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La complementarità reciproca tra uomo e donna

 

La complementarità reciproca tra uomo e donna

 Ritengo utile ai Lettori riproporre questo testo di un mio articolo, pubblicato nel libro “La verità della fede”, a cura di Gianni Battisti, nel 2012.

Lo propongo a commento delle parole del Santo Padre, che ha pronunciato questa mattina ricevendo i partecipanti al convegno “Uomo-donna immagine di Dio. Per un’antropologia delle vocazioni”, promosso dal Centro di Ricerca e Antropologia delle Vocazioni*, ha detto:

 «Vorrei sottolineare una cosa: è molto importante che ci sia questo incontro, questo incontro fra uomini e donne, perché oggi il pericolo più brutto è l’ideologia del gender, che annulla le differenze. Ho chiesto di fare studi a proposito di questa brutta ideologia del nostro tempo, che cancella le differenze e rende tutto uguale; cancellare la differenza è cancellare l’umanità. Uomo e donna, invece, stanno in una feconda “tensione”.»

* https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2024/march/documents/20240301-convegno-uomo-donna.html

* https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2024-03/papa-francesco-ideologia-gender-convegno-uomo-donna-antropologia.html

 

Prospettive di antropologia teologica

La coppia consacrata

  Come è noto, la Bibbia insegna che Dio ha creato l’uomo “maschio e femmina” (cfr Libro della Genesi, 1, 27). Nell’attuale cultura influenzata dall’ateismo, dove l’uomo si considera creatore di se stesso proveniente da un’evoluzione ascendente della materia governata dal caso, un certo indirizzo di stampo esasperatamente liberale, in nome della creatività, ritiene che l’uomo abbia il diritto e il potere di realizzare la sua sessualità non solo come differenza tra maschio e femmina, ma anche in modo più ampio: come nella lingua esistono tre generi: il maschile, il femminile e il neutro, così oggi da alcuni si ritiene che il sesso sia un “genere” (gender) più ampio delle due specie maschio e femmina, stabilite dalla natura, e che quindi l’uomo sia chiamato, per mezzo della scienza e della tecnica, a dominare e trasformare la natura così da ottenere da essa ciò che corrisponde ai suoi desideri o bisogni, sia insomma autorizzato a ricavare dal “genere” sessuale neutro di per sé indeterminato e a disposizione del suo potere, altre forme di sessualità, delle quali la più nota sarebbe l’omosessualità, mentre si prospettano altre forme intermedie o diverse tra quelle naturali, forme ideate dall’uomo e create artificialmente.

Come appare dal modo stesso di impostare la questione, la prospettiva costante e di fondo in questi progetti, che non si dovrebbe esitare a chiamare criminosi, prospettiva non sempre esplicitamente riconosciuta ma sempre in realtà operante, al di là degli intenti dichiarati di tipo liberale e umanitario, è certamente una concezione della vita di tipo edonistico, nella quale ciò che conta soprattutto non è la ricerca del bene onesto, ma del piacere.

Certo non è cosa nuova nella storia della morale, se solo ci ricordiamo di Epicuro, del quale Dante enuncia il principio «se’l piace, ei’l lice». Costante quindi in tutte queste prospettive, diciamocelo schietto, al di là di ogni infingimento puritano, è sempre la ricerca assoluta del piacere sessuale, del quale si cercano altre forme non previste dalla natura, così come nel campo dei cibi l’uomo cerca di creare alimenti piacevoli, oltre a quelli forniti spontaneamente dalla natura. Alcuni decenni fa uscì un documento di alcuni Domenicani olandesi ispirato alle idee di Edward Schillebeeckx, nel quale con tutto candore si diceva schiettamente che il principio della morale è il “piacere” (plaizir). 

Nessuno esclude la bontà del piacere in se stesso in generale, creato anch’esso da Dio certo per la felicità dell’uomo e della donna. Come pertanto è da respingere la visuale edonistica, così sono da respingere certe concezioni rigoriste o dualiste che sin dall’antichità, sotto pretesto di austerità o di santità, hanno però falsato la vera visione genesiaca del rapporto uomo-donna, nonché le norme dell’etica sessuale da seguire nel presente stato di natura decaduta. La Chiesa ha condannato il rigorismo di Tertulliano, nonché le visioni sessuofobe dell’encratismo dei primi secoli e del catarismo del sec. XIII.  Lo stesso dualismo platonico col suo disprezzo per la donna, nonostante la sua alta spiritualità, è certamente da disapprovare per il suo pessimismo nel campo dell’etica sessuale, benché esista anche un’interpretazione dell’estetica platonica che per altra via raggiunge l’edonismo, come per esempio il platonismo fiorentino dell’umanesimo quattrocentesco.

Certamente il piacere non è un bene assoluto, ma va regolato e moderato dal bene onesto o sostanziale (bonum honestum). Per questo, mentre l’onesto, ossia il rispetto della legge morale naturale, è un bene assoluto, “non negoziabile”, il piacere può essere lecito o illecito, onesto o disonesto, casto o turpe, a seconda che sia conforme o non conforme alla legge naturale. Uno dei compiti della morale, che deve regolare la condotta di un vivente qual è l’uomo, composto di anima e corpo, e quindi di spirito e sesso, è quello di assicurare, sia pur mediante la rinuncia e l’ascesi, la conciliazione del diletto spirituale col piacere sessuale.

Certo, c’è stata sempre, soprattutto nei tempi moderni, anche l’illusione di potere ricostruire perfettamente in questa vita la felicità genesiaca; il cosiddetto “millenarismo” più volte condannato dalla Chiesa e le visioni utopiche dell’“età dell’oro”, del liberalismo, della massoneria e del marxismo non sono esenti da questa idea, che sembra essere una forma di secolarizzazione dell’ideale edenico. D’altra parte, la Chiesa oggi ci dice che in fin dei conti la stessa redenzione di Cristo ha per fine anche quello di ricostruire quanto meno inizialmente quello stato originario felice dell’uomo. 

Tuttavia l’impostazione edonistico-liberale perde di vista il fatto che la differenza maschio-femmina, nel mondo animale e quindi anche in quello umano, è ordinata dalla natura alla riproduzione della specie, finalità che nella specie umana è normalmente raggiunta dal matrimonio e dalla famiglia. Il che significa che la detta riproduzione, benché oggi sia possibile anche per mezzo della fecondazione artificiale, non è da intendersi in maniera meramente istintuale o materiale, come avviene tra le bestie, ma, dato che l’uomo è persona animata da un’anima spirituale (animal rationale), implica anche un elemento che coinvolge la formazione della persona, formazione che non può avvenire in modo degno della persona senza che la prole riceva anche un’educazione, alla quale concorrono i genitori uomo e donna, salvo il caso di adozione. 

