Il cogito di Cartesio e la rivoluzione copernicana di Kant
Alle origini del modernismo
Terza Parte (3/5)
Leggiamo quest’altra tesi:
«lo spirito, usando della sua propria libertà,
suppone che tutte le cose, della cui esistenza è possibile anche il minimo
dubbio, non esistano, riconosce essere assolutamente impossibile che, frattanto
non esista egli stesso»[1].
Osserviamo che nella ricerca del fondamento della verità la libertà non c’entra niente. Occorre invece la massima attenzione dell’intelletto alla realtà e la disponibilità ad arrendersi all’evidenza. Non si tratta assolutamente di creare dei dubbi artificiali. Non si tratta di dubitare dell’indubitabile, anche se certo occorre verificare se ciò che sembra certo è veramente certo.
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Come ci spiega San Tommaso, riprendendo Aristotele nella sua difesa del principio di identità e di non contraddizione nel IV libro della Metafisica, il filosofo che vuol giustificare il principio del sapere, della certezza e della verità deve certamente affrontare l’universalis dubitatio de veritate, domandandosi se è possibile, per concludere però immediatamente che tale dubbio può solo essere significato ma non realmente esercitato, perchè comporterebbe la soppressione o l’autodistruzione del pensiero, giacchè, se sosteniamo una tesi, supponiamo che sia vera, altrimenti non la sosterremmo neppure.
Per fondare il sapere non c’è da ragionare, ma da vedere, come già sapeva Platone. Una volta visto l’ente con l’intelletto, una volta che l’intelletto distingue la causa dall’effetto, allora da lì la ragione parte per risalire o salire dagli effetti alle cause e per spiegare gli effetti in base alle cause e quindi costruisce il sapere.
È vero che Cartesio, quando parla dell’io, è ben lontano dal pensare all’io trascendentale di Kant o all’Io assoluto di Fichte, Schelling, Hegel o Husserl o Gentile. Egli pensa al suo io umano individuale empirico di Renato Cartesio, anche se è vero che intende parlare dell’io umano come tale.
Come Cartesio, Kant ritiene che fino al suo tempo, seguendo col metodo aristotelico, ossia realista, di basarsi sulle cose esterne, per fondare la metafisica, si sia sempre sbagliato.
C’è da dire quindi che l’operazione fatta da Cartesio e Kant per fondare la metafisica idealista è stata simile quella di Protagora che vede nell’uomo e non in Dio la regola della verità – e Platone lo rimprovera di ciò -, sia Cartesio che Kant spostano il riferimento del vero dall’oggetto al soggetto, dall’essere al pensiero.
Immagini da Internet: Cartesio e Kant
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