Trattato sugli Atti umani
P. Tomas Tyn
Lezione 6 (Parte 2/2)
P.Tomas Tyn, OP - Corso “Atti Umani” - AA.1986-1987 - Lezione n. 15 (A-B)
Bologna, 3 marzo 1987
http://www.arpato.org/corso_attiumani.htm
E’ importante anche la questione, tutt’altro che da trascurare, quella appunto, degli accidenti dell’atto umano, ossia delle circostanze. Infatti, vedete, ci sono determinati accidenti dell’essere fisico, che sono proprio incidentali, in sostanza. Se un uomo, non so, è bianco, giallo o nero non tocca la sua umanità. S.Tommaso non era un razzista, come si vede. Insomma, ecco, il colore non tocca affatto l’umanità dell’uomo. Cioè questo è un accidens nel senso proprio che è slegato dall’essenza dell’uomo.
Ci sono invece altri accidenti, che per quanto non costituiscano la natura dell’uomo, però la portano a pieno sviluppo. Già quell’altro accidens, che è l’essere eruditi, in qualche modo è un qualcosa quasi di dovuto alla natura umana. Cioè la natura umana pienamente sviluppata è una natura umana che cura la propria intellettualità, sul piano speculativo, scientifico, eccetera.
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S.Tommaso, nel trattario sulla Creazione, è molto attento a non confondere la finitezza dell’ente con la sua dipendenza causale. Cioè dice: non è che l’ente finito si riduca quanto a tutta la sua entità a dipendere dall’altro. L’ottimista d’Aquino, insiste su questo proprio per dare consistenza alle entità finite. Quindi, l’entità finita ha una sua bontà intrinseca, che certo deriva dall’altro, ma la sua bontà non sta tutta nell’essere derivato dall’altro.
Però, è vero che la finitezza dell’ente, anche se non è costituta dall’essere causato, è però sempre legata a quella proprietà di essere causato, cioè non c’è ente finito, che non sia anche causato. Si potrebbe dire che, riguardo all’ente finito, il suo costitutivo non è l’essere causato, ma quella di essere causato è la sua proprietà; non c’è ente finito che non sia causato.
Quindi, ogni entità finita dipende da una causa. Solo l’entità infinita, divina, non dipende da nessuna causa. Similmente l’agire di Dio non dipende da un fine. Cioè l’indipendenza di Dio nell’ordine causale, non è solo indipendenza dalla causa efficiente, ma ovviamente anche indipendenza della causa finale. Ciò vuol dire che Dio non ordina le sue azioni a un fine, ma le azioni di Dio sono già il fine, l’ultimo fine.
Però, gli effetti dell’azione divina, questi sì, non sono Dio; sono quindi entità finite e perciò finalizzate e causate, causate da Dio e finalizzate ancora a Dio. Dio non ordina il suo agire al fine, ma vuole, nell’agire, che quel determinato creato effetto sia rapportato a quel fine e in ultima analisi a Lui come fine ultimo.
Quando ci chiediamo che cosa fa sì che un ente finito sia finito, che cosa lo costituisce, non nella finitezza, ma nella entità finita, che cosa lo costituisce tale, cioè ente finito, la risposta, unica risposta attendibile, è la differenza tra la potenza e l’atto, la prima differenza tra la potenza e l’atto, cioè praticamente un’essenza, che non adegua l’ampiezza dell’atto di essere.
Quindi, come dicono i metafisici, la costituzione dell’ente finito consiste ancora nella relazione trascendentale tra l’essenza e l’atto di essere. Ossia, un ente è finito quando la sua essenza è potenziale rispetto all’essere. Ecco perchè l’essere di Dio è infinito, perché l’essenza adegua l’actus ipse essendi.
Quindi, la costituzione della finitezza non sta in una relazione predicamentale, come è quella della dipendenza causale, bensì nella relazione trascendentale, che connette l’essenza con l’essere. Però, un’essenza, che riceve l’essere, non può ricevere l’essere se non dall’altro, quindi tramite la causalità.
Però, non è la causalità che costituisce la finitezza dell’ente, bensì il fatto immediato che l’essenza ha ricevuto l’essere. L’averlo ricevuto dall’altro è un passo successivo.
Immagini: Padre Tomas Tyn, OP
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