli ortodossi disprezzano forse il greco?
    Rifletta anche sulla situazione di chi non è modernista e non è lefevriano. Un caro saluto.

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    1. Caro Stefano
      se lei segue le mie pubblicazioni in rete noterà che si può benissimo, entro limiti ragionevoli e col dovuto iriopetto, essere critici del Papa senza per questo essere lefevriani, i quali, peraltro, prima di criticare il Papa, farebbero meglio a regolare la loro posizione nei suoi confronti.
      Si potrà discutere del tono e delle ragioni del Motu-proprio del Papa; ma lei, come cattolico, non potrà contestare la facoltà concessa da Cristo al Papa di mutare a sua discrezione certe disposizioni disciplinari concernenti la partecipazione alla Messa o la modalità del rito della Messa emanate da Papi precedenti.
      Quanto all'uso del latino, esiste anche il novus ordo in latino. Papa Francesco non ce l'ha col latino, ma, come egli stesso ha detto, lo ha irritato il fatto che certi gruppi hanno strumentalizzato il Motu-proprio di Benedetto per dare contro il Concilio,contro la Messa novus ordo e contro i Papi del postconcilio.

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  13. (sono uno Stefano diverso dal precedente 🙂)

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  16. Caro Padre Cavalcoli,
    Ho letto con attenzione il tuo articolo equilibrato e luminoso, e, in generale, sono propenso a essere d'accordo con te su tutto o, almeno, non vedo un punto in cui non sei d'accordo, se non su un punto fondamentale, basilare, al quale tu non si riferiscono, ma quello che ho capito dovrebbe riflettersi, perché è implicito.
    Credo che tu abbia scritto poco sulla liturgia, e posso comprenderne le ragioni, perché fatta eccezione per l'aspetto sacramentale dogmatico della liturgia (l'immutabile), tutto il resto è contingente, storico, mutevole, e credo che i tuoi gusti intellettuali siano orientati verso la metafisica e la dogmatica teologica.
    Ricordo però un tuo articolo su Riscossa Cristiana, una decina d'anni fa, a pochi anni dal 2007, in cui ti manifestavi secondo il motu proprio Summorum pontificum di Benedetto XVI, pur non ignorando la tensione tra tradizionalisti e progressisti intorno alle questioni liturgiche e alla reciproca accettazione del novus ordo e del vetus ordo, rispettivamente, e conclude il suo articolo incoraggiando la Chiesa a legiferare più dettagliatamente sul rapporto canonico che dovrebbe esistere tra le due "forme" del rito romano.
    Purtroppo i loro buoni auspici non hanno dato frutti, le tensioni tra le due fazioni sono aumentate, e oggi si assiste al quasi completo annullamento di quanto ordinato da papa Benedetto.
    Ma vengo al punto, alla mia domanda, a quello che capisco è il problema centrale (nella mia modesta comprensione) che tu non tocchi.
    Parto dal fatto vero che le riforme del Messale Romano sono questioni contingenti, soggette al potere delle chiavi del Papa. E capisco che Pio V aveva tanto diritto di riformare il Messale, quanto avevano Clemente V, o Urbano VIII, Leone XIII, Pio XI, Pio XII e Giovanni XXIII, di riformarlo e, naturalmente, anche Paolo VI lo aveva in dare alla Chiesa un nuovo Messale nel 1969.
    Mi chiedo, allora, e credo sia mio diritto chiedere, perché è una questione disciplinare, non dottrinale: non poteva essere che San Paolo VI, a volte titubante, avesse sbagliato dopo il 1969, iniziando a dare indulti a celebrare la Messa con il vecchio Messale? Alla fine, è qualcosa di pastorale, in cui potrebbe benissimo sbagliare. Dopotutto, il Messale del 1969 non era un semplice messale per un particolare gruppo di cattolici, come i copti, i bizantini, ecc., ma un messale per la Chiesa universale! Possono coesistere due Messali della Chiesa Universale?
    San Giovanni Paolo II si è sbagliato pastoralmente anche con i suoi indulti e con la commissione dell'Ecclesia Dei?
    Benedetto XVI si è sbagliato pastoralmente anche con il suo motu proprio del 2007? A giudicare da quanto è successo in questi tredici anni, le tensioni tra tradizionalisti e progressisti che hai descritto un decennio fa, oggi sono diventate geometricamente gigantesche! Il che sembra dare ragione alla decisione di papa Francesco con il suo nuovo motu proprio (al di là del suo atteggiamento sbilanciato nei confronti di entrambe le correnti di fazione).
    Ma quello che temo è che Benedetto XVI, nel 2007, di sua iniziativa, si sia lasciato trasportare dal suo spirito tedesco (e qui forse si tratta di un'ambiguità dottrinale) con quella teoria delle "due forme del rito", che fa non mi sembra molto scolastico, e che non sono mai riuscito a comprendere appieno. Se un rito è universale, è universale, perché dovrebbe avere due forme "universali"?... Ho l'impressione che alla luce di questi tredici anni, "a toro pasado" come dicono gli spagnoli, non si debba essere così benevoli nel giudicare la decisione di Benedetto , per quanto ben intenzionato avrebbe potuto essere; ma nella pastorale gli errori sono possibili per chiunque.
    Spero di essere stato in grado di spiegarmi nella brevità di questo commento.
    Grazie.

