Articoli e testi di P.Giovanni Cavalcoli

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P.Tomas Tyn

Testi di P. Tomas Tyn, OP

30 aprile, 2021

Padre Bergoglio ci parla di metafisica - Prima Parte (1/4)

  Padre Bergoglio ci parla di metafisica

Prima Parte (1/4)

Da sempre e per sempre tu sei, o Dio

Sal 89,2

 

Prima che Abramo fosse, Io Sono

Gv 8,59

 

Santo, santo, santo il Signore Dio, l'Onnipotente,

Colui che era, che è e che viene

Ap 4,8

 

Per capire le radici filosofiche degli insegnamenti di Papa Francesco

La Civiltà Cattolica del 3/17 aprile scorso ha pubblicato un breve manoscritto di Jorge Mario Bergoglio del 1987-88, dal titolo «Interpretare la realtà» (pp.3-12). Si tratta di una breve raccolta di pensieri sul valore della metafisica, sul suo metodo e sul rapporto dell’intelletto con la verità e con la realtà.

Bergoglio vede la metafisica come scienza dell’essere e «consonanza a ciò che è» o con la «realtà dell’essere» o «esse ontologico». Si tratta di alcuni appunti o note personali redatti in occasione della sua preparazione alla tesi di dottorato, che Bergoglio non portò mai a termine, sul pensiero di Romano Guardini.

Si tratta semplicemente di una serie di appunti per lo più schematici, di brevi e dense annotazioni, di frasi slegate, senza apparenti connessioni deduttive; sono osservazioni, intuizioni, convinzioni, una specie di elenco di punti sui quali meditare o una specie di promemoria di cose da ricordare o da approfondire, di spunti di riflessione e di stimoli di ricerca, pensieri evidentemente annotati così come sorgevano nell’animo di Padre Jorge, frasi che hanno tutto l’aspetto di una riflessione con sé stesso più che un tono didattico. 

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Fontanellato, 26 aprile 2021

 

La mia ipotesi è: i princìpi interpretativi di una realtà devono essere ispirati dalla realtà stessa, così com’è. La realtà che è interpretata e la realtà di chi interpreta.

https://www.laciviltacattolica.it/articolo/interpretare-la-realta/

27 aprile, 2021

Il Papa può essere Papa senza essere Vescovo di Roma? Seconda Parte (2/2)

  Il Papa può essere Papa senza essere Vescovo di Roma?

Seconda Parte (2/2)

Vicario di Cristo

Quello dunque che in sostanza Lutero negava del Papato era la sua infallibilità nell’insegnarci ed interpretarci la Parola di Cristo. Per questo e in questo senso egli negò che il Papa sia il Vicario di Cristo, subendo in ciò la condanna di Leone X nella Bolla Exsurge Domine del 1521 (Denz.1475).

Per questo, secondo Lutero, non è stato sempre falso quello che i Papi hanno insegnato, e tuttavia hanno commesso anche degli errori, che il cristiano, alla luce del Vangelo ed ispirato dalla Spirito Santo, può denunciare e correggere. E Lutero con la sua critica dottrinale a Leone X, si riteneva appunto il cristiano, che, illuminato dallo Spirito Santo e fedele alla Scrittura, denuncia nel Papa una dottrina erronea. Qualcosa del genere lo fanno oggi certi cattolici, i quali accusano Papa Francesco di eresia, perché, a loro dire, avrebbe tradito la «tradizione» e sarebbe complice del modernismo.

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Per questo si comprende l’osservazione del Card. Gaetano, il quale, congedandosi da Lutero dopo l’abboccamento con lui ordinato da Leone X, ebbe a commentare: «questo significa concepire un’altra Chiesa!». 
 
Immagine da internet 
Il cardinale Tommaso De Vio riceve Martin Lutero, in una raffigurazione del 1557

26 aprile, 2021

Il Papa può essere Papa senza essere Vescovo di Roma? - Prima Parte (1/2)

 Il Papa può essere Papa senza essere Vescovo di Roma?

Prima Parte (1/2) 

Una questione occasionata da Papa Francesco

Sappiamo come Papa Francesco tiene a definirsi come Vescovo di Roma e Pastore universale della Chiesa, mentre non parla mai del suo essere Successore di Pietro e Vicario di Cristo.  Quest’uso dell’attuale Pontefice ben si accorda con la fede degli scismatici orientali, i quali, se respingono la soggezione al Papa, tuttavia non hanno difficoltà a riconoscerlo come Vescovo di Roma o, come essi dicono, «Papa di Roma».

