Il Papa può essere Papa senza essere Vescovo di Roma? Seconda Parte (2/2)

 Il Papa può essere Papa senza essere Vescovo di Roma?

Seconda Parte (2/2)

Vicario di Cristo

Quello dunque che in sostanza Lutero negava del Papato era la sua infallibilità nell’insegnarci ed interpretarci la Parola di Cristo. Per questo e in questo senso egli negò che il Papa sia il Vicario di Cristo, subendo in ciò la condanna di Leone X nella Bolla Exsurge Domine del 1521 (Denz.1475).

Per questo, secondo Lutero, non è stato sempre falso quello che i Papi hanno insegnato, e tuttavia hanno commesso anche degli errori, che il cristiano, alla luce del Vangelo ed ispirato dalla Spirito Santo, può denunciare e correggere. E Lutero con la sua critica dottrinale a Leone X, si riteneva appunto il cristiano, che, illuminato dallo Spirito Santo e fedele alla Scrittura, denuncia nel Papa una dottrina erronea. Qualcosa del genere lo fanno oggi certi cattolici, i quali accusano Papa Francesco di eresia, perché, a loro dire, avrebbe tradito la «tradizione» e sarebbe complice del modernismo.

Ora dobbiamo dire con franchezza che Lutero, nella sua ribellione al Papa, dimenticava che Cristo aveva detto agli apostoli: «Chi ascolta voi, ascolta me» (Lc 10,16) e «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20). Ora, questo non è altro che il concetto di vicarìa di Cristo, che indubbiamente non è insegnato esplicitamente da Cristo stesso, ma non è difficile dedurlo, come ha fatto la Chiesa sin dal medioevo. Questo titolo peraltro non è mai stato dogmatizzato, ma, rettamente inteso, non è che un’esplicitazione dell’ufficio petrino del Papa e suppone l’infallibilità dottrinale, come partecipazione del Magistero di Cristo stesso nella Chiesa.

Ricordiamo per esempio la famosa espressione «dolce Cristo in terra» di Santa Caterina da Siena. «Vicario», certo, non è da intendersi nel senso di colui che fa le veci del titolare assente, giacchè Cristo non è mai assente dalla sua Chiesa, ma non cessa mai di governarla dalla destra del Padre. Quindi Cristo governa la Chiesa servendosi del Papa come suo strumento e suo Vicario sulla terra. È lo Spirito di Cristo che insegna al Papa cosa deve dire, quando si tratta di proclamare un dogma o di confermare nella fede il popolo di Dio o comunque d’insegnare il Vangelo. 

Ma proprio perché il Papa ha il compito di essere Vicario di Cristo, non è escluso che nel governare la Chiesa possa mancare al suo dovere, per cui, se come Maestro della fede dev’essere sempre ascoltato, come Pastore può compiere qualche ingiustizia o qualche imprudenza o negligenza, per cui al fedele non è proibito, alle dovute condizioni, fare appello direttamente a Cristo richiamando il Papa al suo dovere pastorale o morale. È quello che hanno fatto tutti i veri grandi riformatori da San Pier Damiani a San Bernardo a Santa Caterina da Siena al Savonarola al Beato Antonio Rosmini.

Inoltre si può dire che Cristo stesso continua ad essere realmente anche se misticamente presente su questa terra nel sacramento dell’Eucaristia. Così possiamo dire che se la soggezione al Papa ci cristianizza, l’Eucaristia ci cristifica, il che è il culmine del nostro essere cristiani, giacchè se ascoltando il Papa noi seguiamo Cristo Maestro e Pastore, assumendo l’Eucaristia noi partecipiamo della stessa vita di Cristo.

Ma il termine «Vicario» riferito al Papa vuol dire che Pietro governa la Chiesa visibile sulla terra in subordine a Cristo, che la governa dal cielo. La Chiesa terrena ha evidentemente bisogno di un pastore terreno e Cristo provvede appunto a darglielo nella persona di Pietro.

