Antonio Musarra risponde al mio articolo sulla Sindone. Un apprezzamento più rispettoso della reliquia del Signore.

 

Antonio Musarra risponde al mio articolo sulla Sindone

Un apprezzamento più rispettoso della reliquia del Signore

 

Antonio Musarra, autore dell'articolo sulla Sindone, “Oltre l'autenticità: così la Sindone interroga la nostra fede”, pubblicato su Avvenire[1] martedì 9 settembre 2025, articolo che avevo esaminato nel mio blog[2], mi ha inviato dalla sua pagina Facebook una risposta, che volentieri pubblico corredata dalle mie osservazioni.

L'articolista si mostra più rispettoso di questa incomparabile e preziosissima reliquia del Signore. Tuttavia, come il lettore potrà constatare, non pare che egli abbia ancora compreso a sufficienza le osservazioni che ho fatto nel mio articolo sia sul significato apologetico del sacro Lino, che sull'importanza della misteriosa impronta in esso lasciata.

1)    

La mia risposta:

La Sindone di Torino torna periodicamente al centro del dibattito ecclesiale e mediatico, oscillando tra due estremi: chi la esalta come “prova” della resurrezione di Cristo e chi la liquida come reliquia medievale di dubbia origine. In mezzo, la posizione della Chiesa: prudente, rispettosa, capace di valorizzarne il potere evocativo senza trasformarla in totem. È in questo spazio che si colloca la critica che mi è stata rivolta: aver negato alla Sindone un ruolo apologetico, come se così facendo si svuotasse la fede. Ma è davvero così?

1)

Caro Professore, divido la mia risposta per punti.

Per quanto riguarda la mia affermazione che lei ha “negato alla Sindone un ruolo apologetico, come se così facendo si svuotasse la fede”, le rispondo ricordandole che lei non dà importanza alla Sindone, come reliquia, ma la considera semplicemente come una immagine sacra atta a suscitare la devozione.

Ora la scienza ha dimostrato, come ho detto nel mio articolo, che in realtà si tratta di una impronta scientificamente inspiegabile, esattamente corrispondente a quanto i Vangeli narrano della morte di Cristo.

Il termine reliquia è stato usato da alcuni Papi e giustifica l’istituzione della Messa in onore della Sindone, che si celebra nella Diocesi di Torino.

Per quanto riguarda la mia affermazione che la sua posizione impedisce di arrivare alla fede o la svuota, rispondo facendole osservare che, riducendo la Sindone ad una semplice immagine devozionale, lei toglie alla Sindone tutti quei segni peculiari, che inducono naturalmente a pensare che essa abbia effettivamente avvolto il corpo di Cristo e per conseguenza inducono a credere alle testimonianze del Vangelo, il cui messaggio è effettivamente oggetto della fede cristiana.

O, piuttosto, non è vero il contrario: che la fede, se caricata di prove materiali, si svuota del suo respiro più autentico? Occorre fare ordine. Perché non tutto ciò che suscita devozione fonda la fede, e non tutto ciò che colpisce i sensi costituisce un argomento credibile per chi cerca Dio. La fede cristiana ha radici più profonde: non nasce dalla prova tangibile, ma dall’incontro con un evento proclamato, custodito e trasmesso dalla comunità dei credenti (CCC 153-156).

Per quanto riguarda le sue parole “non è vero il contrario: che la fede, se caricata di prove materiali, si svuota del suo respiro più autentico”, rispondo dicendo, come ho già detto nel mio articolo, che bisogna distinguere le prove di credibilità del messaggio di fede dalle prove del contenuto stesso di fede.

Il primo tipo di prove viene constatato dalla semplice esperienza, dalla ragione, dalla scienza e anche dalla storia. La constatazione di questi dati non è in grado di produrre la fede, però pone le condizioni umane di possibilità della fede.

Per quanto riguarda le prove del contenuto della fede, qui non è possibile una dimostrazione razionale, perché si tratta di verità soprannaturali, per cui l’atto di fede non è formalmente motivato dalla constatazione delle prove di credibilità, ma dall’autorità di Dio rivelante.

A questo proposito è utile l’opera del teologo, il quale non ha la pretesa di dimostrare le verità della fede, perché ciò toglierebbe la fede, e tuttavia, poiché sia la ragione che la fede sono due luci che provengono da Dio, la ragione, illustrata dalla fede, nell’opera del teologo fornisce argomenti di convenienza concernenti le verità di fede.

Per quanto riguarda le sue seguenti parole “non tutto ciò che suscita devozione fonda la fede, e non tutto ciò che colpisce i sensi costituisce un argomento credibile per chi cerca Dio”, su ciò sono sostanzialmente d’accordo, in quanto nel materiale che ci è offerto dai sensi e dalla storia occorre evidentemente fare un prudente discernimento, in base a validi criteri storici, filosofici e scientifici, come per esempio distinguere i miracoli autentici da quelli falsi, oppure distinguere le testimonianze o i racconti autorevoli o credibili da quelli che non hanno un fondamento di credibilità.

Per quanto riguarda le sue parole “La fede cristiana ha radici più profonde: non nasce dalla prova tangibile, ma dall’incontro con un evento proclamato, custodito e trasmesso dalla comunità dei credenti (CCC 153-156)”, la prova tangibile è il motivo di credibilità, del quale ho ripetutamente parlato. Esso è necessario affinchè la nostra fede non sia confusa con una irragionevole credulità o con un emotivo fideismo e non sia un fenomeno di fondamentalismo, ma sia conforme alla sana ragione e quindi possa essere tale da costituire quella adesione libera alla verità rivelata, mossa dalla grazia, libera adesione che proviene dall’accoglienza dell’autorità di Cristo, che si rivela e che rivela i misteri della fede.

