La svolta epocale del magistero della Chiesa medioevale

 La svolta epocale del magistero della Chiesa medioevale

L’ingresso di Aristotele a Parigi nel sec. XIII

Nel sec. XIII all’Università di Parigi i teologi domenicani, essendo venuti a conoscenza da parte dei filosofi musulmani spagnoli della filosofia di Aristotele, ottennero che il Magistero della Chiesa sostituisse nell’interpretazione della Scrittura Aristotele a Platone, fino ad allora utilizzato in ossequio all’opera dei Santi Padri.

La Patrologia inizia in Grecia e passa poi a Roma. I Padri avevano a disposizione, per l’interpretazione del dato rivelato, Platone ed Aristotele. Ma essi ritennero Platone più adatto di Aristotele. Ritennero che fosse uno spirito più religioso, più sensibile alla mistica ed alla carità, più rispettoso dell’ascetica, che fosse più nobile la sua concezione di Dio, dell’uomo e della conoscenza, mentre Aristotele lo vedevano come un rozzo empirista, che sosteneva l’eternità del mondo, negava l’immortalità dell’anima, considerava l’uomo come un animale e propugnava una felicità terrena.

Si erano bensì accorti di alcuni errori in Platone, come il suo dualismo tra il vero attinto dall’intelletto e l’opinabile come oggetto del senso, dell’origine del male dalla materia e non dallo spirito, dell’errore della preesistenza dell’anima caduta nel carcere del corpo, e per conseguenza della dottrina della salvezza non come risurrezione del corpo, ma come liberazione dal corpo. Ma avevano anche saputo individuare alti elementi di spiritualità, come per esempio il famoso eros platonico e il valore dell’ideale, anche superiori all’aristotelismo, che resteranno per sempre nella spiritualità cristiana.

Invece filosofi musulmani come Al-Farabi, Al-Kindi e Avicenna, venuti a contatto in Persia, in Egitto e in Spagna con le opere di Aristotele provenienti dalla Grecia e trascurate dai Padri greci, si accorsero della maggiore utilità per interpretare la dottrina del Corano. dell’antropologia, dell’etica e della metafisica aristotelica rispetto a quelle di Platone.

Questi filosofi, infatti, pur mantenendo la fede islamica, sapevano che la riverenza e il rispetto per la parola e i comandi coranici di Allah, creatore della ragione e del libero arbitrio, non escludono ma suppongono che siano accolti e compresi dalla ragione umana e liberamente e responsabilmente messi in pratica.

Per questo essi, avendo scoperto in Aristotele uno spirito rispettoso della realtà e un potente ragionatore, si accorsero del grande vantaggio di servirsi delle sue dottrine logiche, cosmologiche, antropologiche, etiche e metafisiche per comprendere il significato della rivelazione coranica. Altri filosofi, invece, come Al-Gazzali ed Avicenna, preferirono Platone.

Ma come i musulmani sono arrivati ad Aristotele?  All’origine di ciò – chi avrebbe mai potuto immaginarlo? Questi sono i misteri della Provvidenza! – c’è proprio il fatto che Giustiniano nel 529 chiuse la Scuola di Atene. Successe allora che il suo direttore Damascio, con altri saggi emigrarono in Persia, dove l’Imperatore Cosroe li accolse benevolmente perché era un ammiratore della filosofia greca.

Successe allora che i musulmani, giungendo in Persia nel sec. VII, vennero a conoscenza della filosofia greca e ci furono tra di loro dei saggi, i quali ebbero la buona idea di utilizzare Aristotele per interpretare il Dio del Corano, come avevano fatto già i Padri della Chiesa utilizzando Platone per interpretare il Dio biblico.

Averroè invece, con la sua interpretazione materialistica, non fece una buona propaganda ad Aristotele a Parigi, per cui ciò fu la causa dell’estrema diffidenza che i teologi conservatori di Parigi, come Pietro Lombardo, gli Agostiniani e i Vittorini, quando seppero che i Domenicani erano interessati ad Aristotele, opposero all’ingresso di Aristotele all’Università di Parigi, un’accanita resistenza, accusando i Domenicani di filopaganesimo, come se quel Platone per il quale stravedevano non fosse stato un pagano anche lui.