Pietro è stato voluto da Cristo e non dalla comunità

Ora, la tesi di Lutero e di tutti gli scismatici è irragionevole ed eretica. È irragionevole, perché qualunque comunità umana con un fine specifico ha un fondatore e un capo, che ne stabilisce lo scopo e i mezzi per raggiungerlo, ne diffonde la conoscenza, convoca o attira seguaci, adepti e discepoli, li organizza, li guida e li disciplina. Ha inoltre la facoltà e il diritto, se lo ritiene necessario, utile od opportuno, di render partecipe del suo potere di governo un’altra persona efficiente e fidata, appunto un vicario, al quale può dare carta bianca o nei confronti del quale mantiene una certa vigilanza ed assistenza.

Ora Cristo, nel fondare la Chiesa, si è basato su tutti questi accorgimenti umani e ragionevoli, senza i quali qualunque associazione umana non può nascere, esistere e mantenersi. E la Chiesa, senza con ciò smettere di essere una comunità soprannaturale, oggetto di fede divina, non per questo cessa di essere una normale regolare associazione di persone sensate e ragionevoli, radunate dall’appello di un saggio e credibile fondatore, che, proponendo un fine interessante per non dire entusiasmante, le invita ad associarsi alla sua iniziativa e a collaborare con essa.

Inoltre è una tesi eretica, perché va contro l’ecclesiologia dogmatica cattolica, così come la Chiesa stessa, con l’autorità di Cristo, la definisce e la propone al mondo.

Ora la vicarìa di Pietro è del secondo tipo, cioè è una vicaria non sostitutiva, ma partecipativa dell’autorità del fondatore e capo. Non è infatti che Cristo, salendo al cielo, ha lasciato la Chiesa terrena soltanto nelle mani del Papa, perché si arrangiasse da solo, ma Cristo dal cielo è sempre presente ed attivo col suo Spirito ed anche sacramentalmente nell’Eucaristia, per guidare come suo divino e supremo Pastore celeste la sua sposa la Chiesa innanzitutto nella persona del suo Vicario il Pontefice Romano.

Nel fondare la Chiesa nel suo aspetto umano, Cristo non ha fatto che applicare la suesposta legge essenziale del sorgere e del mantenersi di qualunque comunità umana normale ed onesta, e per questo abbiamo le sue famose parole a Pietro: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. A te darò le chiavi del regno dei cieli» (Mt 16, 18-19), ossia della Chiesa celeste e invisibile.

Ora, siccome è Cristo il Fondatore e Guida celeste della Chiesa, è chiaro che Pietro ne è solo il pastore visibile sulla terra, delegato e rappresentante di Cristo, strumento di Cristo e partecipe del suo potere di governo e in tal senso è suo vicario, mentre nei confronti della Chiesa celeste Pietro è semplicemente il portinaio della casa del Padre, sottomesso a Cristo, con l’obbligo di rispondere a lui di come ha governato il suo gregge, è  colui che ha da Cristo, padrone di casa e Figlio del Padre, il potere di fare accedere coloro che ne sono degni alla casa del Padre, salvo peraltro il potere del Padre di accogliere nella sua casa, anche senza l’appartenenza visibile alla Chiesa e l’uso dei sacramenti, tutti coloro che, senza colpa, non conoscono il Vangelo e seguono in buona fede il dettame della retta coscienza.

Lutero invece non ritiene che Cristo abbia affidato al solo Pietro uomo la guida di tutta la Chiesa terrena e visibile. Il famoso discorso di Gesù a Pietro in Mt 16,18-19 lo intende sì come affidamento della Chiesa a Pietro, ma in quanto eletto dalla comunità dei credenti, quella comunità che Cristo aveva già fondato per conto suo, senza bisogno di alcun mediatore o vicario umano. Secondo Lutero, quindi, Cristo non fonda la Chiesa su Pietro, ma sulla comunità. Da qui la sua idea che i ministri o pastori non sono istituti od ordinati dal Vescovo dipendente dal Papa, ma dalla comunità locale.

La concezione luterana puramente spirituale

ed interioristica della Chiesa,

si rovescia in una concezione terrena e carnale

Lutero era partito, nella sua volontà di riforma della Chiesa, da un’istanza interioristica di matrice agostiniana («in interiore homine habitat veritas»), per liberarla dalla zavorra e dai rivestimenti carnali e terreni, ma poi, esagerando l’elemento spirituale, finì con lo scarnificarla, per cui nella sua ecclesiologia la carne si vendica. Lutero si accorse a un certo punto di avere esagerato, ma invece di ritornare all’equilibrata e austera terrenità e visibilità della concezione cattolica, finì in una spiritualità carnale di una Chiesa spaccata in due fra una dimensione interiore di spontaneità e libertà esistenziale ed una dimensione totalmente immersa nel mondo. 

