Articoli e testi di P.Giovanni Cavalcoli

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P.Tomas Tyn

Testi di P. Tomas Tyn, OP

29 aprile, 2024

Il Papa interprete di Cristo

 

Il Papa interprete di Cristo

Cristo ha incaricato Pietro di spiegarci i suoi insegnamenti

 Ne La Nuova bussola quotidiana del 21 gennaio scorso è apparso un articolo di Tommaso Scandroglio dal titolo: Critiche al Papa, come e quando sono lecite. Il tema è di estrema attualità e molto interessante. Ha ragione Scandroglio nel dire che è il punto attorno al quale gira l’attuale conflittualità presente nella Chiesa.

Non direi, come sostiene l’autore, che uno dei due partiti in conflitto, quello dei modernisti, consideri il Papa infallibile in tutto quello che fa e dice. Essi piuttosto interpretano a loro favore parole e fatti del Papa, che spesso si prestano ad un’interpretazione modernista. Ma non hanno nessuno scrupolo ad attaccarlo duramente e ad accusarlo di conservatorismo quando si mostra apertamente testimone della tradizione o lascia intendere la sua opposizione al modernismo. Essi infatti non credono affatto nell’infallibilità pontificia, perché, da buoni modernisti, hanno, della verità, una concezione soggettivista, relativista e storicista.

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https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/il-papa-interprete-di-cristo.html


Il Beato Pio IX nel 1854 ci spiegò col dogma dell’Immacolata che Maria fu esente dalla colpa originale. San Pio X nella Pascendi ci ha spiegato che Dio è trascendente e non immanente. Pio XII nel 1950 ci spiegò che l’esser Maria piena di grazia comportò la sua assunzione in cielo anima e corpo al termine della sua vita terrena. San Paolo VI nel Concilio Vaticano II ci spiegò che il diritto alla libertà religiosa è basato sulla Rivelazione. San Giovanni Paolo II chiarì che le parole di Gesù riferite alla futura risurrezione «saranno come angeli» vogliono dire che uomo e donna avranno il proprio dominio spirituale sul proprio corpo. Papa Francesco ci ha spiegato che la concezione biblica della conoscenza comporta il primato della realtà sull’idea e il rifiuto dello gnosticismo e dell’idealismo.

Immagine da Internet: Papa Francesco I

27 aprile, 2024

Trattato sugli Atti umani - P. Tomas Tyn - Lezione 9 (2/2)

 

 Trattato sugli Atti umani

P. Tomas Tyn

Lezione 9 (Parte 2/2)

P.Tomas Tyn, OP - Corso “Atti Umani” - AA.1986-1987 - Lezione n. 16 (A-B)

Bologna, 24 marzo 1987

http://www.arpato.org/corso_attiumani.htm

Miei cari, notate che nell’articolo 4 della Questione 20, S.Tommaso si chiede se l’atto esterno aggiunga qualche cosa alla moralità dell’atto interiore. Ora, S.Tommaso parte da questa constatazione, che mi pare estremamente importante, e cioè che, se l’atto esterno, notate, nulla aggiungesse a quello interno, basterebbe avere buona volontà di agire, senza mai entrare  nella concretezza della situazione in cui ci si trova.

Quindi si potrebbe ovviare in ogni situazione con delle belle intenzioni. Uno potrebbe dire: beh, insomma, sì, io vorrei tanto soccorrere i poveretti,  però che si arrangino. Ora, è evidente che ci sono delle situazioni, che effettivamente esigono non solo la volontà, ma anche l’azione. Questa è una cosa importantissima. 

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S.Tommaso considera proprio la pienezza dell’atto umano. E qui di nuovo si manifesta in qualche modo la sua visione metafisica della morale. Il bene è una pienezza dell’atto. Come il bene fisico è la pienezza dell’essere, così il bene morale è la pienezza dell’essere dovuto all’atto umano. E ci sono delle situazioni, in cui lo stesso agire esteriormente è proprio dovuto, è richiesto, cosicchè, se non si agisce c’è un peccato di omissione, c’è una mancanza di essere dovuto.
 
