Luigino o della fratellanza

 Luigino o della fratellanza

Al cuore del cristianesimo

Sto commentando in questo mio blog dal marzo scorso gli articoli pressoché settimanali di Luigino Bruni su Avvenire della domenica. I lettori che mi hanno seguito da allora sin qui ricorderanno i miei commenti agli articoli di Luigino. In essi, fino all’agosto scorso, ho dovuto constatare con profondo dispiacere e quasi con incredulità un’opera a tappe che Luigino ha condotto di demolizione uno per uno  dei valori del cristianesimo, fino a giungere a negare addirittura l’esistenza dell’eterna futura beatitudine celeste insegnata dalla fede cristiana, per indossare le vesti della farfalla - sono le sue stesse parole -, «che vive per un giorno» o per chiudersi nell’orizzonte terreno del lavoro quotidiano.

Ma poi ecco improvvisamente apparire da tre o quattro puntate ad oggi una vigorosa rimonta spirituale, che mi ha molto consolato ed abbiamo avuto uno scambio epistolare dapprima problematico e poi molto cordiale. E vedo con piacere che Luigino non fa più la parte dell’effimera farfalla di un giorno dallo sguardo corto, ma è diventato una robusta aquila dallo sguardo acuto e dal volo alto.

Questa volta Luigino ci parla del bellissimo valore della fratellanza, umana e cristiana, in un piccolo e succoso saggio, che avremmo desiderato più lungo, ma sappiamo bene quali sono le inesorabili esigenze di spazio dei giornali. Il titolo è Come profumo e rugiada: un commento al bellissimo Salmo 133, che suscita anche in me un’eco di infinita e inesprimibile dolcezza, di ricordi, affetti, desideri, commozione, sincerità, confidenza, comunione, tenerezza, nostalgia, rimpianti, e speranze. Un’eco di paradiso. Quel Salmo descrive come saremo quando saremo in paradiso.

Luigino distingue bene fratellanza di sangue, fratellanza umana universale e fratellanza cristiana. La prima è quella dei fratelli che «da grandi lasciano la casa comune e giungono nella loro nuova casa». «Eppure, nonostante tutta questa bellezza, la Bibbia ci presenta la fraternità naturale come qualcosa di ambivalente e in genere di problematico». E fa l’esempio di Caino che uccide Abele. «Giacobbe ed Esaù lottano, combattono e si separano», ecc.

Luigino esordisce, come è suo solito, commentando un Salmo

«Possiamo immaginare che il bellissimo Salmo 133 sia stato composto o almeno cantato, da una madre. In un giorno di festa[H1] , forse nella sera di Pesach, una donna guardò i figli seduti attorno alla mensa, e nell’intimo del suo cuore le nacque questa preghiera, una delle più belle: “Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!” … Forse a dirci che quando i fratelli e le sorelle “siedono insieme” la famiglia ritorna a passeggiare nel giardino dell’eden, torna la primitiva innocenza e purezza, la morte è vinta, mangiamo il frutto dell’albero della vita e viviamo in un’eterna giovinezza».

Bello l’elogio che Luigino fa della fraternità così come è insegnata dalla Scrittura:

«Ai profeti e ai fratelli, alle sorelle non si dà il superfluo, si dona il necessario. Per loro ci si priva dell’ultimo pane: il pane quotidiano è dono del Padre, ma quasi sempre ci arriva per la mano di un fratello, di una sorella. Quando da grandi lasciamo la casa comune e un fratello giunge alla nostra nuova casa, va onorato come la Bibbia onora l’ospite. E anche se viene a trovarci spesso, il giorno della visita del fratello è il giorno della tovaglia più bella, di un fiore nuovo. Il tempo si ferma e si tocca l’eternità. Le ore passate coi fratelli sono più lunghe[H2] , la fraternità ci allunga la vita. Ogni ospite porta una benedizione, ma la benedizione che portano il fratello e la sorella, onorati come angeli, ne porta una infinita».

