Articoli e testi di P.Giovanni Cavalcoli

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P.Tomas Tyn

Testi di P. Tomas Tyn, OP

31 ottobre, 2024

Giovanni il Teologo

 

Giovanni il Teologo

Il discepolo che Gesù amava

(Gv 21,7.20)

 Dio è libero di prediligere chi vuole

Un buon maestro ama tutti i suoi discepoli, ma tra questi ama maggiormente coloro che maggiormente lo ascoltano, capiscono, apprezzano e approfondiscono la sua dottrina e lo amano più degli altri.   Così ha fatto Gesù: ha dotato Giovanni figlio di Zebedeo di un eminente dono di intelligenza e di amore, che gli ha consentito di comprendere ed apprezzare i segreti più reconditi della dottrina del Maestro, i dati più sublimi della Rivelazione, le esigenze più alte del Vangelo, l’aspetto più profondo della personalità di Cristo.

Nel suo Vangelo, nelle Lettere e nell’Apocalisse ha preso nota di insegnamenti del Maestro che agli altri Evangelisti erano sfuggiti o apparsi incomprensibili o comunque non degni di speciale interesse, un po’ come capita per tanti, anche persone buone ed amanti di Dio, i quali però non si sentono attratti da scienze come la filosofia, la metafisica o la teologia, non sentono il bisogno o non hanno la capacità di salire a quel difficile ed astratto livello speculativo, perché per loro sono sufficienti nozioni morali e religiose più comuni, ordinarie, elementari e di base e più alla loro portata.

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Solo Giovanni annuncia che noi in Cristo siamo figli di Dio destinati in cielo a vedere Dio così com’È (I Gv 3,1-2).

Giovanni fra gli Evangelisti è quello che maggiormente si eleva più in alto, ma nel contempo è quello più attento alla concretezza della temporalità, del dettaglio e dei particolari, testimonianza nella sua spiritualità di quanto aveva assorbito nella sua vita il mistero dell’Incarnazione che congiunge l’infinitamente grande con l’immensamente piccolo, il cielo con la terra, lo spirito con la materia, l’uomo con Dio.


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- San Giovanni Evangelista, Vladimir Lukič Borovikovskij

28 ottobre, 2024

Il cuore e il cervello - In margine all’enciclica del Papa sul Sacro Cuore di Gesù

 

Il cuore e il cervello

In margine all’enciclica del Papa sul Sacro Cuore di Gesù

 

Dolce cuor del mio Gesù

   fa che io t’ami sempre più,

   dolce cuore di Maria

   siate la salvezza dell’anima mia.

 

Un cuore umano e divino

Come tutti sanno, il Papa ha recentemente pubblicato un’enciclica la Dilexit nos indirizzata al mondo intero tormentato dalle guerre, con la quale Egli ci spiega l’amore col quale Cristo ci ha amati e ci ama e l’amore col quale noi dobbiamo corrispondere a tale amore al fine di collaborare assieme fraternamente per l’edificazione della pace. Il cuore di Cristo è il cuore di un Dio che ci ama divinamente in un cuore e per mezzo di un cuore umano.

L’enciclica di Papa Francesco si può mettere in relazione con l’enciclica Haurietis aquas di Pio XII del 1956, dove il venerato Pontefice sviluppa piuttosto il tema della devozione liturgica al Sacro Cuore di Gesù ricordando le prerogative di questo cuore umano-divino, grazie all’unione ipostatica della natura umana di Cristo alla persona divina e la sua opera riparatrice ed redentrice per la nostra salvezza.

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La cosa che ci sorprende enormemente e ci spinge a interrogarci con apprensione è questo duplice aspetto del mistero del sacro Cuore, che San Giovanni, come nessun altro, mette in luce in modo vivissimo, così che sembra creare un abisso fra i due aspetti:  

questa apparente contrapposizione fra un Cristo amantissimo, tenerissimo e misericordiosissimo così come appare dal Vangelo e dalle Lettere di Giovanni e un  Cristo vendicatore terribile, adirato, spaventoso, giustiziere e distruttore di folle sterminate di nemici  così come appare dall’Apocalisse.

 

Molti di coloro che credono in Dio oggi provano ripugnanza o fanno un’enorme fatica a conciliare questi due aspetti del Cuore di Gesù. Puntando sul concetto che Dio è bontà infinita, sono tentati di prendere solo i passi evangelici di Cristo misericordioso beatificante e lasciano cadere quelli si Cristo giudice punitore. 

