Lo spirito e la carne - Seconda Parte (2/2)

 

Lo spirito e la carne

Seconda Parte (2/2)

 L’anima maschile è differente dall’anima femminile

 Facciamogli un aiuto simile a lui

Gen 2,18

La psicologia moderna ha scoperto che esiste una differenza specifica tra l’anima maschile e l’anima femminile[1]. Quindi l’anima umana non è una specie atoma, come si è sempre pensato fino a questa scoperta, ma è una specie essenzialmente divisa in due specie inferiori differenti, reciprocamente complementari, di pari dignità, con caratteri specifici che distinguono l’una dall’altra specie.

Ciò significa che la differenza uomo-donna non appartiene all’individuo, non è un accidente dell’individuo, come possono essere il colore degli occhi o la forma del naso, ma è la differenza tra due modi essenziali di essere della natura umana; sono due essenze specifiche differenti, tali per cui è possibile dare la definizione di entrambe.

Oggi si sa qual è l’essenza della mascolinità e qual è l’essenza della femminilità, così che si è potuta fondare una nuova scienza, che è sessuologia razionale. Tra uomo e donna esiste una differenza spirituale. L’animale razionale si divide in due specie differenti: l’animale razionale maschile e l’animale razionale femminile.

La differenza fra la spiritualità maschile e quella femminile è a sua volta la base antropologica della diversità dei carismi propri dell’uomo e della donna nella Chiesa, come ad esempio il rapporto del sesso maschile col sacerdozio o la femminilità della Chiesa modellata sulla femminilità della Madonna, ideale della donna[2].

Nel regno animale esiste un solo grado di differenza specifica al di sotto del genere animale e cioè le diverse specie di animali, per cui al di sotto della specie c’è immediatamente l’individuo, sicchè tra individuo e individuo c’è solo una differenza materiale, c’è solo diversità e non una differenza formale come tra specie e specie. Esiste tuttavia una tipicità e una reciprocità sul piano fisico, che consente facilmente di distinguere i due sessi.

La diversità sessuale fra individuo e individuo vale anche per gli individui umani, e tuttavia nella specie umana il rapporto fra genere e differenza nonchè tra specie e individuo non è così semplice come nel regno animale. Infatti nella natura umana al di sotto della specie uomo non c’è immediatamente l’individuo, ma c’è un grado ulteriore ed inferiore di specificità, che è la coppia maschio e femmina. Negli animali esiste una differenza sessuale meramente fisica, non spirituale.

Quindi l’esser maschio e femmina nella natura umana non si riduce ad essere, come nel mondo animale, due diversi individui della stessa specie, sia pure con differente tipicità, ma comporta una differenza specifica o formale di secondo grado, che non intacca né spezza per nulla l’unità, l’identità e l’uguaglianza e pari dignità della natura umana nell’uomo e nella donna; non comporta due definizioni differenti della natura umana; tanto l’uomo che la donna sono animali razionali, ma in modo formalmente differente: maschile e femminile.

Sotto la specie uomo, quindi, quasi che essa fosse un genere, c’è un grado ulteriore, ultimo ed infimo di differenza specifica o formale: la differenza fra uomo e donna, che consente di definire l’essenza del maschio e l’essenza della femmina non solo in senso fisico, ma anche spirituale, cosa che sarebbe impossibile se maschio e femmina stessero solo sul piano dell’individuo, giacchè l’individuo, non essendo un universale, non può essere definito.

In altre parole: la razionalità come differenza specifica al di sotto del genere animale, che caratterizza la natura umana come tale, onde la pari dignità dei due sessi e la stessa e identica natura umana nei due sessi, abbraccia a sua volta sotto di sé due specie inferiori di razionalità specificamente differenti fra di loro: la razionalità maschile e quella femminile.

Infatti, mentre l’animale ha un’anima puramente sensitiva, l’uomo ha un’anima spirituale e per questo nell’uomo fra maschio e femmina non c’è solo una differenza fisica come negli animali, ma anche una differenza spirituale. E come i due sessi in senso fisico sono reciprocamente complementari, così lo sono in senso spirituale.

