Articoli e testi di P.Giovanni Cavalcoli

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28 febbraio, 2022

Rahner secondo Giorgia Salatiello

 Rahner secondo Giorgia Salatiello

Una commemorazione discutibile

L’Osservatore Romano del 22 febbraio dell’anno scorso ha pubblicato un articolo della filosofa della Gregoriana Giorgia Salatiello dal titolo «Una visione ottimista dell’umano», che è la presentazione del contenuto di un famoso libro di Karl Rahner, Uditori della parola, in occasione dell’80° della sua pubblicazione.

Questo libro fu già a suo tempo segnalato dal grande teologo del secolo scorso, Cornelio Fabro, col suo libro «La svolta antropologica di Karl Rahner» (Rusconi, Milano 1974). Il Padre Fabro dimostrò inconfutabilmente, con quella scrupolosità scientifica e la sottile acribia che caratterizzava la sua straordinaria intelligenza teologica, l’impostura della proposta rahneriana, la quale pretendeva di nascondere il suo sostanziale idealismo hegeliano dell’identità dell’essere col pensiero sotto una veste tomista, falsificando il pensiero dell’Aquinate e presentandolo come fosse un hegeliano, quando è ben noto che se c’è un avversario dell’idealismo per il  suo schietto realismo biblico dell’ipsum esse, questo è proprio San Tommaso d’Aquino.

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https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/rahner-secondo-giorgia-salatiello.html


L’Osservatore Romano del 22 febbraio dell’anno scorso ha pubblicato un articolo della filosofa della Gregoriana Giorgia Salatiello dal titolo «Una visione ottimista dell’umano», che è la presentazione del contenuto di un famoso libro di Karl Rahner, Uditori della parola, in occasione dell’80° della sua pubblicazione.

Cf: https://www.osservatoreromano.va/it/news/2021-02/quo-043/una-visione-ottimista-br-dell-umano.html

 Il concetto rahneriano della libertà svuota di senso il libero arbitrio estromettendolo dall’ambito morale e dando solo importanza ad una libertà come espressione di un’«opzione fondamentale», per la quale la persona tende costitutivamente a Dio, mentre è libera di plasmare a suo piacimento una natura umana amorfa, ignara della legge naturale.

Si capisce allora il severo giudizio che pronunciò l’allora card. Ratzinger, del quale la Salatiello pudicamente, ma anche poco onestamente non fa parola:

«Fondamentalmente Rahner ha assai largamente ripreso il concetto di libertà proprio della filosofia idealista, un concetto di libertà che in realtà non conviene che allo Spirito assoluto – a Dio – e per nulla all’uomo».

Papa Francesco ha recentemente segnalato due falsificazioni del mistero dell’Incarnazione: quella gnostica e quella pelagiana. Entrambe sono presenti nel rahnerismo.

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27 febbraio, 2022

Che cosa è il subconscio nella Pascendi di Pio X? - Quarta Parte (4/4)

 Che cosa è il subconscio nella Pascendi di Pio X?

Quarta Parte (4/4)

Bergson, ispiratore del modernismo

Un ispiratore dei modernisti certamente fu il Bergson, non cattolico, influenzato da Herbert Spencer, ma avvicinatosi al cattolicesimo negli ultimi anni, ideatore di una filosofia spiritualistica, credente nell’assoluto, ma fondata sullo spirito inteso come «slancio vitale», autocoscienza subconscia intuitiva, creativa, sovra- concettuale, preconscia ed operativa.

Il Maritain degli anni ’50 parla di un «preconscio o sovraconscio dello spirito», precedente superiore alla concettualizzazione, ed operante nella creatività poetica. Ma poi lo estende anche alla morale. Ciò meraviglia alquanto, se teniamo presente che egli per decenni fu dotto espositore della dottrina tomistica del concetto.

