Giustizia e crudeltà
Seconda Parte (2/2)
La polemica contro Sant’Anselmo
Da alcuni decenni è diventato quasi un luogo comune tra i modernisti, quando si tratta del perché della morte di Cristo, prendersela con Sant’Anselmo accusandolo non solo di rigidezza nella determinazione di motivazioni razionali della Redenzione, il che andrebbe anche bene, ma arrivando al punto da respingere il fine soddisfattorio della morte di Cristo, così da andare contro il dogma del Concilio di Trento[1].
Non si capisce peraltro perché prendersela proprio con Sant’Anselmo, il quale non ha fatto altro che riprendere la tematica del sacrificio del Servo di Jahvè di Is 53, la quale arriva alla dottrina della Redenzione del Nuovo Testamento, di Cristo stesso, nonchè di San Paolo e San Giovanni, ed inaugura un’ermeneutica del Mistero della Croce che troverà la sua consacrazione dogmatica nel Concilio di Trento. Inoltre Anselmo non usa mai l’espressione pur biblica del «placare l’ira divina», ma parla sempre di «soluzione del debito verso Dio» e di «restituzione dell’onore che Gli è dovuto».
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Il buonismo non fa altro che causare questa totale mancanza di responsabilità nei confronti di Dio, mantenendoci in un’atmosfera ovattata di falsa sicurezza, che è proprio il modo di farci correre il pericolo della dannazione.
Un esponente illustre di questo atteggiamento polemico è Joseph Ratzinger, non il Ratzinger Prefetto della CDF, coautore del Catechismo della Chiesa Cattolica e tanto meno Papa in esercizio, ma il Ratzinger semplice teologo dell’Introduzione al cristianesimo del 1967 e Benedetto XVI Papa Emerito.
Al riguardo addolora leggere il tono calunnioso della domanda su Sant’Anselmo che l’intervistatore rivolge a Benedetto:
«Quando Anselmo dice che il Cristo doveva morire in croce per riparare l’offesa infinita che era stata fatta a Dio e così restaurare l’ordine infranto, egli usa un linguaggio difficilmente accettabile dall’uomo moderno. … ».
La cosa che qui sorprende è come Benedetto, anziché correggere il tono calunnioso della domanda, la prende per buona e parte a sua volta rincarando la dose ed affermando, senza fare alcuna distinzione o precisazione, che «le categorie concettuali di Sant’Anselmo sono diventate oggi per noi di certo incomprensibili» (p.89). E prosegue:
«La contrapposizione tra il Padre, che insiste in modo assoluto sulla giustizia e il Figlio che ubbidisce al Padre e obbedendo accetta la crudele esigenza della giustizia non è solo incomprensibile oggi, ma, a partire dalla teologia trinitaria, è in sé del tutto errata» (p.90).
Occorre dire d’altra parte, che questo spiacevole incidente occorso all’Emerito è una prova di come un Papa emerito, per quanto possa restare Papa, non esercitando più il munus petrino, decade al livello della fallibilità dottrinale comune dei fedeli dalla quale è immune solo il Papa in esercizio.
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