E’ qui che riecheggiano le parole di S.Paolo nella Lettera agli Efesini: Veritatem facientes in caritate, facendo la verità nella carità. Sul piano operativo del fare, dell’agire, bisogna mettere in pratica, affermare a livello della praxis, ciò che è la verità teorica, la verità dell’essere umano nelle sue più intime aspirazioni.  

Notate che paradossalmente proprio nelle cose minime si manifesta la grandezza dei principi. Si dice anche così: Deus in minimis maximus. Dio si rivela massimo nelle creature più piccole e apparentemente più insignificanti. Similmente, potremmo dire, come dice sempre S.Tommaso, che la potenza di una causa si manifesta nella lontananza dell’effetto, che la causa riesce a raggiungere. 
 
Immagine: P. Tomas Tyn, foto di ottobre 1989, Roberta Ricci

26 aprile, 2024

Trattato sugli Atti umani - P. Tomas Tyn - Lezione 9 (1/2)

 

 Trattato sugli Atti umani

P. Tomas Tyn

Lezione 9 (Parte 1/2)

P.Tomas Tyn, OP - Corso “Atti Umani” - AA.1986-1987 - Lezione n. 16 (A-B)

Bologna, 24 marzo 1987

http://www.arpato.org/corso_attiumani.htm

 

… appunto l’oggetto, il fine e le circostanze.

Ebbene, la moralità dell’atto umano interno è una sola e S.Tommaso ci spiega anche perchè è una sola, perchè dall’atto interno dipende ovviamente causalmente l’atto esteriore. E quindi è giusto che ciò che è principio sia più semplice del principiato o derivato. Quindi, la moralità dell’atto umano interno o meglio della parte interna dell’unico atto umano, deriva dal fine, unicamente dal fine, perché abbiamo visto che in fondo moralmente parlando l’atto umano è una unità.

Vedremo invece come la moralità dell’atto esterno deriva dalle altre due fonti, cioè dall’oggetto, che viene posto in qualche modo in atto, e viene realizzato nelle circostanze più o meno dovute. Quindi la moralità è tratta dall’oggetto e dalle circostanze. 

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 https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/trattato-sugli-atti-umani-p-tomas-tyn_26.html


Tutti i mezzi dipendono sempre dal fine. Pensate che qui si tratta non dell’atto umano nella sua integrità, per così dire, ma solamente dell’atto umano esterno. E S.Tommaso insiste su di una cosa molto importante. E cioè che l’atto umano esterno ha una moralità sua insita in esso e indipendente dai fini più o meno edificanti che ci mette la volontà.  

Di nuovo torna questo realismo tomistico, che trova quindi la sua controparte morale nel realismo epistemologico. Siccome S.Tommaso è convinto che noi non proiettiamo interiormente la verità nelle cose, ma riconosciamo le cose vere come sono in se stesse; similmente nell’agire umano, certamente ci sarà anche il rapportare il nostro agire esterno a dei fini, che conserviamo dentro di noi, nel segreto del nostro cuore, in pectore, come si dice. Ma anzitutto sarà da considerare che ogni azione esterna, prima ancora di essere rapportata dall’agente al suo fine interiore, è già moralmente qualificata in se stessa. Non è quindi possibile dire: io ho voluto far bene, ho avuto tante, tante belle intenzioni; sì, mi è capitato di svaligiare una banca, ma ho voluto far bene. Non è possibile.


Quindi, bisogna che siano corrette le circostanze, che sia corretta la materia dell’atto e che sia corretto il fine per il quale si agisce. Come è un’azione moralmente corrotta quella di dare l’elemosina, atto esterno buono, per un motivo interiore disordinato, per esempio vanagloria, così è altrettanto disordinato fare un’azione esteriormente sbagliata, per esempio prostituirsi, con un fine buono, assicurare il bene economico della famiglia.