La Bibbia – osserva Luigino – mira ad una fraternità superiore a quella del sangue, a una fraternità umana universale ed ancor più alla fraternità cristiana nello Spirito Santo:

«forse per dirci che la fraternità del sangue, per quanto grande e spesso meravigliosa, non è sufficiente per capire l’umanesimo biblico, il nuovo popolo, l’alleanza, la nuova e diversa fraternità universale biblica e poi cristiana. E così, per indicarci la sua nuova fraternità sganciata dal sangue, la Bibbia non si accontenta di lodare la fraternità naturale e ne mette in luce la sua insufficienza. Anche noi sappiamo che la prima fraternità naturale non è pieno umanesimo se non fiorisce in una seconda fraternità. Non si resta fratelli e sorelle per tutta la vita, se ad un certo punto quel legame di sangue, già grande e bello, non diventa grandissimo e bellissimo fiorendo in agape. … La fraternità è aurora, è rugiada; ma quel sole non mantiene a mezzodì tutta la luce dell’alba se il sangue non diventa spirito e se non rinasciamo in questo spirito. Ma la Bibbia ci ha voluto donare anche il Salmo 133 con le sue splendide parole, perché mentre ci ricorda che la fraternità si compie morendo nella carne e risorgendo nello spirito, quei fratelli e sorelle che siedono insieme sono tra le cose più belle sotto il sole: «Là il Signore dona la benedizione e la vita per sempre» (133,3).

Luigino passa poi a commentare la duplice metafora che il Salmista usa per esaltare la bellezza della vita fraterna: l’olio profumato che scende sulla barba di Aronne e la rugiada che scende sui monti di Sion:

«L’olio era segno della consacrazione del sacerdote (Aronne), ma anche del re, del profeta, ed è il gesto che accoglie l’ospite, che viene onorato ungendo d’olio profumato il suo corpo affaticato per il viaggio. Un olio che sovrabbonda, che cola dal capo fino a coprire il volto, la barba e poi scende giù per la veste».

«La seconda immagine è quella della rugiada, parola amatissima dalla Bibbia. La rugiada del monte più alto, che mitiga le lunghe siccità. È sempre sorprendente trovare al risveglio, nelle nostre torride estati, l’erba bagnata dalla rugiada, dono di una freschezza diversa quando l’acqua non c’è. La rugiada è una grande immagine di gratuità, di un dono che è lì per noi, per tutti. Come la rugiada, la fraternità per imperlare di luce il campo della nostra vita ha bisogno di una notte serena e calma di vento. Come la rugiada, la fraternità è quella freschezza donata che accompagna le aridità della vita, che arriva senza guardare alle nostre virtù e ai nostri meriti».

Nelle citazioni a latere non più di visionari, kabbalisti o eretici luterani, Luigino questa volta ci offre una sapida citazione di Sant’Agostino, che merita di essere riportata per intero:

«Massimo ristoro e sollievo mi veniva dai conforti degli amici. … I colloqui, le risa in compagnia, lo scambio di cortesie affettuose, i dissensi occasionali, senza rancore, come di ogni uomo con sé stesso, e i più frequenti consensi, insaporiti dai medesimi rarissimi dissensi; l’essere ognuno dell’altro ora maestro ora discepolo, la nostalgia impaziente di chi è lontano, le accoglienze festose per chi ritorna».

Fraternità e amicizia

Con questa citazione Luigino insinua opportunamente il rapporto nel cristianesimo fra fraternità ed amicizia. Si tratta di due valori naturali, esaltati e coltivati anche dai filosofi pagani, ma che nel cristianesimo assumono un valore altissimo, perché, messi in relazione con l’amore di Dio, si presentano non più soltanto come effetto della volontà umana, ma anche e soprattutto come doni salvifici di Dio. Essere amici e fratelli gli uni degli altri non è solo meritorio, ma è anche e soprattutto dono gratuito della grazia divina.

L’amicizia è un affetto reciproco al di sopra dell’affetto naturale che si deve verso ogni nostro simile, in quanto partecipe come noi della stessa specie umana. Essa suppone un’affinità reciproca ed una comunanza d’interessi superiori a quelli che nascono o si fondano sul semplice fatto del comune esser uomini. L’amicizia comporta il dovere tra gli amici, di coltivare la loro amicizia e di rispettarne gli specifici doveri.

Un’amicizia particolarmente intima, alta perfezione della persona, generatrice della vita umana, è quella coniugale fra uomo e donna, che nel piano divino originario, esprime un amore così intimo e perfetto, che i due, unendosi, «non son più due, ma una sola carne» (Gen 2,24)[1]. E questa unione è destinata a fiorire oltre ogni immaginazione alla resurrezione futura, nella quale resterà l’amore, ma sarà cessata la funzione procreativa del matrimonio.

Esistono così doveri di amicizia, appunto fondati su di essa, che non esistono nei confronti di coloro con i quali non siamo legati da questo rapporto di amicizia. Per questo non possiamo essere amici di coloro con i quali non abbiamo quell’affinità naturale, dono di Dio, della quale veniamo a conoscenza contattando certe persone, nelle quali Dio ha posto appunto quella speciale affinità che sta alla base dell’amicizia.

