Il purgatorio come preparazione al paradiso

 

Il purgatorio come preparazione al paradiso

 

Il purgatorio come preparazione al paradiso

Come il purgatorio si inquadra nella concezione cristiana della vita

Nella visione cristiana la nostra vita ha bisogno di essere purificata da agenti nocivi che ne impediscono il libero esercizio e la piena attuazione delle sue virtualità. Essa dev’essere liberata da queste forze nemiche seguendo gli insegnamenti e l’esempio di Cristo e partecipando nella grazia alla sua stessa vita divina e in particolar modo alla sua opera benefica e vittoriosa contro il male e alla sua passione purificatrice, redentrice, espiatrice, soddisfattoria e liberatrice.

Il cristianesimo ci insegna che per capire il senso, lo scopo, il valore e la norma della nostra vita e della nostra condotta morale, per sapere qual è la via della nostra felicità e per realizzare le nostre potenzialità non basta guardare alla natura e alle condizioni della presente vita mortale e badare solo alla nostra attività umana, ma dobbiamo tener conto anche dell’azione divina e di fatti storici che hanno preceduto la nostra vita temporale, fatti ed atti umani compiuti all’origine dell’umanità, in particolare il piano originario della creazione dell’uomo e il peccato originale, fatti e atti che determinano specifici effetti positivi e negativi nella vita presente, come il permanere dell’inclinazione alla virtù e la soggezione al vizio.

Ma la rivelazione cristiana ci dice anche che il fine della nostra attività umana non è immanente ai limiti di questa presente vita mortale, ma va ben al di là ed ha per contenuto  una vita superore, santa, incorruttibile, eterna e divina. Per questo, il fine del nostro vivere non è racchiuso in un compito meramente terreno, nei limiti della vita presente, in mezzo a sofferenze,  fallimenti, sconfitte e peccati, ma trascende immensamente le prospettive e i compiti di questa vita per mirare a una vita eterna e beata dopo la morte, consistente nella visione immediata dell’essenza di Dio, in una nuova umanità eternamente felice, coronata  alla fine del mondo dalla resurrezione del corpo.

L’etica cristiana ci dice inoltre che noi abbiamo la possibilità di scegliere o per Dio o contro Dio e il tempo di questa scelta si chiude con la morte, dopodichè non possiamo più meritare, ma il nostro destino o beato (paradiso) o dannato (inferno) è fissato per sempre.  Diverso invece è il processo di purificazione dal peccato, il quale può durare per un certo tempo anche dopo la morte. Ecco il purgatorio.  

Come mai oggi, anche fra i cattolici, molti non credono nel purgatorio?

Oggi è diffusa una visione del cristianesimo ideata da Rahner, che col pretesto dell’unità della persona umana nega la separabilità dell’anima dal corpo e quindi l’immortalità dell’anima separata, che continua a vivere dopo la dissoluzione del corpo. Rahner sostiene invece che il momento della morte è quello della decisione definitiva e della pienezza della libertà perché l’uomo muore tutto (anima e corpo) e nel contempo risorge tutto (anima e corpo).

Infatti per Rahner il problema dell’uomo coincide col problema dell’essere. Interrogarsi sull’uomo o interrogarsi sull’essere è la stessa cosa. Ora però che cosa è l’essere per Rahner?

«L’essere è conoscere ed essere conosciuto in una unità originaria, che noi vogliamo chiamare coscienza o trasparenza («soggettività», «conoscenza») dell’essere di ogni ente» e quindi anche dell’uomo. «E questa è la prima proposizione di ogni ontologia generale, che qui c’interessa. L’essenza dell’uomo è l’assoluta apertura all’essere in genere, in una parola, l’uomo è spirito. Questa è la prima proposizione dell’antropologia metafisica[1]. ».

Rispondiamo a Rahner: no, l’uomo è sostanza composta di spirito e corpo, è un animale ragionevole. L’uomo non è una semplice autocoscienza, ma è un conoscente spirito-corporeo che trae il suo sapere dai sensi e solo successivamente attua l’intelletto e l’autocoscienza, senza che questa autocoscienza coincida col suo essere. Bisogna inoltre dire che Rahner confonde l’essere in genere con l’essere e l’essere con l’essere assoluto.