Infatti, i genitori, secondo il piano della natura e quindi del Creatore, devono essere maschio e femmina, perché, sempre secondo questo piano, maschio e femmina sono creati per realizzare tra di loro una reciprocità che li completa a vicenda non solo nel generare, ma anche nell’essere e nell’agire, in vista della generazione e dell’educazione della prole. Ma l’istituto apposito che in linea di principio garantisce questa possibilità è appunto il matrimonio naturale o, come si dà nella religione cattolico-ortodossa, sacramento.

La fecondazione artificiale non è moralmente lecita, perché riduce la generazione ad un’operazione tecnologica, confondendo la prole con la produzione di una macchina e quindi mancando di rispetto per la dignità personale della prole. Quanto al cosiddetto “matrimonio” tra omosessuali, il termine è evidentemente improprio, perché il vero e proprio matrimonio richiede la reciprocità uomo-donna come causa della generazione della prole o quanto meno, nel caso dell’adozione, come fattore normale dell’educazione della prole, escluso il caso legittimo della vedovanza o della separazione legale.

 Che cosa significa “coppia consacrata”?

Si tratta di un richiamo al valore del battesimo. Il Concilio Vaticano II, nella sua dottrina sull’essenza del laicato cristiano, insiste sul fatto che il battesimo è una vera consacrazione a Dio, estendendo a questo sacramento e quindi alla vocazione o condizione o missione laicale quel carattere di consacrazione che nel preconcilio si preferiva riservare alla vocazione religiosa ed alla missione sacerdotale. È in fondo uno sviluppo di quella “consecratio mundi” della quale parlava già Pio XII come ufficio dell’Azione Cattolica. Il laico nella dottrina del Concilio appare come membro di quel “popolo sacerdotale”, già annunciato dai profeti in riferimento ad Israele. 

Non viene abolita la distinzione fra sacro e profano, laico e sacerdote, secolare e religioso, e tuttavia il legame si fa più stretto e lo spazio del sacro si allarga fino ad animare il profano già alla sua radice. In questo clima, il sacro resta sempre trascendente, appartenente al mondo del divino o soprannaturale, ma al vertice di un processo di consacrazione, che inizia già alle radici dell’esistenza umana, appunto grazie al battesimo, per cui la consacrazione religiosa e sacerdotale nell’ottica del Concilio appaiono nettamente come uno sviluppo della grazia battesimale. In questa visuale il rapporto uomo-donna, dentro o fuori del matrimonio, come per esempio nella vita religiosa, appare sempre comunque come cosa sacra, come consacrazione. Da qui la coppia consacrata.

Per “coppia consacrata” intendiamo dunque in generale la consacrazione dell’unione dell’uomo con la donna e della loro reciprocità in vista della trasmissione della vita. Questa consacrazione si attua in due modi fondamentali: abbiamo la consacrazione del rapporto coniugale che costruisce la famiglia per la riproduzione della specie e il progresso dell’umanità e della civiltà. E abbiamo la consacrazione della collaborazione tra religioso, sacerdote o non sacerdote, e religiosa per un comune compito di salvezza delle anime e dell’edificazione del regno di Dio.

 Le due finalità della reciprocità uomo/donna

La Rivelazione biblica insegna che Dio all’inizio dei tempi, dopo aver creato l’universo, creò l’uomo e la donna. Si tratta della coppia originaria, dalla quale, secondo l’insegnamento biblico, ha preso origine tutta l’umanità fino ai nostri giorni. Pio XII nell’enciclica Humani generis esclude il poligenismo perché la colpa originale secondo la Chiesa, così come risulta dalla dottrina di san Paolo, è trasmessa per generazione, per cui, dice il Papa, non si vede come questo potrebbe avvenire se l’umanità traesse origine da più coppie: occorrerebbe ammettere una pluralità di peccati originali, che non risulta assolutamente dal racconto biblico. Il peccato originale, secondo il dogma, è un’unica colpa storicamente avvenuta, che si trasmette a tutta l’umanità. Da più princìpi non può venire un unico effetto; un unico effetto viene da un’unica causa.

La Bibbia dunque, insegnando la creazione di questa coppia originaria, presenta logicamente con ciò stesso la differenza sessuale come qualcosa di essenziale alla natura dell’individuo umano, il quale sempre, almeno secondo l’orientamento della natura, che riflette la volontà del Creatore, è e dev’essere o maschio o femmina. Per la Bibbia è inconcepibile che una persona umana normale non sia o maschio o femmina. Certo si danno e si sono sempre dati casi di individui nei quali il sesso manca di qualche dato essenziale o ha tendenze anormali; ma supponendo la conoscenza di ciò che è normale, è stolto, come si fa spesso oggi, confondere l’anormale col normale o intenderli come fossero semplicemente e parimenti libere, diverse e legittime attuazioni della sessualità.      

Del resto una piena sanità o normalità sessuale è molto rara, perché anche nel sesso sono presenti le conseguenze del peccato originale, per cui si impone per tutti, chi più chi meno, il dovere di conformare la propria condotta sessuale alle norme di una sessualità sana ed onesta.

La Bibbia peraltro, in molti suoi passi, soprattutto dei libri sapienziali dell’Antico Testamento, secondo la cultura propria di tutti i popoli antichi, mostra una superiore stima per il maschio, che ritiene più importante della femmina. Questo tuttavia non appare affatto nel racconto del Libro della Genesi, che presenta il modello originario dell’umanità voluto da Dio; qui invece si ha una perfetta uguaglianza di natura che risulta dal fatto che Dio crea l’uomo, non importa se maschio o femmina, “a sua immagine e somiglianza” (Libro della Genesi, 1, 27), anche se precisa immediatamente dopo che crea l’uomo come maschio e femmina.

Nel Libro della Genesi appare chiaro, ad una lettura senza pregiudizi, che il dominio dell’uomo sulla donna e la donna pericolosa tentatrice dell’uomo, non corrispondono affatto a quel piano divino originario, ma al contrario sono il castigo del peccato, le cui conseguenze si fanno sentire nella storia presente. Per questo, il compito fondamentale e il fine ultimo dell’etica sessuale non è quello di rassegnarsi a questo penoso ed anormale stato di cose, quasi fosse irrimediabile, nè tanto meno il considerarlo come voluto dalla natura, ma di fare del tutto, con l’aiuto della grazia divina, perché il rapporto uomo-donna perda la sua conflittualità e precarietà proprie dello stato presente e recuperi gradualmente quella armonia, quella confidenza, quella intimità, quella fecondità e quella stabilità, delle quali godeva nello stato d’innocenza.