Ma probabilmente gli risorse nell’animo quella propensione per il bergsonismo, che aveva provato da giovane, quell’anticoncettualismo che pure aveva respinto e confutato vigorosamente sin dai primi decenni del ‘900 alla luce della filosofia di San Tommaso.

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Il Padre Réginald Garrigou-Lagrange cita un brano di Bergson dove appare chiaramente la sua incapacità di cogliere il concetto metafisico di sostanza, nonchè la distinzione nel reale fra la molteplicità delle sostanze create e la sostanza divina immutabile creatrice, immaginando altresì un reale che crea se stesso. L’universo è da lui visto come emanazione del Subconscio creatore, che è il fondo dell’io umano.

«Da questo punto di vista, Dio dev’essere concepito come un centro dal quale i mondi sgorgherebbero come lo zampillare di un’immensa fontana, purchè io tuttavia non faccia passare questo centro per una cosa, ma per una continuità di zampillamento. La creazione, così intesa, non è un mistero: noi la sperimentiamo in noi stessi dal momento che agiamo liberamente… e non esistono mai altre cose che quelle che l’intelletto ha costituito. … ».

Le Roy fa aperta professione di idealismo: «Ogni realismo ontologico è assurdo e rovinoso; un di fuori, un al di là del pensiero è per definizione cosa assolutamente impensabile. Non si uscirà mai da questa obiezione e bisogna concludere con tutta la filosofia moderna, che un certo idealismo s’impone».


Secondo San Tommaso l’anima conosce se stessa abitualmente senza alcun concetto. Ma non potrebbe arrivare a questa autocoscienza se in precedenza non avesse contattato con i sensi le cose esterne e non le avesse concettualizzate.

L’assunzione critica del pensiero moderno è un’istanza giusta, ma la sua giusta soddisfazione è data dall’assunzione leale ed onesta delle dottrine del Concilio Vaticano II, nel loro giusto senso stabilito dal Magistero pontificio postconciliare fino all’attuale Pontefice Papa Francesco.

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26 febbraio, 2022

Che cosa è il subconscio nella Pascendi di Pio X? - Terza Parte (3/4)

 Che cosa è il subconscio nella Pascendi di Pio X?

Terza Parte (3/4)

L’emozione al posto del concetto,

il sentimento al posto della dottrina 

1. Una carenza gravissima della gnoseologia modernista è data dal fatto che a causa dell’influsso dell’empirismo occamistico, del suo disprezzo per l’astrazione metafisica e quindi per le nozioni trascendentali, essa non è fondata sulla nozione dell’essere, ma sulla scelta arbitraria, sulla sensibilità incontrollata, sulla percezione del momento, sull’emozione, sull’immaginazione, sulla sensazione suggestiva, sul bisogno di agire e di affermarsi, sull’estetica sensuale e sulla fantasia creativa.

Essa non è frutto dell’intelligenza metafisica, e di un rigoroso metodo razionale, ma della volontà, dell’interesse personale, dell’emozione e dell’istinto, ed è ordinata non al vedere ma al fare. Il pensiero non si sente dipendente dal reale, ma lo vuol dominare. Non si tratta di adeguarsi (adaequatio), ma di decidere. La verità non è ciò che è, ma ciò che io ho deciso che sia.

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È l’idealismo cartesiano che sostituisce l’ideale al reale e scambia l’idea con la realtà, come se l’oggetto del conoscere fossero le nostre idee e non le cose extramentali, secondo quanto opportunamente Papa Francesco ci ha fatto notare nel designare l’errore dell’idealismo.

Laberthonnière cade nell’assurdo quando considera lo stesso Aristotele come idealista, solo perchè Aristotele parla di Dio come Nòesis Noèseos, Pensiero del Pensiero, senza tener conto che quel «pensare» divino non è una semplice idea, ma coincide con lo stesso Essere divino.