Papa Gregorio IX, dal canto suo, proibì nel 1231 l’insegnamento di Aristotele. Ma auspicò che il suo pensiero fosse sottoposto ad un opportuno vaglio critico, cosa che per il momento non si poté realizzare. Ma successivamente Papa Alessandro IV, meglio informato da Sant’Alberto Magno della possibilità che Tommaso potesse compiere una tale operazione, con una sua lettera al Cancelliere dell’Università di Parigi, lo sollecitò a concedere a Tommaso la licentia docendi, cosa che avvenne nello stesso anno, sicché Tommaso, che aveva già iniziato l’insegnamento dal 1252, chiamato a Parigi dal Maestro dell’Ordine il Card. Ugo di San Caro, fu confermato nel suo programma di lavoro[1].

Egli dunque, realizzò quel progetto, che già Papa Gregorio IX aveva auspicato, e in pochi anni elaborò quel capolavoro di acume critico, mai prima tentato, che costituisce il commento a tutte le opere di Aristotele, in ottemperanza ai desideri di Gregorio IX. 

Tommaso pose così, per il successivo Magistero della Chiesa, nuove basi filosofiche per l’interpretazione della Parola di Dio migliori di quelle platoniche sino ad allora utilizzate, senz’affatto per questo disprezzare il meglio di Platone, ché anzi Tommaso commentò anche opere di ispirazione platonica, come il Liber de Causis di Proclo e il De divinis nominibus di Dionigi l’Areopagita.

La Chiesa nel secolo XIII approvò la svolta operata da San Tommaso

nell’uso della filosofia per l’interpretazione del dato rivelato

Per questo, opportunamente San Paolo VI, nella Lettera Lumen Ecclesiae indirizzata nel 1974 al Padre Vincent de Couesnongle, Maestro dell’Ordine Domenicano, evidenzia come Tommaso, benché desse la preferenza ad Aristotele, non dimenticò affatto l’eredità platonica, che rivive trasfigurata in Sant’Agostino, anzi attingendo a Platone importanti nozioni filosofiche, come quella della conoscenza per affinità, della quale Platone parla nella VII Lettera, e che Tommaso chiama cognitio per modum inclinationis o propter connaturalitatem, una forma di conoscenza affettiva, che Tommaso utilizza per spiegare la contemplazione mistica, effetto del dono della sapienza.

L’approvazione del pensiero di San Tommaso da parte della Chiesa dette luogo ad una svolta epocale, la quale, come tutti i veri grandi movimenti innovativi, non costituì affatto una rottura o una cancellazione dell’eredità dei Padri culminante in Sant’Agostino, ma la sostanza perenne del pensiero patristico, purificata dai difetti del platonismo, trapassò nel pensiero tomistico, che si vale del pensiero aristotelico, esso pure purificato dagli errori e le cui lacune Tommaso provvide a colmare.

Da allora il Magistero della Chiesa non ha cessato di valersi, in modo preferenziale fra tutti i Dottori, del pensiero dell’Aquinate, e di raccomandarlo moltissime volte nell’arco degli ultimi otto secoli come Principe della teologia scolastica, fino al Concilio Vaticano II, nonché fino a San Paolo VI e San Giovanni Paolo II.

Occorre peraltro tener presente che Tommaso ha nutrito massima stima per Sant’Agostino fra tutti i Padri e tutti i Dottori, tanto che giustamente il Maritain ha osservato come Tommaso sia il migliore di tutti i discepoli di Sant’Agostino[2], colui che meglio di tutti capisce le sue intenzioni profonde, lo scusa delle sue debolezze e lo libera da interpretazioni che diano adito all’idealismo, al dualismo e alla diffidenza platonica per la conoscenza sensibile.

