I gradi di autorità del magistero pontificio

 

I gradi di autorità del magistero pontificio

L’autorità dottrinale e pastorale del Papa

Cristo ha incaricato Pietro di confermare i suoi fratelli nella fede in quanto Egli aveva insegnato. In tal modo Pietro, assistito da Cristo, vicario di Cristo e in nome di Cristo è stato da Cristo costituito dottore e maestro della dottrina di Cristo.

Pertanto, quando siede su questa cattedra («ex cathedra Petri»), cioè quando insegna alla Chiesa ciò che Cristo ha insegnato per la nostra  salvezza e ci propone a credere, fruisce di uno speciale dono, esclusivamente appartenente al Papa, per il quale egli, secondo diversi gradi di autorità esposti nel Codice di diritto canonico (cann.749-752) in materia di fede e di costumi, è sempre veridico cioè insegna sempre ed infallibilmente la verità del Vangelo, non sbaglia mai, non si inganna e non inganna, non può cambiare o ritrattarsi, né possono farlo i suoi Successori; non può mutare o riformare o rivedere o reinterpretare o correggere quanto ha detto, ma solo divulgarlo, ripeterlo, approfondirlo, svilupparlo, chiarirlo e spiegarlo, sicchè i suoi insegnamenti non sono falsificabili né al presente né al futuro fino alla fine del secoli.

In tal modo il Papa, peccatore come tutti noi, può peccare  contro tutte le virtù, e la storia lo dimostra, ma, e la storia dimostra anche questo, quando insegna alla Chiesa dalla cattedra di Pietro, ossia come Papa, come maestro e interprete della verità di fede, della Scrittura o della Tradizione, illumina, chiarisce, spiega e conferma, ma non pecca mai, non può mentire, non può tradire Cristo o il Vangelo, non può ingannarsi, non può falsificare, fraintendere o deformare la Parola di Dio, non può cambiare il dogma, non può guidare fuori strada, non può cadere nell’eresia e men che meno perdere la fede.

 L’autorità del Papa come nostra guida istituita da Cristo per condurci alla salvezza comporta un aspetto dottrinale e un aspetto pastorale. L’aspetto dottrinale è il magistero pontificio vero e proprio e riguarda due ordini di verità di fede («de fide et moribus»): verità speculative o teoriche o teoretiche, attinenti al mistero di Dio, a quanto  Dio ci ha detto di Se stesso per mezzo di Cristo, cose (gli attributi divini) che sono semplicemente da sapere, contemplare, amare e gustare e che conosceremo svelatamente e godremo pienamente in cielo nella visione beatifica, e verità morali, comandamenti, norme, leggi divini, oggetti di fede  da mettere in pratica adesso per prepararci alla visione beatifica.

L’aspetto pastorale si potrebbe chiamare magistero pastorale, che concerne però non tanto il suo sapere, quanto piuttosto la volontà del Papa come Pastore della Chiesa.

Si tratta di quello che il Papa comanda o proibisce di fare nei contesti storici e nelle situazioni particolari e contingenti, per imparare efficacemente la Parola di Dio e metterla in pratica fruttuosamente nella nostra vita di tutti giorni.

Si tratta di direttive, disposizioni, decisioni, indicazioni circostanziate, norme giuridiche, disciplinari o liturgiche (per esempio i motu proprio) di diritto positivo, che il Papa a suo giudizio, come ritiene meglio, opportuno o necessario, emana o si riserva di mantenere o mutare, istituire ex novo o abrogare anche nei confronti di ciò che ha fatto un suo Predecessore, secondo la sua prudenza, a seconda dei casi e delle circostanze.

È, questo, l’esercizio del cosiddetto «potere delle chiavi», che non riguarda la dottrina, ma la direzione concreta della condotta del fedele. Si tratta del potere giurisdizionale o di governo, ossia dell’organizzazione gerarchica e giuridica delle attività della Chiesa, si tratta dell’ufficio del Papa come giudice supremo incaricato da Cristo di far giustizia; si tratta del suo ufficio e potere, come sommo sacerdote, di santificare le anime per mezzo dei sacramenti, di sommo moderatore del culto divino.

In tutti questi uffici e servizi il Papa non è infallibile, non è impeccabile, per cui  può mancare di giustizia e d prudenza, di mitezza o di pazienza, può essere irascibile o dispotico, pauroso od opportunista,  poco leale e poco onesto; a volte troppo esigente o severo, a volte troppo largo e indulgente.

Mentre dunque non avrebbe senso pretendere di correggere il Papa nel campo della dottrina, come pretesero di fare Michele Cerulario e Lutero, ed oggi vorrebbero fare modernisti e lefevriani, può essere opportuno ed utile per la Chiesa, correggerlo in questo campo della sua azione pastorale o di governo o nella sua stessa condotta morale, come ce ne danno l’esempio grandi Santi riformatori, come San Pier Damiani, San Domenico, San Francesco,  Santa Caterina da Siena, il Savonarola  o il Beato Rosmini.

