Il tempo e l’eterno nella metafisica - La minestra riscaldata dello storicismo

 

Il tempo e l’eterno nella metafisica

La minestra riscaldata dello storicismo

 La metafisica fissata sul tempo. L'eraclitismo perenne.

Il quotidiano Avvenire del l2 ottobre scorso ospita un articolo di Philippe Capelle-Dumomt, dell’Institut Catholique di Parigidal titolo Essere e tempo. Ripensare la metafisica. Le parole di presentazione suonano così: «la metafisica non cerca più certezze eterne e torna ad interrogare costantemente il tempo; non come semplice cornice del divenire, ma come sfida viva e terreno comune fra essere, rivelazione e relazione». Da ciò dunque risulta che il terreno comune non è più l’essere, ma il tempo. Tutto nel tempo, niente fuori del tempo. Questa non è metafisica ma novellistica.

«Tra fondamento e trascendenza il tempo torna al centro del pensiero metafisico».  Centro non è l’essere, ma il tempo. «Il tempo fonda, in un gioco che obbliga l’umano altrimenti, a monte delle determinazioni della volontà dell’uomo». Il fondamento della realtà non è l’essere, ma il tempo. Ricordiamo che il tempo è relativo all’evolversi della materia. Quindi con idee del genere, si giunge alla conclusione che la previsione del tempo è già metafisica.

«La metafisica dell’alleanza intende il mondo, gli uomini e il divino su una base linguistica che, paradossalmente, sconvolge ogni concettualizzazione astratta: una temporalità primaria che denuncia ogni teorizzazione del tempo». Che cosa c’entra l’alleanza con la metafisica? La metafisica non tratta di nessuna alleanza. Questo è un tema biblico o sociale. E non ha alcuna base linguistica. Questa è  la base della comunicazione umana e interessa la grammatica. E perché mai la metafisica dovrebbe «denunciare ogni teorizzazione del tempo?». Che male c’è a teorizzare sul tempo? E perché mai la metafisica dovrebbe «sconvolgere ogni concettualizzazione astratta»? Vuole distruggere il concetto col concetto?

La cosa che comunque mi pare più interessante tra tutte queste stramberie è la tesi secondo la quale la metafisica consisterebbe in «un omaggio al tempo e un omaggio del tempo». Ora rispondo subito che la metafisica non ha per nulla come supremo interesse il tempo, ma l’essere. Quanto alla teologia, essa per l’articolista sarebbe «scienza dei fenomeni in quanto rivelati». Osservo che esistono sì alcuni fenomeni che sono oggetto di rivelazione, come per esempio l’umanità di Cristo o la storia di Adamo ed Eva, ma pensare che la scienza dei fenomeni in quanto tale possa essere teologia, ossia un sapere rivelato, porta come conseguenza logica che per esempio noi sapremmo per divina rivelazione che l’acqua bolle a 100°.

È inoltre ridicolo pensare che la metafisica non cerchi più certezze eterne. Sta invece proprio in questa ricerca la dignità suprema della metafisica tra tutte le scienze. Far girare la metafisica attorno al tempo vuol dire non aver capito niente della metafisica, perché essa è la scienza che meglio di ogni altra ci insegna come trascendere il tempo per cogliere l’eterno, ovvero le eterne certezze, che conducono l’uomo alla beatitudine, come dice Sant’Agostino: «O aeterna veritas! O cara aeternitas! O vera caritas!».

La dignità, il pregio incomparabile e la caratteristica propri della metafisica le vengono proprio dal fatto che essa risponde al bisogno dell’eterno. È insopprimibile nell’animo umano il desiderio di una verità, di una bontà, di una vita che non passano, non mutano, non deperiscono, non invecchiano, non si estinguono.

Tutte le scienze sperimentali hanno a che fare col tempo. La logica e la matematica prescindono dal tempo perchè prescindono dal divenire, ma non toccano l’eterno. Solo la metafisica punta l’occhio sull’eterno. E noi vorremmo porre il tempo come oggetto della metafisica? Ma a chi vorremmo darla da bere? La metafisica solleva lo sguardo dal temporale all’eterno, fino allo stesso essere sussistente, che è Dio stesso.

Non si tratta certo di dissolvere il tempo nell’eterno, di i eternizzare il temporale o di concepire il tempo come apparire dell’eterno, come fa Severino. Il tempo ha una sua indubbia dignità ontologica, ma in quanto creato dall’eterno e ordinato all’eterno. Se noi lo assolutizziamo come se fosse Dio, las nostra sete di eternità rimane insaziata e la nostra dignità umana si distrugge.