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    1. Caro Ross,
      confermo quelle opinioni che espressi in quell’articolo su Riscossa Cristiana. A me pare apprezzabile lo sforzo che Benedetto XVI fece per creare un rapporto tra i due riti. I termini “ordinario” e “straordinario”, rappresentavano questo sforzo. Un’altra diade avrebbe potuto essere “principale” e “secondario”, con le dovute spiegazioni.
      D’altra parte è comprensibile l’impostazione di papa Francesco, il quale parla di un solo rito, intendendo il novus ordo. Però sta di fatto che Papa Francesco non abolisce affatto il vetus ordo, e questo appare evidente dal fatto che ne regolamenti la celebrazione.
      Come mai la conflittualità è aumentata? Il motivo, secondo me, è che tutti i Papi del postconcilio non si sono impegnati abbastanza nel risolvere i conflitti dottrinali tra lefevriani e modernisti, mettendo in luce gli aspetti positivi degli uni e degli altri. Infatti, qualunque società, compresa la Chiesa, ha bisogno di una sintesi tra conservazione e progresso, per cui si sarebbero dovuti correggere i due rispettivi difetti del conservatorismo e del modernismo.
      Dunque io sono convinto che questo Papa o il prossimo deve per così dire prendere il toro per le corna, cioè deve organizzare un confronto tra le due parti ponendosi come giudice super partes, in modo simile a quello che fa il governo quando in caso di conflitti tra imprenditori e lavoratori convoca le due parti affinchè si realizzi un accordo.
      C’è da notare inoltre che, mentre tutti per novus ordo intendono il rito di Paolo VI, circa il vetus ordo c’è un equivoco, perché chi è contrario al Vaticano II invece di usare il Messale Romano autorizzato da Giovanni XXIII del 1962, usa il Messale precedente, ovvero quello di San Pio V, mentre tutti i Papi del postconcilio intendono riferirsi solamente al Messale Romano del 1962.
      Ora, purtroppo questo equivoco da parte dei lefevriani è voluto per motivi dottrinali e non solo liturgici.
      Inoltre, il Papa dovrebbe precisare che l’uso del vetus ordo di per sé non fa problema, a patto che non venga utilizzato per esprimere la propria opposizione al Concilio.
      Infine c’è da notare che la celebrazione del vetus ordo, da parte dei Papi del postconcilio, è stata sempre concessa per aiutare alcuni gruppi di fedeli tradizionalisti a rimanere in comunione con la Chiesa del postconcilio e non certo per favorire lo scisma.

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  17. Caro Padre Cavalcoli,
    quando lei fai notare la posizione semplicistica di papa Francesco nell'indicare chi è contro e chi è a favore del Concilio, dicendo che papa Francesco non riesce a distinguere tra progressismo e modernismo, accenna solo a due Papi che hanno capito quella distinzione .

    Tu dici: "Papa Francesco sulla questione del Concilio è tropo schematico. Trascura il fatto che la questione è più complessa di come ce la presenta lui. Egli si ferma a distinguere chi è contro il Concilio, cioè i lefevriani ed oggi i minutelliani e i viganoniani, da chi è per il Concilio, ossia chi ha accettato il progresso ecclesiale voluto dal Concilio. Questo va senza dubbio benissimo, ma non basta. San Paolo VI e Benedetto XVI avevano segnalato l’esistenza di una nefasta corrente, che il primo chiamava «secolarista» o «magistero parallelo» e il secondo chiamava «relativista» o il «Concilio dei mass-media». Ebbene, questa corrente, ci hanno avvertito questi Papi, diffonde una falsa interpretazione di tipo modernistico del Concilio. Papa Francesco dovrebbe riprendere questo discorso".

    La mia domanda è: perché lei non hai citato anche Giovanni Paolo II? Non l'aveva chiaro anche il santo Papa Wojtyla?
    Grazie

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    1. Caro Anonimo,
      io ho lavorato in Segreteria di Stato dal 1982 al 1990, tra i collaboratori di San Giovanni Paolo II. L’opinione che mi sono fatta è la seguente. Secondo me c’è stato una specie di patto tra il Santo Pontefice e il card. Ratzinger, che allora era Prefetto della CDF.
      Dai fatti che sono successi si evince infatti che le cose sono andate in questo modo: il Papa ha effettivamente evitato di entrare nella questione della vera o falsa interpretazione del Concilio. Egli si è limitato a farne le lodi, lo citava molto spesso e si è sforzato di applicarlo nella vita della Chiesa.
      Indubbiamente la sua interpretazione del Concilio era una smentita implicita dell’interpretazione dei lefevriani, che lo vedevano un Concilio modernista, e degli stessi modernisti, che credevano che il Concilio desse loro ragione.
      Invece, da quello che è successo, si comprende bene che ovviamente con il consenso del Papa il card. Ratzinger ha avuto carta bianca nell’affrontare i difficili problemi dottrinali posti dai lefevriani e dai modernisti.
      E si capisce bene il motivo che ha portato il Papa a puntare su Ratzinger, considerando la sua grande preparazione teologica.

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  18. Caro Padre Giovanni,
    lei ha scritto che, della Messa: “il Papa è il sommo liturgo e sacerdote, nonché moderatore e regolatore della sua ritualità e della sua retta e legittima celebrazione.”
    Nel Catechismo della Chiesa cattolica promulgato da san Giovanni Paolo II, al paragrafo 1125 è riportato: “Nessun rito sacramentale può essere modificato o manipolato a discrezione del ministro o della comunità. Neppure la suprema autorità della Chiesa può cambiare la liturgia a suo piacimento, ma solo nell’obbedienza alla fede e nel religioso rispetto del mistero della liturgia”.
    E’ lecito domandarsi: se il Papa in qualità di sommo liturgo e regolatore della ritualità della Messa, nel caso decida di cambiare la liturgia, di certo non lo farebbe per una sua opinione personale, ma sicuramente ispirato dallo Spirito Santo, perché nel Catechismo si è voluto sottolineare, anche con una certa enfasi, che neppure il Papa può cambiare la liturgia a suo piacimento?
    In altre parole, se Dio non permetterebbe mai ad un Papa di apportare cambiamenti del Catechismo una sottolineatura del tutto superflua?
    Commentando il suddetto paragrafo nel 2004 (https://www.ratzinger.us/Lo-sviluppo-organico-della-liturgia/), l’allora cardinale Joseph Ratzinger scriveva: “Mi sembra molto importante che il Catechismo, nel menzionare i limiti del potere della suprema autorità della Chiesa circa la riforma, richiami alla mente quale sia l’essenza del primato, così come viene sottolineato dai Concili Vaticani I e II: il papa non è un monarca assoluto la cui volontà è legge, ma piuttosto il custode dell’autentica Tradizione e perciò il primo garante dell’obbedienza. Non può fare ciò che vuole, e proprio per questo può opporsi a coloro che intendono fare ciò che vogliono. La legge cui deve attenersi non è l’agire ad libitum, ma l’obbedienza alla fede. Per cui, nei confronti della liturgia, ha il compito di un giardiniere e non di un tecnico che costruisce macchine nuove e butta quelle vecchie.”
    Se invece, come sembra dedursi dall’interpretazione di Ratzinger, quella sottolineatura era necessaria anche come monito, per i futuri papi, a non dare per scontato che i propri convincimenti, in materia liturgica, corrispondano necessariamente al volere divino, allora è lecito che vescovi e teologi valutino questo motu proprio alla luce di tutto il Magistero e la Tradizione della Chiesa, e non concludano già a priori, che è sicuramente giusto… perché viene dal Papa.