In tal modo, come esiste una reciproca complementarità spirituale tra uomo e donna nella società civile, così essa esiste anche nella Chiesa. Alla luce di queste considerazioni vediamo quanto aberrante non solo dal punto di vista sessuale ma anche spirituale sia la teoria genderista che vorrebbe giustificare e legittimare l’omosessualità.

Nello stesso tempo questo discorso significa che nella specie umana tra individuo e individuo non c’è solo una differenza materiale come tra gli individui di una specie animale, benché ovviamente anche lì il maschio sia fisicamente differente dalla femmina, ma c’è anche una differenza formale e specifica di carattere spirituale, simile alla differenza tra due puri spiriti, gli angeli, ognuno dei quali, come osserva San Tommaso, costituisce una specie o forma per conto proprio.

Similmente all’angelo, dunque, anche l’individuo umano, anche la persona umana può essere individuo e specie ad un tempo, il che vuol dire che può essere intellegibile, giacchè per noi solo la specie è intellegibile. Per questo astraiamo l’universale dall’individuale, oggetto del senso.

La dottrina scotista dell’ecceità è un tentativo di fondare e giustificare l’intellegibilità dell’essenza umana individuale, ovvero della singola persona, cosa che non è assicurata dall’universale astratto della gnoseologia aristotelica, la quale si ferma all’intellegibilità dell’essenza specifica, e non arriva a quella individuale, semplice oggetto del senso.

L’animalità (sessualità) e la razionalità sono certo due forme reali, così come il corpo è realmente distinto dallo spirito, ma l’anima umana è una sola forma reale sostanziale del corpo e del sesso, principio ad un tempo della spiritualità e dell’animalità, Anche l’intelletto distingue realmente due forme tra di loro, le quali, però, nella persona concreta sono virtualmente contenute nella medesima forma sostanziale che è l’anima.

Così pure l’individuo umano e la natura umana sono certo due forme intellegibili realmente distinte – io non sono l’umanità -; la mascolinità e la femminilità sono certo distinte da questa mascolinità e questa femminilità. Eppure nella realtà delle persone trovo solo questa persona, quest’uomo e questa donna, con la sua unica forma sostanziale e naturale intellegibile, senza che questa risulti dalla composizione di altre forme sia pure ex parte rei.

Che rapporto c’è fra la dualità maschio e femmina e il mistero trinitario?

Maometto pensava che è impossibile che Dio abbia un figlio, perché dovrebbe avere una moglie per poterlo generare. A noi cristiani, davanti a una simile affermazione, verrebbe forse a tutta prima voglia di ridere. Ma dobbiamo renderci conto che Maometto solleva effettivamente un problema, oggi che come non mai siamo sensibili alla tematica e problematica della sessualità umana e a quella della pari dignità e della differenza tra uomo-donna.

Sarebbe facile rispondere a Maometto dicendogli che egli non ha capito in che senso Dio è Padre e genera un Figlio. Questo senso lo spiega S.Giovanni con la dottrina del Logos, che lascia intendere che Giovanni si è reso conto del problema di Maometto molto prima di lui, e ci ha chiarito con la dottrina del Logos che «Figlio» comporta sì l’uso di una categoria che rimanda alla mascolinità, ma che in realtà Dio non ha nulla a che vedere col sesso, essendo puro Spirito, anche se creatore del sesso, e questo, Maometto lo sapeva molto bene, tanto che lo mette anche in paradiso.

Ricordiamo d’altra parte che chiamare Dio col nome di padre, quindi considerarlo maschio non è proprio solo della Scrittura, ma anche del paganesimo antico, sempre per il motivo del primato maschile, allora ritento ovvio, primato che dice signoria e dominio, attributi evidentemente convenienti a Dio. Se erano ammesse le dèe, in ogni caso dovevano essere solo divinità inferiori, ma il capo supremo degli dèi doveva essere denominato con la categoria della paternità, che dice mascolinità.

Ma nel cristianesimo la metafora della mascolinità di Dio come Padre è relativa anche all’Incarnazione del Verbo. Dato il dogma che Dio genera un Figlio che si incarna in una natura umana, per cui occorre il contributo di una madre, occorre usare nei confronti di Dio generante la metafora della paternità, giacchè il figlio, nella nostra visuale umana, nasce dall’unione del maschio con la femmina e quindi dall’unione del padre con la madre. Da qui la conseguenza che Cristo è Figlio del Padre divino e di una madre umana. Si comprende così perché la prima Persona sia chiamata Padre.

