Antonio Musarra risponde al mio articolo sulla Sindone. Un apprezzamento più rispettoso della reliquia del Signore.

 

Antonio Musarra risponde al mio articolo sulla Sindone

Un apprezzamento più rispettoso della reliquia del Signore

 

Antonio Musarra, autore dell'articolo sulla Sindone, “Oltre l'autenticità: così la Sindone interroga la nostra fede”, pubblicato su Avvenire[1] martedì 9 settembre 2025, articolo che avevo esaminato nel mio blog[2], mi ha inviato dalla sua pagina Facebook una risposta, che volentieri pubblico corredata dalle mie osservazioni.

L'articolista si mostra più rispettoso di questa incomparabile e preziosissima reliquia del Signore. Tuttavia, come il lettore potrà constatare, non pare che egli abbia ancora compreso a sufficienza le osservazioni che ho fatto nel mio articolo sia sul significato apologetico del sacro Lino, che sull'importanza della misteriosa impronta in esso lasciata.

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La mia risposta:

La Sindone di Torino torna periodicamente al centro del dibattito ecclesiale e mediatico, oscillando tra due estremi: chi la esalta come “prova” della resurrezione di Cristo e chi la liquida come reliquia medievale di dubbia origine. In mezzo, la posizione della Chiesa: prudente, rispettosa, capace di valorizzarne il potere evocativo senza trasformarla in totem. È in questo spazio che si colloca la critica che mi è stata rivolta: aver negato alla Sindone un ruolo apologetico, come se così facendo si svuotasse la fede. Ma è davvero così?

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Caro Professore, divido la mia risposta per punti.

Per quanto riguarda la mia affermazione che lei ha “negato alla Sindone un ruolo apologetico, come se così facendo si svuotasse la fede”, le rispondo ricordandole che lei non dà importanza alla Sindone, come reliquia, ma la considera semplicemente come una immagine sacra atta a suscitare la devozione.

Ora la scienza ha dimostrato, come ho detto nel mio articolo, che in realtà si tratta di una impronta scientificamente inspiegabile, esattamente corrispondente a quanto i Vangeli narrano della morte di Cristo.

Il termine reliquia è stato usato da alcuni Papi e giustifica l’istituzione della Messa in onore della Sindone, che si celebra nella Diocesi di Torino.

Per quanto riguarda la mia affermazione che la sua posizione impedisce di arrivare alla fede o la svuota, rispondo facendole osservare che, riducendo la Sindone ad una semplice immagine devozionale, lei toglie alla Sindone tutti quei segni peculiari, che inducono naturalmente a pensare che essa abbia effettivamente avvolto il corpo di Cristo e per conseguenza inducono a credere alle testimonianze del Vangelo, il cui messaggio è effettivamente oggetto della fede cristiana.

O, piuttosto, non è vero il contrario: che la fede, se caricata di prove materiali, si svuota del suo respiro più autentico? Occorre fare ordine. Perché non tutto ciò che suscita devozione fonda la fede, e non tutto ciò che colpisce i sensi costituisce un argomento credibile per chi cerca Dio. La fede cristiana ha radici più profonde: non nasce dalla prova tangibile, ma dall’incontro con un evento proclamato, custodito e trasmesso dalla comunità dei credenti (CCC 153-156).

Per quanto riguarda le sue parole “non è vero il contrario: che la fede, se caricata di prove materiali, si svuota del suo respiro più autentico”, rispondo dicendo, come ho già detto nel mio articolo, che bisogna distinguere le prove di credibilità del messaggio di fede dalle prove del contenuto stesso di fede.

Il primo tipo di prove viene constatato dalla semplice esperienza, dalla ragione, dalla scienza e anche dalla storia. La constatazione di questi dati non è in grado di produrre la fede, però pone le condizioni umane di possibilità della fede.

Per quanto riguarda le prove del contenuto della fede, qui non è possibile una dimostrazione razionale, perché si tratta di verità soprannaturali, per cui l’atto di fede non è formalmente motivato dalla constatazione delle prove di credibilità, ma dall’autorità di Dio rivelante.

A questo proposito è utile l’opera del teologo, il quale non ha la pretesa di dimostrare le verità della fede, perché ciò toglierebbe la fede, e tuttavia, poiché sia la ragione che la fede sono due luci che provengono da Dio, la ragione, illustrata dalla fede, nell’opera del teologo fornisce argomenti di convenienza concernenti le verità di fede.