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    1. Caro Bruno,
      per chiarire questa questione bisogna distinguere in un sacramento la sostanza del sacramento dalla sua regolare amministrazione. I sacramenti che sono coinvolti nella Santa Messa sono l’Eucaristia e l’Ordine.
      Ma quello che adesso qui ci interessa è la celebrazione dell’Eucarestia, che è appunto la Santa Messa. Ora, al riguardo il Papa ha ricevuto da Cristo due poteri.
      Il Papa ha il potere di riconoscere l’essenza della Santa Messa in base alla fede. In altre parole, il Papa conosce per fede quella che è la sostanza del sacramento, e dato che questo sacramento, cioè l’Eucarestia, è stato istituito da Gesù Cristo, a questo riguardo il Papa non può cambiare nulla, ma ha il dovere e ne ha anche il potere, in quanto assistito dallo Spirito Santo, di conservare questa fede.
      Altra facoltà, che il Papa ha ricevuto da Cristo è il cosiddetto potere delle chiavi, in base al quale il Papa ha la facoltà, a sua discrezione, di regolamentare o disciplinare l’amministrazione del sacramento e, nella fattispecie le varie modalità rituali con le quali la Chiesa celebra la Messa a seconda dei tempi e dei luoghi. Qui abbiamo la differenza tra il novus ordo e il vetus ordo, nonché tra i vari riti legittimamente riconosciuti della celebrazione della Messa.

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  19. Nel motu proprio “Traditionis custodes”,Papa Francesco afferma: “… san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, hanno concesso e regolato la facoltà di utilizzare il Messale Romano edito da san Giovanni XXIII nell’anno 1962. In questo modo hanno inteso «facilitare la comunione ecclesiale a quei cattolici che si sentono vincolati ad alcune precedenti forme liturgiche» e non ad altri.”
    La citazione interna è tratta dal Motu Proprio Ecclesia Dei del 1988, ma ad essa Francesco ha aggiunto quel «e non ad altri», mentre invece il Summorum Pontificum di Benedetto XVI proprio anche a questi “altri” aveva voluto estendere la possibilità di godere delle ricchezze di quella forma liturgica.
    Infatti nella Lettera di accompagnamento a tale motu proprio (https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/letters/2007/documents/hf_ben-xvi_let_20070707_lettera-vescovi.html), papa Benedetto aveva scritto: “Molte persone, che accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi, desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia […] Subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la richiesta dell’uso del Messale del 1962 si limitasse alla generazione più anziana che era cresciuta con esso, ma nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia.”
    Queste persone a cui si riferiva Papa Benedetto non erano i lefevriani, ma cattolici innamorati dell’usus antiquior, in piena comunione ecclesiale con il Papa e con la Chiesa.
    Nel libro “Ultime conversazioni”, a cura di Peter Seewald, il Papa emerito ha risposto all’affermazione: “La riautorizzazione della Messa tridentina è spesso interpretata principalmente come una concessione alla Fraternità San Pio X”, con queste parole chiare e forti: “Questo è assolutamente falso! Per me era importante che la Chiesa fosse una con sé stessa interiormente, con il proprio passato; che ciò che prima era santo per lei non è in qualche modo sbagliato ora” (pp. 201-202).
    Peraltro anche per san Giovanni Paolo II, le concessioni al vetus ordo non furono operate col solo intento di riportare i lefreviani nel seno della Chiesa, infatti promosse l’istituzione della Fraternità Sacerdotale di San Pietro, società di vita apostolica per sacerdoti legati all’usus antiquior, che è cosa diversa dalla Fraternità San Pio X.
    Pertanto anche la seguente frase della lettera di accompagnamento al motu proprio “Traditionis custodes”:
    “Sono evidenti a tutti i motivi che hanno mosso san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a concedere la possibilità di usare il Messale Romano promulgato da san Pio V, edito da san Giovanni XXIII nel 1962 […] era soprattutto motivata dalla volontà di favorire la ricomposizione dello scisma con il movimento guidato da Mons. Lefebvre.”,
    appare una forzatura che Papa Francesco opera sulle intenzioni dei suoi predecessori, in particolare di Benedetto XVI.

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    1. Caro Bruno,
      riguardo alla tua impressione che Papa Francesco operi una forzatura nei confronti delle disposizioni di Papa Benedetto, io direi che si avvale della normale facoltà concessa a un Papa riguardo a quello che nella mia risposta precedente ho chiamato il potere delle chiavi, che, nella fattispecie, è la facoltà discrezionale di regolamentare la modalità rituale della Messa, facoltà per la quale un Papa può mutare le disposizioni di un Papa precedente.
      In questo senso non c’è nessuna forzatura. Semmai la nostra impressione è quella di una certa durezza che ci sembra di non riscontrare nello stile molto delicato di Benedetto XVI. Questo naturalmente non vuol dire che noi non dobbiamo accogliere serenamente le disposizioni di Papa Francesco, in quanto valide per la situazione attuale.

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  20. Quest'ultimo commento (che condivido) sottolinea un aspetto che anche io noto da tempo nei documenti di papa Francesco: un uso parziale o manipolativo delle fonti, ovvero delle affermazioni dei papi precedenti. Ciò è evidente fin da Amoris Laetitiae quando Francesco cita Giovanni Paolo II rovesciando (a quel che sembra) gli esiti del ragionamento del suo predecessore. Aggiungo che, a dispetto del titolo Traditionis Custodes, il Motu Proprio pare sia stato scritto direttamente in italiano (manca ancora la versione in latino) e tradotto direttamente da questa lingua all'inglese (peraltro in fretta) con evidenti problemi di traduzione che il card. Burke (di madrelingua inglese) ha segnalato. Forse più latino farebbe bene alla chiesa di oggi e non solo nella liturgia... Mi pare si riveli vero quanto diceva mons. Caffarra, quando avvertiva che una chiesa così non sarebbe stata più pastorale, ma solo più ignorante.

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    1. Caro Stefano,
      quando un Papa cita un Papa precedente, non siamo autorizzati a parlare di manipolazione, soprattutto se si tratta di questioni dottrinali.
      Per quanto riguarda le traduzioni, sappiamo bene come qui, anche nei documenti pontefici, giochi la fretta, l’impreparazione o l’incompetenza, perché sono limiti umani inevitabili anche nei collaboratori del Papa. Tuttavia c’è la possibilità di fare la verifica sul testo originale.