Per Dio pensare vuol dire essere ed essere vuol dire pensare. Ma Dio non è un puro pensare senza essere! Come potrebbe infatti un pensante essere pensante se stesso, se non fosse sussistente, e quindi non fosse essere sussistente, come è conveniente che Dio e solo Dio sia?

 

Diamo qualche esempio della sua mentalità modernista, portata ad accusare il Magistero della Chiesa di essere attaccato a una vecchia concezione di Dio non più adatta ai tempi moderni. In queste parole Loisy finge di rivolgersi direttamente alla Chiesa.

Scrive nel 1883: «Sai tu che la necessità di un Dio autore del mondo ed anche distinto, così indipendente come tu lo presenti, non è evidente per me e per molti altri?

Nel 1892: «Sembra impossibile che Dio esista. È impossibile che non esista. Il Dio antropomorfico, proprietario di un mondo che egli governa da gran Signore, arbitrariamente e con cattiveria, non esiste. Ma Dio esiste: è il lato interiore, eterno, immutabile, semplice ed uno, del mondo esteriore, temporale, mutevole e multiplo».

Nel 1903: «L’evoluzione della filosofia moderna tende sempre di più all’idea di un Dio immanente».

Nel 1904: «Non credo più alla divinità di Gesù Cristo e considero l’incarnazione personale di Dio come un mito filosofico».

Nel 1906: «Propendo verso il monismo, o verso il panteismo? L’ignoro.».

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- Lucien Laberthonnière
- Alfred Firmin Loisy

23 febbraio, 2022

Che cosa è il subconscio nella Pascendi di Pio X? - Seconda Parte (2/4)

  Che cosa è il subconscio nella Pascendi di Pio X? 

Seconda Parte (2/4)

L’essenza del Subconscio

come fondamento assoluto,

 atematico ed originario dell’autocoscienza

1. Il termine «subconscio» non è in tutti gli autori principali che furono poi censurati a seguito dell’enciclica. Lo troviamo invece nel filosofo americano William James. Il termine peraltro si può collegare con altri similari, come «inconscio», «preconscio» e «sovraconscio». Di li a pochi anni sarebbe sorto Freud con la sua teoria del subconscio, che non faceva che riprendere in chiave materialistica il subconscio analizzato dalla Pascendi.

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Bergson, invece parla, come è noto, di «slancio vitale». Per lui nel conscio appaiono bensì i concetti, distinti gli uni dagli altri, fissi e separabili tra di loro. 

Ma questo è fenomeno ingannevole, che solidifica, mortifica o degrada il fatto vitale, di per sé movimento continuo, perché ne disgrega l’unità mobile e fluente, come se uno raccogliesse lo scorrere dell’acqua di un fiume in tanti secchielli o come la pellicola cinematografica che fissa gli istanti del divenire.


Il subconscio dei modernisti è fumo negli occhi.

Il modernismo, per questa sua svalutazione del concetto, spiega Pio X, è un «agnosticismo» (nn.57, 68, 77). Ma se per conoscenza intendiamo conoscenza della verità, agnosticismo non vuol dire che non si dia verità, anzi si dà la somma verità, perchè in tal senso esso è una forma di gnosticismo, come spiegherà Papa Francesco per il modernismo di oggi. Attesa infatti la sua pretesa di raggiungere un sapere esoterico superiore ai dogmi della Chiesa, si può considerare anche uno gnosticismo, secondo la descrizione che ne dà Papa Francesco nella Gaudete et exsultate.

Stando così le cose, si può dire che tutto il dramma del modernismo si riassume in un solo punto. Dato il suo scetticismo o agnosticismo concettuale, esso sbocca nella convinzione che sia impossibile farsi un concetto di Dio, stabilire con sicurezza, definitività ed oggettività qual è la natura di Dio e quali sono gli attributi propri della natura divina. Da qui l’impossibilità di una dottrina della creazione, ossia di distinguere Dio dal mondo e dall’uomo, perché viene sostenuta l’uguale impossibilità di definire l’essenza propria di quelle realtà.