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26 ottobre, 2024

Considerazioni circa il diaconato femminile

 

Considerazioni circa il diaconato femminile

Ormai i tempi sono maturi

Da tempo nella Chiesa fervono le discussioni circa l’opportunità o la necessità del ripristino del diaconato femminile, che esistette già nei primi secoli per quelle donne che assistevano le donne che ricevevano il battesimo.

La discussione rischia di essere viziata dall’equivoco per il fatto che alcuni confondono il diaconato ordinato, proprio del sacramento dell’Ordine, col diaconato istituito, basato sulla Cresima. E ciò avviene perché questi tali non accettano la dottrina della Chiesa secondo la quale mentre il diaconato ordinato è riservato all’uomo maschio, il diaconato istituito può essere concesso anche alla donna. Per questo quei tali vorrebbero che anche alla donna fosse aperta la strada per poter ricevere il sacramento dell’Ordine e il primo passo sarebbe il diaconato.

Cominciamo allora col chiarire che cosa è il diaconato ordinato e in che consiste la sua differenza da quello istituito. L’esistenza del diaconato ordinato, ossia come grado minimo del sacramento dell’Ordine non risulta esplicitamente dalla volontà di Cristo così come ci è riferita dal Nuovo Testamento, che si limita a riferire l’istituzione del sacerdozio da parte di Cristo e la sua istituzione dei poteri e della missione degli apostoli con a capo Pietro.

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La Beata Vergine Maria è la madre della Chiesa e la Regina degli apostoli. Ha portato nel suo seno il Sommo Sacerdote Salvatore del mondo, il Capo e Principe di tutti i sacerdoti. L’opera della Redenzione iniziò già e in certo modo si compì nel suo seno, all’ombra della sua maternità.

Quest’opera, che è l’opera della Chiesa, avviene nel seno di ogni gestante, per cui già l’embrione è liberato da Cristo dalla colpa originale e vivificato dalla grazia. Il battesimo del bambino non farà che confermare ed aumentare la grazia ricevuta. E non è questo un servizio diaconale della donna?

Quando di recente il Papa ha parlato della donna superiore all’uomo si riferiva, come ha espressamente detto, alla Chiesa sposa di Cristo e madre dell’umanità e quindi anche del sacerdote in quanto uomo maschio. Questa maternità della Madonna e quindi della Madonna in quanto donna non è forse un servizio diaconale?

Aggiungo che per chiarire questa questione del diaconato femminile, che mette in gioco i valori specifici della femminilità, dobbiamo inoltre considerare che ormai da almeno due secoli la donna nella Chiesa ha gradualmente conquistato una posizione e un ruolo di una tale importanza, che molti si domandano se non sia utile, conveniente o necessario per il bene della Chiesa e per il potenziamento di quei ruoli, uffici, ministeri e mansioni, che le donne già esercitano onorevolmente, che esse, se lo desiderano e ne hanno l’attitudine,  ricevano un supplemento di grazia e di energia soprannaturale in forza del conferimento ad esse del ministero laicale del diaconato.

Dio ha creato l’uomo e la donna non perché stessero in guardia l’uno dall’altro, ma perchè fossero una sola carne e questo non deve valere solo per il matrimonio, ma per tutte le vocazioni e gli stati di vita, in tutte le attività nella società e nella Chiesa, salvando naturalmente, laddove è richiesto, l’astinenza sessuale. L’uomo è per essenza la coppia umana. «Non è bene che l’uomo sia solo». La grazia del diaconato favorirà questa reciprocità tenendo lontano i pericoli e incrementando l’unione nella collaborazione per il bene della Chiesa e la santificazione della stessa coppia.

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25 ottobre, 2024

Il processo all’infinito nella prova dell’esistenza di Dio - Seconda Parte (2/2)

 

Il processo all’infinito nella prova dell’esistenza di Dio

Seconda Parte (2/2) 

 Fermatevi e sappiate che Io sono Dio

Sal 46,11

La causa nel senso forte ed assoluto, veramente causa, non può essere una causa causata, che rimanda a una causa precedente, che l’ha causata, ma è una causa che è solo e totalmente causa, bastante a sé stessa. Questa è la causa prima, alla quale deve fermarsi il regresso delle cause. Ed è questo il motivo per il quale non  è possibile un regresso all’infinito. Questa causa non può essere altro che  la causa dell’essere, essa stessa Essere sussistente. E questa è Dio.