Così chiaramente Lutero, partendo da un’idea di Chiesa «santa, nascosta e invisibile», alla maniera di Jan Hus, e trovandosi incapace di fermarsi a questa astratta invisibilità o pura spiritualità e comprendendo che è impossibile rinunciare alla concretezza e visibilità, incapace di purificare la carne con la forza ascetica dello spirito,  reintroduce quella carnalità, che inizialmente aveva respinto e si rassegna ad essa; finisce per immergere lo spirito nella carne, accoppiando la concupiscenza con la santità del simul iustus et pccator.

Così, guardando al cielo continua a vagheggiare la Chiesa liberale ed invisibile, la Chiesa della coscienza e dell’uomo interiore, ma nel contempo sul piano del visibile e del sociale riduce la Chiesa a serva dell’autorità politica[1], favorendo regimi dittatoriali o conservatori, alleata di una società civile agitata dalle sue inevitabili passioni, contraddizioni ed ingiustizie, vanificando così tutte le sue giovanili proteste contro gli abusi e lo strapotere della Chiesa Romana. Partito rivoluzionario, Lutero finisce reazionario. Prima incendiario e poi pompiere.

I pastori luterani

Lutero ha indubbiamente messo in luce la vocazione del comune cristiano, il battezzato figlio di Dio, «guidato dallo Spirito Santo» (Rm 8,14) e quindi la dignità del laico e del popolo di Dio, tanto che non è difficile trovare un’eco di questa intuizione nei documenti dello stesso Concilio Vaticano II, anche se esso tiene a precisare bene la differenza fra il sacerdozio comune e quello ministeriale. In quest’ottica Lutero ha indubbiamente messo in luce il valore della democrazia sia nella società civile che nella Chiesa.

Tale valore, come si sa, è già illustrato da Aristotele nella sua Politica. Essendo infatti l’animale razionale anche un politikòn zoon, un animale politico, per Aristotele il governo della città, il cui bene è il bene pienamente umano e razionale, non può che dipendere dal popolo, composto di viventi razionali e sociali.  

Infatti nel regime democratico il popolo governa sé stesso, per cui, come riconosceva lo stesso San Tommaso in pieno regime feudale e monarchico, il governante è vicem gerens multitudinis. Ma già per quanto riguarda il governo della società politica occorre distinguere l’elezione del governante dalla sua autorità. Infatti il diritto a farsi obbedire non gli viene dal mandato popolare, ma da Dio, principio di ogni umana autorità. Questo punto, assente in Aristotele, è esplicitato da San Paolo (Rm13,1).

Per questo, ogni cittadino onesto riconosce che se come cittadino ha diritto ad autogovernasi, ciò dipende dal fatto che possiede la ragione, la quale a sua volta è partecipazione della Ragione divina. Ora, se già la società politica deve riconoscere Dio come principio trascendente dell’autorità del governante, che opera per un bene comune proporzionato alla ragione umana, a quanta maggior ragione non dobbiamo obbedienza al governante di una società soprannaturale come la Chiesa, la cui legge costituzionale è un dato rivelato da Cristo stesso e affidato alla custodia di Pietro?

Il metodo democratico certamente non può essere del tutto escluso dalla Chiesa, in quanto anch’essa è ovviamente una società umana, benché non solo umana ma anche divina. Ma tale metodo è utile e addirittura doveroso laddove esistono questioni pratiche, giuridiche e contingenti, risolubili dalla saggezza umana. Ma laddove si tratta di stabilire se una tesi è o non è di fede o di morale, è chiaro per il cattolico che la risposta non può che venire dal Papa.