Il vero amico, pertanto, non è tanto oggetto di una scelta personale, quanto piuttosto è un dono di Dio, è una «sorpresa di Dio», direbbe Papa Francesco, il che non esclude affatto la mia scelta di essere amico di qualcuno; ma affinchè questa scelta sia saggia e fruttuosa, bisogna che io accolga volontariamente il dono che Dio mi offre. Si tratta, direbbe Luigino, di accogliere un dono ricevuto senza merito.

L’amicizia introduce quindi ad una mutua comprensione, ad un amore, ad una comunione, ad un vincolo, ad una concordia, ad una collaborazione e ad un affetto reciproci più stretti, più intensi e più intimi, che non quelli che sono possibili con quelle persone con le quali Dio non ha posto la suddetta affinità reciproca. Per questo, tradire un’amicizia è peccato più grave che spezzare un legame di comune od ordinaria convivenza umana. Ed occorre ricordare che il vincolo dell’amicizia, quando è autentico, è fondato su di una vocazione divina.

L’amicizia è un amore di predilezione. Sotto questo punto di vista, come i fratelli carnali hanno il dovere di amarsi di più di quanto amano gli estranei alla famiglia, così i fedeli hanno il dovere di amare di più i fratelli di fede, che non i membri di altre religioni, i non credenti, gli scismatici o gli eretici (Gal 6,10).

Gesù stesso nel collegio degli apostoli predilesse Giovanni, che il Vangelo chiama ripetutamente «il discepolo che Gesù amava» (Gv 13,23s; 19,26; 21,7.20). Ed infatti il Vangelo di Giovanni mostra come fra tutti gli Evangelisti Giovanni sia quello che maggiormente è penetrato nel Mistero di Cristo, tanto da essere chiamato dagli Orientali Giovanni il Teologo. Il suo sguardo elevato è simboleggiato dallo sguardo dell’aquila.

Ciò indubbiamente non impedì a Gesù di conferire a Pietro l’incarico di confermare i fratelli nella fede, di usare le chiavi del regno dei cieli e di pascere il suo gregge, dopo aver verificato che Pietro Lo amasse più degli altri apostoli. Ma resta che mentre Pietro è stato quello che ha maggiormente amato il Signore, Giovanni è stato quello che Cristo ha maggiormente amato.

E naturalmente vale di più l’amore che Dio ha per noi che non l’amore che noi abbiamo per Lui. Sebbene però Giovanni sia stato oggetto di questo amore di predilezione, tuttavia egli fu esemplare nella sottomissione a Pietro appunto come Vicario di Cristo e Capo del collegio apostolico. Il rapporto di Giovanni con Pietro è paradigmatico per farci comprendere quale dev’essere il criterio per discernere e praticare il vero amore mistico. Quei supposti mistici e carismatici che pretendono di contestare Pietro in nome di una millantata ispirazione dello Spirito Santo, non sono affatto ispirati dallo Spirito Santo, ma dal demonio.

Fratellanza e fraternità

La lingua italiana dispone di due vocaboli per esprimere l’esser-fratello: fratellanza e fraternità. La prima fa riferimento all’esser fratello come dato o stato di natura o di grazia, indipendente dalla volontà ed effetto rispettivamente della generazione biologica, della natura umana e della grazia preveniente del battesimo. Parliamo allora da una parte di fratellanza familiare, particolare od universale umana; e dall’altra, di fratellanza cristiana o soprannaturale.

L’aggettivo «fraterno», che è il concreto dell’astratto «fraternità», fa capire chiaramente la connotazione morale della fraternità. Diciamo infatti amore fraterno, spirito fraterno, comunione fraterna, comunità fraterna, amicizia fraterna, condotta fraterna, affetto fraterno, riguardi fraterni, ecc. e ciò vale sia per la fraternità naturale che per quella cristiana.

La fratellanza naturale o semplicemente umana non è effetto della volontà, ma è un dato della natura biologica; oppure è dono della grazia divina nel battesimo. La prima si fonda sulla paternità biologica ed i fratelli sono i nati dallo stesso padre in senso fisico.

La seconda, ossia la fratellanza come dono della grazia, corrisponde alla figliolanza divina, l’«esser-nati dall’alto», ossia dal Padre celeste, ad immagine del Figlio, come spiega Gesù a Nicodemo (Gv 3,3) o, come spiega San Paolo, sono i figli di Dio «guidati dallo Spirito» (Rm 8,15), destinati a «vedere Dio così come Egli È» (I Gv 3,2).