Occorre dunque distinguere una retrocessione all’infinito di una successione di agenti indipendenti gli uni dagli altri e accidentalmente collegati gli uni agli altri nella loro esistenza ed azione, da una retrocessione di cause ontologicamente sovraordinate connesse da un rapporto di necessità.

Nel primo caso la retrocessione o processo all’infinito è possibile; invece nel secondo caso è impossibile, ma occorre fermarsi ad una prima causa creatrice ossia produttrice non solo del divenire, ma anche dell’essere dell’effetto o a un primo motore immobile, che muove il succedersi degli effetti. 

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Un conto però è che una causa produca per sua essenza quel dato effetto, per cui qui la connessione causa-effetto è necessaria. E un conto è che molte cause si succedano per produrre un dato effetto. San Tommaso dice che è necessario che il ferro plasmato dal fabbro sia plasmato dal martello. Ma che questo ferro venga plasmato dal fabbro che usa successivamente più martelli è cosa accidentale, per il semplice fatto che uno si rompe e dev’essere sostituito da un altro.

Ma non esiste alcun nesso causale necessario fra un martello e il successivo: l’importante è che funzionino, ossia che facciano ciò che il fabbro vuole. È nella struttura dell’operazione del fabbro che troviamo un nesso logico necessario tra causa ed effetto, perché è chiaro che se manca nel fabbro l’intenzione o gli manca il martello o manca l’incudine, il ferro non viene plasmato.

Occorre dunque assolutamente una causa prima (il fabbro) perchè il ferro sia plasmato, ma in linea di pura possibilità metafisica non è necessario un primo martello nella successione temporale dei martelli che uno dopo l’altro si rompe, anche se di fatto il primo martello c’è stato.

Per questo, in linea di principio, osserva San Tommaso, i martelli potrebbero essere infiniti, ma non può essere infinita la serie delle cause sovraordinate per ottenere la plasmazione del ferro. Qui occorre una causa prima, che è il fabbro che usa il martello, non importa quale e non importa quanti. 
 
Similmente, osserva San Tommaso, affrontando la questione se il mondo potrebbe esistere da sempre, in un infinito succedersi di cause, dice che di per sé si potrebbe andare indietro nel tempo all’infinito, dato che Dio è eterno e che il creare è un atto eterno non necessariamente nel tempo, anche se sappiamo dalla rivelazione che di fatto il tempo passato ha avuto un inizio. Tommaso osserva che invece dove non si può andare all’infinito è nelle cause sovraordinate, ossia quelle che spiegano l’esistere attuale del mondo, perché altrimenti dovremmo dire che il mondo non esiste essendo privo di causa sufficiente. 

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24 ottobre, 2024

Il processo all’infinito nella prova dell’esistenza di Dio - Prima Parte (1/2)

 

Il processo all’infinito nella prova dell’esistenza di Dio

Prima Parte (1/2)

La sua grandezza non si può misurare

Sal 145,3

Conta le stelle, se riesci

                   Gen15,5

 

Come è nata l’idea dell’infinito?

La parola «infinito» è di uso comune ed ha per noi un significato ovvio, che impariamo senza difficoltà fin da ragazzi: un numero infinito, un amore infinito, un bene infinito, il verbo all’infinito, lo spazio infinito. Diciamo che Dio è infinito, che l’uomo ha una dignità infinita, parliamo di un progresso infinito.

Nella storia della filosofia il primo a parlare dell’infinito o indeterminato (àpeiron) come principio primo della realtà è stato Anassimandro nel sec.VI a.C. È interessante come egli abbia saputo coglierne il significato divino al quale ha associato il concetto dell’Uno.

L’infinito è ciò che non ha fine, ciò che non è finito, ciò che non finisce e neppure comincia. Ma per noi oggi la parola ha perduto il significato latino di in-finitus, il non-finito, come sarebbe un lavoro non finito, non portato a termine, imperfetto, incompiuto, incompleto. Non usiamo più la parola in questo senso. Al contrario, noi oggi diamo a questa parola il senso di qualcosa che è oltre il finito, che è meglio del finito e non di qualcosa che non ha raggiunto il suo fine, il non-compiuto, l’imperfetto. Il fine può essere finito, ma, come fine ultimo, può essere infinito, somma perfezione. 