Per questo, la Chiesa, con l’avvento di San Tommaso, non ha mai diminuito la stima per Agostino e se essa ha decretato Tommaso Principe della teologia scolastica e speculativa, ha sempre considerato e considera Agostino, «Doctor Gratiae», come vertice dei Padri, Principe dei Pastori e guida concreta alla perfezione cristiana ed alla santità, secondo la sua famosa esclamazione che riassume tutta la sua ardente spiritualità: o aeterna Veritas! O cara Aeternitas! O vera Caritas![3]

E tutti i grandi mistici cristiani, da San Gregorio di Nissa, a Dionigi l’Areopagita, a San Bernardo, a Guglielmo di Saint-Therry, a Ruijsbroek, a San Bonaventura, alla Beata Angela da Foligno, a Santa Caterina da Siena, al Beato Enrico Susone, a Giovanni Taulero,  a San Giovanni della Croce, a Santa Teresa di Gesù, a San Francesco di Sales, a Santa Teresa di Gesù Bambino sono più discepoli di Agostino che di Tommaso, anche se l’Aquinate è insuperabile nella spiegazione teoretica dell’essenza, dei fini, degli effetti e delle cause della contemplazione mistica[4], che egli tiene al riparo da ogni sentimentalismo, emotivismo ed edonismo.

La svolta tomistica del Magistero della Chiesa ha favorito una chiarificazione della spiritualità cristiana più umanamente sana e più conforme alla spiritualità biblica. La terrenità ottenuta dal realismo aristotelico si è rivelata più sanamente terrena dell’epicureismo, e il cielo aristotelico si è rivelato più celeste dell’astratto cielo platonico, mentre l’ascetica ricavata da Aristotele, senza perdere nulla del suo doveroso rigore, ha perso il dualismo platonico e si apre alla prospettiva della risurrezione. 

Questa spiritualità umanistica o questo «umanesimo dell’Incarnazione», per dirla col Maritain, si sono sviluppati nei secoli dall’Umanesimo e il Rinascimento fino a giungere ad un vertice mai prima raggiunto con la spiritualità del Concilio Vaticano II, nel quale Tommaso non è presente nel linguaggio scolastico del Concilio di Trento o del Vaticano I, e tuttavia non è difficile cogliere la sua presenza come fermento nascosto, quel «thomisme vivant»[5], del quale parlò il Maritain, inteso come criterio di discernimento e di assunzione dei valori del pensiero moderno, un’opera grandiosa ed esemplare, che il Maritain stesso compì lungo tutto l’arco di tempo della sua produzione filosofica e teologica durata 70 anni.

Infatti non è sorto un genio teoretico e speculativo più grande e penetrante dell’Aquinate, tanto perfetti sono i suoi princìpi, le sue tesi maggiori e il suo metodo, sicché Leone XIII nell’Aeterni Patris arriva a dire che non si può immaginare un sistema filosofico razionale migliore, meglio fondato, più comprensivo, più unitario, coerente, ordinato e completo di quello di San Tommaso, tanto che diverse sue tesi teologiche sono state dogmatizzate.

Ipotizzare che Tommaso nel suo servizio al Magistero possa essere sostituito da Karl Rahner, come fanno alcuni, è semplicemente penoso e ridicolo e squalifica la capacità di giudizio critico di coloro che sostengono una simile tesi per il semplice fatto che le basi del pensiero rahneriano sono eretiche e contrarie alla sana ragione.

Al contrario, anche i Papi del postconcilio, fino a Papa Francesco, che i modernisti vorrebbero vedere influenzati da Lutero, non hanno mai fatto le lodi di Rahner. Al contrario toccando temi nei quali Rahner sbaglia, lo confutano senza fare il suo nome per il solo fatto di insegnare la verità. Per converso, nei loro documenti ufficiali continuano a citare San Tommaso. San Giovanni Paolo II avrà potuto avere simpatia per il Beato Duns Scoto, Benedetto per San Bonaventura, Papa Francesco per Guardini, ma nessuno mai di loro ha citato loro pensieri che potessero essere in contrasto con quello di San Tommaso.

Tentativi di tornare a Platone

L’innovazione  operata da Tommaso che iniziò a sostituire Aristotele a Platone nell’interpretazione del dato rivelato suscitò forti opposizioni ed incomprensioni ed addirittura scandalo preso molti a Parigi, soprattutto tra i Francescani, gli Agostiniani, i Cisterciensi e il clero secolare, perché fino ad allora il principe dei teologi era ritenuto Sant’Agostino, per cui essi intuivano bene che voler sostituire Aristotele al Platone tanto ammirato da Agostino, non poteva non avere il sapore di una mancanza di rispetto verso Agostino.

