La visione beatifica
Fine oggettivo e fine soggettivo
Si domanda inoltre Padre Tyn: "Qual è la nostra concezione della beatitudine? Non è quella di ordinare Dio, che è l'oggetto, all’anima che ne gode, che è il soggetto. Ma al contrario è l’anima che si subordina a Dio. E di questo proprio bisogna rendersi conto. Cioè, non è che noi aspiriamo alla beatitudine come ad un atto dell’anima, ma aspiriamo alla beatitudine come a Dio, che è oggetto dell’atto dell’anima, a cui l’atto dell’anima si rapporta. Quindi per noi alla fine non c’è un aut aut, ma c’è un et et. Prima c’è Dio e poi, in dipendenza da Dio, c’è questo quietarsi soggettivo dell’appetito in Dio" (Lezione VIII).
Come abbiamo già visto, Dio è il fine oggettivo, mentre l'atto col quale l'anima si impossessa di Lui, ossia la visione beatifica, è il fine soggettivo. Nella beatitudine c'è dunque un aspetto intenzionale, che è l'atto intellettuale e conoscitivo della visione, e c'è un aspetto ontologico, che è la stessa infinita Realtà divina, che è Oggetto della visione.
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La concezione tyniana della visione beatifica, fedele a S.Tommaso e al Magistero della Chiesa, merita di essere fatta conoscere oggi più che mai in un'atmosfera ecclesiale e in una situazione della teologia, nelle quale il sommo bene e il fine ultimo dell'uomo, ossia la sua vera beatitudine, spesso si sono oscurati nella nebbia delle passioni e degli interessi terreni o tra le nuvole di un cielo illusorio dove l'uomo, gonfio di se stesso ed ebbro delle parole altisonanti dei giocolieri tintinnati, crede di sostituirsi a Dio per trovarsi poi alla fine nel deserto del nulla.
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