Articoli e testi di P.Giovanni Cavalcoli

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P.Tomas Tyn

Testi di P. Tomas Tyn, OP

10 ottobre, 2025

Le attività delle anime dei beati - Seconda Parte (2/2)

 

Le attività delle anime dei beati

Seconda Parte (2/2)

 

Allucinazione, malattia, sonno, delirio, stato comatoso

Si danno degli stati psichici nei quali noi non possiamo esercitare in tutto o in parte le attività dello spirito perché o per motivi naturali o per motivi morbosi le funzioni psichiche non sono in grado di mettersi al servizio dello spirito. In queste condizioni è impossibile sperimentare la vita dello spirito. Essa tuttavia continua in una forma implicita o inconscia. Anche in queste condizioni la vita spirituale continua, benché non ne abbiamo esperienza o coscienza.

Nel sonno, nell’allucinazione e nello stato di delirio o comatoso manca la coscienza e lo spirito è inattivo non perchè la sua attività dipenda qualitativamente dalla veglia o dalla lucidità mentale o dal contatto con le cose esterne o col proprio corpo, ma perché manca il funzionamento pieno o quanto meno regolare dell’attività sensitiva che sola consente l’esercizio delle attività spirituali.

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È possibile immaginare fin da adesso come potrà essere la condizione della nostra anima separata? Occorre che noi separiamo nettamente l’esperienza del nostro corpo da quella della nostra anima e ci concentriamo in questa seconda esperienza. San Tommaso dice che la nostra anima può avere esperienza di sé stessa in forza della sua spiritualità, per la quale trascende l’esperienza sensibile e quindi può riflettere su sé stessa e cogliersi immediatamente anche senza far uso dei sensi.

Egli parte da questa sentenza di Sant’Agostino, che probabilmente si ispira a Platone: «Mens seipsam per seipsam novit quoniam est incorporea». San Tommaso spiega che si tratta di una conoscenza abituale ed implicita.

Tommaso poi distingue la conoscenza che l’anima ha di sé stessa in quanto la mia anima in particolare, cioè dal punto di vista dell’esistere o dell’essere, dalla conoscenza di che cosa è l’anima in universale, cioè la conoscenza dell’essenza o quiddità dell’anima.

Che nel mio atto di prender coscienza del mio pensare o di altre attività della mia anima io compia degli atti immateriali, me ne rendo conto già da solo in base a questa esperienza. Per cui già questo è sufficiente a farmi capire che io, benché possegga un corpo mortale, tuttavia vivo di una vita immateriale spirituale, superiore nelle sue attività a quanto il corpo è capace di fare.

San Tommaso nota poi come invece la questione dell’essenza dell’anima è molto difficile e richiede una «diligente e sottile ricerca». La via per arrivare a chiedersi qual è l’essenza dell’anima non è la coscienza di sé, che è puramente esistenziale e non speculativa, ma è quella che parte dalla considerazione delle manifestazioni sensibili dell’anima, come per esempio il linguaggio, e applicando induttivamente il principio di causalità, per cui si scopre l’immaterialità degli atti del pensiero e per conseguenza l’immaterialità della facoltà di pensare e quindi del soggetto pensante, soggetto che,  non essendo composto di materia e forma, ma essendo pura forma sussistente, cioè l’anima, è un soggetto semplice. Ma, dato che la morte è la dissoluzione del composto, ecco che l’anima è immortale.

Immagine da Internet: Beato Angelico 

09 ottobre, 2025

Le attività delle anime dei beati - Prima Parte (1/2)

 

Le attività delle anime dei beati

Prima Parte (1/2)

                                                               Abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni (Sal 23, 6)                                                                                    

Lo spirito è immortale?

                                                                               Non omnis moriar

Se noi riflettiamo su noi stessi, e sul nostro agire e sul nostro essere, salvo che non siamo totalmente immersi nell’animalità, è impossibile che non ci accorgiamo di essere composti di una dualità di spirito e corpo, due forme di essere molto diverse fra di loro e subordinate l’una (quella materiale) all’altra (quella spirituale). Io sono un corpo, ma sono anche spirito.