 

2)

Il nodo teologico è semplice, eppure sfuggente: che cosa fonda la fede? Il fondamento non è un oggetto, ma un soggetto: Dio stesso, che rivela. «A Dio che rivela è dovuta “l’obbedienza della fede” (Rm 16,26; cfr. Rm 1,5; 2 Cor 10,5-6)» (Dei Verbum, 5). La fede è atto dell’uomo mosso dalla grazia, che aderisce alla Parola di Dio non perché dimostrata da reperti, ma perché riconosciuta come vera dall’autorità del Dio che parla (CCC 150).

2)

Quando si parla di fondamento della fede, bisogna distinguere le prove di credibilità, che inducono a credere, dal motivo formale della fede.

Qui il Catechismo si riferisce al motivo formale della fede, ma il Catechismo sottintende l’insegnamento del Concilio Vaticano I, riguardante i segni di credibilità: “Affinchè l’ossequio della nostra fede sia conforme alla ragione (Rm 12,1), Dio ha voluto congiungere agli aiuti interni dello Spirito Santo degli argomenti esterni della sua rivelazione, vale a dire delle opere divine e innanzitutto i miracoli e le profezie, i quali, mentre mostrano luminosamente l’onnipotenza e l’infinita scienza di Dio, sono segni certissimi della divina rivelazione, proporzionati alla intelligenza di tutti” (Denz. 3009).

La Sindone è uno di questi segni di credibilità, che, favorendo la ricerca scientifica, prepara la ragione al dono della fede oppure anche al consolidamento della fede di chi già la possiede.

 

3)

Non c’è circolo vizioso in questo: la fede non “si fonda sulla fede” ma su un’autorità che trascende la ragione e la illumina. Certo, la ragione non è esclusa. Essa prepara, dispone, cerca motivi di credibilità. Il Concilio Vaticano I insegna: «affinché l’ossequio della nostra fede fosse conforme alla ragione, Dio ha voluto che agli aiuti interiori dello Spirito Santo, si unissero gli argomenti esterni della sua Rivelazione, cioè gli interventi divini, come sono principalmente i miracoli e le profezie che dimostrano luminosamente l’onnipotenza e la scienza infinita di Dio e sono segni certissimi della divina Rivelazione e adatti all’intelligenza di tutti (Dei Filius, 3; ma anche CCC 156). I miracoli, la testimonianza dei santi, la coerenza del Vangelo, la continuità della Chiesa: tutto questo ha un valore. Ma non produce la fede, la rende ragionevole. È la grande lezione che la Chiesa ha sempre custodito: non confondere i motiva credibilitatis con il fondamento della fede. Perché il fondamento è l’autorità divina, non un reperto archeologico (per quanto suggestivo!).

In questo quadro, la Sindone è un segno potente. Colpisce i sensi, interroga la scienza, provoca la ragione. Ma resta, nella definizione più sobria dei papi contemporanei, un’“icona del Sabato santo” (Benedetto XVI, 2 maggio 2010), uno “specchio del Vangelo” (Giovanni Paolo II, 24 maggio 1998). Non una prova, non un dogma, non una certezza storica definitiva. Usarla come prova della resurrezione è pericoloso: da un lato, perché la ricerca scientifica non ha raggiunto un consenso; dall’altro, perché il Cristianesimo non si regge su un pezzo di tela, ma sull’annuncio di una tomba vuota e di apparizioni che nessuna fibra di lino potrà mai contenere (1 Cor 15,3-8). Qui si gioca il discrimine tra fede e superstizione: la prima si affida a Dio, la seconda pretende garanzie visibili. Non è un caso che la Chiesa non abbia mai proclamato la Sindone come reliquia autentica del corpo di Cristo. La lascia al libero discernimento dei fedeli, incoraggiando studi seri ma senza vincolarvi la fede. È questa prudenza che custodisce la libertà dell’atto credente.

3)

Per quanto riguarda questo discorso, sono sostanzialmente d’accordo, tanto più che lei cita lo stesso brano del Concilio Vaticano I, che ho citato anch’io.

Per quanto riguarda la posizione della Chiesa nei confronti della Sindone di Torino, la sua qualifica di reliquia del Corpo del Signore, è stata ufficialmente riconosciuta dall’istituzione della Messa in onore della Sindone per volere del Papa Giulio II nel 1506 ( https://sindone.org/vita-di-fede/liturgia/santa-messa/ ).

 

4)

C’è un altro punto delicato che mi preme considerare. In alcuni ambienti si è arrivati a parlare della Sindone come oggetto non solo di venerazione, ma addirittura di adorazione. Qui, l’errore diventa grave: l’adorazione (latria) spetta solo a Dio (CCC 2132), non a un lenzuolo, anche se fosse stato a contatto con il corpo di Gesù. Le reliquie si venerano, le immagini si onorano, ma solo Dio si adora. Confondere questi livelli significa scivolare in un culto improprio, che non serve la fede ma la distorce.

4)

Se la Sindone è stata riconosciuta dalla Chiesa come reliquia del Corpo del Signore, crocifisso e risorto, ciò significa che essa è l’impronta del Corpo e del Sangue del Signore, evidentemente oggetto della nostra adorazione, così come noi adoriamo la Santa Croce.

Questo vuol dire che la Sindone, in quanto lenzuolo, segnato dal Corpo e dal Sangue di Cristo, evidentemente non è oggetto di adorazione, però ci dà un motivo visibile per elevare il nostro sguardo di fede alla adorazione del mistero di Cristo.

 

5)

E ancora: presentare la Sindone come “proiezione luminosa” del corpo risorto, come se un’energia misteriosa ne avesse impresso l’immagine, rischia di trasformare la resurrezione in un fenomeno fisico, quasi da laboratorio. Ma la resurrezione non è un processo chimico: è un atto creativo di Dio, che restituisce vita trasfigurata (CCC 646)! Ridurla a energia significa impoverirla.