Ritengo inoltre che Papa Francesco, con l’uso di questo titolo, intenda ribadire implicitamente il dogma secondo il quale il Papa è il Vescovo di Roma. Da tempo i Papi non insistevano nel presentarsi in questo modo. Ciò secondo me ha insinuato in alcuni il dubbio su questo dogma. Per questo, ho ritenuto bene ricordare le fonti di questo dogma cogliendo l’occasione per sostenere che nel titolo di Vescovo di Roma sono già implicite tutte le prerogative del papato.

Ci chiediamo dunque in questo articolo: atteso che il Papa sia il Pastore universale della Chiesa ed attualmente Vescovo di Roma, si potrebbe ipotizzare l’eventualità che lasci la sede romana per diventare Vescovo, per esempio, di Washington o di Parigi? Cose di questo genere sono all’ordine del giorno in tutti gli altri Vescovi. Per fare un esempio fra mille: San Pio X, prima di diventare Papa fu Vescovo di Mantova e poi Patriarca di Venezia.

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Sorge nei Papi, sin dall’inizio, per rispetto al fatto che Pietro è stato Vescovo di Roma, la convinzione, poi rivelatasi dogmatica, che il Papa è il Vescovo di Roma e il Vescovo di Roma è il Papa. Quindi non fu più possibile ai Papi successivi e non sarà più possibile ai Papi futuri mutare la propria sede romana, perché l’essere Vescovo di Roma entra nell’essenza del papato. O il papa è Vescovo di Roma o non è Papa.


Non sappiamo a questo riguardo quale Papa per primo abbia concepito questo principio. Di fatti sin dagli inizi tale assioma fu presso tutti i fedeli fuori discussione, benché non sia mai stato formulato esplicitamente fino al medioevo. 

Importante a questo riguardo è la definizione solenne contenuta nella Bolla Unam sanctam di Bonifacio VIII del 1302: «dichiariamo, diciamo e definiamo che per ogni creatura umana l’assoggettarsi al Romano Pontefice è del tutto necessario alla salvezza» (Denz.875). 

Tutti i Papi hanno avuto questa convinzione, che possiamo considerare di fede, sebbene non sia fondata su di un ordine esplicito del Signore, ma essa fa riferimento alla scelta di Pietro di scegliere Roma come sede episcopale del Papa. Da qui la convinzione che il Papa può anche mutare residenza, ma anche là resta Vescovo di Roma. 

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25 aprile, 2021

Il principio del terzo escluso - Quarta Parte (4/4)

 Il principio del terzo escluso

Quarta Parte (4/4)

I tre gradi di astrazione

La negazione della funzione astrattiva del conoscere degrada la dignità dell’uomo al di sotto di quella degli animali. Ma ciò che è da tenere presente nel caso della capacità astrattiva della ragione umana, è che essa opera nell’esercizio del sapere secondo tre gradi di astrazione.

Essa sale dal basso dell’esperienza fisica al livello della matematica, ossia dell’ens quantum e da qui, oltrepassando tutto il mondo del sensibile e dell’immaginabile, s’innalza al livello del puro intellegibile ovvero del puro spirito, e giunge alla metafisica, ossia alla nozione dell’ente in quanto ente, oggetto della metafisica.

L’intelletto, per salire dal secondo al terzo grado d’astrazione, non si limita alla semplice apprensione concettuale (simplex apprehensio) dell’ente composto di materia e forma, ma formula un giudizio col quale oltrepassa il piano dell’essenza per pronunciarsi sull’esistere o sull’essere del reale, mediante la copula del giudizio di esistenza (est), per cui non si limita ad astrarre logicamente o idealmente, come nella semplice apprensione, ma separa mediante il giudizio e dichiara distinto il piano materiale dell’essere da quello superiore dello spirito, ovvero separa la forma dalla materia e considera la pura forma o, potremmo dire, il puro spirito. 

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Aristotele riteneva che non fosse necessario confutare colui che si contraddice, perché con la sua contraddizione, confuta sé stesso e che colui che vuol negare il principio di non-contraddizione, dovrebbe essere muto come una pianta, perché già nel momento in cui esprime parole che hanno un significato, è obbligato a rispettare quel principio.

Aristotele nel famoso libro IV della Metafisica espone e fonda il primo principio della dimostrazione, che è il primo principio della metafisica, ossia il principio d’identità e di possibilità: è impossibile che l’ente sia tale e non sia tale simultaneamente.