L’uomo non è l’ente essenzialmente aperto all’essere in genere. Confondendo poi l’essere in genere con l’essere assoluto, Dio, Rahner dice che l’uomo è essenzialmente aperto a Dio e su ciò si basa per affermare che l’uomo è l’essere della trascendenza il cui orizzonte è Dio come mistero assoluto innominabile e indicibile. Egli sbaglia a dire che l’uomo è l’ente che per essenza si interroga sull’essere, perché si può essere uomini anche senza interrogarsi sull’essere.

 Rahner spiega il mistero dell’Incarnazione respingendo il dogma delle due nature in una persona divina e sostenendo che in esso la natura  divina di Dio diventa umana. Da qui la tesi rahneriana che tutti si salvano. Ed è logico: ha forse Dio bisogno di essere salvato? Se ogni uomo per sua essenza diventa Dio che bisogno ha di essere salvato?

Col che si sente autorizzato a relativizzare o negare tutti i dogmi concernenti l’escatologia, sostenendo che questi dogmi non riguardano realtà o fatti futuri, ma cose presenti, consistenti semplicemente nell’esperienza atematica trascendentale di Dio, nel che secondo lui sta l’essenza della vita cristiana. In questa visione dell’escatologia, paradiso, inferno e purgatorio diventano dei miti simbolici e l’inferno scompare, dato che tutti diventano Dio.

A Hume, al quale la metafisica non interessava affatto, non nego la dignità dell’essere umano. Si sa che soprattutto oggi a molti la metafisica non interessa, e non per questo non sono uomini. Se è vero che la domanda sull’essere coinvolge come suo oggetto anche l’interrogante, ciò non significa affatto che la domanda metafisica coincida con la domanda sull’essenza dell’uomo.

Ora solo l’essere divino, essere assoluto e infinito e perfettissimo, pensiero che pensa se stesso, soggettività assoluta, essere identico alla sua essenza, è tale per cui il suo essere coincide col suo pensare e il suo pensare coincide col suo essere. Solo Dio è autocoscienza assoluta. Noi raggiungiamo la nostra autocoscienza solo partendo dai sensi e riflettendo sul nostro pensiero pensato.

L’uomo non è semplicemente l’ente e tanto meno è l’essere. L’ente come tale l’ens ut ens (on e on) non si identifica con lo spirito o con la coscienza e nemmeno con l’uomo.

L’essere non è necessariamente l’essere sussistente, ma è analogico e può essere non solo l’essere uomo, ma anche l’essere divino, tra di loro distinti. L’essere non è necessariamente essere umano né necessariamente spirito, ma può essere anche materia. Non è necessariamente coscienza, sapere riflesso, ma può essere anche scienza, il sapere diretto. L’essere non è necessariamente intramentale, ma può essere anche extramentale. L’essere, come ha detto Papa Francesco, è prima realtà che idea o pensiero.

L’essere non è come tale divino e neppure umano. E d’altra parte, l’ente non si identifica come tale con l’assoluto. Accanto e sotto l’essere assoluto c’è l’ente relativo; accanto e sotto all’essere semplice e sussistente, atto puro di essere, c’è l’ente composto di atto e potenza, di essenza ed essere.

 Rahner fa un’enorme confusione, conduce al panteismo, ossia alla confusione dell’essere materiale con quello spirituale, dell’essere con l’agire, dell’essere eterno col divenire, dell’essere umano con l’essere divino.

L’eternità appartiene solo a Dio. L’anima umana è eviterna.

Dobbiamo invece dire che solo Dio è l’ipsum Esse.  Solo Dio è eterno. Secondo Rahner l’uomo, ogni uomo non per libera scelta ma per essenza trascende se stesso nel conoscere Dio e nel tendere verso di Lui. La morte costituisce l’attuazione dell’opzione fondamentale[2] e compimento definitivo della libertà[3], nel quale l’uomo muore e risorge nell’apertura definitiva al Mistero assoluto.