Ciò che distingue lo spirito umano dall’istinto animale sta proprio nel fatto che mentre gli interessi dell’animale sono racchiusi nel temporale, quelli dell’uomo riguardano l’eterno. Non che l’uomo non abbia interessi temporali, si capisce. Ma pregio dell’uomo, che lo innalza al di sopra degli animali, è quello di saper ordinare il tempo all’eterno. L’uomo che è schiavo del tempo è quell’uomo carnale del quale parla San Paolo, che fallisce nel realizzare il suo eterno destino.

Cristo viene appunto a soddisfare questo profondo bisogno di eternità dell’animo umano, il desiderio di un bene incorruttibile, di un amore indissolubile, di una vita immortale, di una fedeltà indefettibile, di un alimento perenne, di una sicurezza incrollabile, di una abitazione stabile e indistruttibile, di un terreno solido, di un rifugio saldo, di ricchezza durevole. Tutto ciò in sostanza non è altro che il desiderio di Dio, la stessa Eternità sussistente.

Se il destino dell’uomo si risolve nel tempo, che senso ha la proposta cristiana della vita eterna?[1] Se tutto passa, potremo accettare Cristo che ci dice che la sua parola non passa? È ammissibile che non dico un cattolico, ma una persona ragionevole preferisca il tempo all’eternità? Sono queste le cose che si insegnano all’Istituto Cattolico di Parigi? Si preferisce Heidegger a Gesù Cristo?

Non c’è dubbio che Dio è il creatore del tempo e che lo stesso destino escatologico dell’uomo non prescinde da una nuova temporalità e da una nuova storia. Ma tra il dire questo e il fare del tempo il centro di tutti gli interessi dell’uomo ci corre molto e si cade certamente nell’errore.

Il tempo non riguarda per nulla la metafisica, che è scienza dell’ente in quanto ente, del tutto al di sopra del tempo e indipendente dal tempo. La metafisica non rende alcun omaggio al tempo, ma all’eterno. Semmai, sì, riceve l’omaggio del tempo, così come quello delle cose materiali. Tuttavia essa mira allo spirito, che è connesso all’eterno, al di sopra della realtà materiale immersa nel tempo.

Semmai un problema metafisico è quello del nesso del tempo con l’eterno e della possibilità che l’eterno e l’essere si manifestino nel tempo e nell’uomo. Questo forse era l’intento di Heidegger quando scrisse Essere e tempo. Ma il suo intento fallì perchè Heidegger non fu capace di trascendere l’uomo e il tempo, riducendo l’essere all’essere umano nella sua temporalità (Dasein).

Il tempo non fonda assolutamente nulla, ma esso stesso si fonda sul divenire delle sostanze materiali. È l’essere che fonda il tempo, non perché sia l’eterno, come crede Severino, ma perché astrae dal tempo, comprendendo anche lo spirito, che è al di sopra del tempo.

Il tempo è un accidente della sostanza materiale, la quale, col suo evolvere e divenire comporta un prima e un poi, che la misura e la mantiene in collegamento col suo passato e col suo futuro. Certamente il tempo appartiene all’orizzonte dell’essere. Esiste l’essere temporale, ma, come ho detto, l‘essere in quanto essere prescinde dal tempo. Esso è oggetto della fisica sperimentale e di quella filosofica.

Il tempo presuppone lo spazio, perché il tempo è la successione misurata secondo il prima e il poi di segmenti uguali (minuti, ore, giorni, ecc.)  di durata del moto fisico dei corpi nello spazio. Il tempo quindi entra nell’oggetto della fisica e non della metafisica.

Il tempo suppone un insieme di atti psicologici: la percezione del presente, l’attività della memoria, il ricordo, il presentimento, la previsione, l’attesa, il calcolo, la misurazione. E per questo è oggetto della psicologia.

Il tempo è connesso anche con all’agire umano. Interessa la morale. Noi agiamo nel tempo, agiamo in un contesto temporale, benchè l’atto dello spirito sia di per sé istantaneo e sovratemporale e astragga dal tempo. Nell’agire dobbiamo saper calcolare la circostanza di tempo. Non bisogna agire fuori tempo o prima del tempo o quando l’occasione è passata. Esiste un tempo favorevole per la slvezza, come insegna San Paolo. Dobbiamo saper agire nel tempo giusto, essere all’altezza dei tempi, non restare indietro rispetto ai tempi. Per qysto iol tempo interessa la coscienza morale.