I tre gradi di autorità dottrinale

Perché il Diritto canonico presenta tre gradi di autorità dottrinale? Qual è il motivo e il criterio di questa molteplicità? Su che cosa si basa?

Perché San Giovanni Paolo II con la Lettera Apostolica Ad tuendam fidem del 1998* ha fatto aggiungere un secondo comma nel can.750, ossia un terzo grado di autorità dottrinale del Papa, un grado intermedio fra i due (can.749-750, primo comma) del precedente testo canonico?

Perchè si era accorto di un sotterfugio al quale ricorrevano i lefevriani, i quali, col pretesto che il Concilio Vaticano I dichiarava come dogma che il Papa insegna infallibilmente quando solennemente  «ex cathedra» definisce un nuovo dogma, Ora, siccome né il Concilio Vaticano II né i Papi del postconcilio si sono valsi di questo potere eccezionale del Magistero dottrinale, ossia non hanno definito solennemente nuovi dogmi, i lefevriani ritenevano di avere la porta aperta  per poter accusare il Concilio e i Papi postconciliari di eresia o quanto meno di ritenerli fallibili per il fatto che non hanno mai usufruito del potere pontificio dogmatizzato dal Concilio,

San Giovanni Paolo II col suddetto intervento blocca quell’operazione disonesta precisando che il Papa è infallibile non solo nel magistero straordinario come quello contemplato dal Vaticano I, ma anche in quello ordinario, anche quando propone nuove dottrine, perché anche in questo caso insegna come maestro della fede, in materia di fede, dalla cattedra di Pietro, ossia come Successore di Pietro («ex cathedra»).

In tal modo dal Diritto Canonico così perfezionato dal Papa risulta che il pronunciamento papale del quale parla il Vaticano I è solo il primo e più alto grado di un’autorità dottrinale che non è infallibile, ossia assolutamente veridica, ossia sempre vera e mai falsificabile, solo a quel grado, ma lo è anche negli altri due che ha sotto di sé: il secondo (Can.750, secondo comma, grado medio) e il terzo ed infimo grado (Can.752).

Gradi della fede e gradi del dogma

In base a quanto detto sui gradi di autorità dottrinale del Papa, è chiaro che a ciascuno di questi gradi corrisponde un grado di credibilità della materia di fede trattata a quel grado ed oggetto del corrispondente grado di autorità del Papa, mentre nel fedele esisterà il grado di fede corrispondente al grado di credibilità della materia di fede e al grado di autorità secondo il quale il Papa la insegna.

Occorre allora vedere adesso il rapporto autorità-materia di fede (dogma)-fede in ciascuno dei tre gradi. Premetto che il supremo contenuto di fede, dopo la stessa Parola di Dio e di Cristo contenuta nella Scrittura e nella Tradizione, è il Simbolo della fede; sono cioè i singoli articoli di fede contenuti nel Credo. Questi contenuti sono i cosiddetti «dogmi». Il dogma in generale è una proposizione elaborata dalla Chiesa come interpretazione e spiegazione della Parola di Dio.

Il riferimento al dogma è contenuto in tutti e tre i gradi di dottrina che siamo venuti esaminando, perché si tratta sempre di verità di fede. Al dogma nel senso più forte si riferisce il primo grado citato dal primo comma del Can.750. Esso usa queste parole: «tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio scritta o trasmessa e che la Chiesa, sia con giudizio solenne, sia con magistero ordinario e universale propone a credere come divinamente rivelato». Qui abbiamo il dogma formalmente ed esplicitamente definito come dogma.

Nel secondo comma abbiamo il dogma riferito al secondo grado di autorità: «tutte e singole le cose che vengono proposte definitivamente dal magistero della Chiesa circa la fede e i costumi, quelle cioè che sono richieste per custodire santamente ed esporre fedelmente lo stesso deposito della fede». È chiaro che questo «esporre» sottintende lo sviluppo o progresso dottrinale nella continuità.

Al terzo grado a cui si riferisce il Can.752 il dogma appare solo ad un livello embrionale ed implicito e non dichiarato; appare come semplice dottrina di fede del magistero ordinario priva di qualunque solennizzazione e riconoscimento come dogma e tuttavia è anch’essa suscettibile, se la Chiesa lo riterrà opportuno, di essere solennemente ed esplicitamente dogmatizzata salendo al secondo grado e da questo al primo.

