Articoli e testi di P.Giovanni Cavalcoli

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P.Tomas Tyn

Testi di P. Tomas Tyn, OP

10 novembre, 2024

Chi è il tradizionalista?

 

Chi è il tradizionalista?

Custodisci il deposito

I Tm 6,20

Vi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto

I Cor 15,3

 Chiarire il significato di un termine

 Sentiamo di frequente l’uso di questo appellativo «tradizionalista» o in bocca a certi cattolici che tengono a qualificarsi come tradizionalisti e se ne vantano o in bocca di altri che qualificano questi cattolici con questo appellativo intendendolo in senso spregiativo o come nota di biasimo. Questi altri, di orientamento modernista, si offenderebbero a sentirsi chiamare con quel nome. Si tratta di una situazione anormale, spiacevole, incresciosa, segno di una reciproca incomprensione, alla quale occorre rimediare e per la quale tutta la Chiesa soffre.

Come mai questa situazione? Da che cosa è nata? Come sono esattamente i suoi termini? Come rimediarvi? Vediamo qui cosa possiamo fare perché tra questi nostri fratelli sorga la pace in una serena collaborazione reciproca, ciascuno mettendo a frutto i propri talenti e i doni ricevuti. 

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Se per tradizione intendiamo la trasmissione di bocca in bocca della parola di Dio, la verità evangelica si chiarisce nella parola più che ricorrendo allo scritto. È nel colloquio franco e fraterno che la Chiesa ha sempre risolto le controversie sull’interpretazione della Parola di Dio, più che facendo appello allo scritto, benché anche il far appello alla tradizione scritta contro le posizioni dei vescovi o del Papa non appaia efficace, dato che sono loro ad essere gl’interpreti della tradizione. Il dato della tradizione è norma di fede non in base al semplice giudizio del fedele, ma solo quello riconosciuto tale dalla Chiesa, dato che così diventa dogma di fede.

Il Vangelo non è originariamente uno scritto, ma è una parola messa per iscritto. Se quindi sorge un dubbio di interpretazione, non basta far capo allo scritto, ma bisogna consultare l’autore o chi per lui, cioè i successori degli apostoli.

Esser fedeli alla Tradizione non chiede il rifiuto delle nuove dottrine del Concilio quasi fossero deviazioni liberali, luterane, massoniche o moderniste. Al contrario, il tradizionalista alla Padre Tyn è quello che si è accorto che non esiste alcun contrasto fra le dottrine del Concilio e quelle della Tradizione, salvo che non si tratti di usi, idee o comportamenti, che la Chiesa stessa ha abbandonato.

Ciò di cui il tradizionalista postconciliare si accorge è che nelle dottrine del Concilio i dati della tradizione non solo sono confermati, ma meglio conosciuti e principio di una vita cristiana migliore e più santa.

Immagine da Internet

08 novembre, 2024

Il concetto dell’Intero nel pensiero di Gustavo Bontadini - Terza Parte (3/3)

 

Il concetto dell’Intero nel pensiero di Gustavo Bontadini

Terza Parte (3/3)

Da Parmenide attraverso Severino

Il concetto bontadiniano dell’intero trae ispirazione da quello di Severino, che a sua volta si basa sul concetto parmenideo univoco dell’essere inteso come assoluto essere, essere necessario ed eterno, unico ente esistente, per cui si capisce che a queste condizioni tutti gli enti finiti, temporali, divenienti e contingenti o non esistono o dovranno far parte dell’unico esistente, appunto l’Intero: o saranno mere illusoria apparenze, come la maya indiana,  o dovranno essere le varie apparizioni o teofanie dell’Assoluto o dell’Intero.

Parmenide è stato indubbiamente lo scopritore dell’ipsum Esse, l’essere sussistente, infinito ed assoluto, ma non ne ebbe piena coscienza, perché ritenne che esso fosse l’essere (einai) come tale. E invece, come chiarirà San Tommaso, l’ipsum Esse è il summum ens e il primum ens, al vertice degli enti.