Il suddetto principio di ragione è confermato dalla fede cristiana: l’opera conciliatrice di Cristo riconcilia i termini che possono e devono essere riconciliati: l’uomo con Dio e gli uomini tra di loro: questo è il principio dell’et-et. Ma separa eternamente ciò che non può essere unito senza falsità e doppiezza. E qui si ha il rispetto del principio dell’aut-aut, del sì, sì, no, no. 

Il giudizio universale separa ed unisce: separa i beati dai dannati ed unisce nell’eterna beatitudine l’umanità pentita e divisa dal peccato. Per questo il profeta Simeone predice del bambino Gesù: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 2, 34-35).


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24 aprile, 2021

Il principio del terzo escluso - Terza Parte (3/4)

 

Il principio del terzo escluso

Terza Parte (3/4)

È la realtà ad essere contradditoria

o la contraddizione è un difetto del nostro pensiero?

Cristo ci propone una sua logica, che, per sua dichiarazione, è l’opposto di quella del demonio: mentre la logica cristiana, che poi è quella della retta ragione e dell’onestà, oppone nettamente il sì al no, la logica del demonio congiunge e confonde il sì col no.

D’altra parte Cristo ci dice chiaramente che chi vuole raccogliere un senso valido dalla vita, deve raccogliere con Lui, perché chi non raccoglie con Lui, disperde (cf Mt 12,30). Chi crede in Lui si salva, chi non crede si danna. Occorre scegliere: o Lui o Beliar; non possiamo servire l’uno e l’altro simultaneamente.

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Se l’astrazione metafisica e logica, se il principio di non-contraddizione non ci danno la realtà oggettiva né la verità sulla morale, sull’uomo e su Dio, allora tutto il Magistero della Chiesa su questi temi diventa un castello di carta o una favola per minorati mentali.

Allora quando Papa Francesco, nella sua poderosa enciclica Fratelli tutti ci parla di «verità oggettiva», di «natura umana», di «scrutare nella realtà delle cose», della «validità universale dei princìpi etici basilari e non negoziabili» (n.213) o ci parla della «verità trascendente, obbedendo alla quale l’uomo acquista la sua piena identità», senza la quale «non esiste alcun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini» (n.273), è un imbonitore che ci racconta delle balle o un sognatore che vaga fra le nuvole?



 

Occorre ricordare infatti che la mente umana ha bisogno di certezza. Il suo rischio è quello di avere troppa fretta nel volerla trovare e di credere di averla trovata laddove non c’è. Qui sono caduti in molti, come per esempio Cartesio col suo cogito. Il problema è quello di superare le opinioni contrastanti per raggiungere la scienza, perché solo con essa si raggiunge una certezza assoluta, oggettiva ed incrollabile. 

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23 aprile, 2021

Il principio del terzo escluso - Seconda Parte (2/4)

  Il principio del terzo escluso

Seconda Parte (2/4)

L’onestà del linguaggio

 

Maledici l’uomo di doppia lingua (Sir 28,13)

 

I detti del Signore sono puri, argento raffinato nel crogiuolo,  purificati nel fuoco sette volte (Sal 12,7)

 

La Sacra Scrittura, soprattutto nei libri sapienziali, contiene tutta un’etica del linguaggio e del retto pensare, che sono indispensabili per accedere alla fede ed alla comprensione della Parola di Dio. È una lezione costante per noi, che troppo spesso usiamo con leggerezza del linguaggio e ragioniamo con troppa disinvoltura, senza renderci conto di quanto danno possiamo fare a noi stessi e agli altri con un linguaggio imprudente, falso ed impulsivo o con un cattivo uso della ragione.

Forse non pensiamo che può bastare una sola parola ingiusta o diffamatrice a uccidere psicologicamente o moralmente una persona. Per questo, Cristo è così severo quando dice che «chi dice al fratello: “pazzo”, sarà sottoposto al fuoco della geenna» (Mt 5,22). Con la parola falsa si può condurre un’anima persino alla perdizione, ed è giusto che Dio punisca con l’inferno chi spinge gli altri a cadere nell’inferno, con buona pace di Von Balthasar.

