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19 novembre, 2024

La rivoluzione copernicana di Kant e il cogito di Cartesio - Terza Parte (3/3)

 

La rivoluzione copernicana di Kant

e il cogito di Cartesio

Terza Parte (3/3) 

L’oggetto della metafisica

Cartesio ha ristretto l’oggetto della metafisica dall’ente nelle sua infinita vastità e varietà, come aveva fatto Aristotele, al mio esistere, cosicchè adesso bisognava trovare tutto nel mio io, mentre con Aristotele la realtà va ben al di là del mio io.

Kant da una parte recupera il valore della cosa in sè extramentale, ma nel contempo, accettando l’io penso cartesiano, chiude l’intelletto nell’io in modo tale che non riesce più ad uscire per cogliere l’ente, e allora a Kant resta come oggetto della metafisica soltanto l’autoanalisi della ragione da parte di se stessa.

Il pregio di Kant, comunque, è che sa che la ragione è spirito, ma a causa della autochiusura nell’io, resta bloccato per quanto riguarda il problema dell’esistenza di Dio, per cui egli riduce Dio a un’Idea della ragione. Invece Cartesio, che pretende di fondare ed estrarre il realismo dall’idealismo, con prodigiosa mossa rocambolesca e sorpresa consolante di tutti, tira fuori la colomba del realismo dal cappello dell’idealismo. Per questo alla fine Cartesio conclude con Aristotele che Dio esiste veramente fuori dell’anima.  

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Il pregio di Kant è che sa che la ragione è spirito, ma a causa della autochiusura nell’io, resta bloccato per quanto riguarda il problema dell’esistenza di Dio, per cui egli riduce Dio a un’Idea della ragione. Invece Cartesio, che pretende di fondare ed estrarre il realismo dall’idealismo, con prodigiosa mossa rocambolesca e sorpresa consolante di tutti, tira fuori la colomba del realismo dal cappello dell’idealismo. Per questo alla fine Cartesio conclude con Aristotele che Dio esiste veramente fuori dell’anima. 

La posizione di Fichte: che cosa ce ne facciamo di una «cosa», che supponiamo esistente fuori di noi, ma non sappiamo che cosa è? Vogliamo capire una buona volta che di ciò che è fuori di noi non sappiamo niente semplicemente perchè non c’è niente? La cosa in sé è un’invenzione assurda di Kant! Ma così andava perduto l’ultimo residuo di realismo, Dio non poteva più nascondersi dietro alla cosa e l’idealismo si avviava alle sue estreme conseguenze ateistiche e panteiste. 


Al terzo grado di astrazione l’intelletto non si limita ad una semplice apprensione concettuale dell’ente comune o universale, che astrae da ogni materia, ma formula un giudizio esistenziale per il quale distingue la sostanza materiale da quella spirituale e quindi formula un concetto analogico dell’ente esistente che abbraccia in sé sia la materia che lo spirito. Si tratta di cogliere l’essere come atto dell’ente. Ora né Cartesio né Kant sono giunti a tanto, ma si sono fermati: Cartesio al mio esistere e Kant all’io penso, il mio spirito o la mia ragione.

Il vertice massimo dell’azione intellettuale corrisponde al fondamento primo dell’esistenza. Alla causa prima, colta dall’intelletto, corrisponde il fine ultimo, oggetto della volontà. Il nostro spirito ha il potere di sollevare il nostro sguardo al di là della finitezza della nostra realtà umana e di scoprire la causa prima e quindi il fondamento della nostra esistenza partendo dagli effetti sensibili creati. Ecco allora la metafisica e la teologia. Invece la nostra volontà ha il potere di innalzare, entro certi limiti, il nostro essere obbedendo alla volontà divina, per cui l’uomo si assimila a Dio, pur restando sua creatura. E qui abbiamo il compito della morale.

In questa duplice attività conoscitiva e morale l’uomo, come dice Sant’Agostino, «trascende se stesso», và, in certo modo, oltre se stesso, supera se stesso, tende verso l’alto, verso Dio, fino a raggiungerlo o possederLo nella visione beatifica.

 Immagini da Internet

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