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  21. Caro Padre Giovanni,
    non so se la domanda, che sto per sottoporle, sia da rivolgere più a un liturgista che a un teologo, tuttavia mi farebbe piacere conoscere il suo parere.
    Nel primo articolo del motu proprio di papa Francesco si afferma:
    ”I libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano.”
    Ne segue che i libri liturgici del messale del 1962, da adesso in poi, non saranno più espressione della lex orandi.
    Ciò nonostante, prosegue il motu proprio: “sono consentite le celebrazioni eucaristiche con l’uso del Messale Romano promulgato da san Giovanni XXIII nel 1962”.
    Ora se tali Messe secondo l’usus antiquior sono consentite, cioè lecite per la Chiesa, ne segue che il sacramento eucaristico, in esse sarà celebrato, continuerà ad essere valido.
    Ma come potrà sussistere un sacramento eucaristico valido nell’ambito di un rituale che non fa parte della lex orandi, e dunque della lex credendi della Chiesa?

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    1. Caro Bruno,
      io ritengo che quelle parole del Santo Padre, secondo le quali “I libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano”, intendano riferirsi al fatto che il novus ordo oggi è l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano.
      Che rapporto c’è tra la lex orandi da una parte e dall’altra il novus ordo e vetus ordo? Il vetus ordo è ancora una lex orandi? Secondo Papa Francesco lo è stato, ma oggi non lo è più. Tuttavia il vetus ordo è una Messa. Può una Messa non essere più lex orandi? Sì, può non esserlo più, tanto è vero che Papa Francesco dice che il vetus ordo non lo è più.
      Ora però, siccome il vetus ordo è una vera Messa, Papa Francesco affida al vescovo diocesano il compito e il diritto di regolare la celebrazione della Messa vetus ordo, cioè del Messale Romano del 1962 (cf art. 2).
      A questo punto ci poniamo questa domanda: che cos’è la lex orandi, che importanza ha? La lex orandi, lo dice la parola: è la legge della preghiera, si potrebbe dire la legge della Messa. Ora, di quale legge si tratta? È la legge della Chiesa. E chi fa le leggi della Chiesa? Il Papa.
      Questo vuol dire che un Papa può sostituire la lex orandi con un’altra, mentre non può cambiare la Messa. Questo vuol dire che la riforma di Paolo VI non ha cambiato la Messa. Quindi la Messa di Paolo VI è la Messa di sempre.

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  22. Immaginiamo, in via puramente teorica e ipotetica che, a seguito di un’indagine ecclesiastica presso le varie parrocchie, sul comportamento tenuto dai fedeli nella partecipazione al sacramento della Riconciliazione, dovesse emergere che un gran numero di “fedeli” non confessi alcuni peccati, per esempio il ricorso alla contraccezione o l’evasione fiscale, perché non li considera più nemmeno peccati… Saremmo dunque dinanzi ad un abuso della Confessione da parte di un certo numero di fedeli.
    Applicando la stessa ratio del motu proprio “Traditionis Custodes”, avrebbe senso un provvedimento che limitasse drasticamente l’accesso al sacramento della Riconciliazione, per tutti i fedeli, compresi quelli che si sforzano di confessare tutti i loro peccati?
    Giustamente lei mi dirà che la mia metafora è del tutto impropria, che non si possono comparare un sacramento (che peraltro non può avere alternative) con una forma rituale (che ha nel novus ordo la migliore alternativa), ecc…
    D’accordo, eppure per quanto rozza e inadeguata sia questa mia metafora, forse può comunque aiutare a metter in risalto che:
    se le celebrazioni eucaristiche con il Messale del 1962 sono consentite, e dunque in sé stesse non sono cosa cattiva, ma alcuni gruppi di fedeli (non tutti) ne abusano, utilizzandole per contrapporsi alla comunione ecclesiale, è giusto “punire” tutti indistintamente, compresi coloro che, pur fruendo della Messa tridentina, mai hanno pensato di non riconoscersi nella chiesa Cattolica sotto l’autorità del successore di Pietro?
    In altri termini, possiamo dire, con sincerità, che il Traditionis Custodes usa misericordia nei riguardi di questi ultimi?

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    1. Caro Bruno,
      io ti capisco, comprendo la tua difficoltà e la tua sofferenza. L’ideale sarebbe, secondo me, che i fedeli che amano il vetus ordo, ma non sono contro il Concilio, come te, conservassero quella libertà che era stata concessa da Benedetto XVI.
      Invece coloro che sono contro il Concilio Vaticano II non meritavano di continuare a fruire di quella libertà che aveva concesso Benedetto XVI, e giustamente Papa Francesco ha emanato il Motu Proprio per limitare la loro libertà.
      In queste condizioni la cosa più saggia da fare per i cattolici, che si trovano nella tua posizione, è quella, secondo me, di accettare serenamente e con fede l’ordine di Papa Francesco e di contribuire alla degna celebrazione e ad una viva partecipazione alla Messa novus ordo, anche per educare con il vostro esempio le nuove generazioni e richiamare alla disciplina coloro che commettono abusi nella celebrazione del novus ordo.

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  23. Bello. FINALMENTE!! Un Papa che fa il Papa e un Domenicano che fa il Domenicano. Grazie p. Giovanni

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  24. Il papa ha detto spesso che la realtà è superiore all'idea... La prima figlia del mio migliore amico e collega ha sposato 2 anni fa un compagno di università (matematica a Pisa) non credente e con genitori non credenti/non praticanti. Il marito ha tuttavia scoperto la fede quando si è imbattuto, nelle Marche, in una messa in latino... Qualcosa che non si vede tutti i giorni e che mi ha ricordato la conversione del Manzoni. Ovviamente è stato sostenuto anche dall'esempio della moglie (cattolica praticante) che comunque è andata senza tanti problemi alla medesima messa con lui. Non vi è qui un eclatante esempio di una realtà che supera l'idea? Non è qualcosa che deve far pensare? Michel Onfray, 63 anni, scrittore di successo e uno dei maggiori filosofi francesi viventi, ateo dichiarato, chiede in questi giorni a papa Francesco in un vivace articolo su "Le Figaro" di consentire alla messa in latino in quanto "patrimonio spirituale della nostra civilizzazione e nostra eredità", dunque per riconciliare il mondo di oggi con la sua radice più profonda, classica e cristiana. Non è qualcosa che deve far pensare? A me ha ricordato le parole di Gesù: "se tacerete voi, parleranno le pietre". Infine... Il Vaticano II aveva forse abrogato il latino? La messa di oggi è quella del post-concilio o quella del concilio? Queste nuove disposizioni non sono contro le decisioni autentiche dei padri in quel concilio? Benedetto XVI, che peraltro partecipò al concilio, si è forse sbagliato col suo Motu Proprio? Lei ha letto le motivazioni date da BXVI quando ha consentito a quel rito? Restituire a tutta la chiesa la ricchezza di wuella tradizione... Ma i poveri cattolici qualunque devono esser oggi pronti a mutar d'opinione e di sensibilità ad ogni nuovo papa, come se si trattasse di cambiare il leader o la linea politica di un partito?

