Articoli e testi di P.Giovanni Cavalcoli

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P.Tomas Tyn

Testi di P. Tomas Tyn, OP

29 ottobre, 2020

Papa Francesco e gli omosessuali

  Papa Francesco e gli omosessuali

Da dove parte il Papa

Nell’ultima parte dell’Enciclica Fratelli tutti il Papa, con alcune elevate considerazioni filosofiche, mostra il fondamento ontologico, antropologico e morale della fratellanza umana universale, facente capo alla dignità della persona umana e all’universalità della natura umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio, uomo e donna, fondamento dell’uguaglianza umana e dell’universalità della legge morale naturale, uguale per tutti e per conseguenza degli inalienabili ed insopprimibili diritti ed indispensabili doveri universali dell’uomo, corrispondenti ai divini precetti del decalogo mosaico, norme supreme della legislazione della Comunità internazionale, nonché delle costituzioni e dei codici civili degli Stati.

Questa poderosa affermazione dell’oggettività ed universalità della natura umana, congiuntamente a quella della assoluta obbligatorietà per tutti della legge morale naturale, obbedendo alla quale ogni uomo raggiunge la sua perfezione e la sua felicità, è accompagnata per tutto il corso dell’Enciclica da una severa e martellante condanna di ogni forma di individualismo, soggettivismo, edonismo, idealismo, chiusura mentale, egocentrismo, sopruso, ingiustizia individuale e sociale, politica ed economica, violenza fisica, psicologica o morale, sotterfugio, falsa libertà e volontà di dominio e di potenza del soggetto individuale o collettivo, che pretenda di sottrarsi all’obbedienza alla legge di Dio ed al rispetto della legge e del diritto naturale.

Papa Francesco respinge quindi nettamente la concezione rahneriana della persona, intesa come soggetto singolo autoregolantesi, che non applica nel concreto le esigenze di una natura umana oggettiva ed universale, ma determina liberamente il proprio essere singolo, in una plasmazione di sé e in un’autotrascendenza atematica ed immanentistica, in forma totalmente soggettivistica ed esistenziale, al di fuori di ogni partecipazione a un bene comune ed universale.

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Il primo passo per gustare questa bellezza è dato dalla comprensione e dall’ammirazione per il progetto divino sulla sessualità umana, progetto che possiamo contemplare nel racconto della creazione di Adamo ed Eva, congiuntamente al progetto escatologico della felicità finale dell’uomo e della donna, dopo la conclusione della travagliata storia della natura decaduta ma redenta dal sangue di Cristo.

 
 
 
Creazione di Adamo Ed Eva, bassorilievo, Firenze 
Gesù Cristo risorge da morte, icona
 
Immagini da internet 

26 ottobre, 2020

Le tesi della dogmatica buonista

  Le tesi della dogmatica buonista

Parole di consolazione in periodo di covid

Dedicato al Card. Raniero Cantalamessa

NOTA: tengo a precisare che questo elenco di eresie non intende assolutamente riferirsi, come forse qualcuno potrebbe pensare, al pensiero di Padre Cantalamessa nel suo insieme, ma, partendo dalla sua affermazione che Dio non castiga, io non ho fatto altro che manifestare le conseguenze e le premesse logiche di quella affermazione.

1. Che Dio mandi la sofferenza è incompatibile con la bontà divina. Dio è soltanto pura misericordia per tutti. Dio non è mai severità, ma solo tenerezza. Non vuole la sofferenza di nessuno, ma semplicemente la permette perché la combattiamo. Se quando capita un’alluvione o il crollo di una diga, viene da domandarci dove sia la tenerezza di Dio, dobbiamo pensare che Dio non c’entra e pensare piuttosto all’imprevidenza dei geologi.

2. Quindi la sofferenza non dipende da Dio. Egli quindi non può far nulla per toglierla. Essa esiste, ma neppure Dio sa perché esiste. Dio convive con la sofferenza e noi dobbiamo fare lo stesso e non possiamo fare altro.

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Arcabas, Il Padre Misericordioso

Immagine da internet

24 ottobre, 2020

Il buonismo di Rahner e l’Enciclica del Papa

 Il buonismo di Rahner e l’Enciclica del Papa

Conoscendo bene il rahnerismo da alcuni decenni, immagino che difficilmente si troverà un rahneriano a fare l’elogio dell’Enciclica del Papa Fratelli tutti. Forse non tutti i rahneriani converranno in questa mia opinione, perché Rahner passa per essere il più famoso sostenitore di una concezione della misericordia e della grazia divina, per le quali tutti gli uomini sono in grazia di Dio e si salvano. Uno potrebbe anche dire: troppa grazia Sant’Antonio! Ma come? Chi è in grazia esercita la carità fraterna; e dunque, altro che fratellanza! Qui abbiamo tutti santi!