E come non interrogarci sulla questione della nostra evidente ed inesorabile corruttibilità? Tutti sappiamo che dobbiamo morire. Ma che cosa è la morte? Che cosa ci succede quando moriamo? Ci è così evidente, come pensava Cartesio, che in quel momento il nostro spirito immortale abbandona il nostro corpo alla dissoluzione? Da dove nasce invece la paura che finisca tutto? Non potrebbe essere vera? Come mai, fin dall’antichità tantissimi, i materialisti, ben consapevoli della veracità dei sensi, sono convinti che alla nostra morte siamo completamente distrutti e non sopravvive nessuna anima? 

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Anche quando siamo a letto al buio noi sentiamo di avere uno spirito, indipendente dal corpo, anche se nella vita presente non possiamo fare a meno di usare il corpo e i sensi. Le indisposizioni fisiche, l’agitazione o il tumulto delle passioni, la sonnolenza, la stanchezza, la malinconia, gli stati deliranti, la debolezza mentale, la depressione, possono farci credere che le nostre attività spirituali dipendano dalla materia o dallo stato di salute o dalle emozioni, insomma dal corpo e dalla materia.

Ma se riflettiamo sulla loro spiritualità, noteremo che il loro esercizio è autonomo dalla materia e la domina erigendosi ad una realtà immateriale immensamente superiore al mondo della materia. Che cosa è il pensiero dell’essere, della verità, dell’assoluto, dell’infinito, dell’eterno, dell’amore, della libertà, della santità, di Dio davanti alle limitatezze, alla ristrettezza, alla caducità, all’instabilità, all’effimero, alla fugacità e alla vanità delle cose del mondo materiale?

Alcuni parlano di «esperienza trascendentale» come esperienza dell’essere, del divenire, dell’altro, del diverso, dell’uno, del vero, del bene, del qualcosa, della realtà. Certamente, in questo senso essa esiste. È la visione dell’essenza, l’esperienza metafisica e del mistero, l’intuizione dell’essere e delle cose spirituali.

Le esperienze dell’estasi mistica, basata sulla fede e la carità, che riscontriamo nei grandi santi, sono molto rare, ma testimoniano in modo lampante la piena trascendenza e indipendenza qualitativa dell’attività spirituale rispetto a quelle sensibili. Coloro che hanno simili esperienze acquistano una certezza assoluta della sopravvivenza della propria anima e una speranza incrollabile nella futura beatitudine, che li incoraggia a compiere eroiche imprese per l’avvento del regno di Dio.

Immagine da Internet: Giudizio Universale, Beato Angelico

08 ottobre, 2025

Una discussione su quanto è successo a San Pietro. Il Giubileo degli omosessuali? - Terza Parte (3/3)

 

Una discussione su quanto è successo a San Pietro

Il Giubileo degli omosessuali?

Terza Parte (3/3)

 

Legga invece cosa ha dichiarato il vescovo Athanasius Schneider, dove troverà anche risposta ad altre domande che mi fa (dall’intervista della giornalista Dianne Montagna ...

 

1)

In un articolo dello stesso Martin su Outreach, egli nega esplicitamente che la Bibbia …  Non so se lei, Padre Giovanni, abbia mai sentito di tali esegesi farneticanti....

1)

Caro Bruno,

in queste parole del P. Martin è evidente la confusione che egli fa, da una parte tra i divini comandamenti, che sono immutabili, e tra questi c’è la proibizione del peccato di sodomia, e dall’altra certe norme pratiche o giuridiche che corrispondono a stadi superati o arretrati della coscienza morale, ossia comportamenti che, grazie alla successiva diffusione del Vangelo e al progresso morale che esso ha causato da allora ad oggi, sono stati abbandonati e oggi sono addirittura condannati. 

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https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/una-discussione-su-quanto-e-successo_58.html

 

Immagine da Internet

07 ottobre, 2025

Una discussione su quanto è successo a San Pietro. Il Giubileo degli omosessuali? - Seconda Parte (2/3)

 

Una discussione su quanto è successo a San Pietro

Il Giubileo degli omosessuali?

Seconda Parte (2/3)

 

3) Bruno V. 27/9/25

Caro Padre Giovanni,

Mi consenta di precisare alcuni punti rispetto alla sua risposta.

Condivido pienamente l’importanza di distinguere sempre quando il Papa si pronuncia a livello magisteriale, rispetto a quando parla da dottore privato.