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    1. Caro Stefano.
      1."La messa di oggi è quella del post-concilio o quella del concilio?
      La Messa di oggi è la Messa che risulta dalla riforma liturgica del Concilio e che è stata promulgata da S.Paolo VI nel 1970.
      2. "Queste nuove disposizioni non sono contro le decisioni autentiche dei padri in quel concilio?"
      No, perchè esse promuovono quella Messa che è nata dalla riforma liturgica del Concilio.
      3. "Benedetto XVI, che peraltro partecipò al Concilio, si è forse sbagliato col suo Motu Proprio?"
      Benedetto col suo Motu-proprio ha preso un provvedimento in linea col Concilio. C'è tuttavia da tener presente che il Concilio si è limitato a promuovere la Messa novus ordo. Non è entrato nella questione delle modalità con le quali la Messa vetus ordo poteva essere mantenuta. La regolamentazione della celebrazione di questa Messa a partire dal 1970 è stata di competenza dei Papi, i quali, facendo uso del loro potere discrezionale legittimo, hanno disposto in vari modi a seconda di come hanno giudicato meglio fare. La differenza fra le disposizioni di Benedetto e quelle di Francesco non deve fare meraviglia, perchè rientra nell'esercizio normale della loro facoltà di regolamentare la pratica del rito della S,Messa, sia quella novus ordo che quella vetus ordo.
      4. "Lei ha letto le motivazioni date da BXVI quando ha consentito a quel rito? Restituire a tutta la chiesa la ricchezza di quella tradizione" .
      Sì, le ho lette. Esprimono una stima per il vetus ordo, che certante è proprio anche di Papa Francesco. C'è la differenza che mentre Benedetto rendeva facile l'accesso al vetus ordo, Papa Francesco lo rende meno facile. Per quale motivo? Lo dice lui stesso: perchè i lefevriani hanno stravolto il senso del permesso dato da Benedetto, prendendo a pretesto il vetus ordo per per mantenere il loro atteggiamento scismatico concernente la loro opposizione al Concilio e alla Messa novus ordo.
      5. "Ma i poveri cattolici qualunque devono esser oggi pronti a mutar d'opinione e di sensibilità ad ogni nuovo papa, come se si trattasse di cambiare il leader o la linea politica di un partito?".
      Come ho detto, questa non è materia di dottrina, dove la Chiesa non cambia. Questa è materia disciplinare soggetta a disposizioni legislative che è facoltà di ogni singolo Papa mutare rispetto a quanto disposto dal Papa precedente, ove ne veda la necessità o l'opportunità.

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  25. Buongiorno, Padre Cavalcoli,
    Voglio farli una domanda che mi ha incuriosito, in quanto mi è stata posta da un lefebvriano (ci sono sempre occasioni per fare "ecumenismo"!) e proprio non sapevo cosa rispondere.
    Nella Traditionis custodes il Papa usa per la prima volta la parola "scisma" per riferirsi ai lefebvriani (anche se mi sembra che l'abbia usata anche per i filo-lefebvriani). E sono d'accordo che questa è la situazione della confraternita fondata da Lefebvre.
    Ma il fatto è che mi è stato detto che papa Francesco si contraddice, perché è lui che per anni ha concesso ai lefebvriani la giurisdizione generale di confessarsi, di celebrare la messa e di celebrare i matrimoni.
    Non sembra contraddittorio?
    Grazie per tutto quello che fate per quelli di noi che hanno bisogno di essere aiutati nella nostra fede in questi tempi difficili di crisi!
    (Nadia Márquez)

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    1. Cara Nadia,
      innanzitutto che i lefevriani siano scismatici è noto da quando Mons. Lefebvre ordinò 4 vescovi senza il permesso di Roma. Ma se vogliamo essere esatti, bisognerebbe dire che sono anche eretici, perché Mons. Lefebvre rifiutava le dottrine del Concilio e giudicava il novus ordo semiluterano.
      Ora, le dottrine del Concilio sono infallibili, per cui accusare un Concilio di eresia vuol dire a propria volta cadere nell’eresia.
      Comunque, tornando al nostro argomento e considerando che a quanto pare Papa Francesco non tiene conto delle loro eresie, se fossero solamente scismatici, non per questo non potrebbero amministrare validamente i sacramenti.
      Infatti il sacerdote scismatico non perde il suo potere sacerdotale. Pensiamo per esempio agli Ortodossi: essi non sono in comunione con Roma e tuttavia posseggono il sacerdozio.
      Per quanto riguarda in particolare la confessione, per la sua validità essa richiede anche la giurisdizione, cioè il potere di confessare concesso dal vescovo del luogo. Ora avvenne che Papa Francesco, in occasione dell’anno della Misericordia, ha concesso loro la giurisdizione.
      Quindi, tu vedi che non c’è contraddizione, ma si può parlare di un atto di grande benevolenza. Questo non toglie che continuino ad essere scismatici e per questo il Papa ha emanato il Motu Proprio proprio nel dichiarato intento di “comporre lo scisma”.
      Preghiamo, perché il desiderio del Papa possa essere soddisfatto.