Dobbiamo certo saper valutare e stimare il tempo, tenerne conto, vivere nel tempo, badare al tempo, ma non farne un idolo, non farne l’assoluto. Dio è immutabile.  Dobbiamo saper superare il tempo per cogliere l’eterno senza dimenticare il tempo. Cristo è la sintesi del tempo e dell’eterno.

Dobbiamo saper astrarre dal tempo per vivere nel tempo.  Il tempo è relativo ai bisogni del corpo, ma non basta a saziare i bisogni dello spirito. Se restiamo chiusi nel tempo, se non sappiamo vedere nulla al di là del tempo, se non sappiamo trascendere il tempo per gustare i valori dello spirito, offendiamo la nostra infinita dignità di persone, restiamo prigionieri della nostra animalità e ci abbassiamo al livello delle bestie.

La questione dello storicismo

Sa veramente stimare e rispettare la storia non chi ne fa la totalità del reale o ne fa un idolo come lo storicismo, ma chi la vede e la vive come fondata sull’eterno e orientata all’eterno. Il tempo, i personaggi, i fatti e gli eventi del passato o del presente e il giudizio su di essi sono affare della storia, non della metafisica.

Viceversa, chi non vede niente al di sopra della storia, come lo storicista, è proprio colui che non sa apprezzare il vero valore della storia, la quale trova il suo senso e significato proprio nel suo rapporto con l’Eterno, cioè con Dio.

Lo storicista confonde la verità col vero. Ovvero respinge la verità in nome del vero.  Lo storicismo ha il suo iniziatore in Gian Battista Vico[2], col suo famoso motto verum, ipsum factum. Il Vico riteneva che quelle cose che noi conosciamo bene sono le azioni che noi stessi o gli altri compiono (factum), ossia gli eventi e i fatti della storia. Questo concetto fu sviluppato da Fichte, il quale, sulla base del cogito cartesiano, gli dette un senso metafisico nel senso di far coincidere l’essere col fare o con l’agire (tun). Schelling rinforzò la carica ontologica del principio di Fichte sostenendo che l’io pone se stesso per un atto del volere.  A completare la metafisica storicista giunse Hegel, per il quale, come è noto, l’Essere non è altro che l’autoposizione libera dello Spirito che muove se stesso nella storia[3].

Ciò non è sbagliato; solo che Vico dimenticava che, se è vero che noi siamo spontaneamente inclinati alla conoscenza del vero, ossia del fatto concreto, tuttavia  la nostra profonda aspirazione è quella di conoscere quella verità per la quale è vero ogni vero,  quella verità in nome della quale giudichiamo di ciò che è vero; insomma, quella verità assoluta alla quale la nostra mente aspira sommamente, la conoscenza del principio universale di ogni vero, che è la stessa verità sussistente di Colui che detto di Sé: «Io sono la verità»[4].

Non confondiamo dunque la metafisica con la storia, altrimenti immiseriamo la metafisica e togliamo alla storia il suo fondamento e il suo fine. Esistono cose che mutano e cose che non mutano. Il relativo muta in relazione all’assoluto che non muta. Il mutevole dipende dall’immutabile. Se non ci fosse l’immutabile, come già osservava saggiamente Aristotele, non esisterebbe neppure il mutevole.  Ridurre tutto al divenire o al mutevole, vuol dire distruggerli. Ma la verità non sta neppure nel ridurre tutto all’eterno, come fa Severino, perchè in tal modo egli è costretto a ridurre il divenire all’eterno, distruggendo l’eterno.

Eraclito e Parmenide sono agli antipodi. Ma con ciò stesso si richiamano tra di loro, perché toccano due aspetti essenziali dell’essere che si richiamano a vicenda. Ridurre tutto al divenire è lo stesso che ridurre tutto all’eterno. Che l’eterno sia divenire (Severino) o che il divenire sia eterno (Hegel) è la stessa cosa.

È chiaro che Severino è esagerato nella sua reazione allo storicismo e all’idolatria del divenire e della storia. Passare da un estremo all’altro non giova a nulla e ci lascia negli stessi guai di prima. Non è quindi col suo eternalismo monista parmenideo che Severino ci libera dallo storicismo, ma occorre quella visione equilibrata e comprensiva che è data dalla metafisica aristotelico-tomista, con la distinzione fra il Dio necessario, immutabile ed eterno e il mondo contingente, mutevole e temporale.