La prospettiva ascetica della separazione tra uomo e donna, che nella natura decaduta è un espediente di emergenza per assicurare la castità dello stesso rapporto, deve gradualmente, nella storia della salvezza, essere sostituita dalla pratica di una comunione che non sia più schiava della tentazione al peccato, ma vero, libero, gratificante e spontaneo esercizio dell’amore. Il compito essenziale dell’etica sessuale consiste quindi nella rappacificazione dell’uomo con la donna secondo l’originaria volontà divina presentata nel Libro della Genesi. L’abolizione luterana del voto di castità fu certo un misero cedimento alla pressione di una concupiscentia irresistibilis, quella che Freud chiama libido, ma non si può negare neppure l’istanza biblica di un rapporto uomo-donna che possa recuperare l’intimità, la tenerezza, la comunione e la fecondità del progetto genesiaco.

Una eco di questa istanza la troviamo pesino in Hegel, quando nelle sue Lezioni sulla storia della filosofia tratta della riforma luterana. Desta pertanto oggi un enorme stupore, con gli avvenuti progressi dell’esegesi biblica e dei costumi sessuali cristiani, il fatto che per secoli e millenni la mentalità generale dei credenti abbia equivocato su questo punto, prendendo per volontà di Dio quel domino del maschio e quella malvagità della donna che erano semplicemente la triste, per non dire orribile, conseguenza del peccato. E naturalmente, poiché l’agiografo era sempre un maschio, se qualche donna avesse potuto svolgere il compito dell’agiografo, certamente non avrebbe mancato di accusare di malvagità il maschio.

Ma è chiaro che queste miserie umane non toccano per nulla la Parola di Dio trasmessa dalla Scrittura per mezzo dello stesso agiografo, il quale, come dice Leone XIII, ha detto tutto e solo quello che Dio voleva che dicesse, certo, ma solo in rapporto alla Rivelazione divina, nel senso che l’agiografo non ha tolto nulla di divino e non ha aggiunto nulla presentandolo come divino. Ma questo non toglie che l’agiografo in quanto uomo fallibile abbia aggiunto del suo, che occorre diligentemente individuare e scartare, se non vogliamo farci rider dietro o scandalizzare da chi oggi conosce meglio di un tempo la Bibbia o comunque conosce certe verità che allora non si conoscevano.

Certamente, nella vita presente questa conflittualità tra uomo e donna non è mai del tutto rimediabile, benché possiamo godere della presenza sacramentale di Colui che ha “riconciliato in sé tutte le cose”. Da qui il permanente valore ascetico ed anche mistico dell’astinenza sessuale, che però in uno stato originario della natura non era affatto previsto né necessario.  

Nella visuale genesiaca invece appare una perfetta reciprocità tra uomo e donna, che costituisce, come dirà il Concilio Vaticano II, la radice originaria di ogni socialità e comunione umane. Infatti, Dio non vuole che Adamo sia solo, per cui crea per lui un “aiuto”, una persona simile a lui (Libro della Genesi, 2,18), sicchè questa deliziosa creatura gli appare “finalmente come osso delle sue ossa e carne della sua carne”! (Libro della Genesi, 2, 23). E questa è la donna.

La donna è creata per due fini: affinché la coppia possa generare (Libro della Genesi, 1, 28) e per riempire la solitudine dell’uomo. Come fa notare Giovanni Paolo II, Dio non si limita a dire che non è bene che l’uomo generi da solo, ma dice propriamente che non è bene che l’uomo sia solo: la donna si trova con l’uomo in una reciprocità di esistenza, che riguarda il senso stesso dell’esistenza e della vita della coppia. 

Inoltre, non si tratta, come alcuni traducono, della “moglie” (baalà), ma semplicemente della “donna” (ishshà), a significare che la visuale va al di là del matrimonio per abbracciare il rapporto uomo/donna come tale. Nel capitolo 2 della Genesi il fine è semplicemente l’unione, l’amore: «L’uomo si unirà alla sua donna, e i due saranno una sola carne» (Libro della Genesi, 2, 24). Non si fa parola di riproduzione della specie, benchè naturalmente non sia esclusa. Certamente non è teorizzata l’unione sessuale indipendentemente dalla finalità procreativa, secondo i canoni edonistici del freudismo o dell’epicureismo. Qui la Bonino e Pannella non c’entrano.

Tuttavia, è indubbio che in questo capitolo è prospettata un’unione uomo-donna che non si pone come fine l’aumento numerico degli individui umani: possiamo allora e dobbiamo pensare, a tal riguardo, a due prospettive dove non si dà generazione: quella della collaborazione tra religiosi e religiose per l’edificazione della Chiesa terrena e la coppia escatologica della Chiesa del cielo, della quale parlerò più avanti.

Occorre allora notare in proposito che la pratica dell’astinenza sessuale propria del voto di castità non è prevista nello stato edenico, ma in quello della natura decaduta, conseguente al peccato originale; e ciò per due motivi: primo, il conflitto tra la carne e lo spirito, conseguente appunto al peccato originale, per cui è necessario o conveniente che, per ottenere una più ampia libertà spirituale, e questa è la vocazione alla vita religiosa, il soggetto sappia rinunciare all’esercizio della sessualità; secondo, sempre in questa linea, una superiore dedizione a Dio e al prossimo secondo una regola di perfezione evangelica, sempre nella vita religiosa, che richiede la rinuncia al matrimonio e alla famiglia.

Il sesso non è un accidente dell’individuo,

ma è una proprietà differenziale della natura umana.

L’accidente in senso ontologico è un qualcosa che si aggiunge alla sostanza già costituita, le inerisce o la circonda estrinsecamente senza entrare a costituire la sua essenza. Normalmente la perfeziona, ma, tutto sommato, ci sia o non ci sia, la sostanza resta la stessa; non perde molto. Per esempio, che io sia magro o grasso, che io sia nato a Ravenna piuttosto che a Bologna, che io abbia avuto 5 anni o che ne abbia avuti 50, che mi trovi qui o mi trovi là, che io abbia quest’abito o che ne abbia un altro, che abbia o non abbia un fazzoletto in tasca, io sono sempre io. 