Quindi, in sostanza, bisogna che sia buono tutto, che siano buone le circostanze, la materia e il fine. E qui vedete che non tutta la moralità dell’atto complessivo dipende dalla sola volontà. Non basta volere. Bisogna volere e agire bene. Cioè bisogna che la volontà, che è motrice delle facoltà, a livello dell’azione, muova a un’azione esterna, che a sua volta sia buona. Quindi bisogna che tutto sia in una armonia del bene, cioè che sia buona sia la volontà interiore che l’atto esterno, che essa pone in atto. 

Immagini: Padre Tomas Tyn, ospite delle Suore Domenicane di Santa Caterina (Bologna)

24 aprile, 2024

Il rapporto di Dio col demonio

 

Il rapporto di Dio col demonio

La ribellione di Satana

La teologia ascetica tradizionale tratta molto del rapporto del demonio con noi, ma non sviluppa il tema del rapporto del demonio con Dio, che invece costituisce il principio di spiegazione e il criterio di valutazione e di discernimento del rapporto nostro col demonio.

Come sappiamo dalla fede, Dio creatore degli angeli ha punito eternamente alcuni angeli che si sono ribellati alla sua volontà. Egli tuttavia ha voluto conservarli nell’esistenza e quindi ha continuato, come causa prima e motore immobile, a causare gli atti della loro volontà e a muovere la loro volontà verso il bene. 

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Satana è convinto che Dio gli abbia lasciato il possesso e il dominio di tutti i beni della terra; crede di poter vincere i santi e far trionfare i malfattori, vuol mandare tutti all’inferno, vuol bloccare la via del paradiso. È chiaro che quando Cristo chiama Satana «principe di questo mondo» ironizza. Ma Satana e i suoi accoliti ne sono convinti.

Quando Dio comanda a Satana, egli, proprio adesso che è fissato per sempre nella cattiva volontà e nella scelta contro Dio, proprio adesso – sembra un paradosso - non può più disobbedire come fece agli inizi, quand’era ancora un angelo innocente. Egli resta bensì un odiatore di Dio e un ribelle, resta in colpa, disobbediente in relazione, però, al peccato compiuto agli inizi, nel senso che non se ne pente assolutamente.

Ciò che ci consola e ci conforta e alla fine ci dà pace, forza e coraggio nella lotta quotidiana contro Satana è che Dio, col permettere queste sofferenze, queste prove e questi pericoli vuole purificarci dai nostri peccati e fortificarci nelle virtù. È legge della vita a partire da quella vegetativa fino a salire a quella spirituale che essa si rafforza vincendo forze nemiche: Satana è l’avversario che in Cristo dobbiamo e possiamo vincere per evitare la morte eterna e conquistare la vita eterna.

 

Colpisce il fatto che il demonio nel corso della storia non si dà mai per vinto, ma sempre di nuovo con nuove invenzioni ritenta sempre di sconfiggere Cristo e la Chiesa.

 

Immagini da Internet: Illustrazioni di Gustave Doré 

 

 

22 aprile, 2024

La luce della sofferenza - Giobbe e Gesù Cristo - Seconda Parte (2/2)

 

La luce della sofferenza

Giobbe e Gesù Cristo

 Seconda Parte (2/2)

 

 La risposta di Cristo

 Gesù Cristo suppone quanto Giobbe sa circa il rapporto di Dio con la sofferenza e ci insegna molte cose su di essa. Ci chiarisce le sue origini dal peccato originale, ci chiarisce perché essa può essere buona e voluta da Dio, ci chiarisce la sua funzione salvifica, ci chiarisce come liberarcene definitivamente.  Ci chiarisce che Dio ricava dal peccato di Adamo una felicità – la figliolanza divina – superiore a quella felicità umana che ci sarebbe stata se Adamo non avesse peccato.