5)

La descrizione che ho fatto circa la misteriosa ossidazione del telo sindonico fa riferimento a studi recenti di carattere scientifico (https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2012/03/12/news/l-immagine-della-sindone-frutto-di-una-radiazione-1.36492792/).

Il fatto che siamo davanti a un quadro sperimentale, che interessa la chimica e la fisica, presenta un grande interesse, perché, secondo la narrazione evangelica, confermata dal Magistero della Chiesa, il Corpo del Signore risorto era percepibile al tatto, alla vista e all’udito.

Non c’è quindi da meravigliarsi se, al momento della resurrezione, il Corpo di Cristo, unito ipostaticamente alla Persona del Verbo, abbia emanato una energia fisica miracolosa, propria del Corpo risorto ed originata dalla potenza divina, similmente a quanto avvenne nell’episodio del Tabor.

Per quanto riguarda la sua tesi dell’atto creativo di Dio, devo dire che essa non ha fondamento, perché l’atto divino della resurrezione non comporta nessuna creazione, ma soltanto la manifestazione dello splendore della gloria di Cristo, precedentemente nascosta nella sua vita mortale e, dal momento di questa manifestazione, mantenutasi definitivamente nella gloria di Cristo alla destra del Padre.

 

6)

Non a caso la Chiesa preferisce parlare della Sindone come segno che “rimanda”, non come prova che “dimostra”.

6)

Si può dire certamente che la Sindone rimanda al mistero di Cristo, come prova di credibilità, ma indubbiamente non dimostra affatto il mistero di Cristo, perché questo è solo oggetto della fede.

 

7)

Che cosa possiamo dire, allora? Che la Sindone ha un valore immenso, se custodita nel suo giusto ordine: non fondamento della fede, ma “aiuto” alla fede (CCC 164); non prova della resurrezione, ma “icona” - benché, da una prospettiva storica, e, dunque, immanente, il termine possa (debba) essere discusso - che ne attualizza il mistero; non oggetto di adorazione, ma “segno” che rimanda all’adorazione di Dio. È questa distinzione che salva la fede dall’essere ridotta a superstizione e la scienza dall’essere forzata a dire ciò che non può dire. L’apologetica è utile, ma non sostituisce l’annuncio. I segni sono preziosi, ma non sostituiscono l’autorità di Dio. La Sindone può farci contemplare la sofferenza e la morte, può spingerci al silenzio e alla preghiera. Ma la fede nasce altrove: nell’ascolto del Vangelo (Paolo è chiarissimo: Rm 10,17), nell’incontro con il Risorto, nella comunità che lo testimonia. È lì che si decide se credere o non credere. Tutto il resto – stoffe, immagini, energie – rimane un margine suggestivo, ma mai decisivo. È bene ricordarlo, per non scambiare il segno con la realtà che indica.

7)

La Sindone di Torino è aiuto alla ragione per disporla a ricevere la luce della fede.

Indubbiamente non è fondamento della fede, ma solo un fatto che induce a credere. Fondamento della fede è la Parola di Dio, che rivela il suo Mistero.

La Sindone non è una prova della resurrezione di Cristo, perché queste prove ci sono già state fornite dalle narrazioni evangeliche. Essa semmai è un documento storico di importanza unica, che comunque al vaglio della scienza più avanzata, davanti al mistero della irradiazione della quale ho parlato, induce certamente a ritenere che tale misteriosa irradiazione sia stata provocata dall’attimo nel quale Cristo è risorto.

L’apologetica, come ho detto, non sostituisce l’annuncio, ma lo prepara e lo rende credibile.

Certamente la fede non nasce dalla visione della Sindone, ma dall’ascolto della Parola di Dio, e tuttavia la Sindone dispone il nostro animo ad ascoltare la Parola di Dio.

Certamente noi ci decidiamo se credere o non credere davanti alla testimonianza dei Vangeli, ma la decisione riguardante la fede può essere ragionevole soltanto se in precedenza o in modo concomitante noi consideriamo il valore delle prove di credibilità, tra le quali c’è la Sindone di Torino.

***

Un lettore ha contestato il mio riferimento ai Templari a proposito del mio articolo sulla Sindone.

Sono consapevole del fatto che alcuni storici negano che i Templari fossero entrati in possesso della Sindone. Tuttavia io, benchè non sia uno storico, preferisco avere una opinione diversa. E adesso espongo quelli che sono i motivi che giustificano la mia opinione.

Nel 1204 i Templari, partecipando alla IV Crociata, si abbandonarono a gravi saccheggi a Costantinopoli, dove era conservata la Sindone. In questa occasione la Sindone sparì e per un secolo e mezzo di essa non si seppe nulla.

Ci si potrebbe domandare il perché del lungo silenzio, di cui ho parlato sopra. È possibile, a parte la possibilità che alcuni documenti si siano perduti, che i Templari abbiano fatto uso della Sindone in una forma impropria e esoterica. Ora sappiamo come l’esoterismo spinga alla pratica di una forma di silenzio malsano circa la conservazione di valori supremi, dei quali ci si ritiene i custodi, con un atteggiamento di disprezzo nei confronti dei profani.

“Circa un secolo e mezzo dopo il suo arrivo in Francia, verosimilmente grazie al Barone Othon de la Roche, il Sacro Lino tornò a far parlare di sé non molto lontano da Ray-sur-Saône, precisamente a Lirey, dove il cavaliere Geoffroy de Charny sposò una discendente diretta del Barone, Jeanne de Vergy. La nobildonna avrebbe portato in dote la Sindone al momento del suo matrimonio, trasferendo così la reliquia nelle mani sicure di un altro crociato.”[3].

A questo punto ci possiamo domandare come mai questa nobildonna e la sua famiglia erano in possesso della Sindone. Da chi possono averla ricevuta? In coerenza con la mia ipotesi che il Sacro Lino fosse in possesso dei Templari, non si può escludere che la reliquia sia stata donata a questa famiglia, attraverso qualche mano, da un ex-templare.

