Che cosa è il subconscio nella Pascendi di Pio X? - Quarta Parte (4/4)

 Che cosa è il subconscio nella Pascendi di Pio X?

Quarta Parte (4/4)

Bergson, ispiratore del modernismo

Un ispiratore dei modernisti certamente fu il Bergson, non cattolico, influenzato da Herbert Spencer, ma avvicinatosi al cattolicesimo negli ultimi anni, ideatore di una filosofia spiritualistica, credente nell’assoluto, ma fondata sullo spirito inteso come «slancio vitale», autocoscienza subconscia intuitiva, creativa, sovra- concettuale, preconscia ed operativa.

Il Maritain degli anni ’50[1] parla di un «preconscio o sovraconscio dello spirito», precedente superiore alla concettualizzazione, ed operante nella creatività poetica. Ma poi lo estende anche alla morale. Ciò meraviglia alquanto, se teniamo presente che egli per decenni fu dotto espositore della dottrina tomistica del concetto[2].

Ma probabilmente gli risorse nell’animo quella propensione per il bergsonismo, che aveva provato da giovane, quell’anticoncettualismo che pure aveva respinto e confutato vigorosamente sin dai primi decenni del ‘900 alla luce della filosofia di San Tommaso[3].

Il Maritain nel 1913 mostra che per Bergson il problema di trovare la verità assoluta si risolve cartesianamente nel guardare al dato di coscienza. Egli delinea questo metodo osservando che esso concentra

«la propria attenzione sulla stessa propria vita di coscienza, allora tutti i suoi stati si fondono gli uni negli altri, nessuno di essi, in alcun momento, resta il medesimo, si tratta di una spinta indistinta e movente, un flusso, un fiume di vibrazioni più o meno ravvicinate, le quali tutte si corrispondono e si compenetrano, uno scorrere inafferrabile e tuttavia ben reale, una continuità di divenire. A questo momento il filosofo sente di toccare il fondo stesso della realtà, nulla lo separa più da lui, egli conosce se stesso nelle profondità incomunicabili della sua personalità: il senso intimo, convenientemente forzato o dilatato, percepisce così in se stesso e per se stesso ciò che la filosofia tradizionale chiama l’essenza dell’anima»[4].

Ma è chiaro che Bergson equivoca profondamente – e Maritain lo lascia intendere - su quella che è la vera autocoscienza, che non è percezione del sé come fosse l’Assoluto, ma è percezione del sé come rapportato al proprio corpo e al mondo esterno e tramite questo mondo rapportato a Dio. Questo fondo del sé bergsoniano è il Subconscio del quale parla la Pascendi.

In esso non c’è spazio per l’immutabile, l’incorruttibile, l’immortale e l’eterno. Non c’è spazio per la parola di Cristo che «non passa». Non c’è spazio per la fedeltà, la tradizione, la conservazione, la costanza e la perseveranza. Non c’è spazio per le ragioni necessarie ed universali. Non c’è spazio per un’etica dei valori non-negoziabili. Non c’è spazio per l’uguaglianza e la fratellanza umane. Non c’è spazio per il dogma cattolico.

Jacques e Raissa infatti da giovani, nel pieno della crisi modernista, si erano entusiasmati per la parola infiammata di Bergson[5], che li incitava alla ricerca dell’Assoluto e li stimolava a credere nella Verità. Ma successivamente essi si accorsero che l’appello di Bergson sorgeva da un impulso interiore malsano di autoaffermazione esaltata, che finiva per confliggere con l’intellegibilità della Parola di Dio e l’assolutezza dei valori morali e religiosi, che essi cominciavano a gustare nel loro cammino di conversione a contatto con i Domenicani.