Perché dunque la seconda Persona è chiamata Figlio? Come mai questa metafora del maschio? Per quale motivo? San Giovanni ci spiega che il Figlio è il Verbo del Padre, così come il Pensiero si può considerare «figlio» della mente. Ora è chiaro che dire verbo vuol dire spirito, dove il sesso maschile non c’entra.

La risposta di Giovanni è importante. Tuttavia ci si potrebbe chiedere: perché la metafora del maschio e non quella della femmina? Perché il Padre genera un Figlio e non una Figlia?  Premesso che è chiaro che come il termine Padre, così il termine Figlio sono inamovibili dalla formula del dogma trinitario, non ci è proibito farci questa domanda.  Possiamo rispondere dicendo che questi termini che rimandano alla mascolinità risentono della mentalità in una società patriarcale, per cui, dato che la divinità significa primato, ecco l’uso spontaneo del nome maschile, dato per scontato che l’uomo è il capo della donna.

Per quanto riguarda lo Spirito Santo, in italiano spirito è maschile, mentre in ebraico è femminile (rùach), profonda intuizione precorritrice dell’affermazione della spiritualità femminile nei tempi moderni. Tuttavia è evidente che lo spirito in genere, essendo immateriale, non ha sesso. Gli angeli, puri spiriti, non sono sessuati.

Altra questione connessa col denominare Dio con termini riferiti alla mascolinità, è l’immagine di Cristo sposo della Chiesa. Ne viene che, se noi siamo figli della Chiesa, risulterebbe che siamo figli di Cristo, mentre invece siamo figli di Dio Padre. Come risolvere questa discrepanza?

Possiamo dire anzitutto che propriamente Cristo è nostro fratello in quanto noi, come cristiani, partecipiamo della Figliolanza divina del Figlio, per cui il nostro Padre celeste è il Padre del Figlio di Dio, Gesù Cristo. Dato però che Cristo è Dio, un solo Dio col Padre, possiamo dire che in questo senso siamo figli di Cristo, in quanto Cristo è Dio. In tal modo salviamo la metafora di Cristo sposo della Chiesa. Così siamo fratelli di Cristo in quanto Egli è uomo e figli di Cristo in quanto è Dio, Uno col Padre («chi vede me, vede il Padre»).

La metafora della femminilità e della maternità si può applicare anche alla Chiesa, la quale evidentemente, in quanto comunità spirituale fatta di uomini e donne, non ha propriamente un sesso. Tuttavia, anche la Chiesa si può vedere nella metafora della donna secondo il paradigma antico del primato del maschio, dato che la Chiesa è governata da Cristo. Ed ecco la Madonna come tipo, madre e immagine della Chiesa.

La coppia uomo-donna ha un suo posto anche nei sacramenti, dove vediamo che tutti i sacramenti sono fatti per tutti e per ognuno, indipendentemente dal fatto che siano uomo o donna, tranne il sacramento dell’Ordine, notoriamente avente per soggetto l’uomo maschio. Il che vuol dire che la grazia si distribuisce in modo diverso nell’uomo e nella donna, così da rendere possibili i carismi maschili e quelli femminili, e da creare una reciprocità soprannaturale, che si aggiunge a quella naturale.

Altra cosa importante che ci è rivelata dalla Scrittura circa l’uso simbolico delle immagini sessuali, è la differenza tra l’unione maschio-femmina e l’unione figlio-padre. Potremmo chiederci qual è nel cristianesimo il modello immaginativo-simbolico dell’unione con Dio? Non è, come si potrebbe pensare, il modello figlio-padre, ma uomo-donna o sposo-sposa. Posto a parte ha il sacramento del matrimonio, nel quale la coppia uomo-donna si attua sia in senso spirituale che in senso sessuale.

Ecco perché l’esperienza o contemplazione mistica, che è la forma più alta, più intima, più profonda, più esclusiva e più perfetta in questa vita di unione con Dio, è rappresentata dall’unione uomo-donna, come vediamo nel Cantico dei Cantici.  Infatti la coppia figlio-padre dice rapporto di dipendenza, fa pensare a un superiore e ad un inferiore, a Dio e alla creatura. Invece il modello uomo-donna fa pensare ad un’unione tra due soggetti alla pari. E di fatti Dio vuole essere amato così: come fosse uno sposo dell’anima.