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Non ci è difficile concepire il finito. Ne abbiamo esperienza tutti i giorni. La vita comincia e finisce. Le nostre forze hanno un limite. Noi agiamo per un fine, raggiunto il quale la nostra azione ha fine. Ogni numero è finito, ma possiamo aggiungere sempre un’unità: ed ecco affacciarsi la nozione dell’infinito. Immaginiamo qualcosa a cui nulla si può aggiungere: ecco l’idea dell’infinito, che appare come sommamente perfetto, insuperabile e completo, come totalità.

Il finito è causato. È parziale. Il finito partecipa di un tutto infinito. È il termine di qualcosa che è cominciato. Dà spazio ad altro. Si accompagna con altri finiti. Non esaurisce l’essere. Il finito è essenzialmente relativo: non che sia pura relazione. Esso è sostanza che ha relazione con gli altri finiti.

Il finito ci fa bene, ci è utile, ci piace, ci occorre, ci è necessario, ma non ci basta. Noi stessi siamo finiti, benché sentiamo un bisogno d’infinito. Il finito non riguarda solo la materia ma anche lo spirito. La materia è un costitutivo del nostro essere e dell’essere del mondo. Essa è eminentemente il mondo della finitezza, della particolarità, della spaziotemporalità, della determinatezza sotto un individuo, una specie e un genere.

Non ci è neppure difficile formarci il concetto o l’immagine dell’infinito: è ciò che non ha fine, ciò che va oltre, ciò che supera ogni limite: un numero infinito di volte, uno spazio o un tempo infinito, una perfezione infinita, un amore infinito, una successione infinita di cause, ciò che non finisce mai, l‘eterno, l’immortale. Suggerisce l’dea della totalità e dell’assoluto. Possiamo semmai chiederci se certe forme di infinito esistano realmente. Può esistere un numero infinito? L’universo è infinito?

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22 ottobre, 2024

La metafisica di Gesù

 

La metafisica di Gesù

Presento ai Lettori lo schema di un libro che pubblicai nel 2014, dedicato a illustrare una cosa alla quale finora non si era mai pensato e cioè presentare quella che si potrebbe chiamare “la metafisica di Gesù”.

Di che cosa si tratta? Si tratta di una serie di sentenze o di avvertimenti che Gesù, secondo la narrazione evangelica, ci presenta e che riguardano il senso dell’esistenza, il bene e il male, la questione della verità, il valore del creato, i principi del sapere umano, il rapporto del mondo con Dio e gli angeli. La metafisica di Gesù riprende la tradizione sapienziale dell’Antico Testamento.

Potremmo domandarci che rapporto c’è tra questa metafisica di Gesù e quella di Aristotele. San Tommaso d’Aquino si è accorto di una profonda somiglianza tra la sapienza di Gesù e quella di Aristotele. Egli ha notato che mentre Aristotele sviluppa le forze della ragione e si ferma qui, perché non era in possesso di alcuna rivelazione divina, Gesù, Figlio di Dio, Verbo del Padre, ci dona una sapienza che scende dall’alto e quindi è tale da completare e sublimare quella di Aristotele.

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Per capire che cosa è la metafisica, occorrono alcune considerazioni previe. Esiste nell’animo umano una naturale propensione alla conoscenza e all’accoglienza della verità, una naturale certezza della sua esistenza, e una naturale inclinazione alla bontà, alla ricerca ed alla pratica del bene. Tutti sanno che il sapere è cosa buona e desiderabile e che è bene quindi adoperarsi per acquistare il sapere. Il problema semmai è di sapere quali son le cose più importanti da sapere. E’ qui che il cammino verso la metafisica, che suppone l’amore per le “cose di lassù” (Col 3,1), può restare bloccato, perchè l’uomo può credere che sia sufficiente conoscere le cose di questo mondo.

Immagine da :  https://isoladipatmos.com/novita-gesu-cristo-fondamento-del-mondo-inizio-centro-e-fine-ultimo-del-nostro-umanesimo-integrale/


21 ottobre, 2024

Le radici spirituali della guerra - La pace si ottiene solo con la forza dello spirito - Seconda Parte (2/2)

 

Le radici spirituali della guerra

La pace si ottiene solo con la forza dello spirito

Seconda Parte (2/2) 

 Il dramma storico dell’Ucraina e le cause profonde della guerra

La guerra in Ucraina non si spiega sufficientemente col semplice appetito dei Russi di dominare sull’Ucraina. C’è anche il timore di un’Ucraina che pare esser diventata ostile alla Russia per un suo avvicinarsi all’Occidente. Questi fattori esistono certamente, ma non sono quelli decisivi di fondo. Il fattore decisivo è che in Ucraina si scontrano in un duello mortale – ecco perchè abbiamo avuto finora un milione di morti - due contrastanti concezioni dell’uomo, della vita, della morale, della santità, della Chiesa, del rapporto dell’uomo con Dio.