Fu un momento di scelta dolorosa tra due emozioni grandiose che li affascinava, ma che pure erano in irriducibile contrasto fra di loro: la vera luce di Cristo e la falsa profezia di Bergson. La vera ed austera luce della verità e il falso luccichìo del mondo, che stava ubriacando ed ammaliando i modernisti.  Così Maritain narra questo momento di scelta drammatica, nella quale vinse Cristo:

«C’est en 1908, - tandis que nous délibérions, dans la campagne avoisinant Heidelberg, si nous pouvons accorder la critique bergsonienne du concept  et les formules du dogme révélé, que l’irréductible conflit entre les énoncés “conceptuels” de la foi théologale qui avait récemment dessillé nos yeux, et la doctrine philosophique pour laquelle nous nous étions passionné pendant nos années d’études, et à laquelle nous devions d’avoir été délivré des idoles matérialistes, nous apparut comme un de ces faits trop certains dont l’âme, à peine a-t-elle  commencé de se les avouer, sait aussitôt qu’elle ne leur échappera pas. L’effort obscurément poursuivi pendant des mois pour réaliser une conciliation à laquelle tendaient tous nos désires aboutissait soudain à cette constatation irrécusable. Il fallait choisir; il est clair qu’on ne pouvait choisir que pour l’Infaillible, et donc avouer que tout le travail philosophique auquel on s’était complu était  à recommencer. Puisque Dieu nous propose dans des concepts et des propositions conceptuelles (qui nous arrivent toutes ruisselantes du sang des martyrs, au temps de l’arianisme on savait mourir à cause d’un iota) les vérités les plus transcendantes et les plus inaccessibles à notre raison, la vérité même de sa vie divine, son abîme à lui, c’est donc que le concept n’est pas un simple instrument pratique incapable à lui seul de transmettre le réel à notre esprit, bon à morceler artificiellement des continuités ineffables et qui laisse fuir l’absolu comme l’eau à travers le filet; grâce à cette merveille naturelle de force et de légèreté qu’est l’intelligence analogique, jetée d’un bord à l’autre, et qui rende notre connaissance capable de l’infini, le concept, divinement élaboré dans la formule dogmatique, tient sans le limiter et fait descendre en nous, en miroir et en énigme, mais aussi en toute vérité, le mystère même de la Déité, qui se prononce elle-même éternellement dans le Verbe incarnée et s’est racontée dans le temps et en langage humain par le Verbe incarné»[6].

Il Subconscio vorrebbe esprimere un mondo psichico individuale, profondo, originario, preconcettuale e latente sotto il manto giudicato superficiale e illusorio della coscienza tematica dell’esercizio della concettualità astratta.

Il Padre Réginald Garrigou-Lagrange cita il seguente brano di Bergson dove appare chiaramente la sua incapacità di cogliere il concetto metafisico di sostanza, con la conseguenza di ignorare la differenza fra la sostanza corruttibile e quella incorruttibile, nonchè la distinzione nel reale fra la molteplicità delle sostanze create e la sostanza divina immutabile creatrice, ed immaginando altresì un reale che crea se stesso, ma l’universo è da lui visto come emanazione del Subconscio creatore, che è il fondo dell’io umano :

«L’intuizione primitiva della vita profonda», che è il Subconscio, «lo scorrere della durata cosciente di sé», afferma il Bergson[7], lo portano a concludere che «tutto è oscuro nell’idea di creazione, se si pensa a cose che sarebbero create e ad una cosa che le crea, come si fa abitualmente, come l’intelletto non può impedirsi di fare. Questa illusione è naturale alla nostra intelligenza, funzione essenzialmente pratica, fatta per rappresentare delle cose e degli stati piuttosto che dei cambiamenti e degli atti. Ma cose e stati non sono che delle vedute prese dal nostro spirito sul divenire. Non esistono cose, esistono solo azioni. …

Da questo punto di vista, Dio dev’essere concepito come un centro dal quale i mondi sgorgherebbero come lo zampillare di un’immensa fontana, purchè io tuttavia non faccia passare questo centro per una cosa, ma per una continuità di zampillamento. Dio così definito non ha nulla di già fatto; è vita incessante, azione, libertà. La creazione, così intesa, non è un mistero: noi la sperimentiamo in noi stessi dal momento che agiamo liberamente. Che delle cose nuove possano aggiungersi a quelle che già esistono, ciò è senza alcun dubbio assurdo, poiché la cosa risulta dalla solidificazione operata dal nostro intelletto, e non esistono mai altre cose che quelle che l’intelletto ha costituito. … Ma che l’azione s’ingrandisca avanzando, che essa crei mano a mano che progredisce, è ciò che ciascuno constata quando guarda se stesso agente».