Per quanto riguarda le sue seguenti parole “non tutto ciò che suscita devozione fonda la fede, e non tutto ciò che colpisce i sensi costituisce un argomento credibile per chi cerca Dio”, su ciò sono sostanzialmente d’accordo, in quanto nel materiale che ci è offerto dai sensi e dalla storia occorre evidentemente fare un prudente discernimento, in base a validi criteri storici, filosofici e scientifici, come per esempio distinguere i miracoli autentici da quelli falsi, oppure distinguere le testimonianze o i racconti autorevoli o credibili da quelli che non hanno un fondamento di credibilità.

Per quanto riguarda le sue parole “La fede cristiana ha radici più profonde: non nasce dalla prova tangibile, ma dall’incontro con un evento proclamato, custodito e trasmesso dalla comunità dei credenti (CCC 153-156)”, la prova tangibile è il motivo di credibilità, del quale ho ripetutamente parlato. Esso è necessario affinchè la nostra fede non sia confusa con una irragionevole credulità o con un emotivo fideismo e non sia un fenomeno di fondamentalismo, ma sia conforme alla sana ragione e quindi possa essere tale da costituire quella adesione libera alla verità rivelata, mossa dalla grazia, libera adesione che proviene dall’accoglienza dell’autorità di Cristo, che si rivela e che rivela i misteri della fede.

 

2)

Il nodo teologico è semplice, eppure sfuggente: che cosa fonda la fede? Il fondamento non è un oggetto, ma un soggetto: Dio stesso, che rivela. «A Dio che rivela è dovuta “l’obbedienza della fede” (Rm 16,26; cfr. Rm 1,5; 2 Cor 10,5-6)» (Dei Verbum, 5). La fede è atto dell’uomo mosso dalla grazia, che aderisce alla Parola di Dio non perché dimostrata da reperti, ma perché riconosciuta come vera dall’autorità del Dio che parla (CCC 150).

2)

Quando si parla di fondamento della fede, bisogna distinguere le prove di credibilità, che inducono a credere, dal motivo formale della fede.

Qui il Catechismo si riferisce al motivo formale della fede, ma il Catechismo sottintende l’insegnamento del Concilio Vaticano I, riguardante i segni di credibilità: “Affinchè l’ossequio della nostra fede sia conforme alla ragione (Rm 12,1), Dio ha voluto congiungere agli aiuti interni dello Spirito Santo degli argomenti esterni della sua rivelazione, vale a dire delle opere divine e innanzitutto i miracoli e le profezie, i quali, mentre mostrano luminosamente l’onnipotenza e l’infinita scienza di Dio, sono segni certissimi della divina rivelazione, proporzionati alla intelligenza di tutti” (Denz. 3009).

La Sindone è uno di questi segni di credibilità, che, favorendo la ricerca scientifica, prepara la ragione al dono della fede oppure anche al consolidamento della fede di chi già la possiede.

 

3)

Non c’è circolo vizioso in questo: la fede non “si fonda sulla fede” ma su un’autorità che trascende la ragione e la illumina. Certo, la ragione non è esclusa. Essa prepara, dispone, cerca motivi di credibilità. Il Concilio Vaticano I insegna: «affinché l’ossequio della nostra fede fosse conforme alla ragione, Dio ha voluto che agli aiuti interiori dello Spirito Santo, si unissero gli argomenti esterni della sua Rivelazione, cioè gli interventi divini, come sono principalmente i miracoli e le profezie che dimostrano luminosamente l’onnipotenza e la scienza infinita di Dio e sono segni certissimi della divina Rivelazione e adatti all’intelligenza di tutti (Dei Filius, 3; ma anche CCC 156). I miracoli, la testimonianza dei santi, la coerenza del Vangelo, la continuità della Chiesa: tutto questo ha un valore. Ma non produce la fede, la rende ragionevole. È la grande lezione che la Chiesa ha sempre custodito: non confondere i motiva credibilitatis con il fondamento della fede. Perché il fondamento è l’autorità divina, non un reperto archeologico (per quanto suggestivo!).

In questo quadro, la Sindone è un segno potente. Colpisce i sensi, interroga la scienza, provoca la ragione. Ma resta, nella definizione più sobria dei papi contemporanei, un’“icona del Sabato santo” (Benedetto XVI, 2 maggio 2010), uno “specchio del Vangelo” (Giovanni Paolo II, 24 maggio 1998). Non una prova, non un dogma, non una certezza storica definitiva. Usarla come prova della resurrezione è pericoloso: da un lato, perché la ricerca scientifica non ha raggiunto un consenso; dall’altro, perché il Cristianesimo non si regge su un pezzo di tela, ma sull’annuncio di una tomba vuota e di apparizioni che nessuna fibra di lino potrà mai contenere (1 Cor 15,3-8). Qui si gioca il discrimine tra fede e superstizione: la prima si affida a Dio, la seconda pretende garanzie visibili. Non è un caso che la Chiesa non abbia mai proclamato la Sindone come reliquia autentica del corpo di Cristo. La lascia al libero discernimento dei fedeli, incoraggiando studi seri ma senza vincolarvi la fede. È questa prudenza che custodisce la libertà dell’atto credente.