Negare l’esistenza dell’eterno ed assolutizzare il tempo è la stoltezza dello storicismo, che, se ha avuto qualche merito nel farci apprezzare il valore sapienziale della storia[5], rende poi ciechi ai valori perenni dello spirito, della morale e della religione, privo dei quali l’uomo si degrada al livello delle bestie, ed anzi nel fare il male diventa ancora più crudele per il fatto, come osserva Aristotele, di usare quella ragione, che gli animali non posseggono.

Chi dunque assume e pratica idee di questo genere, chi è vittima di questa mentalità materialista che pone il mondo, realtà temporale, a vertice di tutto e ne fa un idolo al posto del Dio eterno, frustra evidentemente il bisogno di assoluto, vitale e fondamentale nell’uomo, il quale, pur essendo un ente storico e   temporale, tuttavia trova la sua beatitudine solo nella visione e nel possesso dell’Eterno[6].

Certo dobbiamo vivere nel presente, non nel passato, apprezzare il moderno, e saper trovare le nostre radici nel passato, per conservare le sane tradizioni; non voler conservare invece un passato ormai superato, mentre possiamo sperare che risorga quella vita che si è spenta.

La temporalità non dice necessariamente corruttibilità: noi cristiani speriamo nella futura risurrezione gloriosa del corpo che pur è legato al tempo.  Per questo, per noi cristiani non è assurdo attendere una temporalità felice che non avrà fine[7], per cui ci viene voglia di parlare quasi di una temporalità eterna. La vita eterna promessa da Cristo non include anche il corpo? E il corpo non include anche il tempo e la storia?

Il termine ebraico olàm significa immediatamente un «tempo lunghissimo» (vedi per esempio Sal 23,6). La formula latina in saecula saeculorum è tratta dall’espressione ebraica olam, che significa anche età, evo o lungo periodo. L’aevum latino corrisponde al greco aiòn, tradotta da alcuni con «eone».

Legati come siamo all’immaginazione è comprensibile immaginare l’eternità facendo riferimento al tempo e alla durata successiva. Ma dobbiamo imparare   ad oltrepassare il tempo (senza dimenticarlo) se vogliamo capire e gustare la superiorità dello spirito sul corpo e sulla materia. Ricordiamoci che Dio è Spirito e che la nostra anima è spirito. Siamo sì corporei, ma fatti per lo spirito. È lì che troviamo la felicità.

Che cosa è precisamente l’eterno?

La ripugnanza nei confronti dell’eterno dipende da un concetto sbagliato dell’immutabile. Siccome la vita è movimento, crediamo che l’immutabile sia qualcosa di statico e di morto. Ora, bisogna distinguere il mutamento dal movimento. Il mutamento è cambiamento di essenza. Il movimento è certamente espressione della vita. Un cadavere non si muove. Il fuoco, certo, si muove, ma non ha le qualità superiori della vita. Un triangolo non si muove.  

Ora l’eterno non esclude affatto il movimento, ma esclude la propria estinzione, la perdita o il mutamento della propria essenza, della propria identità e del proprio essere, perché esso dura per sempre. È un fuoco che non si spegne. Tipica espressione dell’eterno è la sapienza. Ora «La sapienza è il più agile di tutti i moti» (Sap 7,24). Cristo paragona lo spirito, specifica espressione dell’eterno, al vento.

Per percepire il tempo bastano i sensi. Anche l’animale ha la percezione del tempo. Invece, per cogliere l’eterno occorre astrarre dal concreto e dal divenire sensibile, il che suppone l’opera del pensiero. Per questo solo l’uomo e non l’animale sa cogliere l’eterno. Chi dà più importanza al tempo che all’eterno, fatica a sollevarsi dall’immaginazione al pensiero.

Invece l’immutabilità dello spirito, che è somma vita, significa saldezza e robustezza, tanto che la Bibbia paragona l’immutabilità dello spirito ovvero dell’eterno alla roccia. Quando Cristo dice che dobbiamo fondare la nostra casa sulla roccia, con quell’immagine intende lo spirito e quindi l’eterno. Però nel contempo Cristo paragona lo spirito al vento. Che cosa c’è di più mobile del vento? Questo è il mistero dello spirito e della vita. Per questo la Bibbia dice che Dio puro spirito ed eternità non muta.