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Severino ha esposto la sua visione dell’Intero nel suo famoso scritto «la struttura originaria». Il progetto severiniano del quadro sintetico metodologico dell’accesso all’Intero è certamente importante, ma purtroppo è viziato dall’impostazione non propriamente ontologica, ma meccanicistica di impronta cartesiana.

Osserviamo che la struttura è l’ordine delle parti di qualche artificiato plasmabile od organizzabile in parti: la struttura di un edificio, la struttura di una macchina, la struttura di un’opera d’arte.

Inoltre la metafisica ha sì per oggetto primario la sostanza e secondariamente l’accidente, ma, come ho detto, non tratta necessariamente della sostanza composta, ma abbraccia anche la sostanza semplice, che non è un intero, ma semplicemente un uno o forma indivisibile. La metafisica divide invece l’essere in essere per partecipazione ed essere per essenza.


Il partecipare in senso metafisico non va inteso in senso quantitativo, così come la fetta di una torta è parte della torta, e neppure sociologico, così come l’individuo è parte della società, o in senso anatomico, così come il fegato è parte del corpo dell’animale.

L’essere per partecipazione è un essere inferiore e dipendente dall’essere per essenza, che è essere nel senso pieno ed assoluto, mentre l’essere partecipante è essere in senso debole, essere relativo all’essere per essenza.

Immagini da Internet
- Eraclito
- Leibnitz

07 novembre, 2024

Il concetto dell’Intero nel pensiero di Gustavo Bontadini - Seconda Parte (2/3)

 

Il concetto dell’Intero nel pensiero di Gustavo Bontadini

Seconda Parte (2/3)

 L’impresa di Bontadini

Il bisogno di Bontadini in sé era legittimo, ma l’errore fu quello di partire da un principio insufficiente e sbagliato, che non può essere l’io, perché l’io non è un trascendentale ma un categoriale quindi daccapo, l’io non può coprire tutto l’orizzonte dell’essere, perché essere non è solo l’io, ma anche il tu. Chi centra tutta la realtà sul proprio io non capisce più l’alterità, la differenza e la diversità. Non gli resta che o negarla o di ridurla al proprio io, due modi per non render loro giustizia.

Per Bontadini l’oggetto della filosofia e della metafisica è l’intero. «La filosofia è la funzione dell’Intero». «La metafisica è scienza o protoscienza dell’Intero». «La filosofia sopravvive come scegliersi del singolo in rapporto all’Intero». «L’assunto degno di un filosofo sarebbe quello di inserire la scienza nel piano dell’intero, dopo averla scaricata dei presupposti dei quali è gravata» (probabile accenno al realismo). «La “filosofia” contemporanea non è sul piano dell’Intero».

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Il moderno idealismo costituisce, secondo lui, un progresso formidabile (garantisce all’umanità la possibilità di pensare), ma esso sarebbe inveramento dell’antico realismo, che egli vede in Parmenide ancor prima che in Aristotele. Ora, dico io, che vi sia un punto di contatto fra idealismo e realismo lo troviamo in San Tommaso, quando, riprendendo Aristotele, afferma che intellectus in actu est intellectum in actu. L’intelletto in atto è l’inteso in atto.

Quindi qui abbiamo un’identità intenzionale o rappresentativa (esse intentionale, esse cognitum) non però ontologica, del pensare con l’essere. L’essere è nel pensiero in quanto pensato, ma resta fuori in sé stesso. Invece Bontadini non vuole questo essere extramentale e concepisce l’essere solo come essere pensato, alla maniera degli idealisti. Però vuol distinguere un «vero» da un falso idealismo. Quello vero si troverebbe in Parmenide, dove secondo Bontadini è possibile una conciliazione dell’idealismo col realismo di Aristotele.


E forse questo intendeva dire Parmenide col suo assioma to autò to noèin kai to einai, «lo stesso è il pensare e l’essere»: un detto che però può ricevere due interpretazioni: o quella idealistica dell’identità del pensiero con l’essere, oppure realistica riferita all’atto del conoscere il vero: quando conosciamo la verità ciò che noi pensiamo è ciò che è.