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  26. Caro Padre Cavalcoli,
    forse sto travalicando la mia domanda, oppure mi sto allontanando dalla questione concreta e specifica riferita al motu proprio di papa Francesco. Vedrai nella tua prudenza se è opportuno o interessante rispondermi o meno.
    Ci sono molti che discutono come un fattore differenziale tra novus ordo e vetus ordo il fattore: bellezza. Assegnano le caratteristiche della bellezza alle rubriche del Messale precedente (almeno quella di Giovanni XXIII, per non parlare degli altri scismatici che usano i Messali precedenti). Mentre affermano che coloro che hanno istituito il rito del nuovo Messale, quello di Paolo VI, non hanno avuto il fattore bellezza come orizzonte di ricerca, come fattore che può aiutare ad elevare lo spirito umano verso Dio.
    Fino a che punto si può parlare di valori oggettivi per qualificare un rito come "bello" e un altro rito come "non bello"?
    Grazie in anticipo per avermi permesso di chiedertelo.

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    1. Caro Ernesto,
      innanzitutto io ritengo che qualunque Messa, antica o nuova che sia, per chi ha fede è di una sublime bellezza e di una bellezza oggettiva ed universale, così come universale è il Sacrificio incruento di Cristo, che viene celebrato sull’altare.
      Detto questo, sappiamo come esiste anche un bello di carattere soggettivo e qui passiamo dall’unica Messa alle due modalità rituali del novus ordo e del vetus ordo del Messale Romano.
      Qui non so se si può fare una graduatoria, perché non abbiamo lo stesso criterio liturgico, ma due diversi criteri reciprocamente complementari: il vetus ordo ci fa avvertire di più la sacralità del rito e la funzione del sacerdote, come ministro di Cristo; il novus ordo invece ci fa sentire di più la bellezza della comunione fraterna attorno alla mensa eucaristica e l’apertura anche ai fratelli separati.
      Poi c’è tutto l’aspetto della bellezza delle vesti, degli oggetti sacri, delle immagini, della preparazione dell’altare, i canti, la musica, l’incenso, il silenzio, cioè tutti quegli aspetti culturali che arricchiscono la bellezza della celebrazione, che sono soprattutto proprietà della celebrazione solenne, del novus e vetus ordo, ma che possono anche non esserci, soprattutto nei casi di emergenza.

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  27. Caro Padre Cavalcoli,
    credo che una chiave di lettura di tutto questo fenomeno a cui Francesco non allude sia quanto dice Benedetto XVI nella lettera ai Vescovi che presenta il Summorum Pontificum: «Ciò che era sacro per le generazioni precedenti, resta sacro e grande e non può essere il blu totalmente proibito o addirittura dannoso". Il resto è strumentalizzazione di quel principio.

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    1. Caro Francisco,
      possiamo essere sicuri che Papa Francesco sottoscriverebbe in tutto e per tutto le seguenti parole di Papa Benedetto: “Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso”.
      Il punto della questione, che sta a cuore a Papa Francesco, non è questo. Ciò che ha provocato il suo sdegno è il fatto, come dice egli stesso, che gruppi di scismatici abbiano utilizzato il Motu Proprio di Benedetto come segno di riconoscimento di coloro che giudicano il novus ordo come filoprotestante e giudicano moderniste le dottrine del Concilio.

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    2. Mi sembra che non solo si sia indignato da chi strumentalizza il vecchio messale perché non parla solo di correggerlo, ma vieta anche la nuova creazione di gruppi e limita quelli già esistenti.
      A questo proposito, sembra che non condivida quanto detto da Benedetto al riguardo. Inoltre, non allude mai a quell'argomento nei suoi scritti.

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    3. Caro Francisco,
      quando il Papa limita la formazione di gruppi favorevoli al vetus ordo, non si riferisce a quei cattolici che stimano anche il novus ordo e sono disposti ad accettare il Concilio Vaticano II, ma si riferisce agli scismatici, sperando che i provvedimenti restrittivi possano servire a ricomporre lo scisma.
      Per quanto riguarda la correzione del vecchio messale, ciò non corrisponde affatto al testo del Motu Proprio. Il Papa non vuole nessuna correzione, ma semplicemente fa riferimento ai due Messali del 1962 e del 1970.

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  28. Quello che ha detto Francesco è chiaro. Non devi fare molte analisi per capirlo. Il problema è quello che non ha detto. Non ha mai parlato di lodare Dio o di fare meglio, parla solo di proibire e sopprimere. Penso che sotto questo aspetto si stia confrontando con ciò che ha detto Benedetto.

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    1. Caro Anonimo,
      se il Santo Padre si ferma tanto sulla Messa, prova a riflettere un momento. Che cos’è la Messa se non la suprema lode a Dio? Quindi è chiaro che lo stimolo a lodare Dio è sottinteso, anche se non ricorre la parola Dio.
      Quindi, se devi appigliarti a un simile argomento per opporti al documento del Papa, si vede proprio che sei a corto di argomenti, per cui non dimostri una critica sincera, ma solo del malanimo.

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    2. Scusi, padre Cavalcoli, ma non crede di giudicare le mie intenzioni, e che questo non spetta a lei?... Il Papa non si ferma alla Messa come suprema lode di Dio, ma su un modo di celebrare it (che fino al 16 luglio era chiamato "straordinario"). E tu stesso sei d'accordo con me quando dici che è compreso. Voglio dire, non ha detto niente al riguardo. Sarà che l'ha capito.

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    3. Scusi, padre Cavalcoli, ma non crede di giudicare le mie intenzioni, e che questo non spetta a lei?... Il Papa non si ferma alla Messa come suprema lode di Dio, ma su un modo di celebrare it (che fino al 16 luglio era chiamato "straordinario"). E tu stesso sei d'accordo con me quando dici che è sottinteso. Voglio dire, non ha detto niente al riguardo. Sarà che l'ha sottinteso.

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    4. Caro Anonimo,
      effettivamente mi sembra che il Papa non avrebbe fatto male a riprendere la distinzione tra rito ordinario e rito straordinario, perché questa distinzione pone un rapporto tra i due riti. E questa è una cosa molto saggia, perché favorisce la mutua comprensione tra i fautori dei due diversi riti, salvo restando l’obbligo per tutti di accogliere il novus ordo.

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    5. Quando ho detto di non giudicare le intenzioni mi riferivo alle mie poiché mi imputa malanimo.
      Quello che dici si riferisce solo al rito romano. Quest'ultima precisazione è perché -come sappiamo- i riti nella Chiesa sono diversi, siano essi latini o orientali. E mentre gli attuali riti latini (tranne il mozarabico) sono molto simili a quelli romani, i vari riti orientali non lo sono. Rendendo chiaro, ovviamente, che la Messa è la stessa. Quei gruppi particolari sono intere nazioni e popoli: Iraq, Romania, Armenia, Ucraina, Egitto, Siria, Libano, solo per citarne alcuni. E -a causa dell'immigrazione del secolo scorso- ci sono diocesi o parrocchie di questi riti in tutto il mondo. Ricordate che il modello dei parroci -il Santo Curato d'Ars- non ha mai celebrato il rito romano.