Tommaso lo aveva capito benissimo e per questo, essendo anche lui grande ammiratore di Agostino, quando deve affrontare certe sue dottrine discutibili nel campo della gnoseologia, dell’antropologia o dell’etica, procede con somma cautela, sforzandosi di dare interpretazioni benevole. Ma ciò in un primo tempo non gli bastò per evitare opposizioni e addirittura alcune condanne ecclesiastiche locali, come quella di Stefano Tempier, l’Arcivescovo di Parigi e del suo Confratello Robert Kilwardby, Arcivescovo di Canterbury, dopo la sua morte. Ma già per tempo Tommaso, sostenuto dai suoi confratelli domenicani, fu approvato da Papa Gregorio IX.

Tuttavia, non tutti fra i teologi accettarono la riforma tomista. Essa rimase e resta a tutt’oggi un sasso d’inciampo e una pietra di scandalo per molti, che non si rassegnano ad abbandonare gli errori di Platone e ad accettare le correzioni di Aristotele.

La Chiesa è sempre stata ed è magnanima nel tollerare questo difetto, soprattutto se il teologo è santo, come è avvenuto per Sant’Anselmo, San Bonaventura, il Beato Duns Scoto e il Beato Antonio Rosmini. Ma quando gli errori di Platone mostrarono in modo evidente la loro pericolosità, la Chiesa non ha mancato di condannare, come fu il caso di Abelardo, Eckhart, Wycliff, Lutero, Baio, Cartesio, Molinos, Giansenio, Fénelon, Kant, il panteismo tedesco del sec. XIX, gli ontologisti, i soprannaturalisti della «théologie nouvelle» del secolo scorso e i modernisti. 

È vero però che essa è intervenuta anche nel condannare errori, dai quali si poteva prendere a pretesto Aristotele, come l’empirismo di Guglielmo di Ockham, il materialismo di Bernardino Telesio, l’antropocentrismo rinascimentale, la falsa psicologia di Pomponazzi, il sensismo di Campanella, il cosmocentrismo di Giordano Bruno, il materialismo ateo di Marx, il naturalismo massonico, l’evoluzionismo di Teilhard de Chardin, alcuni dei quali autori, come per esempio Ockham, Pomponazzi e Marx si dissero apertamente ammiratori di Aristotele. E lo stesso Tommaso non manca di correggere gli errori di Aristotele in cosmologia, in antropologia, nell’etica e in teologia.

Particolarmente significativo, tra questi tentativi di ribellione all’aristotelismo tomista, fu quello di Lutero, in nome di un agostinismo estremizzato, curiosamente inquinato dall’individualismo empirista e volontarista di Ockham. Se chiamiamo movimenti reazionari quelli che in nome di un passato superato si oppongono al più avanzato o in nome del bene si oppongono al meglio, bisogna dire che il movimento suscitato da Lutero, più che una riforma, fu un movimento reazionario.

Lo stesso dicasi per la cosiddetta «filosofia moderna» di Cartesio, il quale, sostituendo il suo cogito al realismo gnoseologico e metafisico di Aristotele, non solo tornò all’idealismo platonico, ma lo peggiorò, perché almeno l’Idea in Platone è una realtà oggettiva esterna, ché invece in Cartesio è un’idea apriori della mente, sicché Dio, anziché essere realtà oggettiva esterna dimostrata per causalità a partire dall’esperienza sensibile, non diventerà altro, come espliciterà Kant, che un’«Idea della Ragione» ed in tal modo sarà aperta la strada all’idealismo panteista di Hegel.

Non si può negare, comunque, nella storia del tomismo, un eccessivo peso dell’aristotelismo, che ha finito addirittura per ostacolare anziché favorire una giusta interpretazione della Sacra Scrittura. Notevolissima testimone di ciò è la famosissima vicenda del processo a Galileo. Il Maritain nota giustamente che lo stesso Aristotele, seguìto da Tommaso, se da una parte mostra la possibilità della fisica come scienza contro la doxa platonica, dall’altra evidenzia come uno dei compiti della fisica sia il sozein ta fainòmena, il «salvare i fenomeni», ossia, quando non è possibile dare una dimostrazione apodittica, formulare almeno una spiegazione ipotetica rivedibile, che tenga conto dell’oggettività del fenomeno sperimentante provato.