Paragonare l’unione con Dio ad un’unione tra uomo e donna, non significa però assolutamente che l’esperienza sessuale possa in qualche modo identificarsi con l’esperienza mistica, perché essa assomiglia all’unione con Dio per il fatto di essere un’esperienza intima, estremamente piacevole, profonda ed esclusiva l’uno dell’altra al di sopra di ogni altra esperienza umana.

Ma detto questo, occorre precisare con la massima chiarezza che esiste una differenza immensa fra le due esperienze dal punto di viste delle potenze e delle cause che ne permettono l’attuazione: l’esperienza sessuale è di per sé atto dell’istinto sessuale; l’esperienza mistica è atto dell’intelletto mosso dai sette doni dello Spirito Santo.

Differenza fra le due esperienze

Nell’esperienza sessuale l’atto dell’intelletto è sospeso e sostituito dall’atto della passione sessuale. Nell’esperienza mistica l’atto della passione sessuale è sospeso e sostituito dall’atto dell’intelletto. Tuttavia esse assomigliano perché sono dettate dall’amore – amore sensitivo nel primo caso, amore spirituale nel secondo -  e sono esperienze altamente unitive, la prima tra uomo e donna, la seconda con Dio e sono altamente gratificanti, la prima comporta il massimo del piacere fisico, la seconda il massimo del piacere spirituale.

Entrambe sono esperienze passive e nascono per impulso: la prima per impulso della passione sessuale, che è un impulso animale; la seconda per la passione mistica, il «pati divina», del quale parla Dionigi l’Areopagita[3], che è un impulso dello Spirito Santo. La prima nasce dalla carne, la seconda dallo spirito, ma entrambe sono create da Dio. La prima si attua nel matrimonio quaggiù, era propria dello stato d’innocenza e tornerà – non sappiamo come - nello stato di gloria.

La prima sorge dalla percezione sensibile della bellezza sessuale; la seconda dalla percezione intellettuale della bellezza divina. La prima nasce dalla ragione; la seconda, dalla fede. La prima è causata dall’affettività, la seconda, dalla carità. Nella prima è esaltata la natura, nella seconda, la grazia. Nella prima l’atto umano è meritorio se ragionevole; nella seconda è meritorio perché mosso dallo Spirito Santo. La prima è inesprimibile perché è al di sotto della funzione del linguaggio, la seconda è inesprimibile perché lo trascende. Nella prima manca la concettualizzazione perché si pone sul piano dell’animalità. Nella seconda manca il ragionamento perché è una pura intuizione intellettuale.

Tanto nell’esperienza sessuale quanto in quella mistica si ha un contatto affettivo diretto tra gli amanti; nella prima si tratta di un contatto reale diretto; nella seconda il contatto è solo indiretto e intenzionale, perchè nella vita presente, non abbiamo ancora la visione di Dio, ma lo conosciamo solo mediante i concetti di fede.

L’esperienza mistica, dietro suggerimento della Scrittura, è rappresentata ricorrendo al senso del gusto, immagine preferita da San Tommaso, che dà l’idea dell’atto del mangiare, e del tatto, che richiama all’esperienza sessuale, immagine preferita da San Bonaventura. È così che San Giovanni della Croce parla dell’esperienza mistica come «contatto fra due sostanze nude».

Tanto Tommaso quanto Bonaventura parlano, per l’esperienza mistica, di cognitio Dei quasi experimentalis[4]. Tommaso precisa con un quasi, per dire che è sperimentale non nel senso cognitivo, ma in riferimento all’amore, che comporta un contatto diretto fra gli amanti mediante la comune volontà del loro proprio bene.

Quegli autori che dicono che nell’esperienza mistica manca o è superata la concettualizzazione o è sospesa l’attività intellettuale rischiano di confonderla con l’esperienza sessuale o quanto meno puramente estetica o sentimentale o emotiva, come avviene nel romanticismo tedesco.