Così qui è chiamato il dato di fede: «dottrina circa la fede e i costumi enunciata dal Sommo Pontefice e dal Collegio dei Vescovi». Queste dottrine potranno eventualmente un giorno passare al primo grado. Così è accaduto, per esempio, alla dottrina della creazione o degli angeli, elevata a dogma nel 1215, alla dottrina dei dannati dell’inferno elevata a dogma dal Concilio di Quierzy dell’856, alla dottrina della visione beatifica, elevata a dogma nel 1336 o dell’immortalità dell’anima elevata a dogma nel 1513, alla dottrina dell’Immacolata, elevata a dogma solo nel 1854, alla dottrina della dimostrabilità dell’esistenza di Dio, elevata a dogma dal Concilio Vaticano I, tutte dottrine inizialmente di terzo grado elevate poi al primo.

Una dottrina oggi a stento di terzo grado, dato che è piuttosto discussa, è quella della Corredentrice. Ma supponendo che una buona mariologia riesca a togliere ogni sospetto di massimalismo mariano, si potrebbe auspicare l’elevazione al secondo grado. E supponendo un progresso nel dialogo ecumenico con i protestanti, tale da fugare in loro ogni preoccupazione, il Papa potrebbe festeggiare questo successo col dogmatizzare il titolo al primo grado. Sarebbe un trionfo stupendo di Maria Madre di tutti i cristiani, Regina di pace e di riconciliazione.

Che cosa è che induce la Chiesa ad elevare di grado una dottrina rivelata o di fede? Possono essere due motivi: un motivo pastorale: la Chiesa in un dato momento storico giudica che occorra evidenziare una data verità con particolare forza, oppure un motivo di difesa della fede: rispondere agli attacchi degli eretici. Per esempio, ciò che il Concilio di Trento ha insegnato contro Lutero: il numero dei sacramenti, la Messa come sacrificio, la transustanziazione, il sacerdozio.

Per quanto riguarda l’atto di fede che accoglie le verità di fede a questi tre gradi, diciamo: l’atto di fede col quale il fedele accoglie il dogma definito di primo grado, è «l’atto di fede divina e cattolica» (Can. 750, comma primo). L’atto di fede col quale accoglie la dottrina di secondo grado, ossia il dogma prossimamente definibile, è la «fede nell’assistenza dello Spirito Santo al magistero e sulla dottrina cattolica dell’infallibilità del magistero (dottrine de fide tenenda)» (Nota Dottrinale, n.8).

Per quanto riguarda l’assenso alle dottrine del terzo grado, siccome trattano ancora di materia di fede, è ancora un assenso di fede nell’autorità della Chiesa, atto che viene designato dal Codice come «religioso ossequio dell’intelligenza e della volontà» (Can.752). Mai dunque è giustificato il dissenso perché anche qui la Chiesa insegna una verità divina che non muta, sapendo di non sbagliare ma di guidare gli uomini alla salvezza[1].

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 8 ottobre 2024


San Giovanni Paolo II col suddetto intervento precisa che il Papa è infallibile non solo nel magistero straordinario come quello contemplato dal Vaticano I, ma anche in quello ordinario, anche quando propone nuove dottrine, perché anche in questo caso insegna come maestro della fede, in materia di fede, dalla cattedra di Pietro, ossia come Successore di Pietro («ex cathedra»).

Da Internet:
- https://www.basilicasanpietro.va/it/san-pietro/la-cattedra-di-san-pietro.html

 * https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/motu_proprio/documents/hf_jp-ii_motu-proprio_30061998_ad-tuendam-fidem.html

https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_1998_professio-fidei_it.html 

[1] Per ulteriori ragguagli consiglio di consultare il libro ancora attuale del Padre Sisto Cartechini S.J., Dall’opinione al domma. Valore delle note teologiche, Edizioni della Civiltà Cattolica, Roma 1953.

6 commenti:

  1. Gentile Padre,

    Lei fa riferimento alla "dottrina dei dannati dell’inferno elevata a dogma dal Concilio di Quierzy dell’856". Ora, so che lei sostiene che questa dottrina, sancita qui da un concilio provinciale sia stata poi fatta propria dal magistero universale (lo ha già precisato altrove), ma purtroppo, come sa, chi vorrebbe svuotare l'inferno si appella al fatto che il concilio di Quierzy ha appunto un carattere locale e che i suoi decreti non possono avere portata universale. Potrebbe giustificare il fatto che lei parla qui di una dottrina "elevata a dogma" da un sinodo provinciale? Può un'assise locale elevare a "dogma" una dottrina?