Sia Galileo che i suoi giudici non furono capaci di relativizzare le rispettive opinioni: i giudici avrebbero dovuto capire che  il famoso «sole che si ferma» non andava preso alla lettera, ma solo come un modo di dire per esprimere il protrarsi della battaglia fino a notte inoltrata, perché altrimenti sarebbe stato un miracolo assurdo; Galileo, dal canto suo,  non avrebbe dovuto impuntarsi nella sua opinione, che in realtà non aveva dimostrata, per cui avrebbe fatto bene ad ascoltare il consiglio del Card. Bellarmino, di presentarla come una semplice ipotesi, senza la pretesa di smentire la veridicità del racconto biblico. Così successe che se da una parte un concetto feticistico dell’inerranza biblica sotto l’influsso dell’autorità di Aristotele rese ciechi i giudici di Galileo, dall’altra parte Galileo si mostrò presuntuoso nel voler dar per certo ciò di cui non poteva dimostrare la certezza[6].

Il programma di Papa Francesco

Alcuni esaltati ed astuti adulatori di Papa Francesco, finti suoi amici e sleali collaboratori, sepolcri imbiancati, ambiziosi arrivisti, lo hanno proclamato «Papa rivoluzionario», un «Papa che finora così non si è mai visto», no Vicario di Cristo, ma vicario del popolo di Dio, dell’«Iglesia popular», lo hanno laureato come autore di una «svolta epocale», e di una palingenesi della Chiesa ab imis, come mai è accaduta in tutta la storia della Chiesa, una nuova ed inaudita  Chiesa, una Chiesa fraterna senza gerarchie, nella quale l’essere è sostituito dal divenire, l’apparire è sostituito all’essere, lo slogan è sostituito al dogma,  il contradditorio è sostituito dal diverso, l’intelletto è sostituito dal senso, la scienza è sostituita dall’opinione, il ragionamento è sostituito dall’imbonimento, la pastorale è sostituita alla dottrina, la prassi non è applicazione, ma sorgente della teoria, la comunione è sostituita dal conformismo, la libertà sta al posto dell’obbedienza, l’univoco è sostituito dall’equivoco, la verità è sostituita dalla carità, la mitezza è sostituita dalla viltà, la prudenza è sostituita dall’astuzia, il concetto è sostituito dalla parola, la conversazione è sostituita dalla chiacchiera, il dialogo è sostituito dal monologo, il pappagallo sostituisce l’apostolo, la mistica è sostituita dalla mastica, la teologia è sostituita dall’ecologia, il dovere è sostituito dal piacere, la giustizia è sostituita dalla misericordia, il sociale è sostituito dal socialismo, l’indulgenza è sostituita dalla connivenza, la semplicità è sostituita dalla doppiezza, la legge è sostituita dall’amore, l’universale è sostituito dal singolare, l’astratto è sostituito dal concreto, il sacro è sostituito dal profano, il cielo è sostituito dalla terra, lo spirito è sostituito dalla carne, Dio è sostituito dall’uomo.

In mezzo a questa baraonda, tra finti amici che lo disprezzano, aperti nemici che  lo odiano e apparenti nemici che lo amano ed una massa di indifferenti, chiusi nei loro piccoli interessi, che manco si accorgono di quanto sta accadendo, Francesco tranquillo governa la barca di Pietro tra i marosi, con qualche comprensibile incertezza o qualche lapsus, sotto i colpi del demonio, ma tutto sommato con polso e prudenza, nonostante certe apparenze contrarie, assistito dallo Spirito Santo e dalla Madonna; l’acqua entra nella barca e pare che essa affondi. Gesù è nella barca ma dorme. Per adesso ritiene che non occorra intervenire.

Ma Francesco che fa? Che programma ha? Quello che suppongono o vorrebbero i suoi adulatori? Neanche per idea. Sostituire Rahner a San Tommaso? Meno che meno. Ma allora qual è il suo programma? Dopo otto anni ormai è chiaro: è un programma tomista. Sì, cari amici modernisti e lefevriani, che credete di essere voi alla guida della Chiesa. Siete sorpresi? Mi credete un illuso? Invece è proprio così.