Col pretesto dell’unione naturale dell’anima col corpo, non ammette la sopravvivenza dell’anima separata dal corpo dopo la morte, sostiene che la risurrezione del corpo avviene immediatamente non dopo ma nella morte, per cui non esiste, secondo lui, una durata successiva dell’anima separata dopo la morte. Così, col pretesto che l’anima con la morte supera il tempo e si apre all’Eterno, egli nega la durata eviterna[4] dell’anima, per cui fa coincidere il giudizio particolare subito dopo la morte col giudizio universale alla fine del mondo.

Del resto, per lui, la fine del mondo e il Ritorno escatologico di Cristo non sono avvenimenti futuri, ma sono la semplice vita cristiana di adesso, rappresentata dall’Apocalisse in forma mitologica, come se si trattasse di cose che devono ancora accadere rimandate in un futuro indeterminato.

Dobbiamo dire invece che non è detto, come crede Rahner che per tutti l’opzione fondamentale sia Dio. Per questo, benchè ogni uomo sia creato da Dio per trovare in Dio il suo fine ultimo e la sua beatitudine, non tutti scelgono Dio ma altri preferiscono chiudersi nelle proprie idee e nel proprio io considerandolo come assoluto e autosufficiente.

Questa pienezza e compiutezza finale della libertà è per Rahner il momento della morte, dell’edificazione finale della propria personalità, momento in cui i limiti fisici e spirituali del proprio io empirico si superano e si dissolvono, e l’io si allarga all’orizzonte trascendentale infinito e circoscrivente, e si trascende nelle dimensioni originarie e finali divine della pura soggettività intesa come autocoscienza assoluta o essere identico col pensare.

 

Rahner non ammette quindi una durata eviterna dell’anima dopo la morte fino alla ripresa del suo corpo nel Giorno del Giudizio universale, ma, al momento della morte l’uomo, dissolto e immediatamente risorto, si apre al Mistero assoluto ineffabile, incomprensibile e senza nome che è Dio.

Al momento della morte ci sono tre possibilità:

o il paradiso o il purgatorio o l’inferno

 

La credenza oggi diffusa che tutti alla morte vanno in paradiso ha cancellato la convinzione di fede circa l’esistenza e il significato del purgatorio, che invece, adombrato nella Scrittura, è dogma di fede insegnato dal Concilio di Lione II del 1274, ribadito dal Concilio di Firenze nel 1439 e dal Concilio di Trento nel 1547.

 

Dall’insegnamento della Chiesa risulta che il purgatorio è un periodo più o meno lungo di purificazione dell’anima e di sconto di quelle pene temporali che sono dovute a peccati veniali non sufficientemente scontate nella vita presente. Si tratta di anime già salve, che hanno solo da attendere per essere ammesse alla visione beatifica. La loro pena può essere accorciata grazie alla celebrazione della Messa, nonché l’offerta di sacrifici e l’applicazione di indulgenze da parte di fedeli in questa terra.

Da ciò viene che la nostra condotta nella vita presente, per essere saggia e conforme alla volontà di Dio, deve sempre tener d’occhio tre eventualità che possono verificarsi al momento della nostra morte, tre direzioni che la nostra vita può prendere: due di tipo permanente e per sempre, di eterna durata; e una di tipo temporaneo, di durata finita, il purgatorio.

Le prime due possono essere o la vita eterna, nella visione beata del volto di Dio in paradiso; è l’esito finale di coloro che hanno scelto Dio come fine ultimo della loro vita e come loro sommo bene, che hanno scelto Lui come sommamente amato; oppure la dannazione eterna, nella privazione della visione di Dio, col tormento del fuoco che ne consegue, l’inferno, per coloro che hanno respinto Dio come loro fine ultimo e sommo bene, sostituendo se stessi a Dio.