Eppure, se ci addentriamo nel pensiero di Rahner, come sto facendo io dal 1984[1], ci accorgeremo che tutta questa stima che Rahner sembra avere della bontà del prossimo e della larghezza della divina misericordia verso tutti, si accompagna ad un concetto relativista della natura umana, della ragione, della legge naturale e del libero arbitrio; lascia del tutto intatte le ingiustizie sociali, giacché il prepotente, credendosi perdonato, non smette dalla sua prepotenza, mentre l’esaltazione esagerata del singolo, il cui pensare si identifica con l’essere e la cui libertà pareggia quella divina, è accompagnata da una totale insensibilità per le sue responsabilità sociali e per il bene comune: tutte storture ben lontane da quello spirito di fraternità che Papa Francesco per le 98 pagine della sua Enciclica si sforza di promuovere ed illustrare.

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Papa Francesco ha preso parte al 34.mo incontro internazionale della Comunità di Sant’Egidio nello Spirito d’Assisi che quest’anno, a causa della pandemia, si è svolto a Roma sul colle del Campidoglio, il pomeriggio del 20 ottobre, in un’unica sessione pomeridiana. L’evento, intitolato “Nessuno si salva da solo. Pace e Fraternità”. 

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23 ottobre, 2020

Luigino vorrebbe avere lo stesso nome di Dio

 Luigino vorrebbe avere lo stesso nome di Dio

Luigino fa un rovinoso ruzzolone

Luigino Bruni nel suo articolo Con lo stesso nome di Dio, pubblicato in Avvenire del 18 ottobre scorso, prosegue nel tessere le lodi di Dio commentando il Salmo 147:

«“Alleluia. È bello cantare inni al nostro Dio: è dolce innalzare la lode. Il Signore ricostruisce Gerusalemme, raduna i dispersi di Israele; risana i cuori affranti a fascia le loro ferite. … Intonate al Signore un canto di grazie, sulla cetra cantate al nostro Dio” (Salmo 147, 1-7). È bello cantare inni al Signore. È bello è buono lodare Jahvè, è bello e buono per Dio, ma è bello e buono anche per noi». «Dopo averci donato fin qui parole bellissime su Dio e su di noi, il Salmo termina lodando direttamente la parola, e l’Alleanza e la Legge che ne sono il culmine (147, 19-20). La parola è vista come un messaggio inviato per noi, una intelligenza che ci fa scoprire l’ordine e il senso della creazione: “manda sulla terra il suo messaggio: la sua parola corre veloce” (147,15). La parola è anche logos, è ragionamento e ordine. Israele ha stimato la parola in una misura altissima e per noi oggi incomprensibile. Ne ha fatto esperienza straordinaria con i Patriarchi, con Mosè e i profeti – “… e c’era soltanto una voce”. Dovendo rinunciare all’immagine di Dio, ha maturato un’immensa competenza sulla parola, ha dovuto imparare a disegnare Dio con le parole, ha scoperto mille dimensioni nascoste dentro la parola biblica e nelle parole umane».

Senonchè, però, Luigino sembra ricadere in quel suo concetto di «reciprocità» dei suoi articoli del maggio-giugno scorso, per la quale egli sente Dio come una persona alla pari di lui, con difetti e pregi come lui, un amico col quale realizzare uno scambio, un arricchimento e una correzione reciproci, dimenticandosi che se Luigino dipende da Dio, Dio non dipende da Luigino. 

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Il Nome divino è, secondo l’inno cristologico della Lettera ai Filippesi, «il nome che è al di sopra di ogni altro nome» (Fil 2,9), che Dio Padre riserva solo al Figlio. E quindi è solo al Figlio e non all’uomo che Dio Padre comunica il proprio Nome. 