E su cosa baso questa mia affermazione, che oggi a nessuno dei sapientoni di turno di destra o di sinistra viene in mente? A nessun giornalista viene in mente? Credo che mi capisca solo qualche Cardinale. La mia affermazione si basa su quest’altra, che ho già fatto, altrettanto inusuale, sorprendente ed apparentemente irrealistica, e cioè che lo stesso programma conciliare è tomista e precisamente di un tomismo maritainiano.

Ciò vuol dire indubbiamente che, come più volte è stato detto in questi ultimi 60 anni, occorre fare oggi quello che Tommaso ha fatto con Aristotele e Platone, ma sempre alla luce dei princìpi dell’Aquinate: utilizzare tutti gli aspetti positivi delle varie culture e religioni, tutti i progressi della filosofia e della teologia  e dello stesso Magistero della Chiesa fatti dopo San Tommaso, tutti i valori della modernità, per fare quello che Tommaso ha fatto al suo tempo e che farebbe oggi, ossia integrare tutti questi valori nel patrimonio della filosofia, della teologia e della cultura cattoliche, onde preparare nuovi sviluppi del Magistero della Chiesa, operando congiuntamente l’inculturazione del messaggio evangelico nelle varie culture dei popoli ai quali il Vangelo dev’essere comunicato. In fondo è quello che già Pio XII aveva enunciato quando disse: «è tutto un mondo che occorre costruire elevandolo dal sottoumano all’umano e dall’umano al divino».

Sì, forse alcuni hanno ragione: Francesco dovrebbe parlare di più di Gesù Cristo, illuminare di più con la luce di Cristo correggendo gli errori dei luterani, dei modernisti, dei buonisti, degli islamici, dei massoni e dei comunisti. Manca di coraggio? Vuol tenerseli buoni? Teme le reazioni? Teme il martirio? Teme di non essere ascoltato? Teme di perdere ammiratori? Non è un mascherarsi, un sembrare ciò che non si è? Non è assumere le sembianze del nemico? E non si crea così la confusione, l’equivoco e lo scandalo? Non si confonde l’evangelizzazione col gioco di un prestigiatore? Sono domande che non possiamo non porci. Che dire? È vera prudenza? C’è dell’ingenuità?

O forse è la strada giusta? Risponde a un piano graduale ben determinato, a noi non chiaro, ma forse a lui sì, calcolato e studiato, come sanno fare i Gesuiti? Sa calcolare il momento giusto? C’è un vero affidarsi allo Spirito Santo? O non c’è forse una parte troppo grande di prudenza umana? Certamente un Papa, in ciò, anche il più santo, può sbagliare o peccare e aver bisogno di ravvedersi o di essere corretto da un buon consigliere, dal suo confessore o da qualche profeta.

Io credo di aver enunciato la giusta e certa chiave di lettura del programma bergogliano. Ciò è sufficiente per capire ed apprezzare la sostanza del suo pontificato. Su ciò non possiamo dubitare, se, come cattolici, abbiamo fiducia nel Papa non solo come Dottore della fede, ma anche come Pastore, ossia come guida pratica della Chiesa. Se egli non può peccare nella fede, nella pastorale invece può sbagliare o peccare. A ciascuno di noi il suo parere, a Dio il giudizio ultimo.

Tesi platoniche corrette da Aristotele.

1. L’uomo non è uno spirito preesistente al corpo, spirito che guida un corpo, ma è un’unica sostanza personale composta di anima e corpo, è un animale ragionevole, per cui l’anima non è una sostanza spirituale separata da una sostanza corporea, ma è forma sostanziale del corpo.

2. La conoscenza non è la reminiscenza concettuale di una precognizione teologica globale immediata ed intuitiva, non concettuale ed originaria, perduta a causa di  una caduta precedente all’infusione dell’anima nel corpo, per cui l’anima è stata castigata col cadere in un corpo, carcere dell’anima, ma è un’attività intellettuale, la quale, partendo dall’esperienza sensibile delle realtà corporee esterne, cogliendo per astrazione dal concreto la loro essenza universale, si eleva applicando per analogia il principio di causalità alla conoscenza dell’esistenza della causa prima e cogliendo astrattivamente l’essenza della natura umana e il suo fine ultimo, formula la legge morale naturale universale ed immutabile.

