Articoli e testi di P.Giovanni Cavalcoli

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P.Tomas Tyn

Testi di P. Tomas Tyn, OP

06 settembre, 2025

Il pensare umano e il pensare divino - Quarta Parte (4/4)

 

Il pensare umano e il pensare divino

Quarta Parte (4/4)

 

Il pensare umano

Diciamo inoltre che il pensiero umano è fallibile. Se il pensiero coincidesse con l’essere, l’errore, il falso, il peccato e la menzogna non esisterebbero e non potrebbero esistere, il che è appunto ciò che avviene in Dio, pensiero ed essere sussistenti e per conseguenza infallibilità, veracità e bontà infinite.

Ma in noi, feriti dal peccato originale, le cose vanno ben diversamente, perchè il nostro pensare è distinto dall’essere e dal reale esterno. Da qui la loro possibile contrapposizione e l’esistenza di tutti quei mali che invece solo noi possiamo compiere. Per noi infatti il reale è presupposto al nostro pensare ed è la regola del nostro pensiero. Ma noi, a causa di questa sciagurata possibilità di disaccordare il pensiero dall’essere, abbiamo la possibilità di non adeguare il pensiero all’essere, di prender per vero ciò che é falso e di dire il falso facendolo passare per vero. Da qui il falso, l’errore e la menzogna con ogni sorta di male morale e di malvagità. 

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L’inganno fondamentale dell’idealismo consiste quindi nel dare all’uomo l’illusione che il suo pensare sia come quello di Dio, ossia un pensare che non è atto di una facoltà di pensare, ma che costituisce il nostro stesso essere, per cui io mi concepisco come pensante in atto, come res cogitans, quindi non come una natura o sostanza che può pensare o ha la facoltà di pensare, ma come soggetto pensante ed anzi autocosciente in atto. 

Dire che nulla cade fuori del pensiero vale solo per il pensiero divino, non per il nostro. In Dio infatti il pensiero coincide con l’essere, per cui è chiaro che in lui c’è tutto. Ma noi non siamo i creatori delle cose. Noi le troviamo già create da Dio e quindi fuori di noi.

Ricordiamo allora che la nostra autocoscienza è creata e non è creatrice. E se vogliamo trovare il suo fondamento, la sua origine e la sua causa, dobbiamo trascenderla, andare e guardare oltre i suoi confini, come ci esorta Sant’Agostino. Essa è finita e quindi trascendibile. Se vuol trovare la sua origine, che è Dio, essa deve trascendersi per tendere e giungere là dove «ipsum lumen rationis accenditur». 

Non si tratta di una presa di coscienza di qualcosa - Dio - che è già originariamente nella coscienza e oggetto inconscio o preconscio della coscienza, ma di arrivare a conoscere e a vedere il sommo ente extracoscienziale, Dio, come causa e creatore delle cose e del proprio io, partendo dalla conoscenza delle cose esterne e di se stessi. 

Immagine da Internet: Sant'Agostino, Pavia

05 settembre, 2025

Il pensare umano e il pensare divino - Terza Parte (3/4)

 

Il pensare umano e il pensare divino

Terza Parte (3/4)

 

Il superamento dei concetti

Nel concettualizzare l’essere divino dice che il concetto «scoppia», diventa inutilizzabile. Il teologo domenicano sostiene che

«ogni tentativo di concettualizzare l’Assoluto porta allo scardinamento logico della concettualizzazione. Anche la stessa nozione di Assoluto cade nella stessa condizione di relatività concettuale. … L’esplosione dei concetti e delle parole porta al silenzio: mistica, myo, sto zitto».

Giunge a dire che il linguaggio dell’ateo esprime l’esperienza mistica. Allora Nietzsche vale tanto e di più di San Tommaso. Mi chiedo allora a che scopo fare tanta fatica a procurarsi il titolo di dottore in teologia, a che pro scrivere tanti libri e che senso ha il suo essere figlio di quel San Domenico, del quale si narra che il suo principale interesse era o il parlare di Dio o il parlare con Dio. 