Questa fratellanza, meglio detta fraternità, è volontaria e virtuosa. Quindi può essere conservata o interrotta per nostra volontà, mentre la fratellanza biologica è indipendente dalla volontà e resta sempre e comunque. La fratellanza naturale o familiare è atta a fondare e fonda un legame affettivo più stretto, una fraternità effettiva, ma non sempre questo accade: Caino – come fa notare Luigino – ha ucciso Abele.

Se la fratellanza, che si attua come fraternità, è volontaria risposta al dono della grazia battesimale, allora si ha la carità fraterna fra cristiani, l’amore fraterno per amore di Cristo, l’amare il fratello come Cristo ama, l’essere fratelli in Cristo e figli dello stesso Padre celeste.

La fraternità è un esser-fratelli di carattere virtuoso, ossia effetto della buona volontà. Può essere applicazione della fratellanza naturale come di quella cristiana. La prima è l’amare il prossimo come si ama se stessi. La seconda è amare il prossimo in Cristo e per Cristo, come ho detto sopra.

Sia la fraternità naturale che quella soprannaturale possono purtroppo cessare a causa dell’odio. Se due fratelli di sangue si odiano, la loro fratellanza biologica ovviamente resta. Manca la fraternità. Se invece tra due fratelli di fede o figli di Dio cessa l’amore, perdono il loro stato di figli di Dio, eredi della vita eterna. E diventano figli del diavolo (Mt 13,38 e At 13,10). E se non si emendano prima della morte, non ereditano la vita eterna, ma vanno all’inferno.

Da tutto ciò si vede bene come nel cristianesimo la fraternità è sinonimo di carità, che è la virtù principe del cristianesimo: l’amore per Dio e per il prossimo come partecipazione all’amore che Cristo possiede per il Padre celeste e per noi. Essere fratelli, allora, non è un semplice dato di fatto della natura, ma è un preciso e supremo dovere morale vero e proprio mezzo di salvezza eterna: «amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno» (Rm 12,10). «Chi non ama il fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (I Gv 4,20). E chi non ama Dio al di sopra di tutto non si salva.

La Bibbia concepisce la carità sia come fraternità col prossimo e figliolanza nei confronti del Padre celeste, che come amicizia con Dio: «la sapienza forma amici di Dio» (Sap 7,27). Gesù prospetta la possibilità di essere suoi «amici» (Gv 15,14), e non più soltanto servi, se facciamo la sua volontà, vale a dire se crediamo in Lui e pratichiamo la carità. Con la pratica della carità Gesù diventa nostro «fratello» (Mt 12,50; Eb 2, 11-12.17) e noi siamo suoi fratelli, in quanto partecipi. come figli di Dio, della sua stessa Figliolanza divina.

Il modello della famiglia

Il cristianesimo concepisce quindi i rapporti e i doveri umani e religiosi sul modello della comunità familiare. La Chiesa stessa, la comunità dei credenti in Cristo, è rappresentata nell’immagine della famiglia dei fratelli, tutti i figli dello stesso Padre e fratelli di Cristo, uniti dallo Spirito Santo.

L’amore fraterno per la Bibbia è il modello dell’amore per il prossimo:

«dopo aver santificato le vostre anime con l’obbedienza alla verità, per amarvi sincerante come fratelli, amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri, essendo stati rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla Parola di Dio viva ed eterna» (I Pt 1, 22).

La cosa interessante è che comunque il modello resta sempre quello familiare: «amatevi come fratelli» (I Pt 1,22). Il che naturalmente non significa abbassare all’umano il modello divino di Cristo, ma è solo il riferimento umano ideale, facilmente comprensibile, che ci viene offerto per elevarci al mistero della fraternità soprannaturale.

La Bibbia prende spunto dalla fratellanza naturale per rappresentare quella soprannaturale, la quale non ha un semplice scopo di solidarietà umana, ma ha un obbiettivo superiore, quello della fratellanza in Cristo, per cui ci dobbiamo amare non semplicemente come amiamo noi stessi – questo è il comandamento mosaico -. ma come Cristo ci ha amati, «dando la nostra vita per i nostri amici» (cf Gv 15,13) e al posto di «amici» potremmo mettere «fratelli».

E questo «dare la vita» ovviamente è l’imitazione del sacrificio redentore di Cristo, vittima innocente che porta su di sé il peso dei nostri peccati, liberandoci con ciò stesso dal peccato, (Is 53, 10-12) per cui ecco l’esempio del santo che, pur innocente, prende su di sé il castigo dovuto ai peccatori scontando i loro peccati al loro posto.