Ma il fatto che io sia maschio e maschio in una certa modalità individuale che appartiene solo a me, non è affatto estraneo all’essenza individuale della mia persona, ma entra come parte o componente essenziale del mio essere personale composto di materia e spirito.

Certamente, nella definizione della natura umana in generale non entra il fatto di essere uomo o donna, giacché sia l’uomo che la donna sono identicamente animal rationale e proprio in ciò sta il fondamento della consapevolezza moderna dell’uguaglianza uomo-donna. La differenza di sesso qui è accidentale. Ma non è affatto accidentale a questo individuo umano essere maschio o femmina, bensì è essenziale.

Viceversa la visione passata della superiorità del maschio sulla femmina si basava sull’idea che il maschio realizzi la natura umana meglio della donna. Si concepiva cioè tale superiorità in analogia al fatto che l’adulto è più uomo del minore o il sano di mente lo è di più del demente. Si tendeva a dare alla natura umana caratteri maschili, per cui di conseguenza la donna era concepita come un maschio difettoso, non del tutto riuscito, mas occasionatus, maschio causato da una causa non sufficiente, per cui nasce qualcosa di meno, appunto la donna. In tal modo non si avvertiva la differenza specifica, ma la diversità era concepita solo sul modello del più uomo e meno uomo.

Era questa la teoria di Aristotele che, accolta da Tommaso, è stata comune nei teologi praticamente sino a Pio XII, il primo Papa che entrando nell’argomento, per tutta durata del suo Pontificato, ha insegnato l’uguaglianza di natura e di personalità tra uomo e donna nella mutua complementarità e tutto ciò per legge di natura, come a dire per volontà immutabile del Creatore. In Italia fu pubblicato negli anni Sessanta un volume che raccoglieva i discorsi di Pio XII sulla donna. Da allora i Papi fino a Benedetto XVI[1] non hanno mai smesso di entrare in questo argomento in vari modi precisando anche quelle che sono le qualità proprie della donna. Famosa al riguardo è rimasta l’enciclica del Beato Giovanni Paolo II Mulieris dignitatem.

Da questo punto di vista dell’essenza dell’uomo indubbiamente l’esser maschio o femmina è del tutto accidentale. Ma qui siamo sul piano dell’essenza astratta. Certo l’essenza come tale è reale, è presente in tutti gli individui, unum in multis et de multis, è universale, non siamo degli occamisti; tuttavia; è vero, come dice Ockham, che non esiste né sussiste la “natura umana” in sé alla maniera platonica, ma esistono concretamente uomini e donne.

Ora l’individuo umano in concreto è sempre uomo o donna. Ma non è affatto accidentale, come ho detto, che Maria sia femmina e Giuseppe sia maschio. Sono proprietà essenziali, necessarie della loro natura individuale, della loro personalità. Giuseppe non è accidentalmente, ma essenzialmente maschio e Maria non è accidentalmente, ma essenzialmente donna.         

L’individuo umano non può trattare il proprio sesso come potrebbe fare con un abito: confezionarselo, indossarlo, toglierlo o mutarlo. È questa una gravissima ed orribile illusione di una certa concezione moderna del sesso, del tutto irrispettosa della sua dignità e del suo essenziale ed insopprimibile integrarsi nella sostanza della persona umana individuale.

I cosiddetti “cambiamenti di sesso” sono in realtà o si suppone che siano, per non essere mostruosità, il completamento artificiale di un dato sesso patologicamente incompleto.    Quanto ad una certa moderna concezione tecnologica del sesso, essa è quanto di più orribile e disumano si possa immaginare relativamente alla condizione umana. Certamente la tecnologia o la chirurgia medica hanno preziosi servizi da rendere nel campo delle disfunzioni, delle deformazioni o delle malattie sessuali, ma a condizione che operino al servizio della natura e per guarire o favorire la natura e non per sostituirla o costruirla o cambiarla o migliorarla, come se l’uomo fosse una macchina ideata e costruita dall’uomo e non un ente già costituito nella sua essenza e nelle sue leggi, preesistente alla coscienza che l’io ne ha, e quindi alle possibilità che l’io ha di operare su se stesso e sugli altri io.

L’arte medica non va confusa con la magia, che crede di poter operare divinamente sull’uomo o come fosse la materia di un artista, ma suppone umilmente l’esistenza del medico e del paziente; deve quindi operare nella consapevolezza dei propri limiti, con gli strumenti adatti e nel rispetto delle leggi della natura e non ha affatto lo scopo di determinare o cambiare la natura a piacimento, se non vuole confondere il progresso umano con la eventuale creazione di mostri distruttivi dell’umanità.

Naturalità e convenzionalità del sesso

L’idea del sesso come accidente contingente, artificiale ed intercambiabile, è legata alla diffusa convinzione che la distinzione fra uomo e donna non sia naturale ma convenzionale o, come si dice, “culturale”. Su questa materia la letteratura è immensa. Essa, confrontando tempi, luoghi e civiltà diversi, ci mette oggi a disposizione una quantità sterminata di dati positivi. I sostenitori di questa teoria si dicono convinti che le differenze uomo-donna, che il sostenere che sono naturali, che ci devono essere e vanno rispettate, il parlare di un’identità della donna diversa da quella dell’uomo sarebbero solo discorsi ideologici finalizzati appunto a mantenere la donna in uno stato di soggezione col confinarla a ruoli stereotipati, limitati e modesti, proibendole di oltrepassarli per accedere a ruoli più alti e di maggior prestigio, che l’uomo sfruttatore e prepotente vuol mantenere solo per sé.

A questa teoria, ormai vecchia di quasi un secolo, la risposta è venuta e molto chiarificatrice: alla donna ormai da molto tempo, nei paesi più civili, sono di diritto e spesso di fatto accessibili tutte le opportunità nel campo delle società, del lavoro, dell’industria, delle professioni, della magistratura, della cultura, della scienza, dell’arte, dell’economia, della politica, della direzione dello Stato. Sono concessi alla donna in molti casi per non dire in tutti, almeno nei paesi più progrediti, la medesima partenza, i medesimi mezzi e le medesime chances o possibilità che all’uomo. Eppure rimane il fatto che pochissime sono le donne, che riescono laddove i maschi tradizionalmente si impongono, salvo che in alcune mansioni importanti dove oggi esse riescono notevolmente, per esempio in medicina, nella magistratura, nell’industria, nell’economia, nella politica, nella stessa direzione dello Stato.