Tuttavia, possiamo osservare che, se Dio avesse voluto, avrebbe potuto creare un’umanità gloriosa di figli di Dio esattamente come quella che risulta dall’attuale piano di salvezza, anche se non avesse permesso al peccato di entrare nel mondo e quindi anche se non fosse stata necessaria la redenzione di Cristo per raggiungere l’attuale scopo finale della storia della salvezza. Perchè Dio ha voluto non impedire il peccato? Non lo sappiamo, né Cristo ce lo ha rivelato, perché questo mistero è talmente intimo alla volontà divina e per noi impenetrabile, che può esser noto solo a Dio.

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L’Antico Testamento presenta con chiarezza due concetti riguardanti il rapporto di Dio con l’uomo, concetti che corrispondono ai dati della ragione e della teologia naturali, utili quindi per il dialogo interreligioso: il concetto che Dio castiga il malvagio e premia il giusto e il concetto che l’uomo, sentendosi in debito di colpa verso Dio, gli offre sacrifici per ottenere grazia e perdono.

Gesù Cristo da una parte conferma ciò che Giobbe aveva capito e cioè il dovere del giusto sofferente di rassegnarsi alla volontà di Dio. E dall’altra aggiunge ciò che Giobbe non sapeva e che Cristo stesso rivela. Gesù infatti rivela la possibilità di un rito religioso sacrificale espiatorio, rivelando il significato della profezia isaiana sul Servo di Dio sofferente come riferita a Lui stesso. Egli è dunque il Giobbe che accetta serenamente la sofferenza per amor nostro dalle mani di Dio, ma è un Giobbe che sa perché Dio gli ha mandato la sofferenza: per riscattare l’umanità con l’offerta sacerdotale di se stesso in espiazione dei nostri peccati al nostro posto.

Ma ciò non vuol dire che in quest’opera di salvezza Cristo faccia tutto Lui e a noi non resti altro che godere dei frutti del suo sacrificio. Se vogliamo salvarci, anche noi dobbiamo prendere ogni giorno la nostra croce e salire sulla croce con Cristo.

Immagine da Internet: Cristo crocifisso (particolare), Beato Angelico

21 aprile, 2024

La luce della sofferenza - Giobbe e Gesù Cristo - Prima Parte (1/2)

 

La luce della sofferenza

Giobbe e Gesù Cristo

 Prima Parte (1/2)

 Siamo naturalmente portati a respingere

la sofferenza in noi e negli altri

La nostra natura avverte la sofferenza come qualcosa di odioso e ripugnante, per cui è portata spontaneamente a combatterla, fuggirla ed evitarla o quanto meno, se non la può allontanare o se non se ne può liberare, se non la può vincere o eliminare, cerca di alleviarla o diminuirla. Importante virtù è la pazienza o sopportazione della sofferenza, sopportazione ottenuta con vari mezzi, tra i quali molto importante è quello di trovare una ragione alla sofferenza, giacchè il sapere il perché qualcosa accade, è sempre per noi animali ragionevoli, fonte di piacere.  

Il sadismo e il masochismo, la crudeltà, l’autolesionismo, il gusto di soffrire e far soffrire, l’amore per il dolore come tale, sono inclinazioni perverse bisognose di cura psichiatrica o abominevoli vizi contro natura, sono peccati gravi contro il legittimo bisogno di felicità, di piacere, di godimento e di benessere, contro il sano e naturale amore di se stessi e del prossimo. 

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Una tentazione può essere quella di considerare come un male assoluto non il peccato, ma la sofferenza. Si crede che Dio non vuole nessun male, né il male di colpa né il male di pena, né castighi, né penitenze, né rinunce, né sforzi, né sacrifici.

Per gli antichi pagani la sofferenza c’è perchè è giusto, è divino che ci sia. Il dio stesso, come ognuno di noi, è soggetto al Fato o al Destino. Non bisogna fare domande o accuse al Fato, ma si deve semplicemente accettarlo, perchè comunque uomini e dei fanno per forza la sua volontà.