L’essere fratello e l’esser figlio sono dunque i modelli dell’amore salvifico, ossia della carità. Da qui nasce, sul piano soprannaturale, la possibilità di essere «padre» e «madre» del prossimo, anche se Gesù ci avverte perentoriamente che uno solo è il Padre nostro che è nei cieli e noi siamo tutti fratelli (Mt 23,8). Esser padre e madre vorrà dunque dire partecipare come ministri di Dio della sua paternità divina. 

Occorre fare molta attenzione alla differenza da parte fra la fratellanza in senso biologico o come naturale convenienza di ogni uomo con ogni altro in base alla comune appartenenza alla specie umana e dall’altra la fraternità intesa come solidarietà umana e come dono di grazia, che rende figli di Dio nel battesimo e quindi fratelli in Cristo, membri della Chiesa in rapporto alla volontà umana di ciascuno di noi.

Mentre il primo tipo di fratellanza è un dato oggettivo indipendente dalla nostra volontà e quindi incancellabile, il secondo tipo è effetto della nostra volontà da sola nel caso della solidarietà umana, sostenuta dalla grazia nel caso della fratellanza cristiana. Da qui la possibilità che ciascuno ha di peccare contro la fraternità umana o contro quella cristiana. In questo ambito di discorso San Paolo parla di «falsi fratelli» (II Cor 11,26; Gal 2,4), ossia di finti fratelli di fede, ipocriti, eretici o scismatici.

Le forme della fratellanza

La fratellanza cristiana ha una sola essenza e molteplici forme. Essa è l’effetto della confluenza dei valori fondamentali del cristianesimo, che San Paolo riassume in questi termini:

«Un solo corpo, un solo Spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4, 4-6). 

In base a ciò il termine «fratello» è sinonimo di «santo» per designare semplicemente il membro della comunità cristiana: i «fratelli» (cf per es. Gv 21, 23; At 1,16; 2,29; 3,17; 9,30; 15, 1) o i «santi» (cf per es. II Cor 1,1; 8,4; 9,1; Ef 1,15) sono semplicemente i credenti in Cristo, che formano la Chiesa. Indubbiamente il termine «santo» sarà successivamente abbandonato, per comprensibili motivi; resterà invece quello di «fratelli»: vedi per esempio il linguaggio della liturgia.

Tuttavia il termine «santo» usato in questo modo è significativo, perché la sostanza della santità, in ultima analisi, non è tanto l’essere dei San Francesco o dei San Domenico, ma è semplicemente il possesso della grazia santificante, stato che si suppone proprio del cristiano comune.  

Paolo elenca poi le forme o espressioni della fratellanza:

 

«Alcuni Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri: poi vengono i miracoli, poi i doni delle guarigioni, i doni di assistenza, di governare, delle lingue» (I Cor 12,28).  

La fratellanza cristiana si esprime anche nelle varie manifestazioni carismatiche dello Spirito nei singoli fratelli. San Paolo descrive anche queste manifestazioni, per le quali qualunque fratello riceve dallo Spirito Santo dei doni speciali, uno diverso dall’altro, alcuni ordinari, altri miracolosi, per l’edificazione della Chiesa e la santificazione dei fratelli:

«Vi è diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi è diversità di ministeri, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno  è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune: a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a uno invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio della scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell’unico Spirito; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro infine l’interpretazione delle lingue» (I Cor 12, 4-10). 

Speciale esercizio della fraternità è l’amministrazione dei sacramenti da parte degli appositi ministri: diacono, presbitero e vescovo. Eminente servizio di fraternità è il Cardinalato, al di sopra del quale, alla guida di tutta la comunità ecclesiale dei fratelli, sta il ministero del sommo Pontificato, esercitato da un fratello eletto dai fratelli Cardinali. 

                                                                                                                                                                                                                                      La Bibbia inquadra l’esercizio della fraternità naturale e soprannaturale nel nell’orizzonte di una duplice possibilità pratica nei confronti del mondo: essa si esercita o per salvare il mondo o per vincere il mondo. In relazione a questa duplice possibilità abbiamo nella Bibbia quattro coppie di scelte opposte di fraternità, per ciascuna delle quali ognuno sceglie il tipo di fraternità che preferisce, non senza una vocazione divina.