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Può essere un dubbio ipotetico o un dubbio esercitato. Il dubbio ipotetico è quello che dà il via alla metafisica e che San Tommaso chiama «universalis dubitatio de veritate». Dice l’Aquinate, commentando Aristotele:


 «le altre scienze considerano la verità in orizzonti particolari, per cui ad esse spetta il dubitare circa le singole questioni di loro competenza. Ma la metafisica, dato che considera la verità nella sua più ampia universalità, ha il compito di un dubbio universale circa la verità, e quindi non dubita secondo un’area limitata, ma affronta il dubbio universale».

 Per quanto poi riguarda l’opposizione al principio fondamentale della dimostrazione come è il principio di non-contraddizione, essa suppone un’impugnazione della verità evidentemente provata o conosciuta. 

Qui San Tommaso, al seguito di Aristotele, fa notare che l’errore in buona fede è impossibile, tanta è l’evidenza prima, immediata ed assoluta del principio

 

 

 

 

Immagini da internet: Morte di San Tommaso d’Aquino. Bassorilievo. Abbazia di Fossanova - Luca della Robbia (1400-1482), Platone (a destra) e Aristotele in La Dialettica (1437-39)

22 aprile, 2021

Il principio del terzo escluso - Prima Parte (1/4)

  Il principio del terzo escluso

Prima Parte (1/4) 

Aut aliquid est hoc aut non est hoc: tertium non datur
 
                            Più untuosa del burro è la sua bocca,

ma nel cuore ha la guerra

Sal 54, 22

 

L’et-et e l’aut-aut

 

Essendo il male la stessa cosa che il bene, 

proprio il male non è male, né il bene è bene,

ma piuttosto sono tolti e superati ambedue

G.G.F.Hegel

 

Esiste nella cultura di oggi una tendenza a voler evitare le contrapposizioni nette ed assolute. C’è un bisogno di inclusività e si vuole evitare l’esclusività. Si tende a ridurre l’opposto al diverso. E si arriva a credere che, pur di realizzare questa universale inclusività, si possano ignorare le esigenze della verità e fare delle eccezioni allo stesso principio di non-contraddizione.

Si fa l’apologia dell’et-et, ossia dell’alterità o diversità e si pensa di poter evitare l’aut-aut, considerandolo segno di mentalità rigida, chiusa e settaria, creatrice di steccati, non aperta all’altro, all’immigrato, al diverso. Si pensa così di favorire l’unità, l’integrazione, l’accoglienza, la pace e l’amore. L’aut-aut sarebbe una fabbrica di nemici, mentre la sua abolizione sarebbe il trionfo della pace e della conciliazione.

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L’esempio di un metodo di pensare basato sulla doppiezza lo possiamo trovare in queste parole di Hegel:

«il vero e il falso appartengono a quei pensieri determinati che, privi di movimento, vorrebbero valere come particolari essenze delle quali l’una sta di qua e l’altra sta di là rigidamente isolate e senza reciproca comunanza».


Bisogna dire viceversa che nessuna filosofia come quella di San Tommaso è nemica della doppiezza del pensiero e del linguaggio, in forza del fatto che nessuna è tanto filosofia dell’identità dell’essere e dell’ipsum Esse, quanto la sua. Nessuna è così rigorosa nel rispetto del principio di non-contraddizione. Per questo la Chiesa la raccomanda fra tutte.

La vera filosofia è la filosofia dell’essere, di ciò che è, perché così essa è aperta a tutto il reale, dato che ogni cosa è un ente. Quindi chi coglie l’ente o l’essere, coglie virtualmente ogni cosa. Tutto è nell’essere; nulla è al di fuori dell’essere. Anche il non-essere lo pensiamo come fosse essere. Questa filosofia non esclude nulla e include tutto. Esclude solo ciò che non può esistere. E questo è precisamente il cosiddetto «terzo escluso». 

Immagini da internet: 
Georg Wilhelm Friedrich Hegel - San Tommaso d'Aquino

18 aprile, 2021

La svolta epocale del magistero della Chiesa medioevale

  La svolta epocale del magistero della Chiesa medioevale

L’ingresso di Aristotele a Parigi nel sec. XIII

Nel sec. XIII all’Università di Parigi i teologi domenicani, essendo venuti a conoscenza da parte dei filosofi musulmani spagnoli della filosofia di Aristotele, ottennero che il Magistero della Chiesa sostituisse nell’interpretazione della Scrittura Aristotele a Platone, fino ad allora utilizzato in ossequio all’opera dei Santi Padri.