Bergson vorrebbe stabilire il primato del divenire sull’essere, e quindi della potenza sull’atto. L’immagine di Dio che ne viene, osserva giustamente il Garrigou-Lagrange, è quella di un Subconscio non spirituale, ma animale come quello di Freud. Dice Bergson:

«C’è di più nel movimento che nelle posizioni successive attribuite al mobile; c’è di più in un divenire che nelle forme attraversate di volta in volta, c’è di più nell’evoluzione della forma che nelle forme realizzate l’una dopo l’altra»[8].

E commenta il Garrigou:

«Bergson adotta una filosofia dinamista, che è esattamente agli antipodi della metafisica naturale, per la ragione che una simile metafisica non è altro che la sistematizzazione delle dissociazioni, dello spezzettamento effettuati nel flusso universale ad opera del pensare comune, vale a dire l’immaginazione pratica e il linguaggio. L’intelligenza, secondo lui, non è fatta che per pensare “gli oggetti inerti, e più specialmente i corpi solidi, dove la nostra azione trova il suo punto d’appoggio e la nostra industria i suoi strumenti di lavoro; i nostri concetti sono stati formati ad immagine dei solidi, la nostra logica è soprattutto una logica dei solidi”, essa è incapace di rappresentare il reale, che è essenzialmente divenire e vita.

L’argomento non ha fatto un gran progresso dai tempi di Eraclito, noi anzi vediamo sempre meglio la sua origine sensualista. Se l’intelligenza non ha altro oggetto che i corpi solidi, ci si spieghi il verbo essere, anima di ogni giudizio, e ci si dimostri in che cosa differisce l’uomo dall’animale. Se l’oggetto dell’intelligenza non è il corpo solido, ma l’ente e tutto ciò che ha ragion d’essere, la proposizione bergsoniana “c’è di più nel movimento che nell’immobile” non è vera altro che delle immobilità prese nel senso dello stesso divenire. Ma essa è falsa se la si erige a principio assoluto, perché allora viene a dire: “c’è di più in ciò che diviene che non è ancora che in ciò che è”.

L’immobile per il senso è ciò che è in riposo; per l’intelligenza è ciò che è, in opposizione a ciò che diviene, come l’immutabile è ciò che non può non essere. Il sensualismo bergsoniano confonde l’immutabilità che è superiore al movimento con ciò che le è inferiore, quella del termine ad quem con quella del termine a quo, quella dell’atto con quella della potenza. Così egli degrada la vita dell’intelligenza, che contempla le leggi eterne più alte, al livello del corpo solido inanimato. Sotto questo punto di vista, la vita vegetativa dello stomaco è superiore alla vita immobile dell’intelligenza; il tempo è superiore all’eternità, è la vita, mentre l’eternità è una morte»[9].

Naturalmente immutabilità del dogma non vuol dire che non esista un progresso dogmatico, ossia una migliore conoscenza del dato rivelato, ma nello stesso senso e nel medesimo significato, come diceva San Vincenzo di Lerino. Il Padre Francisco Marίn-Sola in un’opera magistrale[10], ha spiegato come avviene la successione progressiva delle diverse formule dogmatiche attinenti ad un medesimo dato di fede.

Questa del progresso dogmatico, associata a quella che oggi chiamiamo «inculturazione» era una giusta istanza del modernismo. Il suo errore fu quello di confondere il vero col falso progresso. Vero progresso è quello che avviene nella continuità[11] per presa di coscienza, chiarimento, interpretazione, spiegazione, deduzione, esplicitazione. Quello falso avviene per discontinuità o rottura, contraddizione, contrapposizione, conflitto, falsificazione, soppressione, aggiunta (n.64), interpolazione (ibid.), mutamento, deformazione.

Il conservare e il progredire sono due fattori essenziali e reciprocamente complementari dell’ordinata e sana convivenza civile ed ecclesiale. C’è chi ha propensione per il conservare, chi per il far progredire o per l’innovazione. Hanno diritto entrambi a soddisfare alla loro esigenza, ma con discernimento e moderazione, concordi nel perseguimento del bene comune e in una reciproca collaborazione. Se la conservazione conserva ciò che non serve più o non si combina col progresso, cade nel conservatorismo. Se il progresso cambia quello che non deve cambiare o non s’accorda con la conservazione, cade nel modernismo.