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22 febbraio, 2022

Guerra giusta e guerra ingiusta

 Guerra giusta e guerra ingiusta

                                                                                         Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gi altri

Rm 12,16 

Una distinzione tradizionale da recuperare

L’attuale preoccupante aggravarsi del contrasto fra NATO e Russia per l’Ucraina ha rimesso comprensibilmente in circolazione il termine «guerra». Ma che cosa intendiamo oggi con questo termine, dopo decenni di una condanna assoluta della guerra? Ciò ci obbliga, secondo me, a riconsiderare il significato negativo che diamo oggi a questo termine e a chiederci se per caso tale significato apparentemente di buon senso ed ispirato ad una  volontà di pace, non si riveli, a un riesame più serio e realistico, improntato ad un semplicismo astratto, utopistico ed inutilizzabile, che in realtà non ci aiuta a lavorare per l’eliminazione definitiva di quella irrazionale violenza e volontà di distruzione che ci siamo abituati ad associare al termine guerra e se non sia il caso, proprio sempre al fine di eliminare per sempre le guerre, di recuperare la tradizionale distinzione fra guerra giusta e guerra ingiusta. 

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Gli umanesimi veramente universalistici sono quelli che percepiscono l’universalità della ragione umana.

Al riguardo, risulta di grande utilità filosofica ed antropologica sottolineare come l’umanità di Cristo voglia dire Gesù come sommo maestro della ragione, come quel divino sapiente che fra tutti sommamente c’insegna il retto ed onesto ragionare.


Deleterie e divisive sono invece quelle concezioni dell’uomo che restringono l’umanità ad aspetti parziali e limitati, per quanto importanti ed essenziali, come l’empirismo, il sentimentalismo, l’idealismo, il materialismo, il razzismo, il nazionalismo, il settarismo, il fanatismo o fondamentalismo o fideismo religioso.

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21 febbraio, 2022

Che cosa è il subconscio nella Pascendi di Pio X? - Prima Parte (1/4)

  Che cosa è il subconscio nella Pascendi di Pio X?[1]

Prima Parte (1/4)

Non conformatevi alla mentalità di questo secolo,

ma trasformatevi rinnovando la vostra mente

per poter discernere la volontà di Dio,

ciò che è buono, a lui gradito e perfetto

Rm 12,2

 

Il Concilio Vaticano II ha risposto a quelle istanze

 alle quali non rispose la Pascendi senza per questo smentire

 la condanna degli errori modernisti

 

Emitte Spiritum tuum et creabuntur,

et renovabis faciem terrae

Sal 103,3

 

Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre.

Non lasciatevi sviare da dottrine varie e peregrine.

Eb 13,8

 

Come tutti sanno, la famosa enciclica Pascendi di S. Pio X è la vigorosa confutazione degli errori del modernismo, opera elogiata addirittura da Giovanni Gentile, il famoso filosofo idealista hegeliano mostratosi qui di una straordinaria astuzia, in quanto, ben lungi dal convertirsi davanti all’accorato appello del Papa, siccome il Papa non nomina l’idealismo, ebbe la spudoratezza di elogiare il Papa per aver così bene distinto la dottrina cattolica da quella modernista, senza accorgersi o fingendo di non accorgesi che in realtà il bersaglio di fondo dell’enciclica è proprio quell’idealismo panteista, che, nato da Cartesio e sviluppatosi poi nell’idealismo tedesco, costituiva quella che i modernisti chiamavano «filosofia moderna», filosofia che, per loro ingiunzione, la Chiesa avrebbe dovuto accogliere, se non voleva restare indietro rispetto al corso della storia, abbandonando l’ammuffito pensiero realista di San Tommaso d’Aquino, che invece Papa Leone XIII aveva caldamente raccomandato nell’enciclica Aeterni Patris proprio come il modo di attuare in filosofia e in teologia una sana modernità.

