Il sacrificio espiatorio
La concezione rahneriana della morte
Nel suo libro Sulla teologia della morte Rahner definisce la morte in modo chiaramente dialettico come momento della massima passività e della massima attività: nel momento in cui sembriamo sconfitti, vinciamo: nel momento in cui tutto è perduto, tutto è guadagnato; nel momento della massima dipendenza, ecco il trionfo della libertà; nel momento, come dice Hegel, della «massima devastazione», tutto è conquistato e recuperato.
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Nel morire cristiano, nella morte di Cristo c’è qualcosa in più che non è contenuto nel semplice morire fisico, ma è un qualcosa che ci è rivelato nella fede, ed è il valore espiativo del morire, ossia il morire in sconto dei nostri peccati, fondandoci sulla morte di Cristo, morto per la remissione dei peccati.
È questa la morte che dà la vita, ma per il cristiano non la dà in quanto morte. La morte produce solo la morte, ma, in quanto è la morte di quell’uomo, il quale può espiare efficacemente, perché è anche Dio, il quale solo in quanto tale può dare efficacia salvifica all’espiazione; dunque un uomo, Cristo, il quale, in quanto Dio e sempre in quanto Dio, può far risorgere l’uomo dalla morte e renderlo partecipe di quella vita eterna che Dio possiede per essenza.
Rahner rifiuta il dato rivelato dell’espiazione considerandolo un mito primitivo e superato, per spiegare il dogma della redenzione non in base alla morte di Cristo, ma semplicemente in base alla morte come tale, che egli intende peraltro hegelianamente come principio della vita, quindi in modo assurdo e sbagliato.
Ben lungi dall’essere il «momento definitivo della libertà», la morte è la conclusione finale di un lento ma inesorabile processo di decadenza, sproporzioni e squilibri già innati al momento stesso del nascere e vorremmo dire dell’essere concepito del soggetto: i segni delle conseguenze del peccato originale, tendenze antivitali che permangono per tutta la vita del soggetto e si rafforzano nel periodo dell’invecchiamento, fino ad essere così insopportabili per l’anima, la quale, trovatasi incapace di vitalizzare ulteriormente il corpo, lo abbandona. Questo è il momento della morte. Altro che perfezionamento e vertice della libertà!
Immagini da Internet:- Harry Anderson
- Franz Skarbina
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