Nell’inferno l’anima è ripiegata e contorta e chiusa nella propria autocoscienza, bloccata su se stessa, rivolta contro se stessa, frustrata nelle sue naturali inclinazioni e prigioniera di se stessa, infinitamente insoddisfatta della propria finitezza, lei che era fatta per fruire dell’infinito.

Viceversa nel purgatorio l’anima ha raggiunto il fine e lo scopo della sua vita ed è quindi soddisfatta benché le manchi la visione beatifica. Non vede Dio, tuttavia, non perché non vuol vederlo, come l’anima dannata, ma al contrario lo intravede già come un tralucere nell’oscurità del Mistero, al di sopra della fede, che ha ormai esaurito la sua funzione. Non lo vede solo perché tra la sua mente e Dio si frappone la nebbia caliginosa delle pene temporali da scontare. Lo ama immensamente in continuità con come l’aveva amato nella vita terrena; Lo desidera ardentemente e l’attesa è per lei un tormento.  

Invece l’anima dannata non desidera affatto vedere Dio, benché essa sia stata creata con quella disponibilità e sarebbe stata veramente felice nel vederLo. L’anima purgante, invece, desidera ardentemente quanto prima vedere l’essenza del Dio trinitario già presente in lei, ma celato dalla fiamma purificatrice.

Il purgatorio corrisponde a uno dei quattro possibili atteggiamenti della volontà umana nel suo rapporto con Dio. Infatti la nostra volontà, nel suo prender posizione di fronte a Dio, può assumere quattro diversi comportamenti. Il primo consiste nel trovarsi nello stato della vita presente, nel quale non ha ancora preso la sua decisione definitiva, benchè possa decidersi fermamente per Dio.

Ma, per quanto voglia impegnarsi a fondo con tutte le sue forze, resta indebolita dalle conseguenze del peccato originale, per cui resta oscillante, ora aderisce a Dio quando vuole il bene, ora si scosta quando pecca; ora obbedisce, ora disobbedisce: ora dice di sì, ora dice di no; ora ama, ora odia. Ora è fervorosa, ora è fiacca. Ora si lascia guidare, ora si ribella. Ora si ostina, ora si pente. Ora lotta, ora si arrende. Ora si lancia, ora batte il passo. Ora è coraggiosa, ora è paurosa e così via. Capita che, allontanatasi da Dio, ribadisce la sua scelta e il suo voler perseverare ad ogni costo. Ora serve solo a Dio, ora serve a due padroni. Ora ascolta lo Spirito Santo, ora ascolta il demonio.

Negli altri tre atteggiamenti, invece, la volontà in punto di morte, si fissa per sempre in quel rapporto che intrattiene o decide di intrattenere con Dio in quel momento: se è un rapporto di amore e di obbedienza, resta per sempre unita a Dio e va o in paradiso o in purgatorio.

Se invece non è in buone relazioni con Dio o è in stato di colpa morale o si ribella a Dio o si trova nei suoi confronti in uno stato di rifiuto o di ribellione o addirittura di odio, resta fissa per sempre in quello stato di dannazione che si chiama inferno.

Il purgatorio è sostanzialmente uno stato di salvezza assolutamente sicura ed eterna, ma con qualche ombra propria dell’inferno. L’anima prova un’immensa consolazione e un senso di assoluta liberazione, un senso di trionfo e di vittoria e di profonda soddisfazione per avercela fatta, un’immensa gioia per essere accolta per sempre da Dio.

Tuttavia non ha ancora la visione beatifica propria del paradiso. Ha superato e abbandonato la mediazione concettuale e creaturale propria della vita presente, si sente alla presenza di Dio in modo certissimo e consolantissimo, quale mai le era stato possibile sulla terra, ma intravede ancora Dio nascosto in una nube, come nella vita terrena, benchè sappia con certezza che questa nube, non sa quando, si dissiperà e salirà al paradiso.

Se nella vita terrena provava angosce o le venivano dei dubbi di non potersi salvare o come dubbi di fede o per il peso dei suoi peccasti o per il timore di non essere gradita a Dio o perché le sembrava che Dio la rimproverasse e le minacciasse l’inferno, adesso non ha alcun dubbio, perché si sente già salva, ma le manca la visione, cosa che le procura un immenso dolore.