I pagani, in particolare gli stoici, conclusero che la sofferenza non può e non dev’essere tolta, perché è divina.

Invece la Bibbia ci insegna a non rassegnarci al male, a chiamarlo col suo nome. La Bibbia ci insegna che le vere sventure, le vere disgrazie non sono gli incidenti di macchina o i terremoti o le epidemie o i lutti o le umiliazioni, ma il fastidio per le cose dello spirito, la sordità alla Parola di Dio, il disamore per le virtù, l’attaccamento al peccato, la mancanza di compassione per i sofferenti, la pigrizia nel fare il bene, il badare solo a se stessi.

Il personaggio biblico Giobbe, uomo innocente colpito dalla sventura, capisce subito come la sofferenza può essere mandata da Dio: «Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!» (Gb 1,21). Ciò vuol dire che se è mandata da Dio che è buono, può non essere una cosa cattiva, può non essere un male.

Dunque un Dio che manda la sofferenza non è un Dio cattivo. Ma se la manda, vuol dire che ci sarà un perché la manda, giacchè Dio non può far nulla di irragionevole o senza motivo. Tuttavia Giobbe non riesce a capire questo perché o questo motivo. Allora si fida di Dio. E ragiona così: se Dio che è buono mi manda la sofferenza, che però è un male che mi ripugna e che sento di non meritarmi perchè sono innocente, vorrà dire che o la trasforma in bene o che comunque può essere buona e benefica.


Immagine da Internet: Giobbe, Marc Chagall

19 aprile, 2024

Guerra e dignità umana - La questione della liceità del servizio militare - Seconda Parte (2/2)

 

Guerra e dignità umana

La questione della liceità del servizio militare

 

Seconda Parte (2/2)

 

È giustificato combattere per motivi religiosi?

Sorge allora una serie di domande alle quali non è difficile rispondere, una volta che abbiamo compreso che cosa significa il Comandamento Non uccidere. Ci chiediamo dunque: è cosa blasfema condurre un’operazione militare in nome di Dio  per il fatto che Egli comanda di non uccidere? Ha senso, può esser voluto da Dio che io metta a repentaglio la mia vita per uccidere un fratello? La nostra Costituzione parla di «sacro dovere di difendere la Patria». Perché c’è quel «sacro»? Che significa? È evidente il richiamo a Dio, il Sacro per eccellenza.

Si pone la questione, allora, che rapporto c’è tra amore di Dio e del prossimo da una parte e la pratica bellica o doveri militari  dall’altra? Sono doveri davanti a Dio? Le due cose sono conciliabili?  L’amore cristiano per il nemico si concilia col dovere di prendere le armi? E perché e in che senso questo dovrebbe essere un sacro dovere? 

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Qui io non discuto il problema se Dio possa o non possa volere una guerra per liberare un popolo o perché si difenda da nemici invasori: la risposta è troppo chiara se consideriamo le narrazioni bibliche. Il problema qui è: chi ha ragione? Il Papa o Cirillo? Dunque, vediamo che il dialogo ecumenico cattolico-ortodosso deve fare ancora molta strada.

La Chiesa sa benissimo che finchè siamo su questa terra, per quanti sforzi facciamo per vivere in pace, ci saranno sempre i bellicosi dai quali occorre difendersi con la forza. La Chiesa pertanto ha avuto il merito di ispirare un codice militare, che regola doveri etici dei militari: usare umanità nei confronti dei prigionieri, astenersi da rappresaglie, vendette, dall’uso di armi eccessivamente distruttive e dal colpire le popolazioni civili, pietà per i vinti, rispetto per la dignità umana del nemico, evitare di combattere mossi dall’odio, imposizione di condizioni ragionevoli per la resa del nemico sconfitto. 

La guerra è l’occasione nella quale l’uomo può dar mostra e prova di un alto grado di virtù e di dignità morale. Ma la guerra è anche indubbiamente purtroppo sempre anche occasione per recare le più gravi offese alla dignità umana.