Si tratta di uno scontro tra l’immagine occidentale e quella orientale dell’uomo e alla fine, della stessa realtà metafisica[1]. Ecco perchè Cirillo ha parlato di uno scontro metafisico. Chi non ha approfondito la ormai più che secolare questione del confronto fra Occidente ed Oriente, da tempo dibattuta sia in Europa che in Russia, non può capire che cosa sta succedendo in Ucraina e perché e quindi non è in grado di poter suggerire vie, modi e mezzi per raggiungere la pace.

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La tendenza a concepire l’esser cristiano come espressione della propria identità nazionale, sicchè per essere patrioti bisogna essere cristiani ed ogni nazione ha una sua Chiesa nazionalistica («autocefala»), isolata da quella delle altre nazioni, è un difetto tipico dell’Ortodossia, la quale, mancando del riferimento alla Chiesa Romana, ed avendo comunque bisogno di un punto di rifermento, si rifugia nella propria «autocefalia».

L’Ucraina, per la sua posizione geografica e per la sua stessa storia, avrebbe nel contempo un’ottima chance di diventare modello di dialogo ecumenico, luogo di confronto fra religioni, costumi e civiltà, tra Occidente ed Oriente, ispiratrice di armonia e di pace fra popoli, nazioni e culture.

Il Papa ha anche aggiunto molte volte che, per ottenere la pace bisogna che i belligeranti, assieme, di comune accordo e immediatamente, consensualmente e senza condizioni depongano le armi e si mettano a trattare da pari a pari, da fratelli, liberamente, con fiducia l’uno nell’altro, pronti l’uno e l’altro a soddisfare le giuste esigenze dell’altro e a rimediare i torti fatti all’altro, non perchè il più debole è piegato sotto il giogo del più forte dal quale è stato sconfitto, ma da buoni fratelli, sulla base dei comuni valori dell’Occidente e dell’Oriente, nel rispetto delle diversità  e nell’integrazione reciproca, secondo le indicazioni che ho fatto emergere da questo mio articolo. Questa e non altra è la via della pace.

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20 ottobre, 2024

Le radici spirituali della guerra - La pace si ottiene solo con la forza dello spirito - Prima Parte (1/2)

 

Le radici spirituali della guerra

La pace si ottiene solo con la forza dello spirito

Prima Parte (1/2)

 Provvedere subito prima che sia troppo tardi

 Siamo ancora in tempo per evitare la catastrofe nucleare, però bisogna mettere subito in pratica quanto Cristo ci insegna. E cioè che cosa? Che cosa è la guerra, da che cosa nasce, come la si toglie, che cosa è la pace e come si ottiene la pace.

Hegel, l’apologeta della guerra, ebbe tuttavia una frase felice: solo lo spirito può vincere lo spirito. Gli animali lottano per il cibo o per la riproduzione o per difendersi da altri animali, insomma per interessi puramente materiali. Siccome anche l’uomo è un animale, anch’egli può far guerra per ottenere risorse materiali, per recuperare beni derubati dal nemico, per difendersi da un aggressore, per poter sopravvivere all’assalto di nemici, per liberarsi da nemici irriducibili.  

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Il cristiano rifiuta la guerra se essa comporta odio, violenza, prepotenza, aggressività, distruzione, crudeltà. Accetta la guerra se essa significa lotta, combattimento, battaglia contro il peccato, il demonio, la carne, il mondo. Qui o si vince o si è vinti. Ed è a proposito di questa guerra che Gesù usa le parole: «Sono venuto a portare una spada» (Mt 10,34).

Per il cristiano la pace non è tanto una conquista, quanto piuttosto un dono di Dio. Essa è effetto della riconciliazione dell’uomo con sé stesso, con Dio e col prossimo, operata da Cristo. È la quiete dello spirito conseguente all’unione con Dio, dopo il travaglio e le inquietudini della vita presente.

Il pacifico del Vangelo è sì un uomo in pace con sé stesso, ma anche inscindibilmente è un costruttore di pace: pacem-facio, uno che ottiene la pace, che opera, e combatte e soffre per la pace. Non si dà pace finchè anche gli altri non siano in pace.