L’anima sente inoltre di essere sottoposta ad una giusta pena espiatoria e purificatrice, per liberarsi del tutto dalle tracce dei peccati veniali e scontare adesso quella pena temporale, che avrebbe potuto scontare in questa vita, se in essa fosse stata più zelante, penitente e generosa.

Il purgatorio ha qualcosa della vita presente, del paradiso e dell’inferno. Resta un processo di purificazione ed espiazione, che è proprio della vita presente; resta, di questa, la mancanza della visione beatifica, anche se sono superate le mediazioni della conoscenza di fede, per cui in ciò assomiglia al paradiso.

Ha qualcosa del paradiso per l’assoluta certezza di essere salva per sempre, propria del paradiso. Non ha ancora la gioia del paradiso, anche se prova una gioia molto maggiore di quelle provate sulla terra a causa del fatto che sente Dio molto più vicino adesso di prima.

Assomiglia, benchè solo lontanamente all’inferno, perché sente ancor più che sulla terra, il peso del castigo divino, castigo, però, .come quello terreno, temporaneo, correttore e non afflittivo come quello assai più severo ed eterno dell’inferno.

Il fuoco del purgatorio è come quello del crogiolo che fa brillare l’oro (I Pt 1,7), mentre quello dell’inferno è come quello che brucia le erbacce. A proposito dell’inferno c’è da dire che Cristo invece lo paragona alla ghehenna, che era il deposito dei rifiuti presso Gerusalemme.

Certamente i dannati non vengono distrutti, come crede erroneamente Schillebeeckx, che non sa concepire come i beati possano guardare ai dannati dal  paradiso, quando bastava che avesse letto S.Tommaso[5], il quale spiega come i beati guardino con soddisfazione nei dannati non certo la loro pena, ma il realizzarsi della giustizia divina.

Dove sono il paradiso, l’inferno e il purgatorio?

Una questione speciale riguardo a paradiso, inferno e purgatorio è quella del loro luogo. Dove sono? Come concepire questi luoghi? Che rapporto hanno con il nostro universo fisico? È chiaro che qui occorre un concetto di luogo solo analogo al luogo fisico, luogo metafisico che adesso per noi è misterioso e non sappiamo immaginarlo.

Non è il luogo che conosciamo adesso, con i nostri sensi, ma dobbiamo immaginare un luogo completamente diverso da quello che per noi adesso è il luogo. È un vero luogo, ma non come conosciamo o concepiamo adesso il luogo. Discorso analogo si potrebbe fare per il corpo umano maschile e femminile della risurrezione. Ci sarà uomo e donna, ma non sappiamo come saranno fatti.

Non si tratta dunque di un luogo categoriale, accidente della sostanza materiale, legato alla materia, come quello che sperimentiamo adesso con i nostri sensi mortali, ma di un luogo ontologicamente più alto, trascendentale, appropriato alla molteplicità degli spiriti. Solo i nostri sensi risorti potranno sperimentare il luogo escatologico della terra dei risorti.

I beati abitano in cielo, noi in cammino abitiamo sulla terra, i dannati li immaginiamo, come Dante, in un luogo o carcere tenebroso sotterraneo, le anime purganti. secondo una simpatica immagine di Martin Jugie[6], come la sala di aspetto di un aeroporto, dove avviene un succedersi continuo di arrivi dalla terra e di partenze per il cielo.

In questi tre stati, trattandosi nell’al di là di soggetti umani, benchè solo come anime separate, simili agli angeli, essendo delle sostanze spirituali, benché non siano collocate nello spazio, tuttavia sono distinte le une dalle altre, sono in relazione le une con le altre, agiscono le une sulle altre.

Occorre pertanto immaginare in questi stati, secondo le loro differenze, distanze e contatti, vicinanze e allontanamenti, comunicazioni e chiusure, incontri e conflitti, comunione o contrasti, convergenze e divergenze, accordi o discordia similmente a quanto avviene nella vita presente nelle società pacifiche o nei conflitti bellici.