3)

Per quanto riguarda questo discorso, sono sostanzialmente d’accordo, tanto più che lei cita lo stesso brano del Concilio Vaticano I, che ho citato anch’io.

Per quanto riguarda la posizione della Chiesa nei confronti della Sindone di Torino, la sua qualifica di reliquia del Corpo del Signore, è stata ufficialmente riconosciuta dall’istituzione della Messa in onore della Sindone per volere del Papa Giulio II nel 1506 ( https://sindone.org/vita-di-fede/liturgia/santa-messa/ ).

 

4)

C’è un altro punto delicato che mi preme considerare. In alcuni ambienti si è arrivati a parlare della Sindone come oggetto non solo di venerazione, ma addirittura di adorazione. Qui, l’errore diventa grave: l’adorazione (latria) spetta solo a Dio (CCC 2132), non a un lenzuolo, anche se fosse stato a contatto con il corpo di Gesù. Le reliquie si venerano, le immagini si onorano, ma solo Dio si adora. Confondere questi livelli significa scivolare in un culto improprio, che non serve la fede ma la distorce.

4)

Se la Sindone è stata riconosciuta dalla Chiesa come reliquia del Corpo del Signore, crocifisso e risorto, ciò significa che essa è l’impronta del Corpo e del Sangue del Signore, evidentemente oggetto della nostra adorazione, così come noi adoriamo la Santa Croce.

Questo vuol dire che la Sindone, in quanto lenzuolo, segnato dal Corpo e dal Sangue di Cristo, evidentemente non è oggetto di adorazione, però ci dà un motivo visibile per elevare il nostro sguardo di fede alla adorazione del mistero di Cristo.

 

5)

E ancora: presentare la Sindone come “proiezione luminosa” del corpo risorto, come se un’energia misteriosa ne avesse impresso l’immagine, rischia di trasformare la resurrezione in un fenomeno fisico, quasi da laboratorio. Ma la resurrezione non è un processo chimico: è un atto creativo di Dio, che restituisce vita trasfigurata (CCC 646)! Ridurla a energia significa impoverirla.

5)

La descrizione che ho fatto circa la misteriosa ossidazione del telo sindonico fa riferimento a studi recenti di carattere scientifico (https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2012/03/12/news/l-immagine-della-sindone-frutto-di-una-radiazione-1.36492792/).

Il fatto che siamo davanti a un quadro sperimentale, che interessa la chimica e la fisica, presenta un grande interesse, perché, secondo la narrazione evangelica, confermata dal Magistero della Chiesa, il Corpo del Signore risorto era percepibile al tatto, alla vista e all’udito.

Non c’è quindi da meravigliarsi se, al momento della resurrezione, il Corpo di Cristo, unito ipostaticamente alla Persona del Verbo, abbia emanato una energia fisica miracolosa, propria del Corpo risorto ed originata dalla potenza divina, similmente a quanto avvenne nell’episodio del Tabor.

Per quanto riguarda la sua tesi dell’atto creativo di Dio, devo dire che essa non ha fondamento, perché l’atto divino della resurrezione non comporta nessuna creazione, ma soltanto la manifestazione dello splendore della gloria di Cristo, precedentemente nascosta nella sua vita mortale e, dal momento di questa manifestazione, mantenutasi definitivamente nella gloria di Cristo alla destra del Padre.

 

6)

Non a caso la Chiesa preferisce parlare della Sindone come segno che “rimanda”, non come prova che “dimostra”.

6)

Si può dire certamente che la Sindone rimanda al mistero di Cristo, come prova di credibilità, ma indubbiamente non dimostra affatto il mistero di Cristo, perché questo è solo oggetto della fede.

 

7)

Che cosa possiamo dire, allora? Che la Sindone ha un valore immenso, se custodita nel suo giusto ordine: non fondamento della fede, ma “aiuto” alla fede (CCC 164); non prova della resurrezione, ma “icona” - benché, da una prospettiva storica, e, dunque, immanente, il termine possa (debba) essere discusso - che ne attualizza il mistero; non oggetto di adorazione, ma “segno” che rimanda all’adorazione di Dio. È questa distinzione che salva la fede dall’essere ridotta a superstizione e la scienza dall’essere forzata a dire ciò che non può dire. L’apologetica è utile, ma non sostituisce l’annuncio. I segni sono preziosi, ma non sostituiscono l’autorità di Dio. La Sindone può farci contemplare la sofferenza e la morte, può spingerci al silenzio e alla preghiera. Ma la fede nasce altrove: nell’ascolto del Vangelo (Paolo è chiarissimo: Rm 10,17), nell’incontro con il Risorto, nella comunità che lo testimonia. È lì che si decide se credere o non credere. Tutto il resto – stoffe, immagini, energie – rimane un margine suggestivo, ma mai decisivo. È bene ricordarlo, per non scambiare il segno con la realtà che indica.