Questo è evidentemente il segno non di un persistente prepotente maschilismo, ma semplicemente del fatto che in certi campi la donna non ce la fa. Dovrebbe umilmente riconoscerlo, tanto più che essa ha delle risorse bellissime nel campo della sensibilità, del gusto, del cuore, dell’affettività, della prassi, del pensiero, dell’intelligenza, dell’intuizione e delle virtù, anche le più sublimi, che il maschio non ha. Da qui la mutua complementarità.  

Il fatto che il maschio abbia campi suoi propri dove la donna riesce solo limitatamente, non dovrebbe quindi disturbare o preoccupare nessuno, se non fosse per quei gruppi femministi che continuano ostinatamente ed inopportunamente a lamentarsi e a protestare.

Questione a parte è quella del sacerdozio femminile, che qui adesso non tocchiamo perché riguarda la dottrina della fede, mentre qui ci fermiamo alla questione dei diritti umani e delle differenze naturali o convenzionali tra uomini e donne. La donna, per superare il maschio non deve imitarlo laddove non ce la fa, ma deve essere semplicemente se stessa nei suoi propri campi, con i doni preziosi che Dio le ha dato, dove è il maschio a non farcela. O donna, se non vuoi sentirti frustrata e vuoi esser fiera di te stessa, scopri te stessa alla luce di Dio!

La psicologia moderna dei sessi ha ormai chiarito, negli studi più seri e documentati, l’esistenza di qualità psicologiche differenti tra uomo e donna, del resto in linea con la visione tradizionale più aperta ed ugualitaria, che sempre in fondo è esistita nella storia delle civiltà più evolute. Uomo e donna si differenziano non solo fisicamente, il che è evidente da sempre, ma anche psicologicamente. Ed è molto importante cogliere questi caratteri differenziali, che consentono di realizzare praticamente l’uguaglianza nella mutua complementarità.

A questo punto potremmo accennare alla questione del sacerdozio della donna. Come è noto, in un importante documento del 1994, Giovanni Paolo II, come dottore della fede, ha dichiarato che il sacerdozio ministeriale è riservato al maschio. Questo insegnamento del Papa può servirci per farci meglio capire l’importanza delle diverse qualità psicologiche proprie dell’uomo e della donna. 

Alla donna non è accessibile il sacerdozio non perché, come si riteneva un tempo, ella sia inferiore all’uomo, ma perché ella ha delle qualità sue peculiari, che il maschio e quindi il sacerdote non possiede e non può possedere, così come è vero che solo il maschio può essere sacerdote perché il sacerdozio si accorda in modo speciale con qualità psicologiche che sono proprie del maschio.

Ma anche qui vale il discorso della coppia consacrata: come uomo e donna sono necessari nella loro reciprocità per la creazione della famiglia e l’edificazione della società, così similmente la reciprocità tra il sacerdote e la donna, in special modo la religiosa, sono necessari per l’edificazione della Chiesa.

Certo, questi argomenti non pretendono di dare una spiegazione razionale all’insegnamento del Papa, che tocca la fede; tuttavia sono utili argomenti di convenienza che facilitano l’adesione di fede alla dottrina del Santo Padre, che è dottrina di fede o rivelata (la “volontà di Cristo”), che egli presenta con note che si avvicinano ad una vera e propria definizione dogmatica.  

Per quanto riguarda i ruoli convenzionali, ovviamente essi hanno la loro importanza e il loro interesse. Certamente come tali possono mutare e di fatto variano a seconda delle civiltà e dei tempi. In questo campo può manifestarsi un certo maschilismo e sotto questo punto di vista occorrono correzioni ed aggiustamenti. Ma oggi esiste anche un certo femminismo irrazionale che ha bisogno di essere corretto col richiamare la donna alla sua natura e ciò è tutto nell’interesse dell’originalità e della insostituibile preziosità della sua vocazione datale da Dio.

Vigono comunque in questo campo, passibile delle più diverse determinazioni, una libertà e una creatività che hanno lo scopo non di sostituire la natura, ma di completarla con il genio e l’inventiva dell’uomo e della donna. Le condizioni di attuazione di queste qualità sono giuste e legittime, quando uomo e donna si sentono a loro agio secondo la natura propria del loro sesso, il che li porta a dare, secondo queste loro capacità, il meglio di se stessi.

La differenza specifica nell’unico genere animal rationale

Gli studi moderni circa i caratteri psicologici propri dell’essere uomo o donna ci hanno condotto a comprendere che esiste una differenza specifica tra mascolinità e femminilità scientificamente definibili come differenze specifiche del genere animal rationale[2]. La mascolinità si definisce come l’essere umano della razionalità astratta e della deliberazione deduttiva, mentre la femminilità è l’essere umano dell’intuitività affettiva.        

In passato, quando ancora non era chiara questa differenza specifica, ma, come si è detto, l’essenza umana era ricondotta alla mascolinità, mentre la femminilità era vista come sua realizzazione imperfetta, la differenza sessuale era considerata, per stare ad un’espressione di Tommaso, come “accidente dell’individuo”, per cui la differenza tra uomo e donna non era formale o specifica, ma puramente accidentale e quantitativa, come la diversità tra il medesimo individuo in età minore e in età adulta. La donna aveva di meno i caratteri essenziali dell’animal rationale che si attuavano in pienezza nel maschio.

Con la presa di coscienza dell’essenza universale della mascolinità in quanto distinta dall’animalità razionale da una parte e dall’altra, con il venire in luce nella donna di caratteri propri dell’umanità che eccellevano su quelli maschili, ci si è accorti che l’animal rationale non è una pura e semplice specie o differenza specifica del genere animal, ma è genere inferiore al genere animal, al di sotto del quale sta immediatamente l’individuo maschio e l’individuo femmina. 

Si è quindi compreso che tra maschio e femmina, dal punto di vista psicologico, non c’è solo una differenza materiale, numerica o individuale, priva di interesse scientifico e quindi non universalizzabile o non definibile con caratteri essenziali ed immutabili, come si credeva in passato, ma l’individuo vero sta sotto lo animal rationale solo mediante il genere inferiore mas e foemina che così diventano due specie del genere animal rationale, il quale rispetto al genere superiore animal resta sempre una differenza specifica, ma appare come genere immediato della differenza mas e foemina. Queste due specie quindi hanno subito sotto di sé gli individui, in modo che si può dire: Paola a Maria sono donne; Francesco e Giuseppe sono maschi, predicando mascolinità e femminilità in modo scientifico, non solo in relazione ai caratteri fisici, cosa che si è fatta da sempre, ma anche in relazione a quelli psicologici, che è la cosa che è emersa solo di recente come fondamento personalistico dell’uguaglianza-reciprocità tra uomo e donna, che pone finalmente termine per sempre al pregiudizio antichissimo della superiorità dell’uomo sulla donna.