La Chiesa comprende tre comunità: i militanti, i purganti e i beati,

ma anche i dannati costituiscono una comunità

 

Il piano divino originario sull’uomo prevedeva la costituzione di un’umanità fraterna, santa, felice, virtuosa, innocente, pacifica, unita e concorde. Il peccato ha portato l’odio, il conflitto, l’ingiustizia, la discordia, la guerra, le fazioni, le divisioni.

 

Cristo è venuto per riconciliare i fratelli fra di loro. Alcuni si sono riconciliati e sono coloro che vanno in paradiso; coloro che hanno accettato e scelto Cristo hanno proposto la pace ai ribelli, ma essi non l’hanno accettata: da qui la loro perdizione nell’inferno. Altri hanno fatto una certa resistenza, ma poi hanno accettato: ecco il purgatorio.

 

Così è successo che il Padre è rimasto certamente Padre provvidente per tutta l’umanità, ma ha voluto esercitare la misericordia con alcuni, nel purgatorio e paradiso, e la giustizia con altri, ed ecco l’inferno.  Avrebbe potuto, se avesse voluto, muovere il cuore di tutti a Sé. Ma ha preferito che ognuno facesse la sua scelta; chi a suo favore e chi contro di Lui. La tesi buonista che tutti vanno in paradiso è ciò che il Padre avrebbe potuto fare, ma che di fatto non ha fatto.

 

Così l’umanità si è distribuita escatologicamente nelle due comunità del paradiso e dell’inferno, superando quella attuale terrena e quella purgatoriale. Ma il Padre continua e continuerà comunque ad essere il Padre di tutti e a governare l’intera umanità, dovunque essa si trovi, con amore, bontà, giustizia, misericordia, in terra, in cielo, all’inferno e in purgatorio.

 

C’è da dire inoltre che la Chiesa terrena, pellegrinante e militante, quella purgante e quella celeste trionfante sono un’unica Chiesa, governata da Dio. L’inferno stesso, benché sia fuori della Chiesa, costituisce una società governata dalla Provvidenza. Certamente i dannati dell’inferno si odiano a vicenda, ma su di un punto sono tutti d’accordo: nell’odio verso Dio, nell’aver rifiutato Dio e aver messo il proprio io al suo posto.

 

Come esistono un ordine e un’organizzazione nella Chiesa, così esistono  un ordine e un’organizzazione nella città infernale. Nell’esercito nazista esisteva un ordine una disciplina perfetti al servizio del demonio. Mentre nella Chiesa l’ordine comporta la concordia e l’estinzione del conflitto, nell’inferno la conflittualità è strutturale e ottimamente organizzata, similmente alla dialettica hegeliana che è la sintesi di due opposti in tensione tra di loro.

Nella Chiesa Dio realizza la sua giustizia esercitando la misericordia e togliendo le ingiustizie. Nell’inferno esercita la sua giustizia con l’irrogazione della pena eterna, e la sua misericordia punendo i dannati meno di quanto avrebbero meritato. Nel purgatorio Dio conserva le anime salve purificandole dalle ultime scorie del peccato.

Nella Chiesa avviene una stupenda ed intima comunione d’amore, di reciproco aiuto e solidarietà – la «comunione dei Santi» - nello Spirito Santo fra tutti i suoi membri in cielo e in terra insieme con gli angeli nella comunione con i propri cari, con gli amici, gli apostoli, i martiri, le vergini, i pastori, i dottori e tutti i santi, con la Madonna, con Cristo e la Santissima Trinità.

I beati e le anime purganti intercedono per noi sulla terra. Noi possiamo e dobbiamo pregare per le anime purganti, offrire sacrifici, Messe ed indulgenze per abbreviare o cancellare la loro pena. La Chiesa non ha rapporti con le anime dannate. Essa non prega per loro, perché ormai hanno fatto la loro scelta.