Non bisogna fare un idolo né del passato (Lefebvre), né del presente (Heidegger), né del futuro (Moltmann). Si tratta di vivere nel presente, memori del passato e progredire verso il futuro imparando dalle lezioni del passato; non rompere con un passato ancora attuale, guardare al passato, dal quale possiamo trarre lezione per il presente e per il futuro; conservare il buono ed essere proiettati con speranza nel futuro, evitando sia l’indietrismo che il modernismo, per progredire con fedeltà all’eterno ed attenzione al tempo.

Certamente si può immaginare una temporalità dalla durata infinita, un eterno divenire, una storia senza fine. Così possiamo immaginare la durata eterna della vita gloriosa dei risorti. La Gerusalemme celeste e il popolo ebraico avranno uno spazio e una storia eterni. Eternità non significa necessariamente staticità. Il movimento della vita può essere eterno.

Esiste un futuro anche per le anime dei defunti in attesa della Parusia, allorchè riassumeranno il loro corpo. Esiste un futuro per esse anche in considerazione del loro progredire nella beatitudine, almeno secondo l’opinione di San Gregorio di Nissa, quella che egli chiama epèktasis, che significa espansione, dilatazione, esplicitazione, evoluzione.

Certamente lo spirito umano in questo mondo evolve nel tempo. Da qui la possibilità e la realtà della storia, ma ciò avviene solo perchè lo spirito umano è forma del corpo. Lo spirito angelico ha una sua durata, ma non è temporale perchè non ha corpo.

Questa durata, come spiega San Tommaso[8], a differenza della durata temporale, che, connessa con l’esistenza dei corpi, ha un inizio e una fine, ha un inizio ma non ha fine ed è propria dell’anima spirituale e dell’angelo. Essa è detta «eviternità». Essa, secondo San Tommaso[9], esclude ogni mutazione in atto, ma non in potenza. Invece l’eternità la esclude anche in potenza.

Mentre il tempo, legato al corpo, ha un passato e un futuro, l’eviterno, come l’eterno divino, non ha né passato né futuro[10]. La durata divina eterna non ha né inizio né fine. Inoltre, mentre la durata temporale e quella eviterna è una successione di istanti, la durata eterna è tutta nell’istante senza successione di atti.

C’è il tempo nel mondo dei risorti?

Uno speciale interesse presenta quella che potrà essere la natura del tempo nella futura terra dei risorti. Ci sarà un passato che non è più? Ci sarà un futuro che non è ancora? Se il beato avrà la visione di Dio in un mondo che ha raggiunto la sua perfezione finale, il tempo scorrerà ancora con la caratteristica che esso ha quaggiù di comportare un non-esser-più e un non-essere-ancora?

Questo non-essere è compatibile con un mondo pienamente realizzato dove non c’è alcun difetto? Dove non manca nulla? Non varrà allora l’idea di Severino secondo il quale tutto è eterno? Non sarà che il beato avrà davanti agli occhi come presente tutto ciò che è stato e tutto ciò che sarà, così da dire: niente è stato e niente sarà e tutto è adesso?

È possibile che nel mondo futuro sparisca qualcosa e sia assente qualcosa che deve ancora accadere? Non c’è la presenza di tutte le cose? Dio non ha finito di creare? Qualcosa del creato vien meno? Non c’è la presenza di tutti gli avvenimenti? Non c’è la realizzazione di tutto il possibile? Non c’è il compimento di tutto ciò che può compiersi? Esiste ancora il passaggio dalla potenza all’atto? C’è ancora qualcosa di imperfetto o qualcosa che passa? Non siamo davanti a un cielo e ad una terra che non passano e che sono definitivamente stabili e incorruttibili? Non c’è il tornare ad essere di ciò che è già stato? Non c’è il recupero di ciò che si era perduto?

Si potrà ammettere che anche in cielo si verificherà il passaggio dal non-essere all’essere e dall’essere al non-essere, che quaggiù è normale, ma è tanto aborrito da Severino? Non sarà che lassù si verificherà l’idea di Severino dell’esistenza attuale di tutto il possibile? È ancora ammissibile una durata ed una successione di atti o, come pensava Parmenide, tutto è in atto, tutto è uno, un unico atto e adesso?