Nell’esperienza sessuale l’atto dell’intelletto è impedito dall’emozione sessuale. Nell’esperienza mistica l’intelletto si attua in un giudizio per affinità o per connaturalità sotto la mozione del dono dello Spirito Santo, per cui l’atto del giudizio è libero, ma non deliberato, ossia non effetto di una precedente decisione, ma direttamente causato dalla mozione divina.

Per dire tutto in due parole: l’esperienza sessuale è effetto dell’amore fra due coniugi. L’esperienza mistica è effetto della mozione dello Spirito Santo delle potenze spirituali del mistico vivificate dalla carità verso Dio e il prossimo.

Cristo è il modello supremo del mistico come uomo in grazia che contempla il Padre nella luce e per impulso dello Spirito Santo, come dice il profeta Isaia: «Su di lui si poserà lo Spirito del Signore» (11,2). La dottrina dei sette doni dello Spirito Santo si basa su questo passo di Isaia[5].

L’infelice esito della mistica dionisiana

Un rischio della mistica, quando non è ben sorretta da una solida base concettuale, come è la mistica che alla quale può dar luogo la teologia di San Tommaso, ma indulge troppo al mistero e si lascia sedurre dal trasporto emotivo, è quello di evadere dalla concettualità col pretesto del soprannaturale, per togliere all’intelletto qualsiasi luce concettuale e renderlo completamente cieco, facendogli credere di salire ad inarrivabili altezze.

La vicenda intellettuale di Dionigi l’Areopagita, maestro autorevolissimo di teologia mistica per tutto il Medioevo, dopo un apice memorabile e sublime segnalato dal famoso trattato sui nomi divini, commentato da San Tommaso, subì purtroppo successivamente un’evoluzione sconfortante e imbarazzante con la sua Teologia mistica (Edizioni ESC-ESD, Bologna 2011), che si concluse alla fine del trattato col rifiuto di qualunque predicazione teologica sia per affermare che per negare, col pretesto dell’incomprensibilità e ineffabilità divine, sicchè alla fine Dionigi arriva a dire che di Dio non si può dire né che è verità, né che è uno, né che è eterno, né che è vita, né che è immutabile, né che è bontà, né che è spirito, nè che è paternità, né che è figliolanza. Ci si chiede allora che cosa Cristo, il Verbo del Padre, è venuto a rivelarci. Dio è al di sopra del finito, ma non dell’infinito!

Che cosa rimane allora a questo punto davanti al nostro intelletto se non il buio assoluto con la scusa del mistero? Le tenebre anziché la luce? La tenebra è ciò che di Dio ci sorpassa, certo, ma non può essere costitutiva dell’atto del nostro intelletto! Che differenza c’è allora a questo punto fra il teismo e l’ateismo? Certo, anche Tommaso ammette che in teologia si può usare la negazione – è questa la teologia negativa o apofatica –, ma sempre sulla base di qualche affermazione. Si può sì negare l’esistenza di Dio, ma solo relativamente a quanto noi capiamo dell’esistenza. Ma se non si fa questa precisazione, non si ha più la mistica, ma l’ateismo. Il tacere mistico non dipende dal fatto che non vediamo niente e non possiamo affermare niente, ma dal fatto che è tanto quello che vediamo, che non troviamo parole per esprimerlo. È vero che Tommaso, alla fine della sua vita, avendo cessato di scrivere la Summa Theologiae dopo un’estasi mistica, disse; «ciò che ho scritto mi sembra paglia». Ma da allora la Chiesa raccomanda lo studio della Summa come il capolavoro della teologia di tutti i tempi.

È interessante come Tommaso abbia evitato di commentare il finale della Teologia mistica di Dionigi, confutandolo implicitamente quando precisa che l’essere può essere negato di Dio solo in quanto è l’essere che entra nei limiti della nostra umana comprensione dell’essere, ma di Dio l’essere dev’essere affermato assolutamente perché Egli È Colui Che È, mentre Cristo ci avverte che se non crederemo che Egli è, moriremo nei nostri peccati (Gv 8,24).

L’esperienza mistica non esclude l’esperienza sessuale

Victor Miguel Fernandez, l’attuale Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, pubblicò nel 1998 in Argentina, per la Casa Editrice Dabar, un libretto dal titolo La pasión mística. Espiridualidad y sensualidad, col quale vuol dimostrare la compatibilità fra esperienza sessuale ed esperienza mistica, per cui l’unione sessuale tra un uomo e una donna può esprimere l’unione mistica dei due con Dio, in quanto l’una e l’altra sono create da Dio.

