Il problema della coscienza di sé in Cartesio
Terza ed Ultima Parte
IX. Bontadini critica Cartesio sulla base di Gentile
È interessante come Bontadini, nell’Introduzione al Discorso sul metodo[1], respinga il realismo che resta in Cartesio, e gli opponga una gnoseologia basata sull’identificazione dell’essere con l’essere pensato, propria dell’idealismo tedesco, ma che è già implicita nel cogito e che penserà Fichte a esplicitare.
Per Bontadini, infatti, come in fondo per Cartesio, il pensiero non è fondato sulle cose, sull’essere esterno al pensiero, ma, «il pensiero non ha bisogno di garanzie: esso è già per se stesso la garanzia del proprio valore, la propria misura, la propria fondazione»[2]. Il pensiero non dev’essere garantito da nulla, esso garantisce se stesso, esso si misura su se stesso, si fonda su se stesso.
Dunque il pensiero non si fonda sull’essere, non è relativo all’essere, non è misurato dall’essere. Non deve far capo a una realtà oggettiva ad esso esterna, che gli fa da regola di verità. Ma questo non è il nostro pensiero; è il pensiero divino! Ecco il terribile equivoco nel quale cade il «cattolico» Bontadini! Confonde il pensiero umano con quello divino!
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Il concetto di «realtà» (res extra animam o in rerum natura) non è un pallino della gnoseologia tomista o l’ingenuità di chi non è ancora entrato nel «sacrario della filosofia», per dirla con Bontadini, ma è un concetto originario, evidentissimo e spontaneo, insopprimibile, necessario ed universale, proprio della ragione come tale, noto a tutti fin dall’infanzia, senza bisogno d’esserne istruiti, appartenente a tutte le culture dall’indigeno dell’Amazzonia all’aborigeno dell’Australia, dalla massaia e dal pizzicagnolo ad Albert Einstein e Galileo Galilei.
Immagine da internet
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