Ora queste sono proprietà esclusive dell’essenza divina. Se quindi fosse vera l’ipotesi di cui sopra, dovremmo ammettere il panteismo, che identifica Dio col mondo. Ma sappiamo che il panteismo è falso. E dunque dobbiamo ammettere che anche in cielo resterà la distinzione fra il Dio eterno e il mondo mutevole. Quello che per noi adesso resta misterioso è come sarà il tempo allorchè nulla si perde e nulla si spera perché tutto si possiede. La fede ricorda il passato, la speranza attende il futuro. Ma, come ci insegna San Paolo, unica a restare è la carità.

Un appello

Leggo tutti i giorni con piacere Avvenire, che arriva per posta in convento. Vi trovo molte notizie e articoli utili e ben fatti che ci aiutano nella nostra vita cattolica, comunione ecclesiale e nella nostra crescita culturale. Ma ogni tanto noto altri articoli che potrebbero figurare bene in un foglio luterano, massonico o comunista. Ne resto sorpreso e amareggiato.

La Chiesa cattolica è già insidiata, osteggiata e insultata dai suoi nemici. Che senso ha prendere le loro armi per combattere la Chiesa in un giornale quotidiano di ispirazione cattolica? Dov’è la coerenza? Dov’è il buon senso?  Il dovere di tale quotidiano è quello di aiutare i lettori nel discernimento, di difenderli dall’aggressione e di respingere le azioni nemiche.  

È chiaro che il giornale deve mettere i lettori in grado di conoscere le tendenze del proprio tempo, onde assumere il positivo, ma il giornale deve anche metterli in guardia dalle insidie nascoste ed aiutarli a distinguere il grano dal loglio. Non deve fare da cassa di risonanza delle ideologie dominanti o da megafono dell’impostore di turno, ma promuovere la sana dottrina, offrendo contributi, portando esempi di teologi o di uomini di cultura veramente esemplari.

In tal modo Avvenire adempirà validamente e fruttuosamente alla sua missione istituzionale in comunione con la Chiesa e per il bene della Chiesa, nonché il progresso della cultura e il bene della società.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 13 ottobre 2025 

Non c’è dubbio che Dio è il creatore del tempo e che lo stesso destino escatologico dell’uomo non prescinde da una nuova temporalità e da una nuova storia. Ma tra il dire questo e il fare del tempo il centro di tutti gli interessi dell’uomo ci corre molto e si cade certamente nell’errore.

Il tempo è un accidente della sostanza materiale, la quale, col suo evolvere e divenire comporta un prima e un poi, che la misura e la mantiene in collegamento col suo passato e col suo futuro. Certamente il tempo appartiene all’orizzonte dell’essere. Esiste l’essere temporale, ma, come ho detto, l‘essere in quanto essere prescinde dal tempo. Esso è oggetto della fisica sperimentale e di quella filosofica.

Immagine da Internet: La creazione, Monreale



[1] Cf il mio libro La vita eterna. I punti fermi della nostra speranza, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2015.

[2] Vedi la sua famosa opera La scienza nuova, Edizioni Laterza, Bari 1953.

[3] Il Domenicano Angelo Zacchi svolse una buona critica allo storicismo nel suo libro Il nuovo idealismo italiano di B. Croce e G. Gentile, Francesco Ferrari Editore, Roma 1925. Esiste una duplice forma di storicismo: quella idealista che culmina in Hegel e quella materialista di Marx.

[4] Vedi i miei articoli LA VERITA’ ETERNA IN Sant’AGOSTINO, I, Sacra Doctrina, 5, 1987, pp.590-611; LA VERITA’ ETERNA IN Sant’AGOSTINO, II, Sacra Doctrina, 6, 1987, pp.665-687.

[5] Vedi del Maritain, Per una filosofia della storia, Editrice Morcelliana, Brescia 1967.

[6] Purtroppo l’influsso dello storicismo si nota in alcuni teologi cattolici contemporanei. Vedi per esempio Walter Kasper, L’Assoluto nella storia nella ultima filosofia di Schelling, Jaca Book, Milano 1986; Bruno Forte, La Trinità come storia, Edizioni Paoline, Torino 1985; Gesù di Nazaret: Storia di Dio.  Dio della storia, Edizioni Paoline, Milano1981.

[7] LA DIMENSIONE ESCATOLOGICA DEL TEMPO, Sacra Doctrina, 1, 1999. pp.5-46.

[8] Sum. Theol., I, q.10, aa.4-6.

[9] In IV Sent., D.49, q.1, a.2, q.la 3, 4m.

[10] Ibid , I, q.10, a.2, 4m.

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