Un ricordo di Mons. Antonio Livi. Il dramma di un tomista - Prima Parte (1/2)

 Un ricordo di Mons. Antonio Livi

Il dramma di un tomista

Prima Parte (1/2)

Una carriera di teologo di prim’ordine 


Il 2 aprile dell'anno scorso dopo una lunga e dolorosa malattia sopportata con cristiana sopportazione moriva Mons. Antonio Livi, eminente teologo tomista, che era rimasto fedele al tomismo preconciliare, ma che non era riuscito a comprendere come anche il Concilio Vaticano II concordava col pensiero di San Tommaso, benché secondo quella modalità che era stata proposta dal Maritain, ossia un tomismo aperto alla comprensione dei valori del pensiero moderno, pur nella confutazione dei suoi errori. 

 

Fu socio ordinario della Pontificia Accademia di San Tommaso, Decano della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Lateranense e collaborò con Papa Giovanni Paolo II alla stesura dell’enciclica Fides et ratio (1998).

 

La collezione di titoli scientifici ed accademici con relative attività pubblicistiche e di Mons. Livi è impressionante.  

 

Il fedele tomista
 

La sostanza del pensiero teologico di Mons. Livi si può riassumere a mio avviso  nel suo ottimo libro sul pensiero di San Tommaso, dove l’illustre teologo dà prova di una vastissima erudizione sull’argomento, mentre gli ultimi due capitoli del libro ci dicono tutto il succo di come Livi vede San Tommaso: 1. «Cap.4: La filosofia di Tommaso nella storia: condannata come eretica, ufficializzata, dismessa»; 2. «Epilogo: Perché Tommaso, scartato dalla teologia del Novecento, sarà la guida del pensiero cristiano dopo il duemila».

 

Il mio primo contatto con Livi fu la lettura di questo libro circa 20 anni fa. Non ricordo come a un certo punto venni a contatto con lui, ma facemmo subito amicizia e nacque una reciproca stima. Nel 2012 egli pubblicò un’opera teoretica molto importante, Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica «scienza della fede» da un’equivoca «filosofia religiosa»[1], una trattazione scientifica e sistematica del rapporto fra il valore veritativo e l’autorità del dogma cattolico, come fondamento del sapere teologico, in quanto indagine razionale e filosofica sulla natura di Dio e sui suoi attributi alla luce della fede divina e teologale nel dato della divina Rivelazione fondata sulla Sacra Scrittura e la Sacra Tradizione, interpretata infallibilmente dal Magistero della Chiesa.

 

L’Autore mi fece l’onore ci citare due brani del mio pensiero (pp.203 e273) ed ospitò una critica alla teologia tomista-severiniana del Padre Giuseppe Barzaghi, che mostra l’operazione con la quale Barzaghi confonde l’esse tomistico con l’essere severiniano.

 

Nel 2014 Padre Ariel Levi di Gualdo, un teologo tosco-romano, fondò insieme con me e Mons. Livi il sito teologico Isola di Patmos, col fine di promuovere la sana teologia in comunione col Magistero della Chiesa e in particolare in ottemperanza alle direttive circa il progresso della teologia emanate dal Concilio Vaticano II. La cosa mi fece molto piacere, perché ricordavo bene il felice contatto con Livi avuto due anni prima.

 

Senonché purtroppo – cosa che non mi sarei mai aspettata - successe già l’anno dopo che Mons. Livi non gradì il giudizio che io e Padre Ariel demmo circa la Comunità Sacerdotale San Pio X di essere una comunità scismatica per il fatto di accusare di modernismo e di aver tradito la Tradizione le dottrine del Concilio e il Magistero dei Papi seguenti fino a Papa Francesco. 

 

Inoltre Livi cominciò a rimproverami di confondere il valore della certezza teologica col valore di certezza del Magistero della Chiesa. Non mi sentii in coscienza di meritare simile rimprovero e glielo dissi, mi pare col dovuto garbo, conoscendo la sua competenza e portando argomenti a mia difesa, giacchè anch’io sono competente in questa materia. Ma egli si irritò e per tutta risposta lasciò la collaborazione con me e con Padre Ariel. 

 

Ma ecco succedere un altro guaio, che mi obbligò a calare la mia stima per Livi. Nel 2016 il Papa pubblicò la famosa esortazione apostolica Amoris laetitia, nella quale, per la verità, non era chiara la risposta tanto attesa circa la liceità dei Sacramenti ai divorziati risposati. L’unico punto dove il Papa dava una risposta era la nota 351, dove però la liceità non è messa all’indicativo o all’imperativo, che sono il segno della legge, ma al condizionale, il che è segno soltanto di un’ipotesi di legge. Io evidenziai questo punto, guardandomi bene dalle accuse di eresia che cominciavano a piovere su Francesco.