Naturalmente non si tratta di un’unica esperienza che sorga dalla sintesi dell’atto sessuale con l’atto della visione mistica, data, come ho detto, la loro profonda differenza. Tuttavia Fernandez sostiene il loro possibile abbinamento in successione o perchè è l’esperienza sessuale che prepara l’esperienza mistica o perché è l’esperienza mistica che ha per effetto l’esperienza sessuale. Infatti, al di là della differenza le due esperienze sono espressione della carità, per la quale l’esperienza sessuale è attuata da due soggetti in grazia di Dio, cosa che si verifica nel matrimonio.

Fernandez accosta le due esperienze mediante la categoria della passione, la quale in senso stretto è un moto dell’appetito sensitivo che si rapporta con la volontà o nel senso di stimolarla o nel senso di esserne un effetto.  Quando una passione si accende, la volontà è spinta a fare ciò verso cui la passione tende. La passione sessuale o carnale si accende quando il soggetto percepisce o immagina o ricorda qualche oggetto atto a suscitare in lui la passione. Egli è trascinato e quasi obbligato a cercare, ottenere o fare ciò a cui la passione lo spinge in modo a volte irresistibile. Tuttavia, con una forte volontà sostenuta dalla grazia, a volte dopo numerosi tentativi la passione può essere domata.

In senso ampio ontologico passione implica una passività, un subire, un ricevere. Per questo il patire è anche un soffrire.  Intendendo passione in questo senso, si può, come fa Fernandez, parlare di passione anche in riferimento alla mistica. E qui Fernandez riprende un’antica tradizione che risale a Dionigi l’Areopagita, il quale, come riferisce San Tommaso nel suo commento a un trattato sui nomi divini, «non solo imparava, ma pativa le cose divine»[6]. Il patire del mistico è ad un tempo uno stato di passività o recettività nei confronti della divina ispirazione o mozione e può essere anche un vero e proprio soffrire.

A testimonianza dei mistici l’esperienza mistica assomiglia ad una passione amorosa con la sua caratteristica forza trascinatrice. E poiché questo avviene anche nella passione sessuale, ecco perché Fernandez s’inserisce in una lunga tradizione, presente nelle religioni, per la quale l’esperienza mistica assomiglia a una esperienza sessuale, pur conservando le debite differenze, delle quali ho parlato.

Il libro di Fernandez ha la infelice idea di diffondersi in descrizioni dettagliate dell’esperienza sessuale, che avrebbe fatto bene a risparmiarci, sia perché ci mettono a disagio e sia perchè comunque sono comunemente note o quanto meno tutti le possiamo immaginare.

Per questo egli di recente ha dichiarato che oggi non scriverebbe più un libro del genere. Forse è stato anche troppo severo con se stesso, perchè in realtà l’istanza che lo ha mosso a scrivere il libro, cioè il dimostrare che tanto l’esperienza sessuale nel matrimonio, quanto quella mistica vengono da Dio e sono suo dono, è stata un’istanza giusta e più che opportuna, con la quale egli si è inserito nel solco del grande insegnamento sulla dignità del sesso che San Giovanni Paolo II ci impartì nelle udienze generali dal 1979 al 1982.

Proprio nei momenti di maggiore difficoltà Dio ci manda il più consolante dei suoi conforti. Proprio nei momenti in cui un valore sembra eclissarsi, ecco che ce lo fa risplendere in una luce mai vista. Proprio nei momenti di maggior corruzione si preparano i fulgori della più sublime santità. Proprio quando ci pare di aver toccato il fondo, quello è il momento della risalita. Mai come oggi, a causa di un ritorno di paganesimo peggiore dei tempi degli antichi Romani, il sesso è stato da una parte frainteso, offeso, vilipeso e dall’altra adorato, idolatrato e divinizzato, dopo 2000 anni di cristianesimo, come se nulla esso ci avesse insegnato.