Così, per esempio, quando con l’invenzione degli anticoncezionali si pose la questione se erano o non erano leciti, San Paolo VI convocò, come è noto, una apposita commissione di specialisti per avere un parere. Ma quando essa a maggioranza si espresse per la liceità, Egli non esitò invece a proibirne l’uso. Qualcuno si è domandato: ma allora quella commissione che cosa la convocò a fare, se già aveva pronta la risposta? Non la convocò perché era incerto su quale fosse la verità. È chiaro che già la conosceva perché il sesto Comandamento è legge divina. Solo che sentì il bisogno di ascoltare le obiezioni che si potevano fare per dare ad esse una risposta.

Se dunque il governo della società umana non nasce dal basso ma dall’alto, a ben maggior ragione il governo della Chiesa viene da Dio e non dall’uomo. Per questo Cristo dice agli apostoli: «non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15,16). Non sono stati gli apostoli a scegliere Pietro, ma è stato Cristo. Per questo dovranno essere gli apostoli a scegliere i Vescovi loro successori, perché non è stata la comunità dei discepoli a scegliere gli apostoli, ma sono stati gli apostoli, mediante l’evangelizzazione, a fondare le comunità dei discepoli e dei fedeli.

Per questo, benché Lutero usi il termine «vescovi», questi non sono per nulla dei sacerdoti ministeriali, ma dei semplici sovrintendenti ad tempus nel regolare andamento della comunità, creati e controllati dalla stessa comunità, così come una cittadinanza può eleggere e destituire il sindaco. 

Lutero credette in un primo tempo di poter persuadere il Papa di aver ritrovato il valore autentico della Chiesa secondo le intenzioni originarie di Cristo. Ma, visto che il Papa lo scomunicò, cominciò allora a negare l’istituto del papato non come voluto da Cristo, ma da pura ambizione umana di dominio sulle coscienze e da cupidigia e bramosia di ricchezze terrene.

Da allora abbandonò effettivamente ogni rapporto con la Chiesa istituzionale e gerarchica, da lui considerata una specie di ferro vecchio, credendo però più che mai di essere nel cuore della Chiesa dello Spirito Santo e cominciando a darsi da fare a più non posso, lui e i suoi collaboratori, a istituire comunità e «parrocchie» funzionanti sotto la sua direzione, le quali secondo lui costituivano il volto visibile della vera Chiesa di Cristo da lui «riformata».

Così sono nate le cosiddette «chiese» protestanti, le quali, non potendo evidentemente costituire un’unica comunità, mancando di un pastore comune a tutte, formavano un assemblaggio o federazione tenuta assieme da un semplice vincolo morale alla comune adesione alla Scrittura, alla dottrina di Lutero e alle pratiche cultuali e morali da lui istituite[2].

Lutero ha concepito una visione incompleta della Chiesa[3].

Tuttavia i luterani sono rimasti

in comunione imperfetta con la Chiesa cattolica

A questo punto Lutero non appare più come il riformatore di una Chiesa concepita in accordo alle intenzioni originarie del Fondatore, ma secondo un disaccordo che le stravolge. Per questo l’ecclesiologia luterana non appare come una riforma, ma una rifondazione della Chiesa, aliena da quelli che sono i veri intenti fondativi del Signore risultanti dal Vangelo nell’interpretazione del dogma cattolico.

Per questo si comprende l’osservazione del Card. Gaetano, il quale, congedandosi da Lutero dopo l’abboccamento con lui ordinato da Leone X, ebbe a commentare: «questo significa concepire un’altra Chiesa!». E difatti il cammino su cui Lutero si avviò dopo aver constatato l’opposizione del Papa alle sue idee, fu quello di prendere le distanze da quella Chiesa, dentro la quale fino ad allora era vissuto, ma proprio nella convinzione di appartenere più che mai a quella stessa Chiesa nella sua interiore originarietà, al di là di quelli che egli riteneva incrostazioni od orpelli medioevali e rivestimenti carnali, che invece in realtà erano elementi essenziali. Così invece di purificare, scarnificava, e invece di ritrovare lo spirito, lo immergeva e contaminava nella carne. La sapienza si confonde con la concupiscenza. Il peccato diventa un ingrediente della grazia.