 

Fui allora attaccato da Mons. Livi su L’isola di Patmos perché egli sosteneva invece che il Papa mancava di rispetto all’indissolubilità del matrimonio. Ebbi una lunga animata discussione con Mons. Livi per dimostrargli che il problema che poteva porre il documento pontificio era quello di una corretta interpretazione, posta la quale, non risultava alcuna eresia. Ma purtroppo non riuscii a convincerlo.  

 

Io allora gli suggerii di rinunciare ad accusare il Papa di eresia, ma di limitarsi ad esprimere eventualmente un ponderato parere che egli sia negligente nel suo dovere di sanzionare le eresie correnti e più pericolose. Mons. Livi accolse il mio suggerimento ed in una successiva intervista dichiarò con chiarezza che egli non accusava il Papa di eresia, ma esprimeva la sua opinione che fosse negligente nel senso che già avevo suggerito, critica, questa, che può essere in linea di principio ammessa, alle dovute condizioni, mentre non è mai ammissibile accusare un Papa di eresia.

 

L’anno successivo cinque Cardinali pubblicarono i famosi cinque dubia, dove sotto forma di dubbio, parevano sospettare che il Papa fosse su quella linea di pensiero della quale lo accusava Livi. Ciò dette l’abbrivio l’anno dopo alla formulazione, da parte di Livi, seguìto dalla firma di 250 nomi più o meno cospicui del mondo cattolico, della famosa Correctio filialis de haeresibus propagatis, nella quale pareva che si accusasse il Papa di sette eresie nel campo morale, compresa la negazione dell’indissolubilità del matrimonio.

 

Un tomista ingannato dal demonio

 

Con la Correctio filialis Livi si è posto indiscretamente nei confronti del Papa con l’atteggiamento del docente che corregge lo studente. Non è riuscito ad uscire dalla sua mentalità di scolastico e di accademico. I passi non chiari o ambigui di AL, invece di interpretarli in bonam partem, li ha interpretati come fossero sentenze di Lutero.

 

È vero che il Papa, probabilmente mal consigliato dal Card. Kasper o da Padre Spadaro o dal Card. Ravasi, è troppo indulgente verso i luterani e i misericordisti e sembra troppo preoccupato di non scontentarli; è vero che sembra mancare al suo dovere di correggere i loro errori, anche se poi ogni tanto di fatto respinge errori luterani senza nominare Lutero col solo fatto di esercitare il ministero petrino, di trattare dei sacramenti, della Tradizione, dei decreti dei Concili, del Magistero dei Papi precedenti, di render culto ai Santi e alla Madonna, dei dogmi cattolici, dell’umanesimo cristiano, del rapporto del libero arbitrio con la grazia e della ragione con la fede. 

 

Immagino tuttavia che il Papa si sia molto irritato per l’irriverente e illegittima iniziativa. Infatti non è mai successo in tutta la storia della Chiesa che dei cattolici, per quanto qualificati, osino correggere un Papa in materia di dottrina. Fu lanciata bensì nel sec. XIV l’accusa di alcuni teologi domenicani a Papa Giovanni XXII di esser caduto nell’eresia nel campo dell’escatologia, ma si trattava di un’opinione che il Papa aveva pronunciato come dottore privato. Adesso invece i contestatori sembravano voler accusare il papa precisamente come Papa.

 

Ora, dovrebbe esser noto ad ogni cattolico che l’evangelica correzione fraterna, soprattutto verso superiori, riguarda la condotta morale e non la dottrina. Sono gli eretici come un Lutero o un Wycliff o un Jan Hus che pretendono di correggere il Papa nella dottrina e si capisce bene il perchè. È stato durante il pontificato di San Paolo VI e San Giovanni Paolo II che gruppi di teologi modernisti hanno contestato il Magistero del Papa ed anche questo si comprende. Ma che dei cattolici, come nel caso della Correctio filialis, pretendano correggere un Papa nella dottrina è inaudito, perché il cattolico normale dovrebbe sapere bene che non è concesso.

 

Anche il riferimento della Correctio ai famosi dubia dei cinque Cardinali non è stato opportuno, giacchè quei dubbi non sono stati formulati con quella semplicità d’animo con la quale tradizionalmente e legittimamente si sottopone un dubium al Papa. Infatti il dubium legittimo è semplicemente la richiesta di una risposta che decida in un’alternativa fra A e non-A qual è quella giusta. Il dubitante vuol sapere semplicemente qual è la verità fra due possibilità. Chiede di sapere ciò che non sa, come per esempio: mi è permesso far questo o non mi è permesso? 