La futura risurrezione comprende anche l’esistenza dell’uomo e della donna.

La consacrazione della coppia ha il suo culmine nella risurrezione. Infatti, come è stato affermato con forza dal Beato Giovanni Paolo II [3] ed era già stato sostenuto da san Tommaso[4] dietro suggerimento di sant’Agostino[5], la resurrezione del corpo comporterà anche la resurrezione del sesso, dato che il corpo umano per sua natura è sessuato.    

In particolare il Papa insegna che sarà presente la femminilità e ciò evidentemente conferma la dottrina della Chiesa ormai acquisita a partire da Pio XII, per la quale l’esser donna non è più considerato una mascolinità imperfetta o non riuscita, ma una qualità peculiare della natura umana, reciprocamente complementare alla mascolinità.

Giovanni Paolo II ha altresì spiegato che le parole di Cristo «saranno come angeli» (cfr Vangelo secondo Matteo, 22, 30) in relazione alla condizione dell’umanità futura non vanno intese come se la femminilità fosse assente, ma in relazione al fatto che non vi sarà più la riproduzione della specie.

Dobbiamo dunque ritenere che l’unione dell’uomo con la donna condurrà a perfezione la prospettiva di Gn 2 che abbiamo vista e considerando che il Concilio Vaticano II presenta la vita religiosa come prefigurazione della condizione dei risorti, possiamo pensare che la coppia consacrata intesa come collaborazione tra religiosi e religiose debba vedersi come un segno precorritore di quell’unione tra uomo e donna che ci sarà alla risurrezione e che fin da adesso costituisce un punto di riferimento escatologico anche per gli sposati.

P. Giovanni Cavalcoli

Articolo pubblicato nel libro “La verità della fede”, a cura di Gianni Battisti, nel 2012

http://www.editriceleonardo.net/wp-content/uploads/2016/07/et-5-eb.jpg

http://www.editriceleonardo.net/prodotto/verita-della-fede-2/

 


"Già nel giugno 2019, l’allora Congregazione per l’Educazione cattolica aveva pubblicato un documento dal titolo Maschio e femmina li creò. Per una via di dialogo sulla questione del gender nell'educazione, uno strumento utile ad affrontare il dibattito sulla sessualità umana e le sfide che emergono nell’attuale tempo di emergenza educativa. Oggi Francesco spiega che la riflessione su tale tematica prosegue."

Da: https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2024-03/papa-francesco-ideologia-gender-convegno-uomo-donna-antropologia.html


[1] E naturalmente poi anche a Papa Francesco.

[3] Cfr il mio studio  «La resurrezione del corpo», in Sacra Doctrina, 1, 1985, pp.81-103.

http://www.arpato.org/testi/studi/Caval-resurrezione_1-85.pdf

[4] Cfr il mio studio «La condizione della sessualità umana nella resurrezione secondo S. Tommaso», in Sacra Doctrina, 92, 1980, pp. 21-146.

http://www.arpato.org/testi/studi/Cavalcoli_n92-1980.pdf

[5] Cfr Sant’Agostino, De Civitate Dei, XXII, c.17 (PL 41,778)

10 commenti:

  1. Caro Padre Cavalcoli,
    ho appena letto il suo articolo del 2012, da quel libro in coautorea, e li ringrazio per averlo pubblicato ora sul suo blog, per darci l'opportunità di conoscere altri suoi testi.
    Vedo che i suoi lavori di antropologia filosofica e teologica si sono moltiplicati negli anni, soprattutto nello sviluppo di quella che è stata la cosiddetta "teologia del corpo", sviluppata nei catechesi di Giovanni Paolo II negli anni Ottanta.
    In relazione a questo tema, e nell’ambito o marco di questo tema, non so se lei ha affrontato un punto attualmente dibattuto e molto attuale, che mi sembra avere la sua portata adeguata nell’antropologia teologica.
    Mi riferisco alla questione del sacerdozio uxorato.
    Non so se lo consideri nel suo libro La Copia Consacrata.
    Nel contesto delle voci che circolano oggi secondo cui la Santa Sede potrebbe valutare la possibilità del sacerdozio uxorato (anche se sappiamo che Francesco ha annunciato che non sarebbe stato lui a istituirlo), mi chiedo se questo tema del "uomo-donna complementarietà", non arriverei a fornire argomenti a favore del sacerdozio uxorato, poiché la perfezione dell'uomo sarebbe data dall'unione uomo-donna ("non è bene che l'uomo sia solo").
    E intuisco anche che riflettere su questo rapporto tematico potrebbe indicare al Romano Pontefice (attuale o futuro) l’opportunità di sviluppare la dottrina insegnata da san Giovanni Paolo II sulla complementarità uomo-donna, insegnamenti dimenticati sia da Benedetto XVI che da Francesco.

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    1. Caro Ross,
      comincio col dire una cosa nota e cioè che il celibato non è un ingrediente del sacramento dell’Ordine, ma è una pratica tradizionale solitamente molto raccomandabile per il sacerdote, che vuole svolgere a tempo pieno il suo prezioso e insostituibile ministero a servizio delle anime.
      Ciò significa che, se Papa Francesco non intende concedere il sacerdozio uxorato, non è escluso che possa concederlo, naturalmente in casi speciali, il prossimo Papa. In questo senso la proposta dei vescovi tedeschi può essere presa in considerazione.
      Esiste comunque un elemento che sconsiglia il sacerdozio uxorato, per il fatto che, se egli si sposa, il suo primo dovere è prendersi cura della famiglia e svolgere una attività lavorativa che consenta il mantenimento della famiglia. Viceversa il frate o il prete fruiscono economicamente di beni che provengono dalla comunità alla quale appartengono.
      Inoltre, senza l’obbligo dei doveri familiari, hanno molto più tempo per dedicarsi al servizio del prossimo. Infine l’astinenza sessuale per motivo ascetico, come sappiamo dalla tradizione dei santi, è un ottimo metodo che assicura una maggiore libertà e fecondità spirituali.
      Per quanto riguarda la complementarità reciproca, che San Giovanni Paolo II illustrò sia dal punto di vista protologico che escatologico, essa non richiede necessariamente il rapporto sessuale, ma si può e si deve realizzare comunque sul piano morale, psicologico e spirituale, sia nell’orizzonte della società civile che della comunione ecclesiale.
      Inoltre bisogna distinguere il celibato dal voto di castità. Mentre non avrebbe senso un frate sposato, potrebbe avere senso un prete sposato. Concretamente come si potrebbe concepire la complementarità reciproca nell’attività del prete? Anche nel caso che la Chiesa intenda mantenere il celibato, i suggerimenti e le iniziative potrebbero essere molteplici. Mi fermo qui soltanto a qualche esempio. Innanzitutto oggi la Chiesa ha chiarito che accanto a ministeri maschili esistono ministeri femminili. Accanto all’educazione e formazione religiosa, fornita dal sacerdote, esiste quella complementare femminile laicale o religiosa. Nel campo amministrativo la donna oggi è più importante di un tempo e quindi può essere ottima collaboratrice del parroco.
      Un’altra cosa, che del resto rientra già nella tradizione, è la fondazione di nuovi istituti, dove spesso i fondatori sono un uomo e una donna, che di solito sono un sacerdote e una religiosa. Questa unione tra di loro potrebbe assimilarsi alla fondazione di una grande famiglia, che in questo caso non è una famiglia nel senso fisico, ma in un senso spirituale.