Così Lutero finì per avviare la formazione di un’altra Chiesa, basata sulle sue idee, una Chiesa che da allora i cattolici cominciarono giustamente a designare Chiesa luterana, in opposizione alla Chiesa cattolica, mentre egli non ne voleva sapere di ciò perché credeva di non aver inventato una sua Chiesa, ma di aver riscoperto la vera Chiesa cattolica.

Lutero era convinto, cioè, di non aver affatto abbandonato la Chiesa, ma anzi di aver ritrovato la vera Chiesa oscurata dal papismo e di averla liberata dalle tenebre che la coprivano. Per questo rimase per tutta la vita convinto di non esser stato affatto scomunicato, ma che semmai gli scomunicati erano il Papa e i suoi devoti.

Per questo egli cominciò a contrapporre la sua interpretazione del modo col quale Cristo aveva fondato la Chiesa alla tradizionale visione cattolica. Per questo cominciò a respingere l’episcopato cattolico, ideò un diverso concetto di ministro o di pastore, in base al quale iniziò con un’attività febbrile che ha del prodigioso a formare un ceto di ministri e di pastori, da contrapporre ai ministri e pastori della Chiesa cattolica.

Abolito dunque il papato, Lutero è obbligato a negare che esista un pastore comune di tutte le comunità cristiane, perché secondo lui per assicurare l’unità e la concordia della Chiesa nella verità, basta che ogni comunità faccia capo a buoni esegeti, innanzitutto a lui e ai suoi discepoli, ma soprattutto direttamente al Vangelo, a Cristo e allo Spirito Santo.

È interessante come i protestanti non amino parlare della Chiesa protestante, ma della «federazione» delle Chiese protestanti, come se si trattasse di parlare della Svizzera o degli Stati Uniti o dell’Unione Europea. 

Così si dà che nel ministero del pastore protestante non c’è nulla di sacro, indefettibile o soprannaturale, men che meno un’istituzione voluta da Cristo, ma esso è un semplice funzionario al servizio alla comunità, per il quale basta una preparazione teologica, la fedeltà alla dottrina di Lutero, una certa dote di leadership, arte oratoria e una decente condotta morale.

Occorre notare che Lutero, separandosi dalla Chiesa Romana, e benché abbia avuto l’empietà di intendere la fondazione della Chiesa in modo difforme alla volontà del Fondatore, da sempre manifestata dal Magistero pontificio, che con ciò stesso Lutero accusava di falso, non cadde in una totale apostasia, non si staccò totalmente dalla Vite divina, ma risparmiò i fondamenti dell’edificio ecclesiale, che sono il battesimo, la fede in Cristo, la Scrittura, la predicazione del Vangelo, i dieci comandamenti, i segni della grazia, i dogmi cristologici e trinitari, nonchè il Simbolo Niceno-costantinopolitano.

La scomunica dalla quale lui e i suoi seguaci furono colpiti è stata intesa in passato da molti cattolici come esclusione totale dalla Chiesa, sul modello di un concetto troppo semplice di scomunica, immaginata sul modello della situazione spaziale di chi, espulso da un’aula, si trova al di fuori. Ma in realtà non è detto che la scomunica significhi sempre la totale esclusione dalla Chiesa, ma può significare anche il fatto che lo scomunicato vi è restato parzialmente congiunto. E questo fu il caso di Lutero, cosa che però che è emersa in piena chiarezza solo con l’avvio dell’ecumenismo promosso dal Concilio Vaticano II. Per questo, l’Unitatis redintegratio, riferendosi anche ai luterani, afferma che

«solo per mezzo della cattolica Chiesa di Cristo, che è lo strumento generale della salvezza, si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza e al solo collegio episcopale con a capo Pietro crediamo che il Signore ha affidato tutti i beni della Nuova Alleanza, per costituire l’unico Corpo di Cristo sulla terra, al quale bisogna che siano incorporati tutti quelli che già in qualche modo appartengono al popolo di Dio» (n.3).

Il Papa di Roma secondo gli Ortodossi

La Chiesa di Costantinopoli è stata in comunione con la Chiesa Romana sin dagli inizi fino a che non avvenne l’infelicissimo scisma del 1054 di Costantinopoli da Roma in occasione del quale apparve la perdita della fede del Patriarca di Costantinopoli e dei suoi successori fino ad oggi nell’infallibilità pontificia nel fissare gli articoli della fede. E mi riferisco, come il Lettore avrà già capito, al famoso rifiuto del Filioque nel Simbolo della fede.