3. Il proprio corpo e i corpi materiali esterni non sono principio di illusione e forze tentatrici al peccato, ma sorgenti di verità e mezzi della virtù. Sono di per sé enti reali, buoni ed intellegibili, veracemente conoscibili per mezzo della fisica o scienza sperimentale, la quale è il punto di partenza che consente all’intelletto, astraendo dal mondo fisico materiale, di elevarsi alla conoscenza analogica del’ente in quanto ente, ossia della metafisica.

4. L’intelletto è certamente superiore alla ragione, ma è impossibile elevarsi all’intuizione e contemplazione del fine ultimo e del sommo bene, ed è impossibile regolare l’azione morale se non applicando mediante il ragionamento prudenziale la legge morale al caso concreto, senza quindi in entrambi i casi far uso del sillogismo o ragionamento, regolato dalle leggi della logica.

5. L’anima è bensì spirituale ed immortale e capace di contemplare la verità assoluta, ma essa arriva alla felicità, alla libertà e alla salvezza non liberandosi dal corpo, ma al contrario esercitando le virtù della temperanza e della fortezza, le quali, benché guidate dall’anima, sono soggettate nel corpo.

6. La giustizia economica e politica non consiste nella comunione dei beni e delle donne, ma nella democrazia, nel servizio al bene comune, nell’uso sociale della proprietà privata e nell’edificazione della comunità familiare.

7. Il sesso maschile e femminile non sono conseguenze della caduta originaria dallo stato di pura spiritualità, ma parti essenziali della natura umana indispensabili alla sua felicità.

8. Il cammino morale dell’uomo non consiste nel tornare ad uno stato originario di beata unione con Dio, ma nel progressivo esercizio della conoscenza e della virtù partendo da un inizio di totale ignoranza e dalla sola inclinazione alla virtù. L’uomo non torna ad essere ciò che all’inizio, ma raggiunge un bene superiore a quello che possiede all’inizio. Non ritorna in cielo dopo essere caduto sulla terra, ma va in cielo senza esservi mai stato. E per salire al cielo non ha bisogno di abbandonare la terra, ma di renderla celeste.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 4 aprile 2021

Pasqua di Risurrezione

Papa Gregorio IX, dal canto suo, proibì nel 1231 l’insegnamento di Aristotele. 

Ma auspicò che il suo pensiero fosse sottoposto ad un opportuno vaglio critico, cosa che per il momento non si poté realizzare. 

Ma successivamente Papa Alessandro IV, con una sua lettera al Cancelliere dell’Università di Parigi, lo sollecitò a concedere a Tommaso la licentia docendi.

Egli dunque, realizzò quel progetto, che già Papa Gregorio IX aveva auspicato, e in pochi anni elaborò quel capolavoro di acume critico, mai prima tentato, che costituisce il commento a tutte le opere di Aristotele, in ottemperanza ai desideri di Gregorio IX.  

Papa Gregorio IX -  Sacro Speco, Subiaco, Italia 


Ma Francesco che fa? Che programma ha? Quello che suppongono o vorrebbero i suoi adulatori? Neanche per idea. Sostituire Rahner a San Tommaso? Meno che meno. 

Ma allora qual è il suo programma? Dopo otto anni ormai è chiaro: è un programma tomista. Sì, cari amici modernisti e lefevriani, che credete di essere voi alla guida della Chiesa. Siete sorpresi? Mi credete un illuso? Invece è proprio così.

E su cosa baso questa mia affermazione, che oggi a nessuno dei sapientoni di turno di destra o di sinistra viene in mente? A nessun giornalista viene in mente? Credo che mi capisca solo qualche Cardinale. La mia affermazione si basa su quest’altra, che ho già fatto, altrettanto inusuale, sorprendente ed apparentemente irrealistica, e cioè che lo stesso programma conciliare è tomista e precisamente di un tomismo maritainiano.