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19 ottobre, 2020

Alberto Melloni asinus italicus

  Alberto Melloni asinus italicus

Rispondi allo stolto secondo la sua stoltezza

                                                                                                                                              Pro 26,5

 Il modernismo storicista

Alberto Melloni è il più noto ed importante storico modernista contemporaneo. È il continuatore della Scuola di Bologna di storia del cristianesimo e della Chiesa fondata da Giuseppe Alberigo, la cui impostazione ermeneutica non contempla l’evoluzione omogenea del dogma[1], ma, in accordo con lo storicismo di Wilhelm Dilthey, erede di Hegel, per il quale non esiste una verità assoluta, eterna e sovratemporale e indipendente dagli eventi della storia, la verità è relativa al mutare dei tempi e delle circostanze storiche o, come si dice, veritas filia temporis.

Per lo storicismo infatti non esiste una realtà immutabile ed universale metastorica o sovrastorica o metafisica, ossia sovratemporale, ma tutto è storia, tutto è divenire storico, tutto è in movimento, tutto dev’essere continuamente ammodernato e rinnovato, tutto invecchia, passa e trascorre per essere sostituito dal nuovo, che a sua volta invecchia e viene sostituito da un’altra novità e così all’infinito, senza che mai si possa giungere a una verità o ad una quiete definitiva ed insuperabile. Non esiste nulla che non cambi, sia nella natura che nello spirito e quindi anche nelle dottrine, nel pensiero e nella morale. Dio stesso muta e diviene nel tempo. 

Lo storicismo ammette un progresso storico. Esso però non è dato da un continuo miglioramento della conoscenza e della pratica di valori assoluti, ma dal puro e semplice mutamento dei valori precedenti, i quali vengono considerati superati non perché si ha una migliore conoscenza della verità, ma per il semplice fatto che sono precedenti e si sono consunti, non importa che fossero veri o falsi. Ad ogni passo della storia tutto viene radicalmente mutato e rivoluzionato. 

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Card. Giacomo Lercaro

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18 ottobre, 2020

Luigino torna alle origini

  Luigino torna alle origini

Luigino sotto lo sguardo di Dio

Dopo essersi perduto nella selva oscura di questo mondo, e aver ridotto il destino dell’uomo all’effimero «volo di un giorno della farfalla», per aver abbandonato «il primo patto della fanciullezza», poiché la dritta via era smarrita, Luigino Bruni, dall’agosto scorso nei suoi articoli su Avvenire, nei quali appare evidente la narrazione della sua personale storia spirituale, che appare però paradigmatica per molti di noi, sta recuperando a grandi passi il tempo perduto, sta tornando alle origini, sta tornando al punto da dove aveva iniziato a smarrirsi.

Chi fa marcia indietro con l’auto, non è un nostalgico del passato, ma vuole imboccare la giusta strada per avanzare e per aprirsi al futuro. In questo retrocedere che è un avanzare, Luigino scopre o ritrova alcuni valori e ce ne parla nel suo ultimo articolo di domenica 11 ottobre scorso «più grandi del nostro cuore».

In questo viaggio all’indietro Luigino scopre la bellezza e grandezza originaria della sua anima, creata da Dio, ideata, progettata a sua immagine e somiglianza, voluta ed amata da Dio dall’eternità e per l’eternità. Altro che la farfalla di un giorno! Luigino scopre di essere, in quanto guardato da Dio, molto più grande e innocente di quanto pensava, tanto grande che la cima di se stesso gli sfugge, come non vediamo la cima di un alto monte nascosto tra le nubi. 

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«in principio c’è uno sguardo, sentirsi visti da un occhio che mi guarda e mi vede come nessuno mi ha visto mai. Uno sguardo che è immediatamente voce, perché mentre ci guarda pronuncia il nostro nome, ci rivela il nostro compito e il nostro posto al mondo, ci fa intravvedere che gli episodi che hanno segnato la nostra vita hanno un senso, sono i capitoli del “libro” che stavamo già scrivendo e non lo sapevamo. È a questo livello intimo e profondissimo che si gioca il destino di una vocazione».
(Immagini da internet)

17 ottobre, 2020

Papa Francesco e la fratellanza - (Quarta parte - 4/4)

 Papa Francesco e la fratellanza

 Quarta parte (4/4)

La fratellanza universale, coagulo delle religioni

È impossibile un’unione fraterna senza render culto assieme al vero Dio almeno in forza della religione naturale. Questo è il tema che il Papa svolge nell’ultima parte dell’enciclica dedicata alla fratellanza tra i fedeli delle religioni. Chiaramente qui il riferimento a Dio non è al Dio cristiano, ma al Dio della religione naturale.