Certamente i beati hanno dispiacere per la dannazione di familiari ed amici, ma d’altra parte essi approvano l’operato della a giustizia divina. Esse trovano consolazione nella visione beatifica.

Le anime dannate, del resto, non desiderano avere alcun rapporto con la Chiesa, dalla quale alcune sono uscite nella vita terrena o nella quale Chiesa alcune non hanno voluto entrare.

Noi sulla terra cerchiamo di fare il nostro purgatorio qui per non doverlo fare dopo la morte, onde poter andare subito in paradiso. Teniamo presente che l’inferno non è vuoto, per cui potremmo esserci anche noi tra quei dannati, circa i quali non sappiamo chi sono.

Ciò tuttavia non sia mai. Non dobbiamo però essere troppo sicuri di non andarci, imitando la stolta e comoda presunzione dei buonisti, che attirano di più l’ira divina anziché allontanarla, ma acquistiamo la vera e fondata sicurezza e certezza basata sul compimento quotidiano del nostro  dovere,  nel timor di Dio, contriti di cuore e fiduciosi nella divina misericordia.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 8 marzo 2024.


Rahner spiega il mistero dell’Incarnazione respingendo il dogma delle due nature in una persona divina e sostenendo che in esso la natura divina di Dio diventa umana. Da qui la tesi rahneriana che tutti si salvano. Ed è logico: ha forse Dio bisogno di essere salvato? Se ogni uomo per sua essenza diventa Dio che bisogno ha di essere salvato?

Col che si sente autorizzato a relativizzare o negare tutti i dogmi concernenti l’escatologia, sostenendo che questi dogmi non riguardano realtà o fatti futuri, ma cose presenti, consistenti semplicemente nell’esperienza atematica trascendentale di Dio, nel che secondo lui sta l’essenza della vita cristiana. In questa visione dell’escatologia, paradiso, inferno e purgatorio diventano dei miti simbolici e l’inferno scompare, dato che tutti diventano Dio.


Viceversa nel purgatorio l’anima ha raggiunto il fine e lo scopo della sua vita ed è quindi soddisfatta benché le manchi la visione beatifica. Non vede Dio, tuttavia, non perché non vuol vederlo, come l’anima dannata, ma al contrario lo intravede già come un tralucere nell’oscurità del Mistero, al di sopra della fede, che ha ormai esaurito la sua funzione. Non lo vede solo perché tra la sua mente e Dio si frappone la nebbia caliginosa delle pene temporali da scontare. Lo ama immensamente in continuità come l’aveva amato nella vita terrena; Lo desidera ardentemente e l’attesa è per lei un tormento. 

Immagine da Internet: Anime in Purgatorio presso la Chiesa di Animas a Santiago de Compostela

[1] Uditori della parola, Edizioni Borla, Roma 1977, p.66.

[2] Sulla teologia della morte, Edizioni Morcelliana, Brescia 1972, pp.81-87.

[3] Ibid, pp.36-43.

[4] La distinzione fra temporalità, eviternità ed eternità è posta da San Tommaso in Sum. Theol., I, q.10, aa.4-

[5] Sum. Theol., Suppl., q.94.

[6] Il purgatorio, Edizioni Paoline 1960.

5 commenti:

  1. Caro Padre,

    Come immaginare il dispiacere che hanno gli eletti per la dannazione di familiari ed amici? Come giustificarlo sulla base dell'antropologia metafisica e della dottrina della visione beatifica? Ovvero, come può darsi un qualsiasi dispiacere laddove queste anime sono perfettamente appagate dalla visione beatifica e dalla contemplazione immediata della sostanza divina?

