La visione beatifica - Seconda Parte (2/2)

 La visione beatifica

Seconda Parte (2/2)

Fine oggettivo e fine soggettivo

          Si domanda inoltre Padre Tyn: "Qual è la nostra concezione della beatitudine? Non è quella di ordinare Dio, che è l'oggetto, all’anima che ne gode, che è il soggetto. Ma al contrario è l’anima che si subordina a Dio. E di questo proprio bisogna rendersi conto. Cioè, non è che noi aspiriamo alla beatitudine come ad un atto dell’anima, ma aspiriamo alla beatitudine come a Dio, che è oggetto dell’atto dell’anima, a cui l’atto dell’anima si rapporta. Quindi per noi alla fine non c’è un aut aut, ma c’è un et et. Prima c’è Dio e poi, in dipendenza da Dio, c’è questo quietarsi soggettivo dell’appetito in Dio" (Lezione VIII).

          Come abbiamo già visto, Dio è il fine oggettivo, mentre l'atto col quale l'anima si impossessa di Lui, ossia la visione beatifica, è il fine soggettivo. Nella beatitudine c'è dunque un aspetto intenzionale, che è l'atto intellettuale e conoscitivo della visione, e c'è un aspetto ontologico, che è la stessa infinita Realtà divina, che è Oggetto della visione.

          Dice il Servo di Dio: "mentre il fine oggettivo è Dio come bene increato, il goderne dalla parte dell’anima è un qualcosa nell’anima, ed essendo un atto dell’anima, dev'essere qualcosa di creato. L’anima creata non può agire, se non negli atti a sua volta creati, finiti, come entità. Quindi la beatitudine soggettiva è compiere un atto finito, in un'anima finita, riguardo però a un oggetto infinito. Vedete come si intrecciano l’intenzionalità e la realtà ontologica, l’entità reale con l’entità intenzionale" (Lezione VIII).

          La beatitudine, osserva Padre Tyn, è un atto secondo dell'anima, ossia l'atto di una potenza spirituale, qual è l'intelletto; essendo l'atto primo, lo stesso atto d'essere dell'anima. Dice Padre Tyn: "la beatitudine è un ente creato nell’anima, è una creatura; essa consiste in un'operazione; è un qualcosa di operativo. E’ un'azione, un atto insomma, è quello che si chiama atto secondo. E' un atto secondo, ultima attuazione dell’anima" (Lezione VIII).

La visione di Dio sazia la sete di Dio

          L'uomo è fatto per un bene infinito. Nulla di finito lo può soddisfare: "Invece ogni bene dell’anima, ogni virtù che possiamo avere nell’anima, ogni conoscenza, ogni perfezione dell’anima è sempre e solo un bene limitato, un bene finito, un bene partecipato. Un ens per partecipazione, non è un ens per essenza" (Lezione VIII).

          E ancora: "L’anima non può accontentarsi di null'altro se non di Dio. Pensate a S.Agostino, che lo espresse in queste stupende parole, che il nostro cuore è inquieto, finchè non si riposa in Dio. E l’anima può essere appagata solo nel bene infinito, che è Dio. Ora, appunto, perchè solo in Dio? Perchè solo il Bene increato, che è Dio, che è l’Essere Sussistente, è il Bene infinito" (Lezione VIII).

          Che significa - si domanda Padre Tyn - Bene infinito? E risponde:  "Bene infinito significa essere infinito ed essere infinito significa actus purus essendi, l’atto puro di essere, ma di essere  sussistente, non l’ens commune, che poi è in qualche modo comunicabile ad infra. Si tratta dell’essere infinito sussistente nella sua infinità e questo non può essere che il bene increato, ossia Dio. Per definizione Dio è l’Essere da Sé, cioè l’essere che ha la ragione sufficiente del suo essere in Sé e non al di fuori di Sé. Questo è il motivo per cui nessun bene creato può appagare l’anima" (Lezione VIII).