Particolare attenzione dedica il Pontefice all’accordo di Abu-Dhabi, del quale più volte cita dei passi. Il Papa, mentre riconosce che tutte le religioni cercano la pace, non manca di condannare la violenza perpetrata in nome della religione. Non è difficile qui leggere un riferimento all’Islam. Riporto comunque un brano molto bello dell’accordo di Abu-Dhabi.

Sono espressioni accorate, quasi imploranti, di grande potenza espressiva e ricche di una nobile carica emotiva. Bisogna essere dei duri di cuore per non restarne commossi e avvinti, pensando soprattutto che è la prima volta nella storia dell’Islam che un Papa dice queste parole insieme con un grande esponente dell’Islamismo. È motivo di grande speranza per la Chiesa e per l’Islam, che possa aver finalmente termine lo straziante passato periodo di 14 secoli di guerre e possa iniziare con questo storico evento un’era di pacifici rapporti tra i discepoli di Cristo e i discepoli di Maometto.

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È impossibile un’unione fraterna senza render culto assieme al vero Dio almeno in forza della religione naturale. Questo è il tema che il Papa svolge nell’ultima parte dell’enciclica dedicata alla fratellanza tra i fedeli delle religioni. Chiaramente qui il riferimento a Dio non è al Dio cristiano, ma al Dio della religione naturale. 

 Assisi, 1986 (immagine da internet) 

16 ottobre, 2020

Papa Francesco e la fratellanza (Terza parte - 3/4)

  Papa Francesco e la fratellanza 

Terza parte - 3/4

Il conflitto tra fratelli

Se il patriottismo del Santo Papa Wojtyla aveva una chiara motivazione religiosa, quello di Papa Francesco sembra di tipo più politico, e perciò pericoloso per un Papa, che rischia così il nazionalismo e la parzialità. Mi riferisco alla sua non celata simpatia per la teologia della liberazione sudamericana, cosa che favorisce nella Chiesa la corrente di sinistra provocando l’immancabile reazione della destra: un meccanismo maledetto, che ci tormenta da cinquant’anni e stride dolorosamente rispetto a quella che dovrebbe essere la fraternità intraecclesiale.

Un difetto comune ai due partiti è l’orgoglio che non le fa piegare a riconoscere d’aver torto davanti alle critiche dell’avversario, per cui la risposta non è l’umile riconoscimento del proprio errore e la gratitudine per chi lo ha corretto, ma è o il silenzio o l’insulto o la derisione. Altro difetto è la falsa ed ostinata certezza delle proprie idee, provocata dalla superbia e dalla presunzione, per cui ci si rifiuta di metterle in dubbio e le si vuole imporre agli altri ad ogni costo. Altro difetto è l’assolutizzazione della propria parte di verità, negando l’altra metà presente nell’avversario, ed ignorando pertanto che le due metà sono fatte per stare assieme e completarsi a vicenda, onde formare il tutto.

È noto a tutti così come da cinquant’anni assistiamo nella compagine ecclesiale ad una preoccupante polarizzazione fra passatisti e modernisti. I termini usuali di «tradizionalisti» e «progressisti» non sono appropriati, perché può esistere un giusto tradizionalismo, come esiste un falso progressismo, che è modernismo. Del resto, conservazione e progresso sono fatti di per sé per completarsi a vicenda. 

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Occorre allora adesso affrontare un altro aspetto della fraternità cristiana, sempre sul piano del combattimento non più con la spada materiale, ma, come dice San Paolo, con la «spada della Parola di Dio» (Ef 6,17). 

È un’operazione molto delicata, perché vale sempre il proverbio «si ferisce più con la parola che con la spada». 

Francesco è un attento denunciatore di tutti i peccati che si commettono con la lingua. 

 

Affresco XIV Sec. - Kosovo, nel Katholikon Monastero dell'Ascensione di Cristo

Susanna e i vecchioni (1580 circa) -Paolo Veronese (1528-1588) -Museo del Louvre a Parigi

Immagini da internet


 

15 ottobre, 2020

Papa Francesco e la fratellanza (Seconda parte - 2/4)

  Papa Francesco e la fratellanza  

(Seconda parte - 2/4)

La questione della guerra

Qual è il rapporto fra fratellanza e popolo? Il Papa spiega che i popoli devono sentirsi fra di loro fratelli. Ancor oggi essi sono generalmente organizzati in entità statali con un loro territorio e dotati di forza bellica. Come si concilia il possesso di forze armate col dovere della fratellanza universale ed internazionale?