Ma mai come oggi, dopo i luminosissimi insegnamenti di San Paolo VI e di San Giovanni Paolo II e l’atteggiamento di misericordia di Papa Francesco, avevamo come avuto la possibilità di vincere la concupiscenza della carne, aprirci ai doni dello Spirito e pregustare sin da adesso le primizie della glorificazione escatologica della sessualità umana.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 12 gennaio 2024

 


L’esser maschio e femmina nella natura umana non si riduce ad essere, come nel mondo animale, due diversi individui della stessa specie, sia pure con differente tipicità, ma comporta una differenza specifica o formale di secondo grado, che non intacca né spezza per nulla l’unità, l’identità e l’uguaglianza e pari dignità della natura umana nell’uomo e nella donna; non comporta due definizioni differenti della natura umana; tanto l’uomo che la donna sono animali razionali, ma in modo formalmente differente: maschile e femminile.

Sotto la specie uomo, quindi, quasi che essa fosse un genere, c’è un grado ulteriore, ultimo ed infimo di differenza specifica o formale: la differenza fra uomo e donna, che consente di definire l’essenza del maschio e l’essenza della femmina non solo in senso fisico, ma anche spirituale, cosa che sarebbe impossibile se maschio e femmina stessero solo sul piano dell’individuo, giacchè l’individuo, non essendo un universale, non può essere definito.

La coppia uomo-donna ha un suo posto anche nei sacramenti, dove vediamo che tutti i sacramenti sono fatti per tutti e per ognuno, indipendentemente dal fatto che siano uomo o donna, tranne il sacramento dell’Ordine, notoriamente avente per soggetto l’uomo maschio. Il che vuol dire che la grazia si distribuisce in modo diverso nell’uomo e nella donna, così da rendere possibili i carismi maschili e quelli femminili, e da creare una reciprocità soprannaturale, che si aggiunge a quella naturale.

Immagini da Internet



[1] Vedi Edith Stein, La donna. Questioni e riflessioni, Città Nuova Editrice, Roma 2010; J. Maritain, Facciamogli un aiuto simile a lui, in «Approches sans entraves», Scritti di filosofia cristiana, Città Nuova Editrice, Roma 1977, pp.181-199; San Giovanni Paolo II, Enciclica Mulieris dignitatem del 1988; il mio articolo SULLA DIFFERENZA TRA L’ANIMA DELL’UOMO E QUELLA DELLA DONNA, in Atti del congresso della SITA, Ed. Massimo, Milano, 1987, pp.227-234. I prolegomeni della scienza della femminilità si trovano in uno stato abbozzato ed embrionale nel libro La donna eterna di Gertrud von le Fort, Edizioni Estrella de Oriente  2015.

[2] Vedi per esempio il mio articolo MARIA MODELLO DELLA CHIESA E DELLA DONNA, Sacra Doctrina, 6, 1993, pp.866-925; vedi anche J. Maritain, De l’Église du Christ. La personne de l’Église et son personnel, Desclée de Brouwer, Bruges 1970.

[3] Vedi nota 8.

[4] Il Padre Ambroise Gardeil spiega abbondantemente in che cosa consiste questa esperienza di Dio che, benchè basata sulla conoscenza di fede che è una conoscenza mediata, ha tuttavia un carattere di immediatezza connesso all’amore: La structure de l’âme et l’expérience mystique, Gabalda Éditeur, Paris 1927, 2 voll.

[5] Vedi di San Giovanni Paolo II l’enciclica Dominum et vivificantem del 1986. Cf Jean de Saint-Thomas, Les dons du Saint-Esprit, traduction de Raïssa Maritain, Téqui, Paris 1950.

[6] In librum Beati Dionisii expositio, c.II, lect. IV, n.191, Edizioni Marietti, Roma-Torino 1950, p.59; Summa Theologiae, II-II, q.45, a.2.

4 commenti:

  1. Caro Padre Cavalcoli, mentre leggevo il suo interessantissimo articolo su "Lo spirito e la carne", e sul quale penso che presto li farò alcune domande, ho notato che ci sono due paragrafi che hai ripetuto in due punti diversi del suo scritto: seconda parte, alla fine del testo sotto il sottotitolo "Differenza fra le due esperienze", e sotto il sottotitolo "L’infelice esito della mistica dionisiana".
    Sono i passaggi che iniziano con le parole:

    "La vicenda intellettuale di Dionigi l’Areopagita..."