Nel 1350 circa essa compare nelle mani del nobile Geoffroy I conte di Charny, il quale con l’autorizzazione del legato pontifico, Card. Pietro di Santa Susanna, costruì una chiesa collegiata a Lirey, dove veniva esposta la Sindone. Nel frattempo i Templari, come si sa, erano stati soppressi da Papa Clemente V con la bolla Vox in excelso il 22 marzo 1312 al Concilio di Vienne.

Nel 1453 viene ufficialmente riconosciuto alla Casa di Savoia[4] il possesso della preziosa reliquia. In tal modo la Sindone, di proprietà della Casa Savoia, nel 1983 fu donata per testamento da Umberto II a San Giovanni Paolo II.

Tra le accuse infamanti e certamente false lanciate contro i Templari, durante il famoso processo, che portò alla loro soppressione, c’era quella che essi adorassero un idolo chiamato Bafometto.

Ora, alcuni storici avanzano l’ipotesi abbastanza ragionevole che in realtà si trattasse proprio della Sindone, ripiegata in modo che si potesse vedere soltanto il Volto. Una simile accusa infamante non poteva far piacere a Filippo il Bello, per spingere il Papa a sopprimere i Templari? Che cosa di più odioso si poteva immaginare, soprattutto nel Medioevo, così ricco di religiosità, che l’adorazione di un idolo abominevole?

 

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 17 settembre 2025


Un medaglione in bronzo, recuperato sul fondo della Senna, è la prima testimonianza in assoluto dei pellegrinaggi alla Sindone in Europa. Risalente alla metà del 1300 l’oggetto reca la raffigurazione della Sindone con la sua doppia immagine, il tessuto a spina di pesce e gli stemmi della famiglia Charny. Era evidentemente appartenuta a un pellegrino che si era recato a venerare la Sindone e che intendeva portare a casa il medaglione in memoria dello speciale incontro.
 
Immagine da Internet: https://www.sindone.it/storia-1 

16 commenti:

  1. Caro Padre Giovanni,
    ad una prima lettura della replica del prof. Musarra da lei esaminata in questo articolo, ho avuto anch’io l’impressione che il docente di Storia medievale presso La Sapienza, abbia sensibilmente attenuato il tono minimizzatore, se non quasi spregiativo, del valore della Sindone, che aveva usato nel suo precedente articolo pubblicato da Avvenire. E questo mi sembra apprezzabile

    La fede cristiana, scrive Musarra, nasce “dall’incontro con un evento proclamato, custodito e trasmesso dalla comunità dei credenti (CCC 153-156)”.
    Se apprezzabile è la citazione dei suddetti articoli del Catechismo, la sintesi che la frase di Musarra ne fa, è parziale. Infatti l’articolo 155, tra le altre cose, recita:
    “Nella fede, l`intelligenza e la volontà umane cooperano con la grazia divina: « Credere est actus intellectus assentientis veritati divinae ex imperio voluntatis a Deo motae per gratiam » (San Tommaso d`Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 2, a. 9, c; Dei Filius, c. 3)”.
    E l’articolo 156, tra le altre cose, recita:
    “perché l`ossequio della nostra fede fosse “conforme alla ragione”, Dio ha voluto che agli interiori aiuti dello Spirito Santo si accompagnassero anche prove esteriori della sua rivelazione (Dei Filius, c. 3). Così i miracoli di Cristo e dei santi (Cf Mc 16,20; Eb 2,4), le profezie, la diffusione e la santità della Chiesa, la sua fecondità e la sua stabilità « sono segni certissimi della divina rivelazione, adatti ad ogni intelligenza » (Dei Filius, c. 3)”.

    Dunque, proprio gli articoli del CCC citati da Musarra, ci insegnano che la fede non è soltanto “incontro” con “l’evento proclamato, custodito e trasmesso dalla comunità dei credenti”, ma coinvolge direttamente l’intelligenza dell’uomo, oltre alla volontà, poiché credere, come dice il grande san Tommaso, è atto dell’intelletto che, sotto la spinta della volontà, mossa da Dio per mezzo della grazia, dà il proprio consenso alla verità divina. Volontà del divino Creatore è stato che la fede fosse “conforme alla ragione”, e per questo ha voluto che agli aiuti spirituali del Suo Santo Spirito, si unissero come “prove” (si noti il termine inequivocabile) esteriori della Rivelazione, a partire naturalmente dai miracoli compiuti da nostro Signore, proseguendo poi nella storia del Cristianesimo, con quelli dei santi, ecc... da considerare “segni certissimi” (si noti l’aggettivo superlativo) “della divina rivelazione” e, sottolinea il Catechismo con un ulteriore richiamo alla alla partecipazione intellettiva e razionale dell’uomo, “adatti ad ogni intelligenza”. Così la fede, come insegna l’articolo 153 del CCC, “muove il cuore e lo rivolge a Dio” ma aggiunge anche “apre gli occhi della mente”.

    Purtroppo, di questi insegnamenti che si ricavano dai citati articoli del CCC, nel testo di Musarra, appare un certo ridimensionamento. Dove il Catechismo parla di “intelligenza che coopera con la Grazia” e di “atto dell’intelletto che dà il suo assenso”, egli si limita a concedere che “la ragione non è esclusa”; dove il Catechismo parla di “prove” e di “segni certissimi della divina rivelazione”, egli li attenua, al massimo, in “motivi” di credibilità.
    Questo minimalismo sul ruolo della ragione, dell’intelligenza, e quindi anche dell’autentica filosofia, nei riguardi della fede, non fa bene alla Chiesa, all’apologetica, all’evangelizzazione.