Costantinopoli non ha perduto la fede nell’esistenza e validità del Vescovo di Roma, perché non ha perso, come Lutero, la fede nel sacramento dell’Ordine, tanto è vero che Roma stessa riconosce che Costantinopoli ha un episcopato valido ed amministra validamente i sacramenti, salvo il sacramento della penitenza, che richiede la giurisdizione canonica.

La fede che è venuta meno a Costantinopoli è quella nell’infallibilità del Papa, perché il fatto che il Papa avesse permesso l’inserzione del Filioque nel Credo fu considerato il cedimento a un’eresia. La Chiesa di Costantinopoli mostrò in tal modo di cadere lei nell’eresia ed apparvero le lacune di un concetto della Santissima Trinità, nel quale la persona divina è troppo assimilata alla persona umana. Invece di essere concepita, come già Sant’Agostino aveva intuìto, come Relazione sussistente, era concepita come Sostanza (ypostasis), col rischio di cadere nel triteismo e di dissolvere l’unità divina.

La distinzione fra le Persone divine veniva fatta non in base all’opposizione di origine, ma mediante le proprietà, quindi non con criterio metafisico, ma psicologico, rischiando l’antropomorfismo. Si ammetteva che lo Spirito procede dal Padre per mezzo del Figlio, ma non che il Figlio spira lo Spirito come il Padre spira lo Spirito.

In tal modo era impossibile distinguere in modo sufficiente il Figlio dallo Spirito. Si ammetteva bensì che proprietà del Figlio è l’essere Logos, mentre proprietà dello Spirito è essere Amore. Ma ciò non era sufficiente, perchè sia l’intelletto che la volontà sono in Dio ed entrambe le Persone sono Dio. Era come distinguere due persone umane, una più intellettuale e l’altra più affettiva.

Agostino collegava bensì il Figlio al nosse e lo Spirito al velle, ma non  distingueva le due Persone in base a queste differenze, perché aveva capito che il criterio vero e decisivo è dato dal fatto che, essendo le due Persone lo stesso Dio, erano identiche in tutto, intelletto e volontà, per cui l’unico modo di distinguerle non poteva che essere la differenza di origine: il Figlio si distingue dal Padre perché ha origine dal Padre e lo Spirito si distingue dal Padre perché ha origine dal Padre. Per questo, se non si ammetteva che lo Spirito ha origine anche dal Figlio, non c’era modo di distinguere il Figlio dallo Spirito.

Fine Seconda Parte (2/2)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 16 aprile 2021


 


Per questo si comprende l’osservazione del Card. Gaetano, il quale, congedandosi da Lutero dopo l’abboccamento con lui ordinato da Leone X, ebbe a commentare: «questo significa concepire un’altra Chiesa!». 
 
Immagine da internet 
Il cardinale Tommaso De Vio riceve Martin Lutero, in una raffigurazione del 1557

[1] Ancora all’avvento del regime hitleriano, mentre i cattolici tennero le distanze, i protestanti sposarono la causa di Hitler, sotto pretesto della lealtà verso lo Stato.

[2] Per l’organizzazione di queste comunità e l’istituzione dei pastori vedi: J.Lortz-E.Iserloh, Storia della Riforma, Il Mulino, Bologna 1990, cap. V; R.Garcίa-Villoslada, Martin Lutero. In lotta contro Roma, Istituto Propaganda Libraria, Milano 1987, vol. II, cap.9.

[3] Fino al Concilio Vaticano II si contrapponeva una vera Chiesa alla Chiesa luterana intesa come falsa. Il Concilio, con l’avvio dell’ecumenismo, ha introdotto un diverso criterio di distinzione: esso parla di appartenenza piena, quella del cattolico, alla Chiesa, ossia quella cattolica, che possiede la pienezza dei mezzi della salvezza, ed appartenenza parziale, che è quella degli acattolici. L’opposizione vera Chiesa-falsa Chiesa è ancora presente nel trattato, peraltro ottimo, di A.Beni e S.Cipriani, Lavera Chiesa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1958,

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