Si sbaglia però Maritain nel dire che l’idealismo cartesiano ignora l’esistenza e l’importanza dell’inconscio, per il fatto che identifica l’essere con l’essere pensato. Cartesio ammette un essere non-pensato e quindi l’esistenza dell’inconscio: si tratta dell’ingenuità del realista che non sa che le sue idee delle cose non corrispondano a cose reali, e che crede che sia evidente che esista un mondo esterno al di fuori di lui.

Certamente per Cartesio il principio del sapere è l’autocoscienza. Ma ricordiamo che non si tratta di un’autocoscienza concettuale; e se, come fanno gli idealisti, coscienza vuol dire concettualità, per loro il cogito, benché sia l’autocoscienza originaria, è inconscio, perché non comporta nessun concetto di sè. 

Similmente secondo San Tommaso l’anima conosce se stessa abitualmente senza alcun concetto[12]. Ma non potrebbe arrivare a questa autocoscienza se in precedenza non avesse contattato con i sensi le cose esterne e non le avesse concettualizzate[13], cosa che Cartesio salta a piè pari perché, come è noto, pone in dubbio la veracità dei sensi.

Per cui se alla fine Cartesio ammette questa veracità, lo fa non perché ammette che i sensi possono correggere da sé i loro errori, ma in forza della veracità divina presente nel cogito, che garantisce alla coscienza di poter attingere veracemente alla realtà esterna.

Ora il subconscio modernista svolge un’azione del genere: avendo avuto coscienza dell’immanenza divina nell’autocoscienza, in base a questa esperienza, il soggetto traduce l’esperienza atematica del divino nella concettualità del dogma.

Per questo Freud col suo inconscio non è tanto lontano da Cartesio quanto si potrebbe pensare. La differenza è che mentre l’inconscio freudiano è l’istinto sessuale che si sublima nello spirito, l’inconscio cartesiano è autocoscienza spirituale che si traduce nella concettualizzazione delle cose esterne.

Semmai è lo stesso Maritain, con la sua teoria del preconscio spirituale[14] a rischiare di cadere sotto la condanna dell’inconscio fatta da San Pio X, un inconscio che precorre l’esperienza atematica apriorica preconcettuale di Rahner – il Vorgriff - e di Schillebeeckx.  L’esperienza trascendentale di Rahner non è altro che quella che San Pio X chiama «esperienza individuale» inconscia ed atematica dei modernisti. Di fatto l’esperienza trascendentale rahneriana non è esperienza fatta dall’uomo come tale, perché per Rahner non esiste una natura umana universale, ma solo la persona singola esistenziale.

Il subconscio modernista svela l’anima volontarista, potremmo dire occamista, dell’idealismo cartesiano, nel quale pure ha la sua radice. Infatti col modernismo, che nasce nell’atmosfera creata da Nietzsche, con la volontà di potenza, l’idealismo mostra più che la preoccupazione di identificare il pensiero con l’essere, l’aspirazione ad identificare l’essere con l’agire, col potere e col volere: quello che è stato chiamato «delirio di onnipotenza», che darà luogo all’esplodere dei nazionalismi nella prima guerra mondiale e a quello dei totalitarismi fascista, nazista e comunista in seguito.

Eduard Le Roy, un bergsoniano estremista

Per Le Roy Dio non è distinto dal mondo come una suprema Sostanza immutabile che ne è la causa prima e il motore immobile di un insieme di enti divenienti, generabili e corruttibili. Ma Dio è la totalità del divenire del mondo e si risolve nella pluralità sterminata degli enti in evoluzione che lo compongono. Dice egli infatti:

«Le prove dell’esistenza di Dio riposano tutte sulla frammentazione puramente utilitaria che distingue il motore dal mobile, il movimento e il suo soggetto, la potenza e l’atto. … Sostanze e cose non sono che delle entità verbali per le quali noi “reifichiamo” e immobilizziamo il flusso universale, sono degli arrangiamenti e delle semplificazioni comode per la parola e per l’azione. … Se il mondo è un’immensa continuità di trasformazioni incessanti, non c’è più da immaginare questa cascata a gradinata e numerabile che richiederebbe necessariamente una sorgente prima. …

Affermare il primato dell’atto è ancora sottintendere i medesimi postulati. Se la causalità non è che il versare un pieno in un vuoto, comunicazione a un termine recettore di ciò che possiede un altro termine, in una parola opera antropomorfica di un agente, ciò sia! Ma che cosa valgono questi idoli dell’immaginazione pratica? Perché non identificare del tutto semplicemente l’essere col divenire?»[15].