La Patrologia inizia in Grecia e passa poi a Roma. I Padri avevano a disposizione, per l’interpretazione del dato rivelato, Platone ed Aristotele. Ma essi ritennero Platone più adatto di Aristotele. Ritennero che fosse uno spirito più religioso, più sensibile alla mistica ed alla carità, più rispettoso dell’ascetica, che fosse più nobile la sua concezione di Dio, dell’uomo e della conoscenza, mentre Aristotele lo vedevano come un rozzo empirista, che sosteneva l’eternità del mondo, negava l’immortalità dell’anima, considerava l’uomo come un animale e propugnava una felicità terrena. 

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Papa Gregorio IX, dal canto suo, proibì nel 1231 l’insegnamento di Aristotele. 

Ma auspicò che il suo pensiero fosse sottoposto ad un opportuno vaglio critico, cosa che per il momento non si poté realizzare. 

Ma successivamente Papa Alessandro IV, con una sua lettera al Cancelliere dell’Università di Parigi, lo sollecitò a concedere a Tommaso la licentia docendi.

Egli dunque, realizzò quel progetto, che già Papa Gregorio IX aveva auspicato, e in pochi anni elaborò quel capolavoro di acume critico, mai prima tentato, che costituisce il commento a tutte le opere di Aristotele, in ottemperanza ai desideri di Gregorio IX.  Papa Gregorio IX -  Sacro Speco, Subiaco, Italia 


Ma Francesco che fa? Che programma ha? Sostituire Rahner a San Tommaso? Meno che meno. 

Ma allora qual è il suo programma? Dopo otto anni ormai è chiaro: è un programma tomista. Sì, cari amici modernisti e lefevriani, che credete di essere voi alla guida della Chiesa. Siete sorpresi? Mi credete un illuso? Invece è proprio così.

14 aprile, 2021

Küng è il responsabile dell’infiltrazione della cristologia eretica hegeliana nella Chiesa - Seconda Parte (2/2)

 Küng è il responsabile dell’infiltrazione

della cristologia eretica hegeliana nella Chiesa[1]

 

 Seconda Parte (2/2)

Una concezione modernista della Chiesa

Da qui viene che per Küng la Chiesa di Cristo è composta parimenti di papisti ed antipapisti, in modo tale che la designazione di «cattolico» non appartiene solo ai papisti, ma anche ai luterani. Secondo lui il dissenso fra cristiani attorno ai poteri del Papa non è una discriminante per stabilire chi è dentro e chi è fuori della Chiesa cattolica.

Per questo, secondo Küng, la Chiesa di Cristo ammette nell’orizzonte della sua dottrina anche idee che sono ortodosse per gli uni ed eretiche per gli altri. Küng non riconosce più quindi al Papa la facoltà di dichiarare infallibilmente quale proposizione è ortodossa e quale è eretica, ma senza togliergli la facoltà di sentenziare in questo campo, e senza negargli gli altri titoli, dice semplicemente che può errare e può essere corretto da un fedele, come fece Lutero con Leone X. In sostanza, Küng considera l’autorità dottrinale del Papa come quella del Rettore di una Facoltà teologica o come quella del Preside di un’associazione teologica internazionale.

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13 aprile, 2021

Küng è il responsabile dell’infiltrazione della cristologia eretica hegeliana nella Chiesa - Prima Parte (1/2)

 Küng è il responsabile dell’infiltrazione

della cristologia eretica hegeliana nella Chiesa[1]

 Prima Parte (1/2)

Luci e ombre 

Il 6 aprile scorso è morto il famoso teologo Hans Küng, fecondo scrittore, che fu perito del Concilio Vaticano II, ma andò soggetto a varie censure ecclesiastiche per la sua tendenza modernista, fino alla sospensione dall’insegnamento da parte della CDF a seguito della sua negazione del dogma dell’infallibilità pontificia.

Küng fu discepolo di Rahner e con lui è stato uno dei principali artefici dell’interpretazione modernista del Concilio, che suscitò per reazione il sorgere della Fraternità Sacerdotale San Pio X, anch’essa sostenitrice del carattere modernista delle dottrine del Concilio, con la differenza che mentre Küng se ne rallegrò, i lefevriani se ne dispiacciono.

La qualità del suo pensiero è data da una notevole cultura biblica, da una capacità di cogliere la concretezza delle situazioni, l’agire concreto delle persone, la fallibilità della conoscenza umana, la relatività delle opinioni, l’evoluzione delle dottrine, il variare dei climi storici, la diversità dei punti di vista, dei comportamenti e delle istituzioni nella società e nella Chiesa, nonché la diversità delle culture e delle religioni. Viva è la sua sensibilità morale con un forte bisogno di relazione umana e spirituale, che favorisca il dialogo, il confronto, i valori comuni, la collaborazione, la solidarietà fra gli uomini e il progresso umano e spirituale. 

