Articoli e testi di P.Giovanni Cavalcoli

Rivista PATH - Accademia Pontificia

Radio Maria

Articoli tradotti in Spagnolo

Teologia dogmatica

Cristologia

Escatologia

Liturgia

Mariologia

Successore di Pietro

Ecclesiologia

Teologia morale

Etica naturale

Metafisica

Gnoseologia

Antropologia

Il Dialogo

P.Tomas Tyn

Testi di P. Tomas Tyn, OP

24 ottobre, 2024

Il processo all’infinito nella prova dell’esistenza di Dio - Prima Parte (1/2)

 

Il processo all’infinito nella prova dell’esistenza di Dio

Prima Parte (1/2)

La sua grandezza non si può misurare

Sal 145,3

Conta le stelle, se riesci

                   Gen15,5

 

Come è nata l’idea dell’infinito?

La parola «infinito» è di uso comune ed ha per noi un significato ovvio, che impariamo senza difficoltà fin da ragazzi: un numero infinito, un amore infinito, un bene infinito, il verbo all’infinito, lo spazio infinito. Diciamo che Dio è infinito, che l’uomo ha una dignità infinita, parliamo di un progresso infinito.

Nella storia della filosofia il primo a parlare dell’infinito o indeterminato (àpeiron) come principio primo della realtà è stato Anassimandro nel sec.VI a.C. È interessante come egli abbia saputo coglierne il significato divino al quale ha associato il concetto dell’Uno.

L’infinito è ciò che non ha fine, ciò che non è finito, ciò che non finisce e neppure comincia. Ma per noi oggi la parola ha perduto il significato latino di in-finitus, il non-finito, come sarebbe un lavoro non finito, non portato a termine, imperfetto, incompiuto, incompleto. Non usiamo più la parola in questo senso. Al contrario, noi oggi diamo a questa parola il senso di qualcosa che è oltre il finito, che è meglio del finito e non di qualcosa che non ha raggiunto il suo fine, il non-compiuto, l’imperfetto. Il fine può essere finito, ma, come fine ultimo, può essere infinito, somma perfezione. 

Continua a leggere:

https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/il-processo-allinfinito-nella-prova.html

 

Non ci è difficile concepire il finito. Ne abbiamo esperienza tutti i giorni. La vita comincia e finisce. Le nostre forze hanno un limite. Noi agiamo per un fine, raggiunto il quale la nostra azione ha fine. Ogni numero è finito, ma possiamo aggiungere sempre un’unità: ed ecco affacciarsi la nozione dell’infinito. Immaginiamo qualcosa a cui nulla si può aggiungere: ecco l’idea dell’infinito, che appare come sommamente perfetto, insuperabile e completo, come totalità.

Il finito è causato. È parziale. Il finito partecipa di un tutto infinito. È il termine di qualcosa che è cominciato. Dà spazio ad altro. Si accompagna con altri finiti. Non esaurisce l’essere. Il finito è essenzialmente relativo: non che sia pura relazione. Esso è sostanza che ha relazione con gli altri finiti.

Il finito ci fa bene, ci è utile, ci piace, ci occorre, ci è necessario, ma non ci basta. Noi stessi siamo finiti, benché sentiamo un bisogno d’infinito. Il finito non riguarda solo la materia ma anche lo spirito. La materia è un costitutivo del nostro essere e dell’essere del mondo. Essa è eminentemente il mondo della finitezza, della particolarità, della spaziotemporalità, della determinatezza sotto un individuo, una specie e un genere.

Non ci è neppure difficile formarci il concetto o l’immagine dell’infinito: è ciò che non ha fine, ciò che va oltre, ciò che supera ogni limite: un numero infinito di volte, uno spazio o un tempo infinito, una perfezione infinita, un amore infinito, una successione infinita di cause, ciò che non finisce mai, l‘eterno, l’immortale. Suggerisce l’dea della totalità e dell’assoluto. Possiamo semmai chiederci se certe forme di infinito esistano realmente. Può esistere un numero infinito? L’universo è infinito?

Immagini da Internet

Nessun commento:

Posta un commento

I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.