La cosa ridicola di questa pretesa critica del procedimento razionale della dimostrazione dell’esistenza di Dio è la sfrontatezza con la quale il Le Roy capovolge i ruoli del critico e del criticato: Le Roy si atteggia ad intelligenza superiore che guarda dall’alto al basso le nozioni metafisiche usate nella dimostrazione ponendole alla stregua di puerili rappresentazioni antropomorfiche, mentre non s’accorge di essere egli stesso immerso fino al collo nella più grossolana immaginazione che gl’impedisce di elevare la mente all’altezza della teoresi metafisica, mostrando di non capirne assolutamente nulla. E questo sarebbe l’ammodernamento della filosofia proposto dai modernisti?

Le Roy fa aperta professione di idealismo:

«Ogni realismo ontologico è assurdo e rovinoso; un di fuori, un al di là del pensiero è per definizione cosa assolutamente impensabile. Non si uscirà mai da questa obiezione e bisogna concludere con tutta la filosofia moderna, che un certo idealismo s’impone»[16].

«Lo spirito non è mai che davanti a se stesso, ai suoi gradi e ai suoi momenti. Il mondo è opera sua ed egli stesso, in quanto fatto, è ancora opera sua. In ciò l’idealismo è il vero, intendo l’idealismo del pensiero-azione. Il pensiero-azione si fonda su se stesso e non presuppone niente, … L’azione soltanto è capace di bastare a se stessa. Nulla è posto prima di lei, dato che nulla è posto se non da lei. Essa è posizione di sé. La prenda per la realtà fondamentale; essa diventa libertà, poiché nulla la condiziona, tutto, al contrario, si ricollega a lei; essa appare come un punto di partenza, come un inizio primo»[17].

Non gli dispiace neppure il panteismo:

«Una causa estrinseca ricava la sua apparente lucidità da un’immagine spaziale introdotta in maniera illegittima in un problema di carattere metafisico; si suppone che i motori e i mobili siano delle sostanze distinte (postulato della frammentazione), il che nega il panteismo»[18].

Conclusione

Il difetto fondamentale del modernismo è il difetto dell’uomo che invece di aprirsi verso l’alto, si ripiega su se stesso. Invece di aspirare alla contemplazione si chiude nell’azione; invece di pensare l’essere, pensa il pensato; invece di passare dalla conoscenza all’amore, pretende di far scaturire la verità dalla volontà; invece di passare dall’inconscio al conscio, retrocede nell’inconscio; invece di andare dalle tenebre alla luce, s’immerge nelle tenebre; invece di far servire il senso all’intelletto, rende l’intelletto schiavo del senso; invece di passare dall’immaginabile all’intellegibile, immerge questo in quello; invece di dominare con la volontà la passione, rende schiava la volontà della passione; invece del linguaggio limpido ed onesto, ama il linguaggio torbido ed ambiguo; invece di far leva sulla volontà, fa leva sull’istinto; invece di salire dal mondo a Dio, rende Dio bisognoso del mondo; invece di scegliere il sì e rifiutare il no, pretende di mettere assieme il sì e il no; invece di servire solo Dio, pretende di servire ad un tempo Dio e se stesso; invece di passare dalla carne allo spirito, s’immerge nella carne; invece di passare dalla schiavitù alla libertà, diventa schiavo del peccato; invece di passare all’odio all’amore, si impiglia in conflitti irresolubili; invece di cercare la vita eterna,  giace nelle tenebre e nell’ombra della morte.

L’assunzione critica del pensiero moderno è un’istanza giusta, ma la sua giusta soddisfazione è data dall’assunzione leale ed onesta delle dottrine del Concilio Vaticano II, nel loro giusto senso stabilito dal Magistero pontificio postconciliare fino all’attuale Pontefice Papa Francesco.