    "Che cosa rimane allora a questo punto davanti..." (anche se questo secondo passaggio viene modificato alla fine).

    p.-Silvano

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    1. Caro Silvano,
      la ringrazio molto per il suo intervento.
      Ho provveduto a sistemare le cose, spero in un modo sodisfacente.

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  2. Caro Padre, penso che ora il testo sia ben organizzato.
    Per quanto riguarda la domanda che volevo farli, ho riflettuto, ma non riesco ad elaborare bene la domanda, né a formularla bene. Dicono che bisogna sapere come chiedere per ottenere una risposta adeguata...
    Ma almeno presenterò la questione in modo generale:
    Oggi nella Chiesa c'è un punto di accesa discussione attorno al sacramento dell'Ordine. Il tema è presente anche, come è noto, nelle discussioni del Sinodo dei Vescovi attualmente in corso, e in relazione alle discussioni permanenti intorno ai ministeri delle donne nella Chiesa (nel contesto delle rivendicazioni femministe nella società civile).
    Anche Papa Francesco si è preoccupato particolarmente di questo tema, e ho notato questa preoccupazione nei momenti in cui nelle interviste gli viene chiesto “perché non il sacerdozio femminile”. Contrariamente alla sua consueta abitudine, ricorre a teologi e argomenti teologici (ai quali Francesco non ama molto), però, il Papa è ricorso a loro, riferendosi a quello che alcuni teologi chiamano il “principio petrino” e il “principio mariano” nella Chiesa. Un argomento su cui si potrebbe discutere...
    Credo quindi che oggi si imponga ai teologi un compito urgente: cercare di sostanziare o fornire argomenti teologici di convenenza per far comprendere agli uomini di oggi la condizione del sacramento dell'Ordine che impone un soggetto maschio.
    Pertanto, la mia domanda è la seguente: le vostre considerazioni sulla differenza “specifica” tra uomo e donna possono fornire argomenti di convenenza a sostegno del dogma del Sacerdozio istituito da Cristo per il soggetto maschile?

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    1. Caro Silvano,
      la dottrina secondo la quale il sacerdozio ministeriale è riservato al maschio potrebbe a tutta prima dare l’impressione di mantenere la tesi della superiorità del maschio. Ma questa impressione viene subito cancellata se noi adottiamo quel motivo di convenienza della suddetta dottrina, che è dato dalla complementarità spirituale reciproca tra uomo e donna, cosa che si inquadra nella dottrina più generale dei carismi maschili e femminili. Per cui la conclusione del discorso è che al carisma del sacerdozio corrisponde nella donna un dono carismatico di servizio per il bene della Chiesa.
      Parlando di carisma femminile ci fermiamo qui sulle generali, ma è chiaro che in concreto, come dimostra già la storia della Chiesa, la donna può essere beneficiaria di una molteplicità di carismi, come per esempio quello della fondatrice, della missionaria, della profezia, della teologia mistica o di svariate opere di carità, dove collabora.

      Quanto al principio mariano e petrino, è stato ideato da Von Balthasar, ed è molto interessante in quanto esso abbina il ministero sacerdotale di Pietro alla missione materna di Maria, come Madre della Chiesa.
      Questo pensiero è sviluppato nel libro “Il complesso antiromano”, Editrice Queriniana, Brescia, 1974, p. 203.
      Le cito questo link, che è un commento alla Lettera Mulieris Dignitatem di San Giovanni Paolo II:
      http://www.laici.va/content/dam/laici/documenti/donna/teologia/italiano/Principio%20mariano%20e%20principio%20petrino.pdf

      Un ulteriore argomento di convenienza riferito al carisma femminile può essere dato dal fatto che la grazia della salvezza giunge già nel seno della donna, che ha concepito il figlio. In questo modo la donna riceve da Dio un carisma speciale a lei conforme, che la rende collaboratrice del sacerdote nell’opera della salvezza.
      Il fatto che il sacerdozio ministeriale sia riservato al maschio, ci richiama alla mente quello che è stato il Sacrificio della Croce, in quanto il sacerdozio è il ministero che abilita l’uomo a riattualizzare il Sacrificio di Cristo.

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I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.