    “La fede e la ragione sono come due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità [...] Quanto profondo sia il legame tra la conoscenza di fede e quella di ragione è indicato già nella Sacra Scrittura con spunti di sorprendente chiarezza. Lo documentano soprattutto i Libri sapienziali [...] l'armonia fondamentale della conoscenza filosofica e della conoscenza di fede è ancora una volta confermata: la fede chiede che il suo oggetto venga compreso con l'aiuto della ragione; la ragione, al culmine della sua ricerca, ammette come necessario ciò che la fede presenta ” (san Giovanni Paolo II, Fides et ratio, 16; 42).
    Bruno V.

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    1. Caro Bruno,
      non ho che da complimentarmi per la magnifica esposizione della dottrina cattolica concernente il rapporto della ragione con la fede e in particolare il compito dell’apologetica come scienza che mostra le prove di credibilità del messaggio evangelico al fine di condurre con argomenti di ragione l’interlocutore a rendersi conto della conciliabilità della Parola di Dio con le esigenze della sana ragione, in modo tale che l’azione della grazia possa agire sulla sua mente così da fargli accogliere la verità divina in forza della autorità di Dio rivelante.
      Per quanto riguarda la fede, in quanto suscitata dall’incontro con Cristo in seno alla comunità dei credenti, mi sembra un’espressione valida, tanto più che è stata usata dagli ultimi tre Papi San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco.
      Infatti questo incontro si può intendere come una esperienza interiore, per la quale l’uomo, venendo a conoscenza del Vangelo, rimane attratto dalla figura di Gesù, dai suoi insegnamenti, dai suoi miracoli e soprattutto dall’immenso amore per noi peccatori, per i quali Egli, Figlio di Dio, offre innocente la sua vita per la nostra salvezza.
      Ovviamente non si tratta di un incontro in senso fisico, ma si tratta come ho detto e comunque di un incontro interiore ed interpersonale, grazie al quale ci sentiamo veramente davanti a Gesù, che ci interpella e ci ama.
      Aggiungo che sono pienamente d’accordo col giudizio che lei dà circa le dichiarazioni del Prof. Musarra.

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  2. Caro padre,
    Se penso ai Vangeli mi viene da dire che Gesù fece largo ricorso ai miracoli per rendere credibile la sua predicazione. Certo, a quei tempi doveva farsi riconoscere, per cui era necessario da parte sua ricorrere ai miracoli per evidenziare la sua natura anche Divina; ciò non toglie che non si basò solo sulla predicazione, ma anche su eventi tangibili e straordinari, tanto che disse: "anche se non volete credere a me credete almeno alle opere". Quindi mi pare di poter dire che i miracoli abbiano avuto un ruolo fondamentale per la fede dei primi cristiani che ce lì hanno tramandati e che rendono credibile e ragionevole la nostra fede. Poi, durante la storia, Dio ci ha illuminati con molti altri miracoli per corroborare la nostra fede e illuminarci.
    Per quanto riguarda l'energia che si sarebbe sprigionata al momento della resurrezione, io non capisco quale difficoltà possa creare, nessuno sa cosa avviene durante la resurrezione e di quali strumenti si serve Dio per attuarla, quindi potrebbe essere che la resurrezione preveda una emanazione di energia fisica sotto forma di radiazione. Tra l'altro, leggendo la risposta, mi è venuto in mente l'episodio della guarigione dell'emorroissa nel quale Gesù stesso dice che ha sentito una forza uscire da Lui. Potrebbe esserci una relazione tra il miracolo che sembra richiedere una forza, e la resurrezione che sprigiona energia.

    Prego per lei,

    Giuseppe

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    1. Caro Giuseppe,
      approvo in pieno le sue considerazioni.
      Vorrei isolo aggiungere qualche cosa e distinguere coloro che hanno visto un miracolo da coloro che hanno ricevuto notizia di un miracolo. Io credo che la maggioranza di noi credenti sia giunta alla fede non per aver visto dei miracoli, ma per aver creduto alla testimonianza di chi li ha visti.
      Però dobbiamo supporre che questa decisione sia stata ragionevole, perché ci può essere il rischio di una troppo facile credulità, che non conduce alla fede, ma può creare il fanatismo.
      Per quanto riguarda l’energia luminoso-calorifica, come unica spiegazione possibile per l’impronta sindonica, a detta dalla più avanzata ricerca scientifica, vorrei ribadire con lei la perfetta corrispondenza di questo fenomeno col racconto evangelico della resurrezione, che ci fa capire che Cristo non è illuminato da una luce dall’esterno, cioè l’impronta del volto sindonico non è un ritratto, ma è la testimonianza di una luce che esce dal volto di Cristo. E questo è del tutto logico, se è vero che Cristo non riceve la luce da nessuno, ma è Lui la luce, sorgente di ogni luce.

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  3. Vedo che su Avvenire del 15 Settembre c'è un tentativo accomodante di risposta a Musarra a firma di Gian Maria Zaccone (Direttore del Centro internazionale di Studi sulla Sindone) sotto un titolo largamente dispregiativo, che dimostra - semmai ce ne fosse bisogno - lo stato del quotidiano CEI:
    "Il dibattito sull'origine della Sindone non ci mostra la sua forza spirituale"

    Credo che sia inutile provare a fornire elementi oggettivi , come Lei ha fatto, quando la cornice è necessariamente quella editoriale che ben conosciamo.

    Ho come l'impressione che il prossimo film di Mel Gibson spazzerà via in un attimo qualsiasi ambiguità , come The Passion spazzò via decenni di teologia melmosa e melensa. Possiamo essere già certi che il disprezzo di Avvenire non mancherà..

    Per quanto riguarda la polemica dei templaristi siamo più o meno sullo stesso piano, una coda di paglia lunga un chilometro , volta a ribadire quanto fossero buoni e bravi i primi e quanto fosse disprezzabile la corte di Francia.