 

Invece purtroppo quei dubia sanno di slealtà, hanno l’aria di essere dubbi provocatori, insinuanti e sospettosi e quindi offensivi, laddove al buon cattolico non è lecito insinuare o sospettare, come se si fosse chiesto al Papa: ma insomma tu ci credi o non ci credi all’indissolubilità del matrimonio? Ammetti o non ammetti all’esistenza dell’intrinsece malum? Vuoi per caso mettere alla Comunione chi è in stato di peccato mortale? Vuoi forse ammettere eccezioni alla legge naturale? 

 

Si può capire che il Papa non abbia risposto, benché egli, come padre verso i figli, avrebbe forse potuto far loro un forte paterno richiamo dando loro ogni assicurazione ed ogni conferma per calmare le loro ansie. Oppure avrebbe potuto rispondere su questo tono: «O figli di poca fede, che dolore mi date! Ma vi pare mai che un Papa possa dubitare di queste cose? Leggete con più fiducia la mia Lettera e le vostre preoccupazioni spariranno!

 

Maestro di sapienza

 

Nonostante e al di là di questi incresciosi incidenti, occorre dire che il grande merito scientifico di Mons. Livi è stato il contributo da lui dato al progresso dell’epistemologia, della gnoseologia e della critica della conoscenza ed alla fondazione veritativa del sapere. Ciò lo ha portato, sulla linea di grandi epistemologi come il Maritain, a una più aggiornata esposizione dei gradi del sapere, dalla fisica, alla matematica, alla metafisica, ai quali si aggiunge sul piano della fede, la teologia. 

 

Ha esposto i gradi della sapienza cristiana, e quindi il rapporto della teologia col Magistero della Chiesa, la quale utilizza il lavoro del teologo per svolgere il suo compito di interprete infallibile del dato rivelato nelle definizioni dogmatiche.  Ha affermato vigorosamente il dovere e la grave responsabilità, per la salvezza delle anime e il bene della Chiesa, dell’autorità ecclesiastica e soprattutto del Sommo Pontefice di promuovere la sana teologia e di correggere, condannare e sanzionare quelle dottrine filosofiche, teologiche e morali, che possono mettere in pericolo il dogma o che lo negano o lo falsificano. Ha sottolineato quanto sia importante che il linguaggio teologico sia appropriato, preciso, inequivocabile e rigoroso come si conviene a qualunque linguaggio scientifico. Ha chiarito quanto dannosa all’interpretazione del dato rivelato e del dogma sia l’uso di una cattiva filosofia. 

 

In particolare, ha precisato la differenza fra l’autorità divina ed assoluta del dogma e l’autorità relativa del teologo. Ha confutato la concezione modernista del dogma, infetta di storicismo ed inficiata dalla negazione dell’immutabilità della verità. Ha vigorosamente e vittoriosamente combattuto il soggettivismo gnoseologico a favore dell’universalità e dell’oggettività del vero, attirandosi comprensibilmente l’odio e il disprezzo di tutti coloro che praticano la disonestà e la doppiezza del pensare e nel parlare. 

 

Livi ha un altissimo senso di quella che dev’essere l’onestà intellettuale di ogni uomo conscio della sua dignità di essere pensante e soprattutto dell’onestà intellettuale del teologo, a contatto con una Verità, che non può essere compresa, apprezzata, gustata ed insegnata e difesa se non dai puri di cuore e da anime ardenti di carità per Dio e per il prossimo.

 

Ha compreso benissimo il legame strettissimo fra teologia dogmatica e teologia morale e le conseguenze gravissime nell’ambito del costume della gente di una falsa teologia morale, ribelle al Magistero della Chiesa e contraria alle esigenze del comune senso morale e della legge naturale, nonché delle leggi della Chiesa.  Livi, da buon sacerdote e pastore di anime, era coscientissimo del dovere del teologo di ordinare la speculazione intellettuale e l’analisi scientifica della verità rivelata nella luce della fede alla ricerca della santità personale ed alla santificazione delle anime mediante il ministero sacerdotale. 

 

Sapeva coniugare l’ardimento della ragione educata nella filosofia di San Tommaso con l’imitazione dell’Aquinate nell’umile sottomissione della sua eccelsa intelligenza all’ineffabile ed incomprensibile mistero di Cristo, nell’attesa della beata visione del cielo.