Putin si pone nella linea della ben nota tradizione bizantino-ortodossa e dell’autocrate rappresentante di Cristo Pantokrator, protettore della Chiesa, mentre il Patriarca è il sommo Liturgo, protetto dall’Imperatore-Zar. La visione, pertanto, non è una realtà autenticamente evangelica, ma risente della tradizione del dispotismo orientale, per cui succede che a Cesare va quello che è di Dio col pretesto che Cesare protegge il sacerdote. Ma al sacerdote è tolto il primato sull’imperatore, e gli resta solo il campo della liturgia. La Terza Roma di Cirillo, nome altisonante, che sembra volerla mettere al di sopra della prima, è in realtà, per un Patriarca, ben misera ed umiliante cosa, che lo riduce ad essere, come si è espresso il Papa, il «chierichetto» di Putin. 

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18 ottobre, 2024

Melanconia

 

Melanconia

Origine del nome e del concetto

In un clima sociale ed ecclesiale come quello attuale, nel quale vediamo foto di singoli, gruppi, comunità, famiglie, religiosi, preti, vescovi, cardinali fino al Papa ridere a bocca aperta in un clima di festa, sentiamo continuamente i predicatori proclamare che la vita cristiana è gioia, che occorre vivere nella gioia, continuano tuttavia ad esistere i malinconici, i tristi, i piangenti, i tormentati, i disperati, gli smarriti,  anche tra gli stessi giovani, fino ad avere frequenti notizie di suicidi od omicidi o stragi terrificanti, a parte le guerre in corso, sintomi evidenti di un radicale vuoto di ideali, di una totale assenza dei valori sotto un manto di libertà, senz’alcun freno morale, senza il presidio di alcuna disciplina e senza l’occhio ad alcuna verità.

Tra tutti questi mali, con intento ovviamente costruttivo, ne scelgo qui uno, un male sottile dello spirito e della psiche, dal quale invece alcuni traggono un gusto morboso e malsano, un male che quindi occorre correggere con opportuni accorgimenti teoretici, pratici ed educativi.

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Agrippa scrisse la sua Occulta philosophia nella quale da una parte garantiva la possibilità della visione dell’Assoluto al di là di ogni concetto, ma dall’altra scrisse un trattato per sostenere la vanità di tutte le scienze dando mostra di uno sfrenato scetticismo. L’opera fu condannata dalla Sorbona; ma bastava che gli avessero detto: se metti in dubbio il valore di tutte le scienze, allora devi negare a quanto dici un valore scientifico.

In realtà, la tesi secondo la quale la genialità nascerebbe dalla melanconia, alla quale pertanto verrebbe data una funzione positiva, è una tesi del tutto campata per aria. La vera genialità suppone quanto di più opposto si possa pensare alla melanconia: suppone straordinarie energia, vitalità, fertilità, intuitività, produttività ed iniziativa psicoemotive, intellettuali e volontarie.

Quanto al sapere o vedere teologico o mistico, questo non suppone necessariamente la genialità, ma una retta fede, la sapienza, la purezza della coscienza morale e la pietà religiosa. Se per malinconia intendiamo la tristezza e un certo sconforto, ebbene, qui può occasionalmente inserirsi la melanconia, che meglio va chiamata malinconia, ma che poi, lungi dall’alimentare, occorre scacciare con forza secondo il consiglio di San Filippo Neri: «scrupoli e malinconia fuori di casa mia!». Quanto più sentiamo in noi la presenza di Dio, tanto più ogni malinconia scompare come nebbia al sole e subentra una gioia pura senza ombre e senza condizioni.

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- La storia vera di San Filippo Neri raccontata in Preferisco il Paradiso : https://www.youtube.com/watch?v=ONn-2VLMLlA - https://www.youtube.com/watch?v=30ubuSB3vmQ

- Agrippa Occulta philosophia



16 ottobre, 2024

Fruizione ed astinenza - Considerazioni sulla vita ascetica

 

Fruizione ed astinenza

Considerazioni sulla vita ascetica

 

C’è un tempo per abbracciare

                                                                                                       e c’è un tempo per astenersi dagli abbracci

Qo 3,5

Perchè mi sono fatto frate nel 1971

Oggi è diffusa una concezione della vita cristiana per la quale, col pretesto che essa è basata sull’amore e la libertà, che il cristiano è una persona gioiosa e misericordiosa, inclusiva e comprensiva, che ognuno ha una sua propria via di felicità, che Dio dà grazia a tutti e ci prende come siamo, si rifiutano princìpi morali assoluti ed universali, si rifugge dal concepire la morale come obbedienza a una legge, come esercizio faticoso del dovere, e si rifugge in ogni modo dalla sofferenza, dallo sforzo, dalla fatica e dalla rinuncia.  Non ci si preoccupa di evitare il peccato perché si pensa che Dio perdona tutti. Non si è disposti ad evitare il peccato, se ciò comporta sofferenza. Da qui per esempio la legalizzazione dell’eutanasia. Il male non è il peccare, ma il soffrire.