          Solo questo Bene può saziare pienamente e per sempre l'uomo, perchè l'uomo è creato ed innalzato da Dio alla vita di grazia[gc1]  in vista del raggiungimento di Dio come fine ultimo soprannaturale.

          Dunque, spiega il Servo di Dio, "nella visione beatifica voi avete nel contempo la piena realizzazione del fine, il pieno appagamento dell’uomo, e anche la realizzazione del sommo bene onesto, che è l’adesione all’oggetto, ossia a Dio. E’ interessante questo fatto, che la beatitudine dell’uomo consiste nel contatto beatifico dell’anima con Dio oggetto" (Lezione VIII).

Visione di Dio e unione con Dio

          Nella visione beatifica, spiega Padre Tomas, "noi siamo collegati, intenzionalmente, dal punto di vista dell’intelletto e della volontà, con quell’oggetto, che è Dio increato. Da questa unione però deriva una elevazione anche ontologica dell’anima, che si chiama appunto la grazia e poi la gloria. Sicché c’è nell’anima un derivato creato dal contatto con l’increato; anzi lo stesso contatto è un che di creato nell’anima, ma ha per oggetto e termine un che di increato. Questa è tutta la difficoltà della teologia della vita soprannaturale. La teologia della grazia sta qui, cioè spiegare come è possibile che ci sia una creatura che eleva l’anima a qualche cosa di increato, a un contatto con l’increato" (Lezione VIII).

          Il Servo di Dio paragona la visione all'abbeverarsi ad una fonte: "I santi in qualche modo si abbeverano a quella fonte, che è l’acqua viva; cosicchè chi beve di quell'acqua non avrà mai più sete, non però come per dire che si stanchino di vedere Dio, ma nel senso che la visione di Dio in ogni momento sazia tutto il loro appetito. Quindi essi desiderano sempre, infinitamente ciò che già hanno, o meglio, godono di ciò che per sempre hanno. Essi desiderano sempre, infinitamente ciò che già hanno" (Lezione VII).

          Alla visione segue la gioia della volontà. Dice Padre Tomas: "Il gaudium esiste nella patria celeste come un che di risultante dalla visione beatifica. Però è un fine ultimo soggettivo e secondario. Se volete, la visione beatifica è la costituzione metafisica del fine ultimo soggettivo. Da questa costituzione metafisica poi risulta, come facente parte dell' essenza fisica, ossia come proprietà assolutamente necessaria e necessariamente connessa con la visione beatifica, anche la gioia, il gaudium" (Lezione VIII).

La visione beatifica, effetto finale della grazia

          La visione beatifica è effetto finale della grazia infusa da Dio nell'anima: "L’anima non è solo vivificante, ma è anche da vivificare. Da chi? Da Dio. Certo S.Tommaso poi interpreterà questo con molta prudenza, dicendo che naturalmente non è che Dio si immetta in qualche modo nell’anima, - il che diventerebbe forma dell’anima -, ma dice che Dio è la causa efficiente della beatitudine dell’anima, è in qualche modo anche la causa specificante obiettiva, in primo luogo nel senso che Dio è oggetto della contemplazione beatifica" (Lezione VIII).

          Nella visione beatifica resta una distanza infinita tra creatura e Creatore, distanza che però è in qualche modo colmata dalla grazia. Dice Padre Tyn: "la sproporzione è infinita, perchè la grazia e la gloria come creature sono infinitamente inferiori rispetto a Dio, che è increato, quanto al loro status ontologico.

          Però il ponte si stabilisce con la quiddità divina in qualche modo nella grazia. Infatti, l’essenza accidentale della grazia, che è imperfetta quanto al modus essendi, è accidente creato nell’anima; però nella sua essenza esprime similitudine con Dio stesso e porta l’anima a questa adesione, porta ontologicamente l’anima alla adesione intenzionale a Dio increato" (Lezione VIII).