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    6. Caro Anonimo,
      parlando di malanimo intendevo dire che la tua critica era forzata e non oggettiva. Domandati pertanto se il tono della tua critica al Papa è rispettoso della dignità del Papa.
      Certamente mi riferivo solamente al Messale Romano, vetus e novus ordo, perché stavamo parlando del Motu Proprio di Papa Francesco, che affronta solamente questo argomento. Quindi gli altri riti esulano dall’argomento trattato dal Motu Proprio.
      I gruppi dei quali parla il Santo Padre sono quelli che fanno riferimento al Messale Romano, vetus ordo.

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  29. Molto interessante sull'analisi.
    Comunque, mi chiedo se non stia lanciando il bambino con l'acqua sporca. In altre parole, per alcuni che risponderebbero al Concilio Vaticano II, privano molti altri di questa forma di celebrazione. Considerando che questo è globalmente parlando di pochissime persone.
    D'altra parte, abbiamo interi episcopati che propongono e praticano la comunione ai divorziati, ai ricongiunti e al nulla. Per non parlare di coloro che sostengono il sacerdozio femminile, il matrimonio tra persone dello stesso sesso o i famigerati abusi liturgici. Il Santo Padre parla di eccessi da una parte o dall'altra, ma per "l'altra parte" non ci sono divieti. E conveniamo che ogni persona che assiste alla messa in parrocchia subisce maggiori o minori abusi liturgici. I luoghi di coltivazione in cui la griglia non è verificata sono rari. Tranne Opus Dei, IVE, Miles Christi o altri simili. Per il resto abbiamo tutto.
    Per questo è strano che il Papa si preoccupi così tanto di vietare un tipo di abuso che colpisce pochissimi ed esorta solo abusi che colpiscono la maggioranza.

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    1. Caro Paolo,
      la preoccupazione del Papa è che siamo tutti uniti attorno al novus ordo, perché la Santa Messa è il massimo principio di unità spirituale del popolo di Dio.
      I devoti del vetus ordo possono continuare nella loro attività liturgica; tuttavia devono rendersi conto che la loro scelta non può pretendere l’universalità, alla quale invece ha diritto il novus ordo.
      Per quanto riguarda gli abusi nella celebrazione del novus ordo, sappiamo come sia una triste realtà. Tuttavia stiamo attenti a non esagerarne la portata, considerando che il novus ordo viene celebrato in tutto il mondo, per cui è comprensibile che l’umana debolezza venga in qualche modo a guastare la bellezza di questo rito.
      Il problema del modernismo più che essere quello degli abusi liturgici è dato da una concezione secolaristica della Messa sullo sfondo di una vita cristiana infetta dagli errori moderni. Per questo io ritengo che i nostri pastori, ancor più che reprimere gli abusi dovrebbero correggere le idee sbagliate di quei teologi che svuotano la Messa del suo significato di fede.

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  30. Ho 70 anni e, dopo la riforma liturgica del 1969, non ho mai assistito a una messa sotto quella che oggi viene definita forma straordinaria, ma la severità del tono del motu proprio mi lascia una spiacevole impressione, direi quasi che testimoniando amarezza o, almeno, una forte rabbia.
    E lo scopo, anche evidente, di estirpare il vetus ordo nel più breve tempo possibile.
    I fedeli che assistono a queste messe saranno staccati dal loro clero di riferimento, senza i luoghi a cui erano abituati a frequentare, con le comunità senza testa, senza sede e senza celebranti. Come se fossero portatori di una "peste spirituale" altamente contagiosa. E con il fatto di non aspettare nemmeno la fine della pandemia e quando la gente piange ancora i propri parenti.
    È difficile trovare, francamente, un briciolo di pietà in tutto questo deplorevole episodio.
    Tornando ai miei 70 anni, ho visto in tutto questo lungo periodo, ogni tipo di stranezza liturgica sotto l'ombrello della riforma del 1969. Musica, atteggiamenti, colori delle stole, omelie, tutto l'immaginabile e altro ancora. Mi tornano alla memoria, la Pacha Mama, venerata in San Pedro, la derivazione della Chiesa tedesca, i dialoghi con Luigi Scalfari sul quotidiano La Repubblica, a volte smentiti, ma non con grande enfasi e che continuano a ripetersi nonostante la confusione dei dialoghi precedenti, e un lungo eccetera.
    Ma sembra che la grande preoccupazione siano le comunità tradizionali. E quelli che sono all'interno dell'obbedienza cattolica. In altre parole, non seguirono gli scismatici.
    Voi, riuscite davvero a credere che il problema principale della Chiesa cattolica oggi sia la forma liturgica confermata dal Summorum Pontificum nel 2007?

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    1. Caro Giancarlo,
      effettivamente il Papa mostra un certo sdegno contro quegli scismatici, i quali hanno slealmente approfittato della libertà concessa da Papa Benedetto per fare della Messa vetus ordo la bandiera della contestazione al novus ordo, al Concilio e al Papa.
      Che esistano abusi nella celebrazione del novus ordo, lo sappiamo tutti e il Papa lo sa per primo, tanto è vero che ne accenna. Si potrebbe dire che dovrebbe essere più severo.
      Inoltre, non è affatto vero che il Papa voglia abolire la Messa vetus ordo. È un sospetto empio, perché la Messa vetus ordo è una Messa. Possiamo mai immaginare che un Papa voglia abolire la Messa?
      Ma qual è lo scopo che vuole raggiungere Papa Francesco? La ricomposizione dello scisma, che è nato attorno al Messale Tridentino disobbedendo alla riforma liturgica del Concilio ed a tutti i Papi del postconcilio.
      Inoltre, Papa Francesco ricorda a tutti coloro che seguono il Messale Romano, che oggi occorre riunirsi attorno al novus ordo, per creare l’unità, senza commettere abusi, aumentarne la bellezza e la solennità ed incrementare le attività delle parrocchie.