Prima opposizione: o separazione dal mondo o presenza al mondo. La prima forma di fraternità si configura come uno stato di separazione da ciò che nel mondo può contaminare, sull’esempio di Cristo, che, come dice la Lettera agli Ebrei, «fu separato dai peccatori (kechorimènos ton amartolòn)» (Eb 7,27), espressione da prendersi non nel senso che Gesù non abbia avuto contatto con i peccatori, dato che è venuto apposta per salvarli, ma nel senso di non avere nulla a che fare col peccato, precisamente al fine di offrire a tutti un amore purissimo e senza macchia.

Oppure la fraternità può esprimersi proprio nel contatto col mondo, senza contaminarsi con esso, così come il buon medico tocca e tasta l’ammalato per diagnosticare il suo male e verificare il suo stato di salute. Oppure la fraternità può attuarsi assumendo gli aspetti positivi del mondo da utilizzare per far del bene.

Seconda opposizione: o la scelta religiosa (verginità) o la scelta laicale (matrimonio). Il religioso attua una forma più alta di fraternità rinunciando a quegli affetti umani che, data la situazione di fragilità della natura umana decaduta, di fatto creerebbero ostacolo alla realizzazione di quella forma più alta di fraternità. Il matrimonio cristiano comunque è un’alta espressione di fraternità. Nell’uso ebraico la sposa era chiamata «sorella» (Ct 4,2) a significare l’ampiezza del significato biblico del termine, che va ben al di là del riferimento biologico. Così i «fratelli» di Gesù erano i suoi parenti.

Terza opposizione: o svolgere il ministero di pastore o essere membro del gregge. I titoli di «padre» e «pastore» sono molto importanti nella Bibbia per indicare la dignità del genitore, del governante, del profeta, del sacerdote, della guida e maestro spirituale.

Al pastore ovviamente corrisponde il gregge e al padre, il figlio. Questi titoli indicano indubbiamente una superiorità, che avvicina il pastore e il padre a Dio, Pastore e Padre per eccellenza. Ma il padre e il pastore, in quanto uomo, è sostanzialmente fratello dei figli, dei sudditi, dei fedeli, delle pecore del gregge.

Così i ministeri e gli uffici nella Chiesa sono servizi per il bene comune, sono determinazioni della fraternità comune, che è la condizione essenziale, fondamentale ed universale di ogni discepolo di Cristo. I ministeri e gli uffici, per quanto siano mediazioni dell’autorità e del potere divini, sono per il soggetto umano che li esercita, un’attività fraterna da fratello a fratello.

Per questo Cristo, senza aver affatto l’intenzione di abolire i gradi gerarchici, nonché i livelli di autorità e di potere ecclesiale, ma, come appare evidente dal contesto, per contrastare l’ambizione, la vanagloria e la superbia, ha quelle famose parole «non chiamate nessuno ‘padre’ sulla terra» (Mt 23,9), padre, s’intende, con la presunzione di sostituire il Padre celeste e di mettersi al suo posto o quanto meno di millantare o di attribuirsi titoli non posseduti.

Il principio cristiano dell’uguaglianza

In questa occasione Gesù enuncia il principio cristiano dell’uguaglianza fraterna: «uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8), come a dire: ugualmente e diversamente fratelli. Sembra una contraddizione; eppure non lo è. Al contrario, questi due avverbi si richiamano a vicenda e guai a contrapporli o a sceglierne uno solo escludendo l’altro. Occorre invece sintetizzare l’uguaglianza con la diversità.

Si dicono uguali due enti di pari livello, in modo che l’altro non sia o non abbia di più o di meno del primo, almeno proporzionalmente. L’uguaglianza richiede infatti che ad uguali si diano cose uguali e a diversi cose diverse, secondo i bisogni propri di ciascuno. Se si dà una pappina a un bimbo di due anni e una porzione di pollo arrosto a un giovane di 20 anni, diciamo che si è fatta uguaglianza, ovviamente proporzionale. Se invece viene pagato di più un operaio che ha fatto lo stesso lavoro di un altro, diciamo che qui c’è stata disuguaglianza, ossia ingiustizia.

Detto questo, occorre, a proposito della fratellanza, distinguere due tipi di uguaglianza: un’uguaglianza di fatto, antropologica, che è l’uguaglianza specifica, ossia l’appartenenza di ognuno alla stessa specie umana, ed un’uguaglianza morale, che è effetto della giustizia. A questa uguaglianza naturale se ne aggiunge una soprannaturale: la condivisione da parte di tutti i fratelli di fede della medesima fede. L’uguaglianza morale dev’essere l’applicazione secondo giustizia dell’uguaglianza naturale o cristiana, secondo quanto segue.