          Padre Tomas dice che Dio stesso ha la visione beatifica di Se stesso, ma è chiaro che mentre in Lui questo atto è sostanziale ed infinito, perchè coincide con la divina Sostanza, ossia con Dio stesso, in noi questo atto è finito e per giunta non è sostanza, ma accidente - benchè permanente - che si aggiunge alla sostanza dell'anima: "sappiamo - dice Padre Tomas (Lezione IX) - che Dio è visione beatifica, ma solo in Dio l’atto di visione è increato, cioè è Dio stesso. In qualsiasi intelletto creato, l’atto di visione è ovviamente un atto creato, non c’è nessun dubbio. La beatitudine soggettiva, l’atto beatifico dell’anima, in quanto è atto, in quanto è azione, atto secondo distinto dall’atto primo, è un accidens in anima".

          La visione beatifica corrisponde alla pienezza escatologica della grazia, che dà all'intelletto il cosiddetto lumen gloriae, che è quella luce soprannaturale, che consente di vedere Dio, cosa propria dei beati ed assente nei dannati, i quali si trovano nella condizione escatologica di coloro che in questa vita sono increduli o rifiutano di credere.

          Dice Padre Tyn: "tramite la grazia e la gloria non ci è dato solo un modo di essere reale, ma ci è dato un modo di pensare ciò che è la pienezza di essere, di amare ciò che è la pienezza del bene, l’essere increato, il bene increato" (Lezione IX).

Visione beatifica e risurrezione del corpo

          Seguendo S.Tommaso, Padre Tomas insegna bensì che la visione beatifica causa la beatitudine dell'anima separata dopo la morte. Ma l'anima resta in attesa di riassumere il proprio corpo al momento del Giudizio universale alla fine del mondo. Essa dunque, prima di questo evento, possiede sì la beatitudine oggettiva, ossia Dio; ma siccome l'anima da sola non è la natura umana completa, ad essa manca ancora la felicità fisica che dipende dal corpo.

          Per questo, alla risurrezione, la beatitudine raggiungerà la sua piena e definitiva perfezione finale dal punto di vista soggettivo, col fatto che la visione ridonderà a beneficio del corpo. Dunque gioia spirituale e gioia fisica, come conviene ad una natura formata di anima e corpo.

          Per questo, Padre Tyn riprende la dottrina tomista, proveniente da S.Agostino, per la quale l'attività del senso precede e segue la visione beatifica. Qui citiamo un lungo brano del Servo di Dio, ma ne vale la pena.

          "E' possibile - dice dunque Padre Tyn (Lezione IX) - che l’operazione sensitiva rientri nella beatitudine perfetta in due modi: antecedentemente e conseguentemente. Antecedentemente, in quanto l’uomo si guadagna il Paradiso con la vita su questa terra. E quindi, in attesa della gloriosa visione del Cielo, noi effettivamente, rivestiti di carne con una intellettualità che si rifà ai sensi, viviamo questa vita, che è come il merito di quel premio, che è poi la visione beatifica.

          E poi, e qui ovviamente si può parlare solo da teologi, sopravviene la parte sensitiva al momento della risurrezione gloriosa dei corpi. Qui S.Tommaso non è certamente un razionalista né un modernista, ma ha una concezione molto fisica e concreta della risurrezione. Non però banale, ovviamente. Nella risurrezione, l’anima, separata dal corpo a seguito della morte, non sarà certamente di nuovo appesantita dal corpo, quando se lo riprenderà nella gloria della risurrezione.

          Quindi è chiaro che la conoscenza dell’anima nel corpo risorto non è una conoscenza mediata dai sensi, perchè altrimenti l’anima di nuovo ricadrebbe dell'imperfezione della vita presente e ci perderebbe, per così dire, dal punto di vista cognitivo.