Resta comunque il fatto che tra realismo ed idealismo occorre scegliere come si sceglie tra il vero e il falso. San Tommaso ha anticipato di sei secoli la confutazione dell’idealismo nell’art.2 della q.85 della Prima Parte della Summa Theologiae: l’idealista quando parla dell’eventualità di considerare come oggetto del sapere le idee e non la realtà.

Le idee (primae intentiones) sono mezzi per conoscere. Diventano oggetto di conoscenza solo in seconda battuta (secundae intentiones) nella logica.

Immagini da Internet: 
- Aristotele
- San Tommaso d'Aquino

05 novembre, 2024

Il concetto dell’Intero nel pensiero di Gustavo Bontadini - Prima Parte (1/3)

 

Il concetto dell’Intero nel pensiero di Gustavo Bontadini

Prima Parte (1/3)

Egli è tutto

Sir 43, 27

Tutte le cose sono a coppia

Sir 42,24

 

Alla ricerca di una visione originaria e totale della realtà

Non c’è dubbio che la filosofia in quella sua espressione fondamentale e suprema che è la metafisica, esprime il desiderio, l’aspirazione e il bisogno dell’uomo di formarsi un quadro complessivo della realtà, che possa unitariamente, ordinatamente e sinteticamente descrivere i suoi princìpi ed elementi, le sue articolazioni e modalità originarie e di fondo, in modo da avere una visione d’insieme – una specie di panorama -  che possa in qualche modo abbracciare tutta la realtà: una visione certa, dimostrativa, razionale, fondata, sistematica, sintetica, compendiosa, complessiva, totale, globale, completa, chiara ed unitaria della realtà, riducendo o riconducendo per quanto è possibile, tutto il sapere umano e filosofico a un'unica visione, espressa possibilmente in un minimo essenziale di proposizioni o asserzioni principiali e principali, fondamentali, evidenti, intuitive incontrovertibili, logicamente connesse fra loro e tutte dedotte da un principio primo assolutamente evidente.

Questa visione globale originaria onnicomprensiva si potrebbe paragonare al quadro di comando di un aereo o al quadro delle luci in una chiesa. Nella concezione cristiana dell’esistenza e della vita si può paragonare al Simbolo della fede. 

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L’essere sussistente, scoperto da Parmenide, è unico e uno solo perché in certo modo, virtualmente, è tutto, non nel senso che sia tutte le cose, ma tutte le perfezioni, come ha chiarito San Tommaso. In tal modo tutto è in qualche modo uno, non nel senso che s’identifichi all’Uno, ma nel senso che si raduni attorno e sotto l’Uno.

Il difetto di Parmenide, segnalato da Aristotele, è il fatto che il suo Uno negava le differenze e quindi la molteplicità degli enti. Ma non c’è dubbio che esiste un ente, Dio, che è assolutamente uno, primo di tutti gli enti e al vertice di tutti gli enti, insieme però con la molteplicità degli enti.

Platone comprese contro Parmenide che il due non è solo l’opposizione dell’essere al non-essere. Esso non è spregevole, ma apprezzabile, perchè esiste anche nella realtà in quanto unione dei diversi. E così Platone operò le prime distinzioni dell’essere, seguìto poi e perfezionato da Aristotele, il quale si premurò di evitare che la dualità diventasse dualismo.

Plotino riprese l’intuizione di Platone, secondo il quale tutto deriva dall’Uno, esce dall’Uno e torna all’Uno. Successivamente Proclo precisò questa visione riducendo il moto del reale a tre momenti

Bontadini scambia per dualismo la dualità aristotelica di pensiero ed essere come se il realismo ponesse un essere estraneo al pensiero, confondendo l’esterno con l’estraneo. Per il realismo invece l’essere è esterno, ma non estraneo, anzi il pensiero è fatto per l’essere e l’essere è fatto per il pensiero; ma il primato va all’essere e non al pensiero, perché è il pensiero ad essere il prodotto dell’essere e non viceversa.

Immagini da Internet:
- Parmenide
- Platone