Immagine da Internet: Salvo d'Aquisto

18 aprile, 2024

Guerra e dignità umana - La questione della liceità del servizio militare - Prima Parte (1/2)

 

Guerra e dignità umana

La questione della liceità del servizio militare

 

Prima Parte (1/2)

 

In che senso la guerra è la negazione della dignità umana?

 

Come sappiamo, nei primissimi secoli prima di Costantino molti cristiani furono martirizzati perché convertendosi al cristianesimo, abbandonavano il servizio militare. Trovavano incompatibile con l’amore del prossimo e l’onore di Dio stare al servizio di un Imperatore considerato un dio, che perseguitava i cristiani.

 

Oggi in Italia e in molti Stati del mondo democratici abbiamo la figura del cappellano militare per l’assistenza religiosa delle truppe, le quali non vedono alcuna contraddizione tra la professione del militare e la pratica della vita cristiana.  È giustificata questa convinzione?

La Dichiarazione Dignitas infinita affronta la questione della liceità della guerra e se essa comporti un’offesa alla dignità umana. Far guerra è violazione del comandamento Non uccidere?

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La Dichiarazione Dignitas infinita affronta la questione della liceità della guerra e se essa comporti un’offesa alla dignità umana. Far guerra è violazione del comandamento Non uccidere?

Il fenomeno della guerra moderna è di estrema complessità.

Per Hegel i vincitori hanno sempre ragione per il semplice fatto che vincono. È evidente che qui non siamo davanti al criterio della giusta guerra, ma all’apologia della violenza e della barbarie. Qui evidentemente non siamo davanti alla forza spirituale della ragione, che basandosi sulla giustizia produce giustizia, ma alla ragione della forza, alla forza bruta dell’irrazionale, alla barbarie mascherata da ragione, che è violenza, odio e sopraffazione.

Dio certamente non vuol la morte di nessuno, ma vuole la difesa del povero, del debole, dell’indigente, vuole la liberazione dell’oppresso e il rispetto della dignità umana in noi e negli altri. Se dunque in nome di questo rispetto dobbiamo ripudiare un’ingiusta guerra, in nome della difesa di questa stessa dignità, siamo chiamati da Dio, custode dell’umana dignità, a far uso delle armi, quando e se è necessario. Chi ci impedisce qui di usare il termine guerra nel significato neutrale che ho spiegato?

Immagine da Internet: San Martino di Tours

15 aprile, 2024

Il purgatorio come preparazione al paradiso

 

Il purgatorio come preparazione al paradiso

Come il purgatorio si inquadra nella concezione cristiana della vita

Nella visione cristiana la nostra vita ha bisogno di essere purificata da agenti nocivi che ne impediscono il libero esercizio e la piena attuazione delle sue virtualità. Essa dev’essere liberata da queste forze nemiche seguendo gli insegnamenti e l’esempio di Cristo e partecipando nella grazia alla sua stessa vita divina e in particolar modo alla sua opera benefica e vittoriosa contro il male e alla sua passione purificatrice, redentrice, espiatrice, soddisfattoria e liberatrice.

Il cristianesimo ci insegna che per capire il senso, lo scopo, il valore e la norma della nostra vita e della nostra condotta morale, per sapere qual è la via della nostra felicità e per realizzare le nostre potenzialità non basta guardare alla natura e alle condizioni della presente vita mortale e badare solo alla nostra attività umana, ma dobbiamo tener conto anche dell’azione divina e di fatti storici che hanno preceduto la nostra vita temporale, fatti ed atti umani compiuti all’origine dell’umanità, in particolare il piano originario della creazione dell’uomo e il peccato originale, fatti e atti che determinano specifici effetti positivi e negativi nella vita presente, come il permanere dell’inclinazione alla virtù e la soggezione al vizio.