          Quindi l’anima manterrà la sua pura spiritualità, ma non fa più ricorso alla immagine sensibile nel suo conoscere. Però ovviamente l’anima sarà congiunta alla parte sensitiva, per cui gli stessi organi sensoriali del corpo, certamente non saranno privi di un'attuazione. Quindi, dice San Tommaso che i corpi dei beati avranno la parte sensitiva, anche gli organi sensoriali, perfettamente attuati da un oggetto sensibile perfettamente beatificante".

          La concezione tyniana della visione beatifica, fedele a S.Tommaso e al Magistero della Chiesa, merita di essere fatta conoscere oggi più che mai in un'atmosfera ecclesiale e in una situazione della teologia, nelle quale il sommo bene e il fine ultimo dell'uomo, ossia la sua vera beatitudine, spesso si sono oscurati nella nebbia delle passioni e degli interessi terreni o tra le nuvole di un cielo illusorio dove l'uomo, gonfio di se stesso ed ebbro delle parole altisonanti dei giocolieri tintinnati, crede di sostituirsi a Dio per trovarsi poi alla fine nel deserto del nulla.


P. Giovanni Cavalcoli, OP
Varazze, 26 maggio 2015
Fontanellato, 13 ottobre 2023
 

La concezione tyniana della visione beatifica, fedele a S.Tommaso e al Magistero della Chiesa, merita di essere fatta conoscere oggi più che mai in un'atmosfera ecclesiale e in una situazione della teologia, nelle quale il sommo bene e il fine ultimo dell'uomo, ossia la sua vera beatitudine, spesso si sono oscurati nella nebbia delle passioni e degli interessi terreni o tra le nuvole di un cielo illusorio dove l'uomo, gonfio di se stesso ed ebbro delle parole altisonanti dei giocolieri tintinnati, crede di sostituirsi a Dio per trovarsi poi alla fine nel deserto del nulla.

 
Immagine da Internet: Paradiso, Fonni (NU) 

2 commenti:

  1. Grazie, padre Cavalcoli, per questo contributo e per averci fornito alcuni brani delle parole del Servo di Dio, padre Týn, sulla teologia della visione beatifica.
    Ho pensato, riguardo agli ultimi passaggi citati, ad un certo sapore platonico nelle affermazioni di Týn sul ruolo dei sensi nella visione beatifica dopo la risurrezione dei corpi. Presumo che le parole di Týn siano basate sulla teologia di San Tommaso d'Aquino.
    È vero che alla fine Týn dice qualcosa del genere che nella visione beatifica ovviamente l'anima sarà unita alla parte sensibile, quindi gli stessi organi di senso del corpo non saranno certo privati ​​di una prestazione. Ma, dalla mia ignoranza, mi sembra un'affermazione priva di fondamento, perché prima avevo detto che la conoscenza umana non avrà più bisogno dei sensi. Che ruolo avranno allora il corpo, i sensi e la conoscenza sensibile nella visione beatifica? Cioè qui c'è qualcosa che non mi torna. Ma è vero che il nostro sforzo intellettuale non riesce a comprendere cosa accadrà lì...

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    1. Caro Dino,
      indubbiamente la visione beatifica, come atto dell’anima separata, prima della resurrezione del corpo, dona all’anima la pienezza della beatitudine. Tuttavia l’anima separata è soltanto una parte della natura umana, per cui, nella condizione dell’anima separata, manca ancora la felicità del corpo.
      È vero che nella visione beatifica virtualmente è già contenuta la felicità fisica. Tuttavia con la resurrezione del corpo, la gioia della visione intellettuale, propria della visione beatifica, si estende anche sul piano della sensibilità, per cui l’uomo risorto fruisce della visione beatifica anche con i sensi, pur restando sempre la differenza tra il senso e l’intelletto, in quanto questo continuerà a godere dell’intellegibile, mentre il senso contribuirà alla relazione interumana, come per esempio quella tra uomo e donna, e si eserciterà nel dominio sulla terra deli risorti.

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