    Suo in Cristo,

    Pietro

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    Risposte
    1. Caro Pietro,
      il Signore Gesù ci fa presente che per amor suo dobbiamo essere pronti a ricevere opposizione anche da parte di amici e familiari. Ora noi conosciamo la possibilità che questi amici e familiari, perseverando nella loro opposizione a Cristo, si allontanino da Lui definitivamente nell’inferno.
      Che cosa significa questa situazione? Che si realizza in loro la giustizia divina. Ora non c’è dubbio che per noi il realizzarsi della giustizia divina dev’essere un motivo di gioia. Nel contempo dobbiamo ricordare che l’affetto che noi sentiamo per i nostri familiari e per i nostri amici dev’essere giustificato dal fatto che essi amano il Signore. Ma nel caso che essi Gli si oppongano potranno continuare ad essere oggetto del nostro affetto?
      San Tommaso dice che noi dobbiamo rallegrarci del fatto che si realizzi la giustizia divina, ma non dobbiamo rallegrarci del fatto che subiscono la pena.
      Un mistero di questo tipo potrebbe essere rappresentato da Maria Vergine che piange per i nostri peccati, benchè essa sia beata in paradiso.
      In un modo metaforico noi diciamo che Dio ha dispiacere dei nostri peccati.

      Altra risposta, che si può dare a questo quesito, è il fatto che nella visione beatifica noi vediamo Dio, nel quale c’è tutto, il creato e il creabile, non in quanto si trova al di fuori di Dio, ma in quanto da Lui pensato. Per questo possiamo pensare che in Dio esistono nello stato di beatitudine coloro stessi che, al di fuori di Dio, sono dannati. Infatti essi sono stati creati da Dio per amore e Cristo è morto anche per loro. La loro dannazione è la conseguenza della loro volontà di opporsi a Dio.

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  2. Gentile Padre,

    Lei nella risposta ha ben giustificato la consolazione che noi avremo nel vedere realizzata perfettamente la volontà (conseguente) di Dio e glorificata la sua santità e la sua giustizia. Ma io mi chiedevo come si possa coniugare il dispiacere per i dannati con lo stato di beatitudine. Deve forse intendersi in senso puramente metaforico, come lei sembra fare citando l'esempio calzante di Maria che piange per i nostri peccati? In tal senso, non sarà un vero dispiacere. Ma allora, in che senso sarà un dispiacere, se non intaccherà in nulla la beatitudine degli eletti?

    Suo in Cristo,

    Pietro

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    Risposte
    1. Caro Pietro,
      dobbiamo tenere presente che nella beatitudine noi possederemo ogni bene e saremo liberi da ogni male. Ora, come al piacere corrisponde il possesso di un bene, così al dispiacere corrisponde la privazione di un bene. In questo senso non è possibile che i beati provino dispiacere.
      Per quanto riguarda la considerazione che possono avere dei dannati, per esempio dei familiari, quello che possiamo ammettere è il fatto che essi con la volontà disapprovano la loro ribellione a Dio, che ha provocato la loro pena eterna.
      Ci si potrebbe chiedere se nel contempo possono trovare dispiacere per il fatto che si tratta di familiari, ma a questo punto non posso che ripetere quello che ho già detto relativamente al fatto che il dispiacere comporta la privazione di un bene, cosa che non è ammissibile nei beati.
      San Tommaso afferma che i beati si compiacciono dell’esecuzione della giustizia divina, che punisce coloro che lo hanno odiato. Nel contempo possiamo considerare che Dio, anche quando castiga, vuole il bene di colui che è castigato, perché questa condizione si addice al peccato che ha commesso.
      Il dispiacere per il cattivo comportamento del fratello ha senso nella vita presente, nella quale questo dispiacere può essere tolto dal fatto che il fratello si converte. Invece una volta che il fratello con la morte ha deciso irrevocabilmente di stare lontano da Dio, il dispiacere non ha più ragion d’essere, perché il peccato non può più essere riparato.
      Ed inoltre dobbiamo considerare che lo stesso dannato non ha nessun dispiacere della condizione che egli stesso si è scelto, anche se indubbiamente lo disturba la pena dell’inferno.
      I santi in questa terra piangono per peccatori, nella speranza che si convertano, ma non per coloro che si trovano nell’inferno. Rispetto a costoro semmai piangono perché nel passato si sono opposti a Dio.

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  3. Gentile Padre,

    Grazie, è stato molto chiaro.

    Suo in Cristo,

    Pietro

    RispondiElimina

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