L’uccisione del fratello, come racconta il Genesi, è la prima ed immediata conseguenza del peccato originale. Esso infatti ci spinge ad invidiare e ad odiare il fratello, a essere, come dice Hobbes, non fratello, ma «lupo» per l’altro. Tuttavia resta in ciascuno di noi, anche nei più cattivi, una nostalgia dell’Eden e una fondamentale tendenza, non totalmente distrutta dal peccato, alla socialità, alla fratellanza e a voler bene agli altri.

Tuttavia non riusciamo ad evitare i conflitti personali e collettivi, tra gruppi, classi, popoli e nazioni. Siamo portati a diffidare, ad aggredire, ad opprimere, a derubare, a far violenza, a tormentare, ad incrudelire, a schiavizzare, a ferire, ad infierire, a torturare, ad uccidere i fratelli. Il Papa denuncia bene tutti questi mali. 

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Caino ed Albele di Marc Chagall
(Immagine da internet)

L’uccisione del fratello, come racconta il Genesi, è la prima ed immediata conseguenza del peccato originale. 
 
Esso infatti ci spinge ad invidiare e ad odiare il fratello, a essere, come dice Hobbes, non fratello, ma «lupo» per l’altro. 
 
Tuttavia resta in ciascuno di noi, anche nei più cattivi, una nostalgia dell’Eden e una fondamentale tendenza, non totalmente distrutta dal peccato, alla socialità, alla fratellanza e a voler bene agli altri. 
 

Papa Francesco e la fratellanza (Prima parte - 1/4)

 Papa Francesco e la fratellanza (Prima parte - 1/4)

Un’enciclica umanistica

Il discorso di Papa Francesco non sembra a tutta prima il discorso di un Pontefice, maestro della fraternità umana perché maestro della fratellanza cristiana, ma sembra il discorso programmatico – peraltro bello anche se troppo prolisso – di un saggio Presidente di turno all’Assemblea plenaria dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.

Comprendo l’intento esplicito del Papa di rivolgersi a «tutti gli uomini di buona volontà» e bisogna dire che egli è stato molto abile in ciò. Tuttavia, io penso che mentre per quanto riguarda la fratellanza umana e sociale ormai dai tempi di Leone XIII la Chiesa, con un continuo crescendo fino a Papa Benedetto XVI ci ha fornito un ricchissimo corpo dottrinale, oggi come oggi il bisogno impellente sia quello di chiarire il significato, l’originalità e il valore della fratellanza cristiana in un messaggio indirizzato non solo ai cristiani, nell’ambito del dialogo intraecclesiale e dell’ecumenismo, ma all’intera umanità perché Cristo chiama tutti gli uomini a diventare fratelli in Lui e figli del Padre nello Spirito Santo.

Il Papa è molto abile nel mettere in luce valori di fratellanza che si possono ricavare da dottrine anticristiane o eretiche come l’illuminismo, la massoneria, il liberalismo, il marxismo, la teologia della liberazione e l’islamismo. Critica difetti di queste dottrine. Ma non va generalmente oltre, se non alla fine, con un forte messaggio teologico e religioso. 

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Quanto all’ateismo marxista, presentandosi come paladino del bene comune ed accusando il teista di individualismo, esso in realtà è proprio lui che, supponendo l’autoreferenzialità e l’assolutizzazione del proprio io, conduce a quell’egoismo ed individualismo della chiusura all’altro, che cade sotto i colpi inesorabili della condanna bergogliana. 

Per questo, benché Papa Francesco non affronti esplicitamente il problema dell’ateismo, bisogna dire comunque che ne condanna implicitamente i presupposti teoretici e le conseguenze pratiche.

09 ottobre, 2020

Luigino riprende in mano l’antica cetra

 Luigino riprende in mano l’antica cetra

A te ricorriamo noi esuli figli di Eva.

E mostraci dopo questo esilio Gesù.

 

Se ti dimentico, Gerusalemme

 

Procede positivamente su Avvenire la risalita di Luigino Bruni dopo la squallida conclusione, nell’agosto scorso, con la «farfalla di un giorno» e la miope ed arida apologia del lavoro quotidiano, un processo di dissoluzione dei valori cristiani in una serie di articoli quasi settimanali su Avvenire della domenica, dei quali mi ero accorto sin dal marzo scorso.