L’istanza avanzata dai modernisti in se stessa non era sbagliata. Da troppo tempo la Chiesa era troppo polemica nei confronti del pensiero moderno. Era ora di riconoscerne i meriti e di assumerlo nel pensiero cattolico, se essa voleva avanzare nella conquista della verità e rendersi comprensibile ed accettabile dagli uomini del proprio tempo. 

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Con l’enciclica Pascendi siamo davanti all’opera penetrante di uno dei più profondi conoscitori del pensiero moderno e di acutissimi filosofi. Il documento mostra con quale padronanza e capacità di sintesi il Magistero della Chiesa, assistito dallo Spirito Santo, e illuminato dalla luce del Logos, sa dominare, padroneggiare e giudicare dall’alto della Parola di Dio il campo vastissimo, complicato e diversificato del sapere filosofico e teologico.

Purtroppo la grande enciclica ebbe un difetto pastorale: essa fece un’analisi esatta degli errori del modernismo, ma non raccolse l’istanza di ammodernamento e di progresso.

San Giovanni XXIII, con l’indire il Concilio, dette a quell’istanza la soddisfazione che proveniva dallo stesso Magistero della Chiesa.

Il compito dell’oggi consiste nello strappare il Concilio ai modernisti consegnandolo al suo legittimo proprietario, che è la Chiesa.

Una cosa che si nota nella filosofia modernista accanto al disprezzo per il valore conoscitivo del concetto, è la sfiducia nell’uso della logica e nel potere che la ragione ha di offrire in campo filosofico dimostrazioni convincenti ed inoppugnabili.

Il modernista preferisce costruire sulla sabbia piuttosto che sulla roccia; gode di essere una canna sbattuta dal vento e non aspira ad essere la quercia che resiste alle tempeste. Gli interessa l’oggi, il qui e l’adesso. Il domani lo riduce all’oggi. Il passato lo strumentalizza al presente. Ma perchè? Semplicemente perché non crede all’esistenza della roccia, della quercia e del domani. Dio, per lui, è solo qui e adesso. Il resto non lo interessa. Non esiste.


Immagini da Internet:
- Antoon van Welie, Ritratto di Pio X, 1905, Musei Vaticani, Città del Vaticano, Roma
- Nicola Palizzi, La grande quercia

20 febbraio, 2022

Le prove della esistenza di Dio secondo Kant - Quarta Parte (4/4)

Le prove della esistenza di Dio secondo Kant

Quarta Parte (4/4) 

Le possibili prove secondo Kant

Secondo Kant, quindi, tutti i possibili argomenti per la dimostrazione dell’esistenza di Dio – 1. quello ex motu (primum movens vel motor immobilis), 2. quello ex causa efficienti (prima causa vel ens primum), 3. quello ex contingentia mundi (ens necessarium), 4. quello ex gradibus entis (ens summum vel supremum), 5. quello ex finalitate mundi (finis ultimus vel summum bonum) si riducono all’argomento ontologico di Sant’Anselmo ex essentia Dei ut id quo nihil maius cogitari potest.

E questo come mai? Perché Kant non è capace di prendere in considerazione il problema dell’essere e della causa dell’essere. Egli parla bensì di esistenza, ma si tratta dell’essenza, non dell’atto d’essere dell’essenza. Ora, siccome Sant’Anselmo parte dal concetto di Dio, ossia considera l’essenza di Dio, qui Kant si sente a suo agio; senonché, accorgendosi che Anselmo vuol concludere all’esistenza ed avendo un concetto solamente empirico di esistenza, oltre a sapere che essenza non vuol dire ancora esistenza (vedi il discorso dei cento talleri), osserva giustamente che l’argomento di Anselmo non è dimostrativo perchè dà per scontato proprio ciò che vuol dimostrare, ossia che Dio esiste. Kant si accorge che Anselmo vuol dimostrare l’esistenza di un Dio che suppone già esistente, partendo dalla definizione della natura divina, la cui essenza coincide con l’esistenza. 