Non posso però far a meno di pormi la domanda: che cosa ci ha comunicato, da poco più di un mese ad oggi, il Santo Padre sul peccato di sodomia?

La prima risposta è che certamente, a livello magisteriale, non ha prodotto alcuna affermazione di tolleranza per tale peccato, e dunque è pienamente rimasto nell’ortodossia. Su questo, siamo perfettamente d’accordo.

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 https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/una-discussione-su-quanto-e-successo_6.html

 


 Immagine da Internet

06 ottobre, 2025

Una discussione su quanto è successo a San Pietro. Il Giubileo degli omosessuali? - Prima Parte (1/3)

 

Una discussione su quanto è successo a San Pietro

Il Giubileo degli omosessuali?

Prima Parte (1/3)

 

Ritengo utile ai Lettori pubblicare questa discussione che ho avuto con un Lettore a proposito di quanto è successo, agli inizi di settembre u.s., con l’ingresso di alcuni omosessuali nella Porta Santa in occasione del Giubileo.

Un fatto del genere non si registra, che io sappia, in tutta la storia degli Anni Giubilari dalla loro istituzione. Che cosa pensare di questo avvenimento, che ha suscitato reazioni in tutto il mondo?

Io, insieme con il mio interlocutore, presentiamo ai Lettori un insieme di considerazioni e valutazioni pro e contra che penso siano utili a far riflettere e a dare un giudizio ponderato in comunione con la Chiesa e con Papa Leone XIV.

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https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/una-discussione-su-quanto-e-successo.html

Immagine da Internet

05 ottobre, 2025

Il concetto di Dio in Bontadini - Seconda Parte (2/2)

 

Il concetto di Dio in Bontadini

Seconda Parte (2/2)

 

Come sorge il problema dell’esistenza di Dio?

Secondo Bontadini la questione dell’esistenza di Dio nasce dal bisogno di togliere la contraddizione che apparentemente esiste nel diveniente, ossia nell’ente fisico mobile e sensibile. Ma il fatto è che Bontadini prende in considerazione gli enti fisici alla luce del concetto parmenideo dell’essere, inteso come essere assoluto, uno, unico, necessario, eterno ed immutabile.

Per questa ragione Bontadini crede di aver trovato una prova dell’esistenza di Dio, una «via breve», come la chiama, più rigorosa delle famose cinque vie di San Tommaso.

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Per Parmenide l’essere è eterno, per cui non c’è spazio per l’essere temporale. Il pensare è l’essere, per cui manca la distinzione del pensiero dall’essere. Tutto dunque è uno indifferenziato e l’uno è l’assoluto, dunque Dio. E dunque esiste solo Dio. E quindi nessuna creazione del mondo, ma identità del mondo con Dio. E questo sarebbe l’«Intero».

Come il nostro intelletto coglie l’essere? San Tommaso ha una ricchissima dottrina sull’essere, ma non ci spiega come giungiamo all’essere, con quale mezzo o con quale metodo egli vi è arrivato. Egli ne parla come di cosa nota a tutti e tutti sapessero come vi si arriva, per cui non sarebbe necessario dare spiegazioni.

La creazione dal nulla per Bontadini è impossibile perché si rifà al motto greco «dal nulla non viene nulla», trascurando il fatto che questo principio vale se si vuol considerare il nulla come causa; ma l’ex nihilo del dogma della creazione non dice affatto causalità, ma solo precedenza temporale, come a dire che l’alba proviene dalla notte.

La conclusione di questa discussione sulle idee di Severino e Bontadini viene ad essere la seguente: esiste solo l’essere assoluto, mentre ammettere Dio e un mondo diveniente esterno a Dio creato dal nulla da Dio è contradditorio e impossibile; per cui se esiste il mondo, esso è una finitizzazione molteplice di Dio interna a Dio e identica a Dio. Il Dio totale è la sintesi del Dio parziale e del mondo, ossia l’Intero. Dunque il panteismo.