 

Mons. Livi ha distinto l’opinione teologica dalla teologia scientifica, fonte di certezza oggettiva e quindi la legittimità del pluralismo teologico e delle diverse scuole di teologia. Ha distinto la teologia dalla letteratura religiosa, la prima basata sul rigoroso ragionamento scientifico, la seconda, espressione dei gusti e delle opinioni dello scrittore.  

 

Ha inoltre fondato quella che egli ha chiamato «logica alètica», ossia un più accurato metodo per la determinazione razionale e scientifica della verità. Infine Mons. Livi è famoso per il suo concetto di «senso comune» inteso come sensibilità comune a tutti gli uomini, per la quale i sensi esterni ed interni colgono spontaneamente e infallibilmente, illuminati dall’intelletto, le verità sensibili universali ed originarie delle cose materiali. 

 

Il senso comune, secondo Livi, è quell’attitudine originaria, spontanea ed universale della ragione umana indipendentemente dal grado di istruzione o di cultura o di civiltà, a formulare, partendo dall’esperienza sensibile, ossia per induzione, i princìpi primi e le nozioni prime della ragione, assolutamente evidenti per tutti, base certissima ed inconfutabile di tutto il successivo sapere in tutti i suoi gradi, dalla scienza sperimentale alla metafisica, dalla metafisica alla fede e dalla fede alla teologia. È quella che San Tommaso chiamava ratio naturalis, che nel credente diventa, come dice il Concilio Vaticano I, la ratio fide illustrata.   

 

 Mons. Livi ha condotto una buona critica agli errori idealisti di Kant ed Hegel, delle teorie empiriste del senso comune, di Vattimo, Severino, Heidegger, del Card. Kasper, di Karl Rahner, di Teilhard de Chardin e di Enzo Bianchi. Qualche sospetto dottrinale ma secondo me infondato, lo ha avuto persino sul Card. Ratzinger, anche se il giovane Ratzinger fu influenzato da Rahner, dal quale però si liberò nel vedere la sua svolta hegeliana dopo il Concilio. 

 

Nonostante l’incidente de L’Isola di Patmos rimase tra me e Mons. Livi una sincera e profonda stima reciproca, per cui egli ospitò nella sua rivista Sensus Communis alcuni miei articoli di critica alla gnoseologia di Hegel e di Kant. Ed ormai quand’era colpito dal male che lo condusse alla morte mi assicurò che se fosse guarito, ben volentieri mi avrebbe ospitato nella sua rivista.

 

Fine Prima Parte (1/2)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 6 aprile 2021

Immagine da internet
 



[1] Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012.

5 commenti:

  1. Caro Padre Giovanni,

    mi permetto di segnalare nel suo articolo di commemorazione un paio di imprecisioni:
    1. Mons. Livi è morto nel 2020, quindi il 2/4 scorso ricorreva il primo anniversario della nascita al Cielo.

    2. Mi pare di ricordare che Don Ariel S. Levi di Gualdo:
    - è stato consacrato sacerdote da Mons. Luigi Negri, quando questi era vescovo della Diocesi di San Marino-Montefeltro;
    - tuttora appartiene al clero di tale diocesi;
    - ergo, non ha mai fatto parte del clero della Diocesi di Rimini.

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  2. Parole che illustrano molto bene la passione umana molto ricca e allegra, se così si può dire, fra i teologi di più alto livelo. Sepaprare quelli veri da queli che producono letteratura religiosa, questo é il punto. Oggi sembra che bastino pochi anni di studio una laurea o magari neanche quella per dirsi teologi e apparire in TV per dire "cose nuove" alla Vito Mancuso

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    1. Caro Alessandro,
      effettivamente la professione del teologo è piuttosto delicata. Assomiglia a quella dell’avvocato e del medico.
      Per raggiungere il titolo accademico di teologo, occorrono lunghi studi e l’autorizzazione ecclesiastica.
      Il teologo è una guida all’approfondimento della conoscenza di Dio e del cammino umano, che ha per fine la visione beatifica.
      Inoltre il teologo è un medico dello spirito, che allevia ai fedeli le sofferenze spirituali e, in quanto sacerdote, li guarisce dai loro peccati e li guida sulle vie della grazia.
      Certamente uno dei suoi compiti, come dici tu, è quello svolto esemplarmente da Mons. Livi, di distinguere la vera dalla falsa teologia in modo che i fedeli siano aiutati da veri maestri e difesi da quelli falsi.

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  3. Dio ti benedica

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