Fuggire il male per i buonisti e gli edonisti non è fuggire il peccato, ma fuggire la sofferenza. Non si devono compiere azioni che costino o che comportino sofferenza, ma solo azioni che ci piacciono. Oppure si compiono grandi sacrifici per fruire di beni vani ed effimeri Concetti come espiazione, soddisfazione, riparazione, sacrificio per loro non hanno senso. Non si deve far soffrire nessuno. Pertanto, se esiste il peccato, questo è l’irrogare una pena, è il castigare qualcuno. Il male è credere che sia possibile volere e fare il male. Viceversa, tutti sono buoni: solo che hanno concezioni diverse del bene e del male. Bisogna lasciar libero ciascuno di seguire la propria morale. 

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San Giovanni Paolo II assume con franchezza la nuova visione della donna, quella veramente biblica, ricavata dalla Genesi, dall’Apocalisse e dagli insegnamenti di Cristo, visione già introdotta da Pio XII come compagna dell’uomo, di pari dignità personale e uguaglianza di natura, voluta da Dio affinchè tra i due esista una reciprocità su tutti i piani dell’esistenza e della socialità.

Quanto a San Tommaso, egli mi ha fatto capire altresì la distinzione fra la fruizione di certi beni nella vita futura e la loro astinenza nella vita mortale. La fruizione riguarda l’attuazione dei valori protologici culminanti in quelli escatologici.

Per far luce su queste cose sorprendenti e quasi incredibili, per offrire un orizzonte di comprensione adeguato nel quale collocarle e per dare ad esse una plausibilità, bisogna che noi ci rifacciamo a quanto insegna San Paolo, quando dice che la vita presente è un passaggio dall’uomo vecchio all’uomo nuovo, dall’uomo animale all’uomo spirituale, ossia dallo stato di natura decaduta alla natura redenta e da questa alla futura natura risorta, la «creatura nuova», che nasce col battesimo, per il quale rinasciamo come figli di Dio, ad immagine del Figlio, mossi  dallo Spirito Santo.

 


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- La Pala di Ognissanti di Ludovico Brea, Genova
 
 

14 ottobre, 2024

La persona come sostanza e la persona come relazione - L’equivoco della cosiddetta «ontologia trinitaria»

 

La persona come sostanza e la persona come relazione

L’equivoco della cosiddetta «ontologia trinitaria»

 

Consubstantialem Patri

Exaltavit humiles

Nel numero uno di quest’anno del periodico PATH della Pontificia Accademia Teologica è apparso un articolo di Giulio Maspero Dall’ontologia di Nicea all’ontologia trinitaria, la cui tesi, intento e compito da lui proposto è presentato nelle ultime parole dell’articolo:

 

«Affrontare le sfide poste dalla post-modernità a partire dall’ontologia di Nicea e dal cammino teologico che ha portato a riconoscere la compenetrazione di relazioni e sostanza nel Dio unitrino può davvero permettere di dare risposta alla dimensione aporetica della metafisica classica e agli sforzi che la modernità ha implementato per superarla» (p.70).

Osservo innanzitutto che  la chiarificazione postnicena del mistero trinitario non è stata effetto di un «cammino teologico», ma di un progresso dogmatico, per il quale al Concilio di Firenze la Chiesa non ha insegnato nessuna «compenetrazione di relazioni e sostanza nel Dio unitrino», ma al contrario ha ben distinto la sostanza o natura divina, dove «omnia sunt unum» (Denz.1330), ossia tutti gli attributi divini si identificano tra di loro nell’infinita semplicità della natura o essenza divina dalla persona divina («relationis»). 

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La metafisica non sa nulla del fatto che la relazione possa essere elevata al rango di sussistente, quasi fosse una sostanza e quindi non può assolutamente dimostrarlo. Ma Dio, che abbassa i superbi ed innalza gli umili, si è compiaciuto di servirsi del più basso di tutti gli enti, cioè la relazione, per rappresentare addirittura la Persona divina, la quale in Dio non è una sostanza, perchè sostanza è solo la natura divina, ma è relazione sussistente. Dunque l’ente trinitario certamente esiste, ma ciò lo sappiamo solo dalla fede, per cui è oggetto di fede e non può essere oggetto di ragione ossia della metafisica.