    "La prova migliore del fatto che la Sindone non appartenne a Geoffroy di Charny stesso è che, alla morte di costui, il figlio Geoffroy II non la ebbe in eredità. Infatti, la Sindone apparteneva alla moglie, Jeanne de Vergy".

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    1. Caro Angheran,
      la ringrazio per la segnalazione dell’articolo di Zaccone.
      Quanto ho detto sui Templari, se lei ha letto con attenzione, non ha nulla a che vedere con la loro mitizzazione, che non corrisponde ai dati della storia. Io ho infatti parlato, a loro riguardo, di esoterismo.
      Tuttavia mantengo la mia opinione che essi abbiano segretamente conservato la Sindone e, dopo la loro soppressione, non escluderei la possibilità che qualche ex-Templare, per mezzo di qualche mediatore successivo, abbia fatto pervenire la Sindone al crociato Barone de la Roche. Come può verificare, Jeanne de Vergy è una discendente del Barone (https://casarealedisavoia.it/sindone-storia-europea/).

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  4. Caro Padre, sono contento di averla conosciuta attraverso questo blog. Con garbo, educazione, onestà intellettuale, rispetto, spiega benissimo quale sia la strada giusta da percorrere.
    L'adorazione della Croce! Che bell'esempio che mette a tacere. Non si adora il pezzo di legno ma il gesto di Dio per noi. Così è per la Sindone, anzi di più, perché quello è con tutta (molta) probabilità proprio quel lenzuolo di lino di cui leggiamo nei Vangeli.
    Alessandro

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    1. Caro Alessandro,
      infatti il Vangelo di Matteo ci riferisce che Giuseppe d’Arimatea, “preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo e lo depose nella sua tomba” (Mt 27,59-60).
      Quanto a Giovanni, usa un termine al plurale: le bende (othonia) (Gv 20,7) ma si tratta certamente della Sindone.

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  5. Caro padre, ho letto con attenzione la controreplica alla mia replica sulla Sindone. Ringrazio per la cura con cui ha commentato il testo e per la volontà di dialogo, che considero sempre un bene. Tuttavia, occorre sgombrare il campo da un equivoco: non credo di essere stato “più rispettoso”. Il rispetto non è mai mancato. Penso, piuttosto, che non sia stato colto il punto che ho cercato di mettere a fuoco: la distinzione tra il "segno che rimanda" e il "fondamento che salva".

    Lungo la sua replica, caro padre, ho notato un oscillare continuo: da un lato, riconosce che la fede non nasce dalla Sindone; dall’altro, attribuisce al lino - anzi, al Lino - una funzione probatoria che sfocia in circolarità logica. Dire che la Sindone non è “prova della resurrezione” e, al tempo stesso, ch'essa “induce certamente a ritenere che tale misteriosa irradiazione sia stata provocata dall’attimo nel quale Cristo è risorto” significa assumere come dimostrato ciò che si vorrebbe dimostrare. Cosa vuol dire "induce a credere"? È una "petitio principii" che non regge. Allo stesso modo, affermare che la Sindone è oggetto di adorazione “come la Croce” per poi specificare che l'adorazione non va al lino in sé ma all'impronta genera confusione tra venerazione e latria: distinzione che la Chiesa ha sempre difeso con nettezza. Infine, l’idea che l'immagine si sia formata da un'“energia fisica miracolosa” emanata dal corpo risorto ("Non c’è quindi da meravigliarsi se, al momento della resurrezione, il Corpo di Cristo, unito ipostaticamente alla Persona del Verbo, abbia emanato una energia fisica miracolosa, propria del Corpo risorto ed originata dalla potenza divina, similmente a quanto avvenne nell’episodio del Tabor") appartiene più al linguaggio della fantascienza che a quello della scienza - men che meno della fede -, riducendo la resurrezione a un fenomeno misurabile e non a un atto creativo di Dio: un atto che trascende la logica della fisica e della chimica. Questo, a prescindere dall'unione ipostatica, giacché il corpo risorto del Cristo è un corpo glorioso (continua).

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  6. (seconda parte9 Non meno problematico è il ricorso alla storia. Su questo argomento, penso che Andrea Nicolotti abbia detto tutto (anzi, sono prudete: che abbia detto molto, allo stato attuale). Non parlo della scoperta recente del passo di Nicola d'Oresme, su cui abbiamo discusso amabilmente, ma di tutto ciò che viene prima. Se mai possa individuarsi un "prima". Non ripercorro l'intero ragionamento. Basti sapere che nulla autorizza l'identificazione tra la sindone costantinopolitana da lei citata e quella di Lirey. Nuovamente, i passaggi logici sono importanti. Da un lato, s'invoca la necessità di rigore per distinguere i miracoli autentici dai presunti; dall’altro, si accolgono congetture sui Templari che non hanno fondamento alcuno, trasformandole in cornice interpretativa. Io stesso, qualche anno fa, m'ero premurato di verificare la tesi templare, galvanizzato dalla sua suggestività; si era allora, però, a digiuno d'una vera e propria sistematizzazione della materia, che Nicolotti ha fornito. Rimando, dunque, ai suoi volumi. L'ipotesi che la Sindone nasca come oggetto devozionale - a prescindere dal suo uso improprio - ne è una diretta conseguenza, su cui sta attestandosi la ricerca.

    Il mio punto, dunque, resta semplice e lineare. La Sindone è un segno potente: può interpellare la ragione, commuovere i sensi, condurre alla preghiera. Tuttavia, rimane un segno. La fede non si fonda su di essa. La fede nasce dall’ascolto della Parola e dall’incontro con il Risorto, come insegna san Paolo e come ribadisce il Catechismo. Penso che su questo si possa concordare. Tutto ciò ch'eccede questo quadro, però, rischia di appesantirla con vincoli impropri, di confondere il segno con la realtà che indica. Tanto più di fronte a un insieme di congetture. È questo che intendevo dire, e che continuo a pensare: non un maggiore rispetto, ma un rispetto diverso, più fedele alla storia e alla distinzione che la Chiesa custodisce. Se si confondono i piani si rischia di fare torto alla fede stessa, che è dono e libertà, non sillogismo né dimostrazione. Con rispetto e ammirazione, Antonio Musarra

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    1. Caro Professore,
      la ringrazio per questo ricco intervento molto stimolante.
      Passo subito alla discussione dei singoli punti.

