La rivoluzione copernicana di Kant
e il cogito di Cartesio
Prima Parte (1/3)
Non la mia, ma la tua volontà sia fatta
Lc 22,42
Devo guardare fuori o devo e guardare in me stesso?
Dove si dirige il nostro sapere? Alla realtà esterna o verso l’intimo del mio io? Gli idealisti, al seguito di Cartesio non hanno dubbi: tutto si risolve nell’io. Essi sembrerebbero riprendere l’interiorismo agostiniano, che concorda con l’idealismo platonico e che troviamo nella Bibbia.
Se invece andiamo a ben guardare, gli idealisti e i cartesiani sembrano agostiniani, ma in realtà sono dei sofisti alla maniera di Protagora, confutato a suo tempo da Aristotele e dallo stesso Agostino. Essi infatti confondono l’io con ciò che troviamo nel nostro io. Un conto invece è guardare a me stesso come se io fossi l’unica cosa da sapere e un conto è guardare in me stesso, a che cosa c’è in me stesso, per cui io sono distinto da questa cosa. Nel primo caso io finisco per identificarmi con Dio. Nel secondo trovo Dio in me, ma Egli resta trascendente e ben al di sopra di me.
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Aristotele ci ricorda che proprio per poter arrivare a conoscere il valore più importante, ontologicamente a priori, cioè lo spirito, devo partire dall’esperienza sensibile delle cose materiali, ontologicamente meno importanti, anzi minime, a posteriori.
La metafisica per Kant non è un sapere che sta in alto (a priori), perché ci arriviamo partendo dal basso (a posteriori), come vuol fare Aristotele, ma perché è già di per sé stessa in alto, parte dall’alto del cogito cartesiano, l’«io penso» kantiano, e semmai, come per Cartesio, scende in basso nelle scienze sperimentali, dando ad esse fondamento e rendendole possibili.
Dobbiamo dire dunque che tanto Aristotele quanto Cartesio e Kant ammettono che la metafisica ha per oggetto l’esistente, lo spirito e Dio.
Ciò che Cartesio e Kant respingono come ingenuo … Quello che rifiutano è il metodo di Aristotele, e cioè: l. la certezza indimostrata, dell’esistenza delle cose e dell’esistenza di Dio fuori dello spirito umano; 2. quella che essi considerano la pretesa di affermare le cose, lo spirito e Dio applicando il principio di causalità e partendo dall’esperienza sensibile mediante un processo astrattivo.
Per Aristotele l’oggetto del nostro conoscere è l’ente esterno all’anima, le cose che vediamo fuori di noi e che sperimentiamo con i sensi, ossia ciò che esiste con un’essenza, ovvero un’essenza (usìa) dotata di essere (einai), un ente (on) col quale l’intelletto si pone in contatto mediante i sensi, così da poter cogliere o intuire l’essenza dell’ente o della cosa mediante il lavoro astrattivo dell’intelletto.
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