Articoli e testi di P.Giovanni Cavalcoli

Rivista PATH - Accademia Pontificia

Radio Maria

Teologia dogmatica

Cristologia

Escatologia

Liturgia

Mariologia

Successore di Pietro

Ecclesiologia

Teologia morale

Etica naturale

Metafisica

Gnoseologia

Antropologia

Il Dialogo

P.Tomas Tyn

Testi di P. Tomas Tyn, OP

04 settembre, 2025

Il pensare umano e il pensare divino - Seconda Parte (2/4)

 

Il pensare umano e il pensare divino

Seconda Parte (2/4)

 

Pensare e concepire

Distinzione interessante in Barzaghi, che si trova già in Kant, ed è facilmente desumibile dalla gnoseologia di San Tommaso, è quella fra il pensare (cogitare) e il conoscere (intelligere, scire, cognoscere). Il primo è aconcettuale e preconcettuale; il secondo è concettuale. Nel primo ho davanti a me o alla mia coscienza l’Assoluto o il Tutto. Afferro, intuisco, sperimento o colgo o vedo il Tutto nella mia autocoscienza.

Il primo, per lui, sarebbe un’autocoscienza originaria ed assoluta, che ricorda molto il cogito cartesiano o l’Io di Fichte. Nel secondo conosco le cose nel dettaglio, intendo (intelligo), capisco (capio), concepisco (concipere), comprendo (comprehendo) le cose. E formo anche i concetti teologici. Dice:

«Il pensiero è l’originario e la totalità. Nel pensiero puro la conoscenza, che concettualizza, è smarrita, ma nello stesso tempo è perfettamente accolta come nel suo ambiente vitale, perchè il pensiero è la trasparenza dell’essere pre-concettuale e condizione di ogni concettualità. … Il pensiero atematico o pre-concettuale dell’essere è la condizione di possibilità del conoscere e della realtà». 

Continua a leggere:

https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/il-pensare-umano-e-il-pensare-divino_3.html 

Notiamo che l’umiltà è certo una forma di autoabbassamento, ma non fino al punto da negare la propria esistenza creaturale, come fa Eckhart, che giudica la creatura «un puro nulla» (Denz.976). 

La vera umiltà contempera la coscienza della propria dipendenza da Dio e del proprio provenire dal nulla con la coscienza della propria dignità ontologica, preziosa gli occhi di Dio, che l’ha voluta e creata. 

Un’umiltà intesa come negazione del proprio essere finito e creaturale, e come affermazione del proprio essere assoluto, perché l’essere, nella linea di Parmenide, è solo quello infinito, si muta necessariamente in superbia. 

È evidente che Eckhart, nonostante conoscesse San Tommaso, non riuscì mai ad assumere la concezione tomista e biblica dell’analogia dell’essere, per cui si sforzò, credendo di avere in mano un concetto migliore dell’essere, di esprimere la sua teologia con un linguaggio parmenideo, ma nell’intento e nella convinzione sinceri di essere ortodosso.

Da questo parmenidismo nasce il fatto che per Eckhart, Dio, quando crea, non dà alla creatura un essere finito, inferiore e partecipato, ma le dà il suo proprio essere, dato che l’essere e l’Assoluto coincidono, sicchè la creatura viene ad avere un essere divino e così si cade nel panteismo. Ciò comporta una concezione dell’essere per la quale non c’è via di mezzo fra il Tutto e il nulla. L’essere non può non essere. Il finito non esiste. 

Se dunque la creatura ha l’essere, questo non può che essere l’essere divino, che per Eckhart è semplicemente l’essere. Eckhart ignora o non ha capito la dottrina tomista dell’analogia dell’essere, che gli avrebbe permesso di conciliare il nulla della creatura col suo essere qualcosa fuori di Dio.

Immagine da Internet: Parmenide

Nessun commento:

Posta un commento

I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.