      1) la distinzione tra il "segno che rimanda" e il "fondamento che salva
      Accetto questa distinzione nei seguenti termini:
      - “segno che rimanda” lo vedo come prova di credibilità del messaggio evangelico col quale concorda la Sindone. San Tommaso dice che questo tipo di segni è un inductivum ad fidem, non nel senso che motivi formalmente il credere; questo è il “fondamento che salva”, cioè il Cristo in quanto creduto per mezzo della fede, che Egli ci dona quando siamo aperti alla verità dei segni che Egli compie, perché crediamo in Lui. La Sindone è uno di questi segni, che rimandano a Cristo, che interpella la nostra coscienza affinché crediamo in Lui.

      2) Dire che la Sindone non è “prova della resurrezione” e, al tempo stesso, ch'essa “induce certamente a ritenere che tale misteriosa irradiazione sia stata provocata dall’attimo nel quale Cristo è risorto” significa assumere come dimostrato ciò che si vorrebbe dimostrare.
      La Sindone non è una prova della resurrezione nel senso che essa non ci mette direttamente di fronte a Cristo Risorto, che attualmente è in cielo.
      Tuttavia si può dire che l’impronta sindonica, secondo i dati attuali della scienza, è stata provocata da una potentissima e delicata energia luminoso-calorifica, che ha colpito il telo in modo perpendicolare, in modo tale che sia il corpo del Signore che il telo stesso avevano una posizione verticale.
      La domanda che ci facciamo: come può un corpo morto emanare una energia di quel genere? E come fa una salma a stare in una posizione eretta, insieme a un telo altrettanto in posizione eretta? Non è questo un fatto miracoloso?
      D’altra parte, come spiegare questo fatto nel modo migliore, se non facendo riferimento - ecco il rimando o inductivum – alla narrazione evangelica della resurrezione? Mi sembra che esponendo le cose in questo modo viene meno qualunque circolo vizioso, perché non do dimostrato quello che devo dimostrare, ma dimostro la tesi (la credibilità della resurrezione) per mezzo di una prova dimostrativa (l’impronta miracolosa).

      3) Cosa vuol dire "induce a credere"?
      Possiamo fare il paragone con i miracoli di Cristo, narrati dal Vangelo. Infatti dobbiamo dire con tutta schiettezza che la Sindone di Torino è un oggetto miracoloso, come per esempio anche il miracolo di Bolsena o il sangue di San Gennaro. Che cosa voglio dire? Lei ricorderà che Cristo nel Vangelo fa dei miracoli affinchè noi crediamo in Lui e rimprovera coloro che, avendo visto i suoi miracoli, tuttavia non hanno voluto credere.
      Questo, che cosa significa? Che il miracolo interpella la nostra responsabilità, cosicché il credere diventa un dovere. In questo senso il miracolo induce a credere, non nel senso che necessiti il nostro intelletto, come fa la scienza, perché altrimenti non ci sarebbe più il credere, ma l’evidenza mediata o immediata; ma nel senso che la nostra ragione si accorge del dovere di credere, anche se l’atto di fede non è la conclusione di un sillogismo, ma è una illuminazione che discende dal cielo.

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    2. 4) Affermare che la Sindone è oggetto di adorazione “come la Croce” per poi specificare che l'adorazione non va al lino in sé ma all'impronta genera confusione tra venerazione e latria: distinzione che la Chiesa ha sempre difeso con nettezza.
      Non vedo che ci sia nulla di sconveniente nell’adorare l’impronta sindonica del Corpo e del Sangue di Cristo. Infatti, se noi adoriamo la Croce il Venerdì Santo, che è un semplice manufatto umano, a ben maggior ragione siamo chiamati ad adorare quelle tracce del Corpo e del Sangue del Signore, che troviamo nella Sindone.
      Per questo la Sindone di Torino, come ho detto e ripetuto, non è una semplice immagine sacra, ma è una reliquia del Signore. Noi veneriamo le immagini sacre, ma come non adorare una reliquia del Signore?
      Diverso è il caso delle riproduzioni artificiali della Sindone di Torino, come per esempio la Sindone di Salerno (https://www.diocesisalerno.it/museo-diocesano-convegno-sulla-sindone-di-salerno/ ). È chiaro che qui siamo davanti soltanto ad una immagine sacra e qui vale la funzione della venerazione.

      5) l’idea che l'immagine si sia formata da un'“energia fisica miracolosa” emanata dal corpo risorto appartiene più al linguaggio della fantascienza che a quello della scienza - men che meno della fede -, riducendo la resurrezione a un fenomeno misurabile e non a un atto creativo di Dio: un atto che trascende la logica della fisica e della chimica. Questo, a prescindere dall'unione ipostatica, giacché il corpo risorto del Cristo è un corpo glorioso.
      Le faccio presente che tutti i fenomeni fisici hanno la loro causa ontologica prima in Dio stesso, purissimo spirito, che li ha creati, li conserva, dà a loro le loro leggi e li rende attivi come cause seconde di altri fenomeni.
      Ora, nel campo dei fenomeni fisici esiste anche il miracolo, il quale è un fatto fisico che è spiegabile soltanto con l’azione della onnipotenza divina, come dice il Concilio Vaticano I (Denz. 3009) (https://www.vatican.va/archive/hist_councils/i-vatican-council/documents/vat-i_const_18700424_dei-filius_it.html ).
      Non esiste alcuna legge fisica per la quale il corpo di un defunto possa emanare quella luce che ha lasciato l’impronta sindonica da 2000 anni, luce emanata da un corpo in posizione verticale, come ho già detto, assolutamente incompatibile con quella che assume una salma nell’ordine naturale delle cose.
      Faccio inoltre presente che Cristo, nel risorgere se stesso, non ha compiuto nessun atto creativo, ma semplicemente ha ridato vita al suo corpo, lo stesso corpo che aveva in questa vita, anche se con ciò stesso ha assunto i caratteri del corpo glorioso, che attualmente possiede nella gloria eterna del cielo.
      La scienza può constatare i segni fisici tanto della passione quanto della morte e della resurrezione di Gesù Cristo, come narrato nei Vangeli e insegnato dalla Chiesa Cattolica da 2000 anni.