7)

La Sindone di Torino è aiuto alla ragione per disporla a ricevere la luce della fede.

Indubbiamente non è fondamento della fede, ma solo un fatto che induce a credere. Fondamento della fede è la Parola di Dio, che rivela il suo Mistero.

La Sindone non è una prova della resurrezione di Cristo, perché queste prove ci sono già state fornite dalle narrazioni evangeliche. Essa semmai è un documento storico di importanza unica, che comunque al vaglio della scienza più avanzata, davanti al mistero della irradiazione della quale ho parlato, induce certamente a ritenere che tale misteriosa irradiazione sia stata provocata dall’attimo nel quale Cristo è risorto.

L’apologetica, come ho detto, non sostituisce l’annuncio, ma lo prepara e lo rende credibile.

Certamente la fede non nasce dalla visione della Sindone, ma dall’ascolto della Parola di Dio, e tuttavia la Sindone dispone il nostro animo ad ascoltare la Parola di Dio.

Certamente noi ci decidiamo se credere o non credere davanti alla testimonianza dei Vangeli, ma la decisione riguardante la fede può essere ragionevole soltanto se in precedenza o in modo concomitante noi consideriamo il valore delle prove di credibilità, tra le quali c’è la Sindone di Torino.

***

Un lettore ha contestato il mio riferimento ai Templari a proposito del mio articolo sulla Sindone.

Sono consapevole del fatto che alcuni storici negano che i Templari fossero entrati in possesso della Sindone. Tuttavia io, benchè non sia uno storico, preferisco avere una opinione diversa. E adesso espongo quelli che sono i motivi che giustificano la mia opinione.

Nel 1204 i Templari, partecipando alla IV Crociata, si abbandonarono a gravi saccheggi a Costantinopoli, dove era conservata la Sindone. In questa occasione la Sindone sparì e per un secolo e mezzo di essa non si seppe nulla.

Ci si potrebbe domandare il perché del lungo silenzio, di cui ho parlato sopra. È possibile, a parte la possibilità che alcuni documenti si siano perduti, che i Templari abbiano fatto uso della Sindone in una forma impropria esoterica. Ora sappiamo come l’esoterismo spinga alla pratica di una forma di silenzio malsano circa la conservazione di valori supremi, dei quali ci si ritiene i custodi, con un atteggiamento di disprezzo nei confronti dei profani.

Nel 1350 circa essa compare nelle mani del nobile Geoffroy I conte di Charny, il quale con l’autorizzazione del legato pontifico, Card. Pietro di Santa Susanna, costruì una chiesa collegiata a Lirey, dove veniva esposta la Sindone. Nel frattempo i Templari, come si sa, erano stati soppressi da Papa Clemente V con la bolla Vox in excelso il 22 marzo 1312 al Concilio di Vienne.

Nel 1453 viene ufficialmente riconosciuto alla Casa di Savoia[3] il possesso della preziosa reliquia. In tal modo la Sindone, di proprietà della Casa Savoia, nel 1983 fu donata per testamento da Umberto II a San Giovanni Paolo II.

Tra le accuse infamanti e certamente false lanciate contro i Templari, durante il famoso processo, che portò alla loro soppressione, c’era quella che essi adorassero un idolo chiamato Bafometto.

Ora, alcuni storici avanzano l’ipotesi abbastanza ragionevole che in realtà si trattasse proprio della Sindone, ripiegata in modo che si potesse vedere soltanto il Volto. Una simile accusa infamante non poteva far piacere a Filippo il Bello, per spingere il Papa a sopprimere i Templari? Che cosa di più odioso si poteva immaginare, soprattutto nel Medioevo, così ricco di religiosità, che l’adorazione di un idolo abominevole?

 

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 17 settembre 2025


Un medaglione in bronzo, recuperato sul fondo della Senna, è la prima testimonianza in assoluto dei pellegrinaggi alla Sindone in Europa. Risalente alla metà del 1300 l’oggetto reca la raffigurazione della Sindone con la sua doppia immagine, il tessuto a spina di pesce e gli stemmi della famiglia Charny. Era evidentemente appartenuta a un pellegrino che si era recato a venerare la Sindone e che intendeva portare a casa il medaglione in memoria dello speciale incontro.
 
Immagine da Internet: https://www.sindone.it/storia-1 

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