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Indubbiamente non possiamo rappresentarci adeguatamente Dio comprensivamente con i nostri concetti creati e finiti. Occorrerebbe il Logos divino. Eppure, come dice San Paolo, il cristiano ha il pensiero di Cristo. La nozione analogica illuminata dalla rivelazione sa chi è Dio, benchè ovviamente non ne comprenda l’infinita intellegibilità. Solo che in tal caso è legittimato a parlare di Dio sensatamente senza contraddizioni e senza darsi la zappa sui piedi.

Che poi si debba tacere quando il concetto vien meno o non sappiamo esprimere in parole quello concepiamo o vediamo o sentiamo o sperimentiamo nel fuoco della carità, d’accordo. Ma ciò non vuol dire affatto che il mistico cristiano abbandoni o superi i concetti o sospenda l’attività intellettuale per sperimentare Dio e tanto meno per scoprire di essere Dio o per diventare Dio o l’Assoluto.
 
San Tommaso parla bensì di un’esperienza mistica di Dio, ma precisa che questo contatto diretto con Dio non è opera dell’intelletto, che fa uso dei concetti di fede, ma dipende dalla carità, come dice l’Aquinate: «caritas est de eo quod iam habetur». Dio lo vedremo un giorno in paradiso, ma con la carità lo possediamo fin da adesso.
  
Il pensiero si definisce proprio in relazione all’essere ad esso esterno, essere, che è la prima ed originaria nozione della mente. La nozione stessa del pensiero dice rappresentazione del reale esterno alla mente e immanenza del pensiero nella mente. «Non è la pietra che è nell’anima – già diceva Aristotele -, ma è l’immagine della pietra».


Nella vita presente noi possiamo acquistare il pensiero divino – il pensiero di Cristo - solo nei concetti della fede. La credenza che possiamo possedere un nostro pensare divino riflesso, inconscio, atematico, globale, preconcettuale più radicale e originario è una pura illusione per nulla consona a quanto ci insegnano la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa.

Ritorna la solita confusione idealistica fra l’essere e l’essere pensato.

Immagine da Internet: Aristotele e Platone, Raffaello Sanzio, Musei Vaticani

04 settembre, 2025

Il pensare umano e il pensare divino - Seconda Parte (2/4)

 

Il pensare umano e il pensare divino

Seconda Parte (2/4)

 

Pensare e concepire

Distinzione interessante in Barzaghi, che si trova già in Kant, ed è facilmente desumibile dalla gnoseologia di San Tommaso, è quella fra il pensare (cogitare) e il conoscere (intelligere, scire, cognoscere). Il primo è aconcettuale e preconcettuale; il secondo è concettuale. Nel primo ho davanti a me o alla mia coscienza l’Assoluto o il Tutto. Afferro, intuisco, sperimento o colgo o vedo il Tutto nella mia autocoscienza.

Il primo, per lui, sarebbe un’autocoscienza originaria ed assoluta, che ricorda molto il cogito cartesiano o l’Io di Fichte. Nel secondo conosco le cose nel dettaglio, intendo (intelligo), capisco (capio), concepisco (concipere), comprendo (comprehendo) le cose. E formo anche i concetti teologici. Dice:

«Il pensiero è l’originario e la totalità. Nel pensiero puro la conoscenza, che concettualizza, è smarrita, ma nello stesso tempo è perfettamente accolta come nel suo ambiente vitale, perchè il pensiero è la trasparenza dell’essere pre-concettuale e condizione di ogni concettualità. … Il pensiero atematico o pre-concettuale dell’essere è la condizione di possibilità del conoscere e della realtà». 

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Notiamo che l’umiltà è certo una forma di autoabbassamento, ma non fino al punto da negare la propria esistenza creaturale, come fa Eckhart, che giudica la creatura «un puro nulla» (Denz.976). 

La vera umiltà contempera la coscienza della propria dipendenza da Dio e del proprio provenire dal nulla con la coscienza della propria dignità ontologica, preziosa gli occhi di Dio, che l’ha voluta e creata. 

Un’umiltà intesa come negazione del proprio essere finito e creaturale, e come affermazione del proprio essere assoluto, perché l’essere, nella linea di Parmenide, è solo quello infinito, si muta necessariamente in superbia. 