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  2. Caro padre Giovanni,
    comincio col dire che non c'è nulla che io possa obiettare a quanto mi dici, e che sono completamente d'accordo con tutta la sua affermazione.
    La mia unica intenzione è solo quella di fare alcune sottolineature che completino e vogliano dare (secondo me) un po' più di equilibrio alle sottolineature che lei hai fatto. E parlo di sottolineature in quanto si tratta di opinioni che possono far pendere l'ago della bilancia della decisione prudenziale del Papa verso una posizione o verso un'altra, cioè quella di vietare il sacerdozio uxorato nella Chiesa di rito romano, come finora, oppure di consentirlo, diciamo facoltativamente o a determinate condizioni.
    Si tratta, come lei ha giustamente detto, di una questione disciplinare, di valore contingente, che non è un ingrediente essenziale del sacramento dell'Ordine, ma è una pratica di uso tradizionale, con i suoi pro e contro.
    Lei dice che i vescovi tedeschi oggi vedono i vantaggi del sacerdozio uxorato. Ebbene, nel contesto della crisi che il “cammino sinodale” sta senza dubbio producendo nella Chiesa di Germania, forse questa (il sacerdozio uxorato) è una concessione che potrebbe generare una fonte di pace nella spaccatura oggi emersa tra Roma e i cattolici tedeschi.
    Chiarisco anzitutto che non metto in dubbio i vantaggi del sacerdozio in vita celibe o, lo dico nei termini che mi sembrano migliori: la libera opzione che deve avere il candidato al sacerdozio di scegliere una vita celibe o una vita matrimoniale. Una opzione libera che la Chiesa di rito romano non concede da secoli, e che da decenni ha portato all'allontanamento dal ministero sacerdotale di migliaia e migliaia di sacerdoti che hanno scoperto la loro vocazione accanto al matrimonio, il che, in sostanza, non è né contraddittorio né incongruente con la vocazione al sacerdozio.
    Non dubito neppure, e in questo sono anche d'accordo con lei, che il sacerdozio uxorato implicherebbe da parte del sacerdote sposato la necessità di lavorare civilmente per guadagnarsi il sostentamento della sua famiglia (anche San Paolo ebbe il suo ufficio, come narrato negli Atti degli Apostoli), e implicherebbe anche che non sarebbe stato sacerdote a tempo pieno.
    Ciò porterebbe ad una netta distinzione tra preti celibi e preti sposati, che si rifletterebbe chiaramente nella vita delle comunità: i primi con maggiore dedizione alla comunità, i secondi con minore dedizione, ma con il vantaggio di sentire da vicino le istanze del Popolo di Dio, più integrato nella vita laicale. Dopotutto, Cristo, come uomo, è stato un "laico" per tutta la sua vita, non un sacerdote, ed è stato sacerdote solo nella dedizione della sua vita, così come può esserlo anche un laico.
    D’altra parte, ho perfettamente chiaro quello che dici: la complementarità reciproca tra uomo e donna, illustrata da san Giovanni Paolo II, non richiede necessariamente un rapporto sessuale, ma può e deve realizzarsi in ogni caso su un piano morale, a livello psicologico e spirituale, sia nell'orizzonte della società civile che della comunione ecclesiale.
    Sono perfettamente d'accordo. E anche con quello che dici poche righe dopo, che in ambito amministrativo e pastorale le donne oggi sono più importanti che in passato e quindi possono essere ottime collaboratrici del parroco. Nel mio Paese, l’Argentina, ci sono stati grandi sacerdoti che lo hanno capito, ma nel momento sbagliato, negli anni Sessanta, e sono stati allontanati dal loro ministero. Alcuni sono stati allontanati dal loro ministero usando come pretesto la collaborazione richiesta ad una donna della comunità, senza avere avuto l'intenzione iniziale di abbandonare il loro stato di celibato. Un caso paradigmatico è stato quel grande vescovo argentino che fu mons. Jerónimo Podestà.

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    1. Caro Ross,
      per quanto riguarda la proposta dei vescovi tedeschi, può essere che in linea di principio la sua attuazione favorisca la comunione con Roma. Tuttavia sappiamo bene come Papa Francesco questa prospettiva non la gradisce. Per cui bisogna che i vescovi tedeschi, di buon grado, accolgano la volontà del Papa.

      La proposta che fa lei della libera opzione concessa al candidato al sacerdozio di scegliere tra una prospettiva matrimoniale e di rinuncia al matrimonio, è una proposta di per sé legittima, ma attualmente non è in programma nella Chiesa. Al massimo, quello che si può immaginare per adesso è la concessione del sacerdozio a uomini già sposati.
      Quanto al problema di sacerdoti, che si accorgerebbero di avere una vocazione al matrimonio, la cosa di per sé non è impossibile. Infatti in linea di principio il sacerdozio è associabile al matrimonio, perché il celibato non è parte integrande sacramento dell’Ordine.
      Tuttavia si tratta di un’idea che attualmente è completamente al di fuori della disciplina ecclesiastica della Chiesa Cattolica Romana.

