Presbiterato
e diaconato: due gradi del sacramento dell’Ordine
Ha destato
scalpore la recente dichiarazione del noto prete bolognese Don Giovanni
Nicolini, il quale ha riferito che in Amazzonia ad alcuni diaconi verrebbe
concesso dal loro vescovo di dir Messa. Diciamo subito che se la notizia fosse
vera, l’eventuale vescovo avrebbe concesso al diacono un permesso nullo e
sacrilego, perché non è assolutamente in potere del vescovo dare permessi o incarichi
di questo genere, che oltrepassano le sue facoltà canoniche.
Sarebbe come
se, volendo fare un paragone alla buona, un docente universitario incaricasse uno studente di terza media a
tenere lezione al suo posto. E non basta obiettare che, in fin dei conti, per
dir Messa materialmente, seguendo le rubriche del Messale, come potrebbe fare
un attore, non occorre avere chissaquali qualità pratiche o culturali o
conoscenze teologiche, ma basta un po’ di buona volontà e di attenzione.
Ma ragionare
così vuol dire non avere l’idea della condizione spirituale necessaria ad un
soggetto per dir Messa. E non avere l’idea di quelli che sono i limiti della
potestà episcopale. È vero che il vescovo rende partecipe il diacono della
grazia del sacramento dell’ordine, che il vescovo possiede in pienezza. Ma
nell’essenza dei poteri episcopali e nell’essenza dell’esser diacono è scritta sia
l’impossibilità che un vescovo renda partecipe un diacono del suo potere di dir
Messa, sia l’impossibilità del diacono
di dir Messa.
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Santo Stefano diacono
(immagine da internet)
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