Spieghiamo infatti le parole di Cristo: ugualmente fratelli vuol dire che ognuno deve condividere l’unica fede di tutti. Diversamente fratelli vuol dire che ognuno è libero e nel contempo obbligato a vivere la fede a proprio modo, secondo i doni particolari che lo Spirito gli ha dato.

Viceversa, se si dimentica l’uguale e si bada solo al diverso vuol dire che non si è capaci di astrarre l’universale dal concreto, il comune dal privato.  Si ragiona alla maniera di Guglielmo di Ockham: l’universale va perduto e resta solo il singolo, il particolare e il diverso.

Di conseguenza la fratellanza, nel suo aspetto essenziale ed universale, va perduta, e viene fuori un’accozzaglia o un’ammucchiata caotica, disordinata, forzata, volontaristica e casuale di individui anarchici e falsamente liberi, che non hanno nulla di comune gli uni con gli altri, un conflitto di tutti contro tutti, il famoso homo homini lupus di hobbesiana memoria.

Ma se si dimentica il diverso per considerare solo l’uguale, sorge l’egualitarismo livellatore giacobino, dimentico della giustizia proporzionale, dei gradi gerarchici e dei meriti di ciascuno. L’uguale è un ente di ragione arbitrario ed astratto, stabilito dal dittatore, il «pensiero unico», senza alcuna attenzione ai bisogni propri di ciascuno, ma ostile ad ogni diversità, varietà e pluralismo considerati come ribellione e indisciplina. L’insieme dei fratelli diventa la raccolta in magazzino di un certo quantitativo di prodotti fatti in serie su scala industriale o l’adunata di una compagnia di militari sull’attenti davanti al capitano.

San Paolo enuncia chiaramente il principio dell’uguaglianza, allorché, in occasione della colletta per i poveri di Gerusalemme, ricorda che non si tratta di impoverire i donatori per aiutare i bisognosi, ma di fare uguaglianza. Rivolgendosi ai soccorritori, dice: «qui non si tratta di mettere in ristrettezze voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza» (II Cor 8, 13-14).

Questo principio di giustizia proporzionale è ricordato anche nell’Esodo, in occasione della raccolta della manna: «colui che ne aveva preso di più, non ne aveva di troppo; colui che ne aveva preso di meno non ne mancava: avevano raccolto secondo quanto ciascuno poteva mangiarne» (Es 16, 18). 

Fraternità eremitica e fraternità sociale

Quarta opposizione: o una vita solitaria o una vita associata. La fraternità non esclude affatto la vita solitaria dell’eremita o del monaco, giacché la fraternità cristiana è innanzitutto comunione spirituale e comunicazione invisibile di beni spirituali e soprannaturali, in tutto l’ambito della Chiesa, terrena e celeste. Il solitario fugge il mondo per salvarlo con le pratiche ascetiche, le osservanze monastiche, le penitenze, le preghiere e i sacrifici.

La comunità fraterna inserita nel mondo, invece, sia la comunità religiosa, sia la famiglia, sia la comunità civile cristiane propagano, testimoniano ed affermano la fratellanza universale, e con ciò stesso offrono al mondo l’opportunità e la possibilità di elevare il proprio sguardo e il proprio interesse a quella più alta fraternità che ci è donata dalla redenzione di Cristo.

L’inclinazione all’amore per i propri familiari ed alla fraternità universale è stata inserita dal Creatore nel cuore di tutti. Ma purtroppo il peccato originale ha parimenti avvelenato il cuore di tutti provocando in esso una tendenza all’egoismo, all’invidia, alla sopraffazione, alla violenza e all’odio, che contrasta con la tendenza sana e le crea continuamente difficoltà, insuccessi e frustrazioni.

Questa precaria situazione umana universale nella vita presente genera un continuo alternarsi di periodi di pace e di guerra, che segna tutto il corso della storia e si concluderà alla fine del mondo con la separazione definitiva ad opera di Cristo giudice di coloro che hanno voluto la fraternità da coloro che non l’hanno voluta.

Cristo è il Maestro insuperabile della riconciliazione degli uomini fra di loro e nel contempo con la sua Croce è l’operatore insuperabile di tale riconciliazione. Un mezzo essenziale insegnato da Cristo per questo fine è l’amore per il nemico: essere fratelli per chi non vuole esserci fratello. Indubbiamente ciò non significa proibire la legittima difesa o l’uso prudente della forza e della coercizione. Tuttavia si tratta di una norma saggissima per attutire i colpi del nemico, per farcene apprezzare i lati buoni, per farci sopportare pazientemente la sua insolenza, per spingerlo alla riflessione e al pentimento con la nostra mitezza, per guarire il suo odio col nostro amare.