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Rahner spiega il mistero dell’Incarnazione respingendo il dogma delle due nature in una persona divina e sostenendo che in esso la natura divina di Dio diventa umana. Da qui la tesi rahneriana che tutti si salvano. Ed è logico: ha forse Dio bisogno di essere salvato? Se ogni uomo per sua essenza diventa Dio che bisogno ha di essere salvato?

Col che si sente autorizzato a relativizzare o negare tutti i dogmi concernenti l’escatologia, sostenendo che questi dogmi non riguardano realtà o fatti futuri, ma cose presenti, consistenti semplicemente nell’esperienza atematica trascendentale di Dio, nel che secondo lui sta l’essenza della vita cristiana. In questa visione dell’escatologia, paradiso, inferno e purgatorio diventano dei miti simbolici e l’inferno scompare, dato che tutti diventano Dio.


Viceversa nel purgatorio l’anima ha raggiunto il fine e lo scopo della sua vita ed è quindi soddisfatta benché le manchi la visione beatifica. Non vede Dio, tuttavia, non perché non vuol vederlo, come l’anima dannata, ma al contrario lo intravede già come un tralucere nell’oscurità del Mistero, al di sopra della fede, che ha ormai esaurito la sua funzione. Non lo vede solo perché tra la sua mente e Dio si frappone la nebbia caliginosa delle pene temporali da scontare. Lo ama immensamente in continuità come l’aveva amato nella vita terrena; Lo desidera ardentemente e l’attesa è per lei un tormento. 

Immagine da Internet: Anime in Purgatorio presso la Chiesa di Animas a Santiago de Compostela

14 aprile, 2024

Lo spirito e la carne - Seconda Parte (2/2)

 

Lo spirito e la carne

Seconda Parte (2/2)

 L’anima maschile è differente dall’anima femminile

 Facciamogli un aiuto simile a lui

Gen 2,18

La psicologia moderna ha scoperto che esiste una differenza specifica tra l’anima maschile e l’anima femminile. Quindi l’anima umana non è una specie atoma, come si è sempre pensato fino a questa scoperta, ma è una specie essenzialmente divisa in due specie inferiori differenti, reciprocamente complementari, di pari dignità, con caratteri specifici che distinguono l’una dall’altra specie.

Ciò significa che la differenza uomo-donna non appartiene all’individuo, non è un accidente dell’individuo, come possono essere il colore degli occhi o la forma del naso, ma è la differenza tra due modi essenziali di essere della natura umana; sono due essenze specifiche differenti, tali per cui è possibile dare la definizione di entrambe. 

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L’esser maschio e femmina nella natura umana non si riduce ad essere, come nel mondo animale, due diversi individui della stessa specie, sia pure con differente tipicità, ma comporta una differenza specifica o formale di secondo grado, che non intacca né spezza per nulla l’unità, l’identità e l’uguaglianza e pari dignità della natura umana nell’uomo e nella donna; non comporta due definizioni differenti della natura umana; tanto l’uomo che la donna sono animali razionali, ma in modo formalmente differente: maschile e femminile.

Sotto la specie uomo, quindi, quasi che essa fosse un genere, c’è un grado ulteriore, ultimo ed infimo di differenza specifica o formale: la differenza fra uomo e donna, che consente di definire l’essenza del maschio e l’essenza della femmina non solo in senso fisico, ma anche spirituale, cosa che sarebbe impossibile se maschio e femmina stessero solo sul piano dell’individuo, giacchè l’individuo, non essendo un universale, non può essere definito.

La coppia uomo-donna ha un suo posto anche nei sacramenti, dove vediamo che tutti i sacramenti sono fatti per tutti e per ognuno, indipendentemente dal fatto che siano uomo o donna, tranne il sacramento dell’Ordine, notoriamente avente per soggetto l’uomo maschio. Il che vuol dire che la grazia si distribuisce in modo diverso nell’uomo e nella donna, così da rendere possibili i carismi maschili e quelli femminili, e da creare una reciprocità soprannaturale, che si aggiunge a quella naturale.

Immagini da Internet