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Fontanellato, 2 febbraio 2022

Il sistema kantiano, come tutti i sistemi idealistici a partire da Cartesio fino a Giovanni Gentile, non è interessato alla realtà, ma alle idee. Per questo ciò che ad esso interessa non è l’essere, il reale per eccellenza, ma l’essenza. Quello che interessa gli idealisti è organizzare un perfetto, sistematico, ordinato ed unitario complesso di idee, e di sillogismi rigorosamente dedotto da una prima originaria idea (il cogito di Cartesio), badando non all’aderenza dell’ideale al reale, ma alla supposta validità assoluta dell’idea in se stessa. Per questo, per loro Dio non è il primum, supremum, realissimum ens, ma è la prima, suprema e realissima, reificata o ipostatizzata Idea della Ragione.

Leggendo le opere degli idealisti non abbiamo l’impressione che essi ci mettano a contatto con la realtà, ma di sfogliare un album di fotografie o di vedere un film alla TV. L’idealista non c’insegna come vedere la realtà, ma come lui la vede. All’idealista interessa che impariamo le sue idee. Se poi a queste idee non corrisponde la realtà, peggio per la realtà.


Per Kant, quindi, la ragione non ha nulla da imparare da Dio in fatto di morale. Egli si rifiuta di spiegare l’origine del male nell’uomo col dogma cristiano del peccato originale, che per lui è un semplice mito, ma lo considera il male intrinseco alla natura umana, che per lui è «naturalmente cattiva». 

Per Kant ipotizzare o figurarsi questa idea come fosse una persona assoluta che riveli alla ragione qualcosa di se stessa, non ha senso, è un inaccettabile antropomorfismo. Da qui si capisce come la teologia kantiana neghi la possibilità stessa che Dio riveli qualcosa di sé alla ragione, così da diventare oggetto di fede.

Fuori della mente, nel tempo e nello spazio, c’è solo la sostanza materiale, ci sono solo i corpi, le cose in sé che appaiono come fenomeni, gli enti e gli oggetti della tecnica, della natura e del cosmo («il cielo stellato sopra di me»).

Immahini da Internet

19 febbraio, 2022

Le prove della esistenza di Dio secondo Kant - Terza Parte (3/4)

   Le prove della esistenza di Dio secondo Kant

Terza Parte (3/4)

Nozioni metafisiche insufficienti

Un difetto della metafisica di Kant consiste nel fatto di restringere l’uso di certe nozioni categoriali o trascendentali all’orizzonte materiale, per cui lo spirito viene privato dell’apporto di quei predicati. Una di queste nozioni è la nozione di esistenza. Altre le troviamo in questo brano:

«I concetti di realtà, sostanza, causalità, quello stesso di necessità di esistere, fuori dell’uso in cui rendono possibile la conoscenza empirica di un oggetto non hanno significato, che vale a determinare un oggetto qualsiasi».

Ente reale ed ente ideale. Kant distingue l’ente reale dall’ente di ragione ovvero dall’ente ideale. Distingue quindi l’esistenza reale dall’esistenza ideale. Tuttavia per lui Dio è un ente di ragione raziocinata. Quindi, sotto il profilo del reale, si può dire che per lui Dio non esiste. La posizione è molto grave. Ridotto ad un ente di ragione, ad un’idea della ragione, Dio, che Dio è? Non potrà più essere il creatore della ragione, ma è la ragione che crea Dio. Si capisce bene come la strada è aperta al panteismo e all’ateismo.

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Kant distingue l’essere (sein) dall’esistere (existieren). Così egli riconosce che il termine «Dio» può essere soggetto sia del predicato dell’essere e sia di quello dell’esistere. Kant conosce la differenza tra l’esistere e il non-esistere. Per dare l’esempio di un ente che non esiste egli cita la chimera. Giustamente ritiene che credere esistente ciò che non esiste è illusione.