La differenza fra Severino e Bontadini sta nel fatto che mentre Severino non parla di Dio, ma solo dell’essere, perché la parola Dio gli evoca il Dio cristiano creatore del mondo dal nulla, e crede che  il concetto di creazione sia nichilismo, Bontadini, che vuol essere cattolico, mantiene la parola «Dio» col significato di essere assoluto, non però come causa efficiente e motrice prima ed ente supremo, ma come unico essere esistente, per cui la creazione per Bontadini non è produzione di essere, ma semplice dipendenza formale del mondo da Dio internamente a Dio, libero dalla contraddizione appunto perchè identico all’Identità divina.

Parmenide ci offre un’immagine visiva e vorremmo dire plastica del suo concetto dell’essere, quando parla dell’essere «pieno e rotondo». Questa immagine corposa e semplicissima rappresenta in modo alquanto significativo la visione cosmico-metafisica parmenidea di Severino e Bontadini.

Immagine da Internet: Kandinsky 

04 ottobre, 2025

Il concetto di Dio in Bontadini - Prima Parte (1/2)

 

Il concetto di Dio in Bontadini

Prima Parte (1/2)

Nos per similitudines rerum, quae in nobis sunt,

       cognoscimus res in seipsis existentes

Sum.Theol., I, q.20. a.2, ad 2m

 

Il travaglio di un filosofo cattolico fra idealismo e realismo

Il pensiero di Bontadini manifesta una mente speculativa certamente di alto livello e ampiezza di orizzonti, ma si nota in esso uno stridente contrasto fra l’istanza realistica tomista e il pensiero monistico ed eternalista di Severino, erede di quel Gentile che, al dire dello stesso Bontadini, affascinò ed entusiasmò i giovani universitari dei suoi tempi.

L’attualismo gentiliano era l’apoteosi dell’autonomia, della potenza creatrice, attivante ed autofondatrice del pensiero; il pensiero intrascendibile, identico all’essere; il pensiero come totalità dell’essere, come «intero», come uno-tutto, fine a sé stesso, il pensiero che ha per oggetto sé stesso, il pensiero come l’assoluto, l’atto puro, l’atto in atto. 

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Fontanellato, 16 settembre 2025

L’idea dell’Intero in Bontadini è associata a quella della totalità, che è totalità ontologica (tutte le cose) e al contempo totalità teologica (Dio è il Tutto). L’«Unità» bontadiniana «dell’esperienza» è l’Uno e al contempo l’Essere parmenideo, il Tutto e l’Intero.  Ma da questa confusione viene che tutto è uno ed è Dio, e Dio è l’uno-tutto. Da qui il panteismo.

Certamente il pensiero è un esse cognitum, è un esse intentionale e in tal senso possiamo dire che il pensiero appartiene all’orizzonte dell’essere. Ma ciò non toglie nella creatura la distinzione reale fra il suo essere e il suo pensare. Essa, anche come persona, può esistere anche se non pensa. E qui per «essere» intendo l’essere reale.

C’è un essere nell’anima e c’è un essere fuori dell’anima. «Non è la pietra che è nell’anima – dice Aristotele – ma l’immagine della pietra». La pietra è l’ente reale in atto d’essere. L’immagine della pietra è il concetto della pietra.

Vale tuttavia anche il detto agostiniano: interiora spiritualia, exteriora materialia. Vediamo fuori di noi delle sostanze spirituali? Sì, possiamo pensare a Dio o agli angeli o ai nostri cari defunti. Sono fuori nello spazio? No, ma nel senso che sono fuori dell’atto del nostro pensiero, nel senso che stanno davanti (ob-jectum) al nostro intelletto, come l’oggetto del nostro pensiero.

Immagine da Internet: Kandinsky

03 ottobre, 2025

Da Cartesio a Fichte. La confusione fra l’io umano e l’io divino - Parte Quarta (4/4)

 

Da Cartesio a Fichte

La confusione fra l’io umano e l’io divino

Parte Quarta (4/4) 

 

Non bisogna confondere la gnoseologia con l’autobiografia

Per fondare la scienza non conviene partire dall’io sono, ma bisogna partire dall’esso o dall’egli è, come ha fatto Aristotele, che non si chiede chi sono io, ma che cosa è l’ente.

Del resto, se io parto dall’io, dovrò riconoscere anche il tu. E siccome non sono solo, dovrò riconoscere anche il noi e il voi. Ora Fichte parte dall’io e oppone all’io un non-io. Ma che senso ha? Che cosa è questo non-io? Sono le coe? Sono gli altri? È Dio? 