Chi pretende di combattere il modernismo limitandosi ad opporgli gli insegnamenti della Chiesa preconciliare ed accusando di modernismo le dottrine del Concilio e il Magistero pontificio postconciliare, fa capire che è vittima e complice dell’interpretazione modernista data dai modernisti a questi insegnamenti della Chiesa. Il risultato di questa nefasta operazione è quello di rafforzare il modernismo, lasciando i modernisti in possesso delle armi con le quali essi nuocciono alla Chiesa, senza essere capaci di recuperare le istanze valide del modernismo riconosciute dal Concilio.

La vera vittoria sul modernismo non viene quindi dal lefevrismo, ma viene dalla sincera adesione al Magistero conciliare e postconciliare, il quale ci insegna che cosa nel pensiero moderno dobbiamo accettare e che cosa dobbiamo respingere per liberare la Chiesa dai mali che oggi la minacciano e per assicurare al pensiero cattolico un vero progresso nella fedeltà alla Tradizione e alla Parola di Dio.   

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 27 agosto 2021

Il Padre Réginald Garrigou-Lagrange cita un brano di Bergson dove appare chiaramente la sua incapacità di cogliere il concetto metafisico di sostanza, nonchè la distinzione nel reale fra la molteplicità delle sostanze create e la sostanza divina immutabile creatrice, immaginando altresì un reale che crea se stesso. L’universo è da lui visto come emanazione del Subconscio creatore, che è il fondo dell’io umano.

«Da questo punto di vista, Dio dev’essere concepito come un centro dal quale i mondi sgorgherebbero come lo zampillare di un’immensa fontana, purchè io tuttavia non faccia passare questo centro per una cosa, ma per una continuità di zampillamento. La creazione, così intesa, non è un mistero: noi la sperimentiamo in noi stessi dal momento che agiamo liberamente… e non esistono mai altre cose che quelle che l’intelletto ha costituito. … ».

Le Roy fa aperta professione di idealismo: «Ogni realismo ontologico è assurdo e rovinoso; un di fuori, un al di là del pensiero è per definizione cosa assolutamente impensabile. Non si uscirà mai da questa obiezione e bisogna concludere con tutta la filosofia moderna, che un certo idealismo s’impone».


Secondo San Tommaso l’anima conosce se stessa abitualmente senza alcun concetto. Ma non potrebbe arrivare a questa autocoscienza se in precedenza non avesse contattato con i sensi le cose esterne e non le avesse concettualizzate.

L’assunzione critica del pensiero moderno è un’istanza giusta, ma la sua giusta soddisfazione è data dall’assunzione leale ed onesta delle dottrine del Concilio Vaticano II, nel loro giusto senso stabilito dal Magistero pontificio postconciliare fino all’attuale Pontefice Papa Francesco.

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[1] L’intuizione creativa nell’arte e nella poesia, Morcelliana, Brescia 1957, pp.99-109.

[2] Cf Les degrés du savoir, Desclée de Brouwer, Bruges 1959.

[3] La philosophie bergsonienne, Téqui, Paris, 1948.

[4] Ibid., p.6.

[5] Lo racconta Raissa nel suo libro I grandi amici, Edizioni Vita e Pensiero, Milano 1956

[6] Cit. da Tresmontant, op.cit., pp.170-171.

[7] Garrigou-Lagrange, Op.cit., p.40.

[8] Ibid., p.160.

[9] Ibid., p.161.

[10] La evolución homogenea del dogma católico, Madrid-Valencia 1963.

[11] Vedi il mio libro Progresso nella continuità. La questione del Concilio Vaticano II e delpost-concilio, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2011.

[12] De veritate, q.10, a.8.

[13] Sum. Theol., I, q.87, a.1.

[14] Cf il mio articolo IL PROBLEMA DEL “PRECONSCIO” IN MARITAIN, Divus Thomas, 7, 1994, pp.71-107.

[15] Garrigou-Lagrange, op.cit., p.97.

[16] Ibid,. p.133.

[17] Ibid., p.599.

[18] Ibid., p.216.

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