Il trascendentale kantiano non è ontologico ma gnoseologico; non riguarda cioè l’ente, ma il modo col quale l’intelletto conosce l’ente, secondo il modulo della gnoseologia cartesiana.

Trattando degli angeli, li considera come soggetti fantastici o mitologici, senza rendersi conto dell’aspetto angelistico della sua gnoseologia, simile a quella di Cartesio, dove l’intelletto e il senso non si uniscono promanando dall’unica anima spirituale, forma sostanziale del corpo, ma sembrano due soggetti distinti, senza che appaia il modo di come collegarli per formare quell’unica sostanza che è l’uomo.

«Cento talleri reali» (cioè esistenti) «non contengono assolutamente nulla» (dal punto di vista dell’essenza) «di più di cento talleri possibili» (non esistenti).

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18 febbraio, 2022

Le prove della esistenza di Dio secondo Kant - Seconda Parte (2/4)

 Le prove della esistenza di Dio secondo Kant

Seconda Parte (2/4)

Perché la ragione kantiana non arriva a Dio

Kant si mette in un’impresa indubbiamente utile e meritoria per il suo tempo. Egli si trova in una situazione filosofica aggrovigliata da forti contrasti fra empiristi e razionalisti circa l’essenza, il valore e la portata della ragione umana. Egli pertanto si propone di chiarire, fondare e metter ordine nel campo delle possibilità della ragione facendole rinunciare a ricerche che non portano a nulla o danno un falso sapere e spingendola là dove essa può produrre buoni frutti.

Egli pertanto nella Critica della ragion pura, intraprende ad esaminare il potere e i limiti della ragione umana per stabilire quali sono i fondamenti delle sue certezze, fin dove essa possa conoscere con le sue forze e qual è l’ambito del suo sapere, e smascherare le illusioni, nel tentativo di risolvere il conflitto fra la concezione razionalista di Wolff e quella empirista di Hume. 

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Monte Oreb

Kant nella sua gnoseologia non ha pensato di utilizzare la dottrina aristotelico-tomista dell’astrazione dell’essenza universale dal singolare concreto. Eppure è il processo astrattivo che consente all’intelletto di ascendere dalla scienza fisica alla scienza metafisica. Questa ascesa non è affatto presunzione, come crede Kant, ma è il potere e il dovere del filosofo e di ogni uomo, perché è solo per questa via che si trova Dio. La mente umana, come insegna San Bonaventura, può e deve salire dalla terra al cielo. Non è che sia già in cielo e debba scendere sulla terra. Non parte dall’autocoscienza per passare alla conoscenza. Questo è proprio solo di Dio.

Viandante sul mare di nebbia, Caspar D.F. 

Anche per Agostino Dio è trascendente ed extra animam, per usare l’espressione tomista. Anche per Tommaso Dio abita nell’anima. Ma quello che né Agostino né Tommaso concederanno mai è che la ragione abbia la presunzione folle di considerare Dio come un’idea della ragione.

Per loro, come per ogni uomo ragionevole, soprattutto se credente, Dio è il creatore della ragione e non è la ragione che crea Dio. Su questo punto fra Agostino e Tommaso da una parte e Kant dall’altra c’è un abisso, così come c’è un abisso fra il razionale e l’assurdo.

L’intelletto giunge, dopo aver applicato il principio di causalità, alla certezza dell’esistenza di Dio, perchè l’intelletto, alla conclusione del ragionamento, si ferma nella luce e nella pace davanti a Dio. Ananke stenai, bisogna fermarsi, come già diceva Aristotele. Quando si è arrivati alla cima della montagna, ci si ferma ammirati del paesaggio stupendo. Ma il povero Kant cammina, cammina, prova e riprova, non trova mai l’ubi consistam, perché non è mai certo di essere arrivato alla cima, ma ne fa solo l’ipotesi.

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