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19 marzo, 2024

La falsità come principio della violenza - Seconda Parte (2/2)

 

La falsità come principio della violenza

Seconda Parte (2/2)
 

La Chiesa ha preferito Aristotele a Platone

 Quando i Padri della Chiesa si sono accostati al pensiero greco alla ricerca di quanto in esso poteva essere utilizzato per edificare la teologia cristiana, preferirono utilizzare Platone piuttosto che Aristotele perché a loro sembrò essere più religioso, più spirituale e più sublime di quanto lo fosse Aristotele. In realtà, invece, non si accorsero che, al di là delle apparenze, era il pensiero aristotelico ad essere più vero e più realista di quello platonico e che anzi esso celava gravi errori che invece non erano presenti nella filosofia aristotelica. Ci fermiamo qui alla questione della verità e della falsità.

Sia per Platone che per Aristotele la verità  è corrispondenza del pensiero con l’essere, per cui l’uno è l’altro ammettono che mentre l’uomo è nel vero adeguando il proprio pensiero alla realtà, Dio (il Motore immobile di Aristotele, o il Demiurgo di Platone) produce il reale attuando il proprio pensiero come modello del reale.

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Aristotele stabilisce quattro forme di falsità intellettuale: quella dello scettico (skeptikòs), quella del protervo (apàideutos), quella del mentitore (pseustes) e quella del sofista (sofistès).

Bisogna distinguere la verità del giudizio dalla verità come veracità dell’eloquio o nel parlare, detta anche sincerità. La verità del giudizio è l’adaequatio intellectus et rei e può essere gnoseologica, se è adeguazione del giudizio alla cosa, od ontologica, se è adeguazione della cosa al giudizio. La verità è anche l’identità intenzionale del pensiero all’essere; è l’atto dell’intelletto in atto di conoscere, è il conoscere in atto.

Invece il pensiero in potenza è realmente distinto dal pensabile, che è il pensato in potenza.

Per Vattimo la verità è solo la verità debole, dimessa, ma ciò non gli risparmia l’assolutismo perché comunque non può non pronunciarsi in modo assoluto. È la solita trappola nella quale cadono tutti gli scettici: è vero che non esiste la verità.

Alla verità del pensare o dell’essere corrisponde la verità nel dire e questa è la veracità, che è quella virtù per la quale si dicono le cose come stanno, per la quale, come dice Cicerone, le cose restano «immutate». Dice San Tommaso: «Veracitas attendit ad debitum moralem, in quantum scilicet ex honestate unus homo alteri debet veritatis manifestationem».


Immagine da Internet:
- Gianni Vattimo

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