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Per Fichte l’unità e la conciliazione degli opposti sono ottenuti solo con l’intervento della volontà, che per Fichte è l’essere stesso che ritrova l’unità assoluta iniziale. 

Ora, quale Io può avere le caratteristiche che Fichte assegna all’Io assoluto? Non certo l’io umano, ma potrà essere solo l’Io divino. E invece vediamo come questo Io assoluto è diviso in sé stesso e come in esso coesistono due posizioni o vite contrapposte l’una contro l’altra e nel contempo l’una relativa all’altra e necessitante dell’altra: l’Io e il non-io.

Esse per loro essenza si respingono e si attraggono ad un tempo, si vogliono e si rifiutano, si includono e si escludono a vicenda, si uniscono e si dividono, si odiano e si amano perché l’una non può esistere senza l’altra e l’una è necessaria all’altra proprio per consentire l’essenza e la costituzione dell’Io.  

Allora come non vedere qui in questa «aiuola che ci fa tanto feroci», per dirla con Dante, la conflittualità umana portata all’esasperazione? L’odio e la guerra come princìpi della convivenza umana? È questo l’ambiente divino o non piuttosto il regno di Satana?

Per Fichte dunque non sono più una cosa in sé, una creatura di Dio creata dal nulla, ma sono l’Io assoluto che pongo me stesso e il non-io all’interno del mio io in eterna lotta col mio Io. Squallida e tragica conclusione di una teoresi iniziata col dubbio sull’esistenza del mondo esterno e del mio stesso corpo che testimoniano eloquentemente della sapienza e della potenza infinite del Dio della giustizia e della misericordia.

Immagine da Internet: I lottatori, Courbet 



01 ottobre, 2025

Da Cartesio a Fichte. La confusione fra l’io umano e l’io divino - Parte Terza (3/4)

 

Da Cartesio a Fichte

La confusione fra l’io umano e l’io divino

Parte Terza (3/4) 

La posizione di Fichte

 

Per questo, se il cartesiano ammette l’esistenza di Dio, come in Kant, Dio è solo un’idea suprema della ragione; non è una persona che sta davanti a me. Non è il mio creatore ma un prodotto della mia mente. Non è un Dio che mi salva, ma un Dio che salvo io. Fichte la pensa allo stesso modo.  Per questo in tale concezione di Dio è chiaro che io non posso parlare a Dio e pregarlo, né Dio può parlare a me e rivelami qualcosa che Lo riguardi, a cui io debba credere.

La Massoneria ha fatto proprio questo concetto di Dio e per questo, come è noto, per lei una rivelazione divina è impossibile. Per questo Fichte, che aderì alla massoneria, tanto da scrivere una Filosofia della massoneria, ha scritto anche un Saggio di una critica di ogni rivelazione

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Cartesio ha invertito l’ordine e il processo del sapere ponendo come base un risultato, ossia l’autocoscienza, e bisognoso di dimostrazione ciò che è evidente punto di partenza, ossia l’esistenza del mondo esterno e del proprio corpo.

Non bisogna confondere il principio del sapere col principio dell’essere. Il principio dell’essere è Dio creatore; il principio del sapere è il triplice principio che ho detto sopra. Solo Dio può essere principio dell’essere. Io posso porre il mio pensiero, ma non il mio essere. Qui sta il grave errore di Fichte, il quale ricava dal cogito cartesiano la pretesa che l’io ponga il proprio essere.

La verità per Cartesio non è l’effetto di un’adeguazione dell’intelletto all’essere presupposto, ma di una decisione che l’essere sia. Il dubbio irrazionale è risolto in modo irrazionale per un atto di volontà.

Da qui la concezione fichtiana dell’essere come agire, porre, volere, fare (tun). Non è la volontà e la libertà che segue alla verità, ma la verità che è effetto della volontà e della libertà. La libertà di pensiero non è l’assoggettarsi al vero e all’essere, ma è la libertà di determinare l’essere e dar principio all’essere. Pensare è fare. Produrre il pensiero è produrre l’essere. Ciò riappare nell’attualismo di Giovanni Gentile. Questa concezione dell’essere come volere sarà ripresa da Schelling fino a Nietzsche.

 
Immagine da Internet: Il cavaliere azzurro, Kandinsckij