È evidente che Eckhart, nonostante conoscesse San Tommaso, non riuscì mai ad assumere la concezione tomista e biblica dell’analogia dell’essere, per cui si sforzò, credendo di avere in mano un concetto migliore dell’essere, di esprimere la sua teologia con un linguaggio parmenideo, ma nell’intento e nella convinzione sinceri di essere ortodosso.

Da questo parmenidismo nasce il fatto che per Eckhart, Dio, quando crea, non dà alla creatura un essere finito, inferiore e partecipato, ma le dà il suo proprio essere, dato che l’essere e l’Assoluto coincidono, sicchè la creatura viene ad avere un essere divino e così si cade nel panteismo. Ciò comporta una concezione dell’essere per la quale non c’è via di mezzo fra il Tutto e il nulla. L’essere non può non essere. Il finito non esiste. 

Se dunque la creatura ha l’essere, questo non può che essere l’essere divino, che per Eckhart è semplicemente l’essere. Eckhart ignora o non ha capito la dottrina tomista dell’analogia dell’essere, che gli avrebbe permesso di conciliare il nulla della creatura col suo essere qualcosa fuori di Dio.

Immagine da Internet: Parmenide

03 settembre, 2025

Il pensare umano e il pensare divino - Prima Parte (1/4)

 

Il pensare umano e il pensare divino

Prima Parte (1/4)

 

I miei pensieri non sono i vostri pensieri

Is 55,8

 

Che cosa è il pensiero?

Il pensiero in generale non è altro che la rappresentazione mentale o intellettuale dell’essere. Questa rappresentazione è idea, se è pensiero produttore dell’essere o modello mentale dell’essere; è concetto, se è rappresentazione del reale, ricavata dal reale. Nel primo caso abbiamo il pensare divino e, per partecipazione o per imitazione, il pensare umano. Nel secondo caso abbiamo solo il pensare umano.

Cosa delicata è il rapporto del pensiero con l’essere. L’essere è certo oggetto del pensiero e il pensiero suppone l’essere come ente che pensa. Nell’atto del pensare avviene un’identificazione intenzionale e immateriale del pensiero con l’essere. «L’intelletto in atto – dice Aristotele – è l’inteso in atto». Quando siamo nella verità, ciò che pensiamo è ciò che è. Soltanto nel pensiero divino, tuttavia, essere e pensiero sussistenti, si dà un’identità reale fra pensiero ed essere.

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La necessità del concetto è data dal fatto che la mente contatta il reale col pensiero e la mente ha l’esigenza che il reale sia conforme al modo d’essere spirituale del pensiero, mentre il pensiero sente l’esigenza di rispecchiare la verità della realtà e quindi di essere informato da essa. 

Il concetto è appunto prodotto dal pensiero finalizzato alla presenza rappresentativa intenzionale del reale nel soggetto conoscente o pensante. In Dio il Concetto cioè il Logos, è l’idea creatrice del mondo. In noi il concetto è necessario se l’oggetto deve esser reso intellegibile mediante l’attività astrattiva dell’intelletto. Se invece l’oggetto è per sé intellegibile, come i dati di coscienza, allora l’intelletto intuisce immediatamente l’oggetto.

Quanto alla questione della realtà esterna, che ci siano cose fuori di me non può essere oggetto di dimostrazione, come credeva Cartesio, perché l’appello ad esse è il principio di ogni dimostrazione, anche se è vero che, partendo da quella evidenza, esiste un dimostrare che si pone sul piano del rapporto con oggetti interiori e spirituali. Il pensiero e il pensato possono essere oggetto del pensiero Ma anche questo dimostrare suppone il dimostrare empirico e sperimentale.

La certezza intellettuale certo è più forte di quella sensibile. Ma non ne è affatto la garanzia, come credeva Cartesio. La certezza sensibile ha già valore per conto suo e se non ci fosse questa, non potrebbe esistere neppure la certezza intellettuale.

Immagine da Internet:  Statue di Socrate e Platone davanti all'Accademia di Atene, scolpite da Leonidas Drosis, XIX secolo