      6) Non meno problematico è il ricorso alla storia.
      Per quanto riguarda la storia precedente della Sindone, che compare misteriosamente nel 1350, comprendo bene la difficoltà di appurare le testimonianze su di essa, che abbiamo in precedenza fin dai primi secoli.
      Quello che io chiederei agli storici è almeno questo: che si ritengano in qualche modo credibili le testimonianze precedenti, per poter spiegare l’importanza enorme che nella Chiesa, a partire dal Medioevo, la Sindone ha avuto ed ha tuttora nell’attirare una infinità di anime al mistero di Cristo Nostro Salvatore.
      Vorrei inoltre osservare che, a parte le testimonianze storiche, la scienza moderna, sotto diverse angolature, ha potuto appurare l’antichità del telo sindonico e la corrispondenza di esso con le narrazioni, che ne fanno risalire l’origine all’epoca di Cristo.
      A tal riguardo sono interessanti le conclusioni alle quali è arrivato il Consiglio Nazionale delle ricerche (
      https://www.dsctm.cnr.it/it/archivio-m/highlights-m/507-2000-anni-di-storia-della-sindone-di-torino-visti-ai-raggi-x.html).

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  7. Da semplice credente, informato sulle ricerche sulla Sindone, devo dire, nel mio piccolo, che non capisco perché il Prof. Musarra insista, per la Sindone, nell'usare il termine "fondare la fede" (non puô essere usata per fondare la fede). La mia fede é precedente, é prima che conoscessi la Sindone (e similmente prima che conoscessi i miracoli eucaristici o altri miracoli e apparizioni mariane). Per me la Sindone conferma la fede, la rafforza magari, ma non la fonda di certo. Ci sono i Vangeli e le testimonianza dei Santi e anche quella di tanti santi uomini e donne viventi che ci parlano per suscitare in noi la fede, il seguire Gesù, una persona viva anche adesso, non un'idea. La Sindone mi meraviglia soprattutto perché irrompe concretamente nel (mio) tempo ed é davanti a me (l'ho vista in esposizione due volte). Ed é giusto allora parlare di adorazione perché si "tocca", si "vede" la resurrezione del corpo martoriato di Gesù, morto per noi sulla croce. Tutto é reale, non sono solo parole. Come per altre esperienze della vita, un conto é sentire da terzi, un altro é vivere l'esperienza diretta. Gesù sa bene cosa c'é nel nostro cuore, fa tutte le cose bene, con delicatezza e potenza.
    Alessandro

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    1. Caro Alessandro,
      mi compiaccio molto per la descrizione del suo rapporto di credente con la Sindone.
      Ma un compito urgente, sul quale ha insistito continuamente Papa Francesco, è quello della evangelizzazione, che è l’arte del saper condurre i non credenti onesti alla fede, mostrando loro delle testimonianze e dei segni di credibilità tali da farli riflettere e comprendere, sotto la luce della grazia, che il credere a Cristo è un preciso dovere.
      Esiste una disciplina filosofico-teologica, l’apologetica, la quale è quella che forma il buon evangelizzatore, il quale prepara il non credente a raggiungere quella disponibilità di spirito, che lo rende in grado di poter accogliere l’annuncio della Parola di Dio.
      Ora la Sindone è una di queste vie che conducono alla fede, per cui essa può essere apprezzata non solo dal credente, ma anche dal non credente, certamente in due modi diversi. Il credente come lei è confermato in quello che già crede, cioè nella fede nel mistero della passione, morte e resurrezione di Cristo, narrato dai Vangeli. Il non credente, dovutamente istruito su che cosa è la Sindone, ossia apprendendo il suo carattere miracoloso, è stimolato o condotto a credere che i racconti evangelici, che riguardano la passione, morte e resurrezione di Cristo, siano veri.
      Lei afferma che la Sindone non può costituire un fondamento della nostra fede. Come ho già detto, se lei per fondamento intende il motivo o il perché noi crediamo a Cristo, certamente la Sindone non è questo motivo, ma il motivo è l’autorità di Dio, che si rivela.
      Tuttavia per fondamento possiamo anche intendere un motivo umano o razionale, che è la presa di coscienza della miracolosità della Sindone di Torino. Un non credente onesto, che si accorge di questo fatto, inizia un cammino intellettuale e morale, che la Chiesa designa come effetto di un ragionamento che induce (Denz. n. 2755) o conduce (Denz. n. 2813) alla fede.

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  8. L'analogia del Cardinale Newman dell'atto di fede con la grammatica è quanto mai suggestiva: la lingua non si impara in forma diretta e sintattica, ma si va filando attraverso un apprendimento integrato da decine di pietre miliari che l'esperienza va stabilendo. Su questa lingua dei segni poggia la padronanza della lingua. Analogamente, si giunge -e si prosegue- all'atto di fede sulla base propedeutica e apologetica di molteplici fatti, segni, certezze e intuizioni, che pur non identificandosi con la propria virtù teologale la ricevono e la predispongono.

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    1. Caro Pietro,
      la ringrazio per questa informazione concernente l’apologetica per San John Henry Newman.

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