Se si può parlare della presenza di una triade nell’ente metafisico, questa è la composizione di soggetto, essenza ed essere, per cui diciamo che l’ente è ciò che ha un’essenza in atto d’essere.

L’ente trinitario non è l’ente come tale, ma l‘ente divino! È Dio e non l’ente simpliciter proprio della metafisica, ma è l’ente sommo e supremo, che è una natura, non una natura qualunque, ma la natura divina, che è una in tre persone. 

Certo l’ente è analogico, ossia uno e molteplice. Ma ciò non vuol assolutamente dire uno di essenza e trino di persone.

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13 ottobre, 2024

Alcune obiezioni a Padre Radcliffe

 

Alcune obiezioni a Padre Radcliffe

Un mio illustre e famoso Confratello, il Padre Timothy Radcliffe, ex-Maestro Generale del mio Ordine, è stato come è noto di recente elevato dal Papa alla dignità cardinalizia e non posso che rallegramene. Gli auguro di continuare ancora con maggior frutto l’opera che sta svolgendo per il bene della Chiesa[1] e delle anime.

Non dubito che il Santo Padre abbia voluto premiarlo per i suoi meriti. Tuttavia ritengo di fare un utile servizio ai lettori e alla Chiesa ripubblicare, opportunamente riveduto e corretto, un articolo che scrissi su di lui nel 2017 e che ripubblicai su questo blog nel 2019, dove manifestavo alcune preoccupazioni sul suo conto. 

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https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/alcune-obiezioni-padre-radcliffe.html


 "Soffermiamoci piuttosto su di esse nel silenzio della preghiera e dell'ascolto reciproco. Ascoltiamo, come qualcuno ha detto, non per rispondere, ma per imparare. Apriamo la nostra immaginazione a nuovi modi di essere la casa di Dio dove c’è posto per tutti. Altrimenti, come diciamo in Inghilterra, non faremo altro che ridisporre le sedie a sdraio sul Titanic. Nonostante l'accoglienza ostile dei discepoli, la donna rimane. Non si arrende e non se ne va. Per favore, restate, qualunque siano le vostre frustrazioni nei riguardi della Chiesa. Continuate a interrogarvi! Insieme scopriremo la volontà del Signore."

Da:  https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2024-10/testo-integrale-meditazione-padre-radcliffe-10-ottobre-2024.html

10 ottobre, 2024

I gradi di autorità del magistero pontificio

 

I gradi di autorità del magistero pontificio

L’autorità dottrinale e pastorale del Papa

Cristo ha incaricato Pietro di confermare i suoi fratelli nella fede in quanto Egli aveva insegnato. In tal modo Pietro, assistito da Cristo, vicario di Cristo e in nome di Cristo è stato da Cristo costituito dottore e maestro della dottrina di Cristo.

Pertanto, quando siede su questa cattedra («ex cathedra Petri»), cioè quando insegna alla Chiesa ciò che Cristo ha insegnato per la nostra  salvezza e ci propone a credere, fruisce di uno speciale dono, esclusivamente appartenente al Papa, per il quale egli, secondo diversi gradi di autorità esposti nel Codice di diritto canonico (cann.749-752) in materia di fede e di costumi, è sempre veridico cioè insegna sempre ed infallibilmente la verità del Vangelo, non sbaglia mai, non si inganna e non inganna, non può cambiare o ritrattarsi, né possono farlo i suoi Successori; non può mutare o riformare o rivedere o reinterpretare o correggere quanto ha detto, ma solo divulgarlo, ripeterlo, approfondirlo, svilupparlo, chiarirlo e spiegarlo, sicchè i suoi insegnamenti non sono falsificabili né al presente né al futuro fino alla fine del secoli.

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https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/i-gradi-di-autorita-del-magistero.html 


San Giovanni Paolo II col suddetto intervento precisa che il Papa è infallibile non solo nel magistero straordinario come quello contemplato dal Vaticano I, ma anche in quello ordinario, anche quando propone nuove dottrine, perché anche in questo caso insegna come maestro della fede, in materia di fede, dalla cattedra di Pietro, ossia come Successore di Pietro («ex cathedra»).

Da Internet:
- https://www.basilicasanpietro.va/it/san-pietro/la-cattedra-di-san-pietro.html