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  31. Caro Padre Cavalcoli,
    "Invece Papa Francesco non fa questa distinzione all’interno dei favorevoli al Concilio, cioè non distingue i progressisti, come per esempio i maritainiani e i congariani, fedeli all’interpretazione del Concilio fatta dai Papi, dall’infido appoggio dato al Concilio dei modernisti, come per esempio i rahneriani, che lo interpretano in senso modernista in contrasto con l’interpretazione del Magistero".
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    Parlando di questo argomento, mi è stato detto che Maritian, nel suo libro "Le paysan de la Garonne", si arrabbia con la deriva modernista del Concilio Vaticano II, che considera logicamente illegittima, ma non vede che questa deriva modernista è nata, ad esempio nel libro "Azione", di Blondel, o in "Umanesimo integrale", dello stesso Maritain.
    Perciò mi è stato detto anche che le premesse che i Papi del dopoconcilio non hanno voluto vedere o non hanno voluto correggere sono le premesse dell'"Azione" e dell'"Umanesimo Integrale". E lo stesso è successo con la "nuova teologia": gli incendiari di ieri sono i vigili del fuoco di oggi.
    Tu che conosci così bene Maritain, puoi confermare il giudizio del mio interlocutore? È stato Maritain a gettare le premesse dell'attuale modernismo postconciliare?

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    1. Caro Francisco,
      effettivamente conosco molto bene Maritain a partire dal 1963. Conosco molto bene “Umanesimo Integrale” e le posso assicurare che è un perfetto precorrimento della dottrina sociale della Chiesa, soprattutto a partire dalla Gaudium et Spes.
      Maritain ha certamente i suoi difetti, ma non certo in questo libro, il quale è stato l’ispiratore della dottrina sociale, che ha guidato la classe dirigente italiana democristiana nella ricostruzione della nostra Patria dopo il disastro della guerra.
      Il pensiero maritainiano è stato raccomandato come modello di pensiero cristiano da San Paolo VI e da San Giovanni Paolo II.
      Stando così le cose, Maritain non ha nulla a che vedere col modernismo, ma invece è uno dei più grandi tomisti del secolo scorso con una intonazione che precorre quel tipo di tomismo, che è raccomandato dal rinnovamento conciliare.
      Per quanto riguarda Blondel, Maritain ne fece a suo tempo un’ottima critica, dove ne illustra l’influsso idealista, che si inserisce nel quadro modernistico del suo tempo.

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    2. Caro padre, mi dispiace non essere d'accordo.
      Indubbiamente, in quei tempi il Papa aveva maggiore influenza sugli ambasciatori presso la Santa Sede e che se avesse considerato i Maritain degli "agenti sovietici" non li avrebbe accettati. Sulla Democrazia Cristiana Italiana... Pio XII fu un grande promotore e infatti propugnava un'alleanza con il residuo del fascismo, i monarchici e la democrazia cristiana almeno per le elezioni minori a Roma degli anni Cinquanta. L'idea era quella di creare un fronte anticomunista. Ma il vescovo Montini contribuì al suo fallimento. Dopo la morte di Pio XII la Democrazia Cristiana si alleò con i Socialisti. Tutto si è concluso con un grande incidente negli anni '90. La valutazione è varia e disomogenea. La gerarchia italiana ha sempre sostenuto l'unità politica dei cattolici, cioè che votassero per la Democrazia Cristiana. Con quei governi di democrazia cristiana, in Italia furono approvati il ​​divorzio e l'aborto. È vero che i deputati l'hanno approvato. Ma c'è stato un famoso evento in cui, a causa di una disputa nel 1974 sull'ammissione o meno della televisione a colori, la democrazia cristiana ha minacciato di far cadere il governo e con il divorzio e/o l'aborto non ha minacciato nulla.

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    3. Caro Girolamo,
      la ringrazio per la sua difesa di Maritain.

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  32. Caro Padre Cavalcoli,
    scrivo da Argentina.
    La sua forza nell'affermare l'assenza di ogni modernismo in Jacques Maritain, soprattutto nel suo libro "Umanesimo integrale" è interessante.
    Qui in Argentina, sebbene Maritain abbia avuto a partire dagli anni Trenta un ampio consenso nei campi del tomismo argentino, ed è stato anche illustre visitatore e docente a Buenos Aires, nei Corsi di Cultura Cattolica, che hanno dato origine all'Università Cattolica Argentina, tuttavia negli ultimi decenni , in alcuni circoli intellettuali argentini, particolarmente legati al tradizionalismo, è emersa una forte critica a quello che viene chiamato liberalismo modernista in Maritain.
    L'ispiratore di questa critica a Maritain è stato padre Julio Meinvielle, ora deceduto, e due dei suoi libri in particolare sono ancora citati in Argentina come la critica più forte al liberalismo di Maritain: "Crítica de la concepción de Maritain sobre la persona humana" (Buenos Aires 1948) e "De Lammenais a Maritain" (Buenos Aires, 1945).
    Questi libri di Julio Meinvielle sono conosciuti in Italia?
    Grazie.

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    1. Caro Julio,
      San Giovanni Paolo II, nel novembre 1982, scrisse una lettera al Rettore dell’Università Cattolica di Milano Giuseppe Lazzati, in occasione di un convegno su Maritain. In questa lettera il Papa tesse le lodi del Maritain, presentandolo come esempio di pensatore cristiano ed enumerando le qualità principali del suo pensiero, anche se notò che alcuni aspetti potevano essere discutibili.
      Si tratta soprattutto della concezione della persona, dove Maritain sembra avvicinarsi a Cartesio nel riconoscere quello che lui chiama “preconscio dello spirito”, anche se a questo proposito egli vorrebbe proprio opporsi a Cartesio, in quanto egli intende ricuperare il valore dell’inconscio, che non è presente nel pensiero cartesiano.
      Ad ogni modo, considerando la dottrina sociale cristiana, questa punta di cartesianismo non reca pregiudizio alla visione complessiva del Maritain, la quale è basata sul realismo tomista ed è fedele alla precedente dottrina sociale della Chiesa, in particolare di Pio XI.
      Quindi, l’accusa di Meinvielle di liberalismo e modernismo è del tutto infondata. Il fatto è che, come ho già detto, Maritain ebbe una tendenza sanamente progressista, la quale precorse il progetto conciliare della Gaudium et Spes.
      Un appunto che semmai gli si può fare è stato quello di essere troppo benevolo col marxismo, benché nell’ “Umanesimo Integrale” ne conduca una ottima critica.

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