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[1] Queste notizie le ho prese dalla Voce TOMMASO D’AQUINO dell’Enciclopedia Cattolica.

[2] De la sagesse augustinienne, in Les degrés du savoir, Desclée de Brouwer, Bruges 1959, c.VII.

[3] LA VERITA’ ETERNA IN SANT’AGOSTINO, I, Sacra Doctrina, 5, 1987, pp.590-611; LA VERITA’ ETERNA IN SANT’AGOSTINO, II, Sacra Doctrina, 6, 1987, pp.665-687.

[4] Vedi il mio libro Il silenzio della parola. Le mistiche a confronto, Edizioni ESDE, Bologna 2002.

[5] Cf Le thomisme vivant, in Sept leçons sur l’être et les principe premières de la raison spéculative, Téqui, Paris 1934, pp.5-6.

[6] Tutto questo dramma è narrato e vagliato con ottimo senso critico dal Maritain ne La filosofia della natura (Morcelliana, Brescia 1974), dove il grande filosofo coglie occasione per distinguere la filosofia della natura, come scienza apodittica introduttiva alla metafisica, dalla fisica sperimentale come scienza dei fenomeni fisici, soggetta alla elaborazione di spiegazioni ipotetiche, rivedibili o rifiutabili dall’insorgere di nuove esperienze o dalla possibilità di elaborare migliori teorie per la spiegazione dei medesimi fenomeni.

2 commenti:

  1. Le sono grato, padre Cavalcoli, per questa riflessione.
    Ho trovato molto interessante il suo processo argomentativo, suggestivo e convincente.
    Se ho potuto ben intendere, la cosa fondamentale è accettare con fede teologale, aiutato dalla grazia divina, che il Romano Pontefice è infallibile in virtù della Fede: non può ingannare se stesso né ingannare i suoi sudditi in materia di fede e morale. In tutto il resto, anche nel modo pastorale di insegnare fede e morale, si può sbagliare e peccare.
    Ora, l'azione pastorale (includendo in essa il programma completo di governo di un Papa) scaturisce naturalmente dal pensiero, dall'idea e, in definitiva, dalla Fede.
    Il suo articolo spiega bene che in tutta la storia della Chiesa non è apparso genio intellettuale più grande di san Tommaso d'Aquino per interpretare i dati della fede. Qualunque sia la formazione filosofica e teologica che Jorge Bergoglio ha avuto in gioventù, qualunque siano le sue carenze formative, il buon senso ci dice che in una certa misura deve essere stato influenzato dall'autorità dottrinale di Tommaso. Del resto, Bergoglio si è formato non negli anni del postconcilio e dei grandi pericoli neomodernisti, ma negli anni prima del Concilio.
    Pertanto, è anche ragionevole pensare che la divina Provvidenza e, soprattutto, l'assistenza dello Spirito Santo al Papa, con l'immancabile dono del carisma magisteriale pontificio, debbano anche avere qualcosa a che fare con la comprensione tomista del dato di fede. Infatti lei, padre Cavalcoli, in diversi suoi articoli, ha cercato di vedere quella struttura tomista (il "tomismo vivo" di Maritain) nel pensiero di papa Francesco.
    Di conseguenza, è anche ragionevole pensare, come lei spiega, che il programma pontificio di Francesco sia un programma tomista, di assunzione dei valori del nostro tempo (la sua enciclica Fratelli tutti ne sarebbe un esempio completo).
    Ed è anche ragionevole pensare che le sue manchevolezze umane e personali lo possano fuorviare nell'attuazione di tale programma; che ammetterebbe eventuali disaccordi da parte nostra nel modo in cui il Papa attua il suo programma. Naturalmente, il giudizio finale e completo rimane sempre con Dio.
    Grazie ancora, padre.

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    1. Caro Ross,
      sono sostanzialmente d’accordo con quello che lei dice e vedo che lei ha colto molto bene in un Papa la differenza tra l’infallibilità del suo magistero di fede e la fallibilità della sua azione pastorale.
      Mi congratulo con lei e la esorto a proseguire su questa linea equilibrata, che, come ha detto Dio a Mosè, “non piega né a destra né a sinistra”, ma, come diceva il Padre Garrigou-Lagrange, “va verso l’alto”.

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