    Cordialemente Suo in Cristo,

    Pietro

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    1. Caro Pietro,
      bisogna tenere presente che il Concilio di Quierzy è stato un Concilio di carattere dottrinale. Ora, l’importanza dottrinale dei Concili non è data necessariamente dal fatto che siano universali, perché possono benissimo anche essere locali. Ma la loro importanza dogmatica dipende dal fatto che la dottrina della quale trattano è universale, ossia è materia di fede e di morale.
      Ora, è evidente che, essendo il Papa il supremo custode della dottrina, se si riunisce un Concilio locale, è chiaro che questo Concilio, per avere valore universale, deve avere l’approvazione del Papa.
      Io non so come esattamente sono andate le cose, ma una cosa è certa, che, se questo Concilio ha emanato dei canoni – e i canoni hanno un valore dogmatico – certamente il Papa li ha approvati e quindi diventa dottrina del ministero pontificio.
      Come grado dottrinale certamente non è il primo, ma potrebbe essere o il secondo o il terzo. Con l’espressione “elevata a dogma” intendevo riferirmi al fatto che certamente i Padri del Concilio hanno assunto una dottrina teologica precedente e l’hanno dogmatizzata.
      Il Concilio di Quierzy è riportato nel Denzinger n. 623.

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  2. Non sono teologo, né lefebvriano, ma è la prima volta che sento questa interpretazione dei gradi di autorità del Magistero... mi sembra delirante che sia infallibile tutto quello che dice il Papa, anche se è sulla fede e morale... tutto?...

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    1. Caro Fabrizio,
      bisogna che precisiamo che cosa la Chiesa intende dire quando dice che il Papa, dalla cattedra di Pietro (ex cathedra Petri), è infallibile, ovvero veridico, in materia di fede e di morale.
      Essa non dice altro che egli svolge quel compito di confermare i fratelli nella fede, che Cristo ha affidato a Pietro, compito che permane nei Successori di Pietro, per il fatto che Gesù ha promesso a loro che sarà con loro fino alla fine del mondo.
      E’ chiaro che al di fuori di queste occasioni nelle quali il Papa svolge il suo ufficio petrino, è una persona fallibile come tutti noi, per cui non possiede quel carisma di infallibilità del quale fruisce nei momenti in cui svolge il suo compito di Maestro della Fede per tutta la Chiesa.

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  3. Caro padre Cavalcoli,
    Lo seguo di solito, non solo qui sul suo blog, ma anche sulla sua pagina Facebook, dove le sue risposte sono spesso molto istruttive. Lì su Facebook, uno dei suoi lettori ha fatto l'accusa di eresia contro Radcliffe, e lei gli ha chiesto con quale preparazione si permetteva di giudicare con tanta sicurezza...
    Mi sorprende padre... a volte ho sentito il desiderio che censurasse per lo stesso (grave accusa di eresia e scisma) dei commentatori del blog... ma ho rinunciato, perché pensavo che non avrei ricevuto bene la mia richiesta... Attenzione con il doppio bastone perché è pericoloso.
    Sono in disaccordo con lei riguardo al titolo abilitante in quanto ciò che rende possibile il giudizio teologico competente è l'abitudine della scienza teologica acquisita non il mero titolo sebbene oggi sia necessario anche il titolo più per una questione istituzionale che per un'altra cosa. Credo che si abbia bisogno anche della missio canonica per poter insegnare. Se la scienza teologica è accompagnata da una conoscenza mistica di Dio molto migliore e più vera delle conoscenze del teologo in questione.
    D'altra parte, che piaccia o no a me e a lei il P. Radcliffe si avvicina pericolosamente all'eresia: c'è un articolo di un teologo domenicano fra Nelson Medina che lo avverte dolorosamente. è triste ma è la realtà.
    Infine, il teologo potrà diagnosticare o esaminare se una persona è caduta o no in eresia, ma l'essenziale per l'atto di eresia non è la diagnosi teologica ma la proposizione di qualcosa contrario alla fede con l'intento di negare ciò che crede la Chiesa. In Cristo.

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    1. Caro Anonimo,
      io non posso che ribadire quel che ho detto. Le ho fatto anche un paragone con la professione del medico. Mi riferivo ai casi nei quali c’è un sospetto di eresia, ma non è così sicuro che il soggetto sia eretico. Mentre nei casi nei quali si tratta di eresie già condannate dalla Chiesa, se uno sostiene tale eresia e si è sicuri che lo abbia fatto, in questo caso il giudizio è abbastanza facile e non occorrono particolari competenze.
      Ma nel caso di un cardinale appena nominato, che tutto sommato ha una buona fama, le confesso che il sentirlo accusare di eresia con tale sicurezza non mi convince. Sentirei il bisogno di una attenta verifica, anche se devo dirle con tutta franchezza che molti anni ebbi con lui una corrispondenza epistolare, nella quale egli difendeva Schillebeeckx. In questi ultimi anni, io non l’ho più seguito e quindi è possibile, anzi probabile, che si sia corretto.
      Credo di avere già risposto a queste sue parole, a quanto ho già detto sopra.
      Non conosco questo mio confratello Nelson Medina. Eventualmente avrei piacere l’articolo dal quale lei ha attinto.
      Le faccio osservare che in alcuni casi occorre una indagine condotta da competenti, mentre in altri casi l’eresia è evidente e la può riconoscere anche un comune fedele.

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