      In base a quello che abbiamo detto è realistica l’ipotesi di sacerdoti uxorati accanto a sacerdoti celibi. Occorre però fare attenzione a non fare discriminazioni, come se a priori si debba credere che il sacerdote celibe sia necessariamente più zelante o più virtuoso del sacerdote uxorato.
      Ora, bisogna dire che non è affatto detto che le cose debbano andare sempre così, perché, supponendo che l’uno e l’altro sacerdote rispondano alla chiamata divina, sia l’uno che l’altro sono chiamati alla santità e potrebbe verificarsi che un sacerdote uxorato sia più santo e più zelante di un sacerdote celibe.

      Bisogna dire che indubbiamente Cristo non fu sacerdote secondo l’Antica Alleanza, ma già la Lettera agli Ebrei dice che fu sacerdote secondo l’ordine di Melchidesek, ossia un sacerdozio non per generazione, ma per vocazione spirituale.

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    2. Caro padre Cavalcoli,
      sono lieto che lei ammetta la possibilità che l'attuazione della proposta dei vescovi tedeschi possa essere, in linea di principio, favorevole alla comunione con Roma. Naturalmente so che a papa Francesco questa prospettiva non piace. Ma la mia domanda non era rivolta alle possibilità attuali, ma ai principi dell'azione. Naturalmente i vescovi tedeschi devono accettare di buon grado la volontà del Papa. Ma questo non significa che il suo rispettoso dissenso no debba essere rispettato, e che in futuro un altro Papa avverta l'opportunità di cambiare questa consuetudine o tradizione nella Chiesa di rito romano.
      Mi fa piacere anche che riconoscia come legittima la proposta della libera opzione concessa al candidato al sacerdozio di scegliere tra la prospettiva matrimoniale e la rinuncia al matrimonio. E, come ho detto al punto precedente, non mi riferivo alla sua attuale fattibilità, che anch’io non vedo come possibile. Ma la cosa importante è riconoscere che potrebbe essere saggio cambiare la tradizione attuale nella Chiesa di rito romano.
      In generale, vedo che mi hai risposto sempre con l'avvertimento che questo e quello "sono completamente estranei alla disciplina ecclesiastica della Chiesa cattolica romana", o che "non è nell'agenda di questo Papa cambiare". Questo è noto. Ma l’importante è riconoscere che si tratta di una pratica contingente e mutevole.
      Riguardo all'ultimo punto, non ho mai detto che in linea di principio il prete celibe avesse più possibilità di raggiungere la santità, che è un'altra questione, indipendentemente dall'essere un prete celibe o uxorato. Il punto che volevo sottolineare è che il sacerdote uxorato potrebbe fornire al clero un punto di vista meno clericalista di quello di cui soffre oggi il clero, dato il suo inevitabile e benefico inserimento nel mondo reale, cioè nell'ambiente laico.
      Infine, vi ringrazio per i chiarimenti che mi avete dato circa la natura del sacerdozio di Cristo.

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    3. Caro Ross,
      riguardo alla disavventura capitata al vescovo Podestà e ad altri sacerdoti, sappiamo come può capitare che, pur facendo del bene, siamo fraintesi oppure addirittura possiamo suscitare scandalo. Se ciò è capitato a Gesù, dobbiamo aspettarlo anche per noi, sperando che un giorno coloro che hanno frainteso, comprendano la verità.
      Oggi, grazie a Dio, esiste una mentalità più aperta e una maggiore comprensione, per cui i buoni fedeli sono più disposti a comprendere che a malignare.

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    4. Caro Ross,
      a proposito del prete uxorato, dovendo trattare eventualmente in confessionale o nella direzione spirituale della questione dei rapporti intimi, è chiaro che può dare consigli più concreti che non il prete celibe, che conosce le cose solo in teoria. Con questo non intendo dire che il prete celibe non possa dare ottimi consigli, in quanto ministro del Sacramento come realtà di fede.
      Riguardo al clericalismo, è chiaro che una sana esperienza umana giova al prete per renderlo capace di capire il prossimo, come per esempio le realtà educative e sociali, evitando quindi quel clericalismo che consiste nell’imposizione di dati di fede, senza il dovuto tatto pastorale.

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    5. Caro padre Giovanni,
      apprezzo questi nuovi commenti, che mi danno maggiore serenità riguardo alle mie opinioni su un argomento così complicato, e sono in una certa misura corroborati dalle opinioni di un sacerdote saggio come lei.

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    6. Caro padre Giovanni,
      il mio timore principale, e direi l'unico, riguarda la possibilità (magari realizzabile nell'immediato futuro, in questo o nel prossimo pontificato) dell'esistenza di preti uxorati, basati sull'ordinazione di uomini sposati.
      È un problema pastorale, ma tocca quello dottrinale.
      In Argentina, avendo ascoltato la predicazione dei diaconi permanenti (che ricevono una formazione accelerata e superficiale per accedere al diaconato), si tratta di predicazioni deplorevoli, generalmente sdolcinate, psicolizzanti, o peggio ancora moderniste e relativiste.
      Se questo stesso tipo di predicazione si osserva nei preti celibi che hanno ricevuto una formazione generalmente di 6 anni o meno, perché l'ultimo anno, del diaconato, si trascorre in una parrocchia (non ci sono praticamente più corsi di 8 anni come prima), immagino cosa potrebbe accadere con la formazione degli uomini sposati che entrerebbero nel sacerdozio.
      Non vedo molto promettente il futuro all'orizzonte su questo argomento.

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    7. Caro Ross,
      il problema che lei pone è un problema squisitamente pastorale e di formazione cristiana, teologica e morale. Quindi la prospettiva di ordinare uomini sposati, in linea di principio, non dovrebbe creare preoccupazioni circa il livello di formazione di questi sacerdoti.
      Tutto sta, da parte della Chiesa, ad organizzare un piano o un percorso formativo adatto a questo tipo di vocazione.
      Potremmo porci la domanda di quali potrebbero essere i coniugati più adatti ad affrontare il cammino verso il sacerdote. Penso che bisognerà scegliere uomini già cristianamente maturi, in modo che siano già in possesso di una formazione di base.
      Infatti, per arrivare al sacerdozio occorrono studi che sono al di sopra della comune formazione laicale. Occorrerà formare i candidati all’amministrazione dei Sacramenti, che costituiscono il normale ministero sacerdotale, in particolare il Sacramento dell’Eucarestia e quello della Penitenza.
      Comprendo il rischio che vengano fuori dei sacerdoti modernisti, ma allora occorrerà che i vescovi vigilino con zelo sulla formazione, osservando le norme della Chiesa.

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