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11 aprile, 2021

Un ricordo di Mons. Antonio Livi. Il dramma di un tomista - Seconda Parte (2/2)

 Un ricordo di Mons. Antonio Livi

Il dramma di un tomista

 

Seconda Parte (2/2) 
 

Perché la Chiesa raccomanda San Tommaso

La Chiesa, in ragione del suo compito di annunciare il Vangelo, ha anche quello di dirci quale, tra tutte e filosofie e le teologie in corso, è quella che meglio serve il Vangelo. E per questo, essa sceglie con giudizio infallibile quel sistema dottrinale umano, che più di tutti gli altri è adatto ad interpretare rettamente la Parola di Dio, il dogma e il dato rivelato e condanna quelle che ne rendono impossibile o falsa l’accettazione.

Essa lo raccomanda soprattutto ai teologi naturalmente non come fosse un dato di fede o della dottrina della Chiesa, ma in quanto utile o necessario alla retta comprensione della fede e a confutare gli errori contro la fede. Per questo e in quest’ottica la Chiesa ha scelto di San Tommaso. Scelta irrevocabile? Sì, fino a che la Provvidenza non susciterà eventualmente un filosofo o teologo migliore di San Tommaso. Così essa è stata per Sant’Agostino fino a che non è sorto San Tommaso. Tutto ciò Mons. Livi lo sapeva benissimo.

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10 aprile, 2021

Un ricordo di Mons. Antonio Livi. Il dramma di un tomista - Prima Parte (1/2)

 Un ricordo di Mons. Antonio Livi

Il dramma di un tomista

Prima Parte (1/2)

Una carriera di teologo di prim’ordine 


Il 2 aprile dell'anno scorso, dopo una lunga e dolorosa malattia sopportata con cristiana sopportazione, è morto Mons. Antonio Livi, eminente teologo tomista, che era rimasto fedele al tomismo preconciliare, ma che non era riuscito a comprendere come anche il Concilio Vaticano II concordava col pensiero di San Tommaso, benché secondo quella modalità che era stata proposta dal Maritain, ossia un tomismo aperto alla comprensione dei valori del pensiero moderno, pur nella confutazione dei suoi errori. 

 

Fu socio ordinario della Pontificia Accademia di San Tommaso, Decano della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Lateranense e collaborò con Papa Giovanni Paolo II alla stesura dell’enciclica Fides et ratio (1998).

 

La collezione di titoli scientifici ed accademici con relative attività pubblicistiche e di Mons. Livi è impressionante.  

 

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06 aprile, 2021

La religione della mascherina

  La religione della mascherina

Una psicosi collettiva

Un mio confratello mi ha raccontato giorni fa che una signora nella chiesa del nostro convento, avendo sorpreso a quindici metri di distanza un’altra signora senza mascherina, le ha intimato di indossarla immediatamente, dopodiché è corsa dal Vescovo a denunciare il fatto.

Un tempo il fedele zelante denunciava al Vescovo un parroco che infrangeva le norme della celebrazione liturgica o che aveva dato scandalo pronunciando un’eresia nell’omelia della Messa o per una condotta sessuale scandalosa. Oggi si passa sopra a queste cose: occorre – si dice - rispettare le opinioni altrui e scelte morali «diverse». 

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il «castigo che ci dà salvezza si è abbattuto sui di Lui e che dalle sue piaghe siamo stati guariti» (Is 53,5).

Il Papa ci ha detto di recente che «siamo provati». Ebbene, da queste parole del Papa si può giungere a comprendere il valore profetico delle parole di Isaia, che coglie già sei secoli prima il significato salvifico del sacrificio di Cristo.



 

 

Il Pontefice non aveva mai usato finora questa espressione a proposito della pandemia.


Possiamo trarre infatti da queste parole luce, conforto, consolazione e speranza in linea con le parole del Profeta. 

Apparentemente Francesco non pare aver detto nulla di straordinario. Ma egli ha spesso la capacità di dire brevemente grandi cose. Occorre non lasciarsi sfuggire certe osservazioni o sentenze apparentemente banali, ma che in realtà nascondono importanti insegnamenti.

 

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