Ma ormai dal mese scorso Luigino ha iniziato una bella e promettente rimonta, ha spiccato il volo non della farfalla, ma dell’aquila verso quel cielo, che aveva malinconicamente accantonato, in seguito al tradimento del «primo patto della fanciullezza».

Ma Luigino non si é arreso all’apparente sconfitta, allo scetticismo ed all’ateismo; con una forte e poderosa riscossa di coscienza, ha recuperato la fede perduta e ormai da più di un mese, la sta riscoprendo più bella di prima, perché ha pagato o ricomprato con la sofferenza e la penitenza ciò che aveva abbandonato. Uno di questi valori è il senso cristiano della vita presente, che Luigino rappresenta adesso sotto la tradizionale metafora dell’esilio, e a tal fine commenta il Salmo 137.

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Gerusalemme Celeste, Arazzo dell'Apocalisse, Castello di Angers, Francia

Gerusalemme Celeste, Rupnik 

(immagini da internet) 



06 ottobre, 2020

Il conforto cristiano alla persona sofferente

 Il conforto cristiano alla persona sofferente

Il paradosso cristiano della sofferenza

Uno dei più grandi pregi del cristianesimo è quello di saper dare al sofferente un conforto e una consolazione che nessun’altra religione, morale, filosofia o psicologia sa dare, a patto, s’intende, che il sofferente o il malato sia desideroso di guarire, creda in Dio, ed abbia fiducia nelle parole del Vangelo.

Infatti il conforto cristiano non è un conforto semplicemente umano, solidaristico o psicologico, che pure ha la sua utilità quando il sofferente non è pronto a comprendere l’apparente paradosso del discorso della Croce. Perché il conforto cristiano possa avere il suo effetto, bisogna che il sofferente, illuminato dalla fede ed animato dalla carità cristiana, viva già una vita cristiana o quanto meno sia aperto alla comprensione di ciò che gli viene comunicato dal fratello di fede, laico o sacerdote che sia.

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San Gregorio Magno - Fabris D. (1861), San Girolamo riceve il viatico  (Immagini da internet)

01 ottobre, 2020

Luigino o della fratellanza

  Luigino o della fratellanza

Al cuore del cristianesimo

Sto commentando in questo mio blog dal marzo scorso gli articoli pressoché settimanali di Luigino Bruni su Avvenire della domenica. I lettori che mi hanno seguito da allora sin qui ricorderanno i miei commenti agli articoli di Luigino. In essi, fino all’agosto scorso, ho dovuto constatare con profondo dispiacere e quasi con incredulità un’opera a tappe che Luigino ha condotto di demolizione uno per uno  dei valori del cristianesimo, fino a giungere a negare addirittura l’esistenza dell’eterna futura beatitudine celeste insegnata dalla fede cristiana, per indossare le vesti della farfalla - sono le sue stesse parole -, «che vive per un giorno» o per chiudersi nell’orizzonte terreno del lavoro quotidiano.

Ma poi ecco improvvisamente apparire da tre o quattro puntate ad oggi una vigorosa rimonta spirituale, che mi ha molto consolato ed abbiamo avuto uno scambio epistolare dapprima problematico e poi molto cordiale. E vedo con piacere che Luigino non fa più la parte dell’effimera farfalla di un giorno dallo sguardo corto, ma è diventato una robusta aquila dallo sguardo acuto e dal volo alto.

Questa volta Luigino ci parla del bellissimo valore della fratellanza, umana e cristiana, in un piccolo e succoso saggio, che avremmo desiderato più lungo, ma sappiamo bene quali sono le inesorabili esigenze di spazio dei giornali. Il titolo è Come profumo e rugiada: un commento al bellissimo Salmo 133, che suscita anche in me un’eco di infinita e inesprimibile dolcezza, di ricordi, affetti, desideri, commozione, sincerità, confidenza, comunione, tenerezza, nostalgia, rimpianti, e speranze. Un’eco di paradiso. Quel Salmo descrive come saremo quando saremo in paradiso. 

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«Massimo ristoro e sollievo mi veniva dai conforti degli amici. … I colloqui, le risa in compagnia, lo scambio di cortesie affettuose, i dissensi occasionali, senza rancore, come di ogni uomo con sé stesso, e i più frequenti consensi, insaporiti dai medesimi rarissimi dissensi; l’essere ognuno dell’altro ora maestro ora discepolo, la nostalgia impaziente di chi è lontano, le accoglienze festose per chi ritorna». (Sant'Agostino)

Karol Wojtyla (immagini da internet)