Alle origini della fraternità cristiana

Ci saremmo aspettati da Luigino che si fermasse, almeno brevemente, a parlare della fraternità nella vita religiosa, con la quale, sin dagli inizi del cristianesimo, alcune comunità maschili e femminili di fratelli e sorelle nella fede, sul modello della primitiva comunità degli apostoli, hanno voluto realizzare in modo particolarmente impegnativo e fervoroso, l’ideale della fratellanza evangelica mediante una vita in comune, nella comunanza dei beni, e nella pratica dei consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza, secondo il dettame di una speciale regola di perfezione evangelica approvata dalla Chiesa.

Prestissimo comunque cominciarono le adunanze dei credenti nelle case più spaziose adatte alla celebrazione dell’Eucaristia e le prime opere assistenziali a favore dei poveri e dei malati, mentre i vescovi iniziarono a fondare le comunità diocesane. Le parrocchie sorsero alcuni secoli dopo, allorché la Chiesa, con l’editto di Costantino, ebbe la possibilità di affermarsi nei grandi centri urbani ed era enormemente aumentato il numero dei credenti. Nel contempo cominciarono a sorgere le prime associazioni e confraternite laicali di beneficienza, le comunità di vergini consacrate e le prime comunità monastiche egiziane.

Con la nascita degli Ordini mendicanti Domenicano e Francescano, ispirati ad un forte evangelismo, entra in uso il titolo di «fratello» (frater, da cui «frate», abbreviato in «fra’») per designare il Religioso al posto del benedettino «Dom» (dominus) in uso tuttora presso i Benedettini. Anche i frati, comunque, conservano per i confratelli sacerdoti e i superiori il titolo di «padre» derivato da «abate» benedettino (dall’ebraico abbà, padre). Oggi il titolo di «fratello» o «fratel» è comunissimo negli istituti religiosi moderni. Mentre per la Religiosa, i termini sono «suora» dal latino soror e «madre» per la superiora.

Gli Atti degli Apostoli ci narrano dell’origine di queste comunità, che fu la primitiva Chiesa di Gerusalemme. La prima esigenza che gli Apostoli sentirono, subito dopo l’ascensione del Signore, fu quella di creare il germe della nuova umanità messianica. Come narrano gli Atti degli Apostoli, essi

 «ritornarono a Gerusalemme dal monte degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in un sabato. Entrati in città salirono al piano superiore dove abitavano. C’erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo di Alfeo e Simone lo Zelota e Giuda di Giacomo. Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e i fratelli di lui» (At 1,12-14).

Di lì a pochi giorni abbiamo il grandioso episodio della discesa dello Spirito Santo sulla Madonna e sugli apostoli e quindi la partenza missionaria pubblica ed ufficiale della Chiesa:

«mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti assieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi» (At 2, 1-4).

Gli Atti ci narrano poi di com’era la prima comunità cristiana:

«Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze, le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo» (At 2, 42-48).

«La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuor solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune. Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande simpatia. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno» (At 4, 32-35).

«Molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare assieme nel portico di Salomone; degli altri, nessuno osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava» (At 5, 12-13).

È interessante notare come in tutti questi racconti gli apostoli sono sempre tutti insieme. Ovviamente, però si dovranno poi separare le comunità religiose maschili da quelle femminili. Le conseguenze del peccato originale impongono la cautela e la rinuncia. Ma ciò non significa affatto che il Vangelo non abbia avviato fra uomo e donna un nuovo rapporto basato sulla fraternità, ossia sulla parità e sull’uguaglianza e al contempo sulla reciprocità e non abbia avviato un processo di superamento dell’ancestrale diffidenza reciproca tra uomo e donna e soggezione della donna all’uomo, processo che allora era solo agli inizi, ma che avrebbe dovuto attendere per dare i suoi frutti maturi il Concilio Vaticano II e San Giovanni Paolo II.

Nel contempo, però, viene esaltata e incrementata l’importanza della famiglia come immagine della Chiesa. Non è difficile andare col pensiero al Salmo 133 dove abbiamo i fratelli che vivono insieme: ed ecco che «là il Signore dona la benedizione e la vita per sempre». E qui Luigino ha perfettamente ragione nel vedere in questi «fratelli» la dolcezza, la pace e la gioia degli affetti familiari.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 1° ottobre 2020







«Massimo ristoro e sollievo mi veniva dai conforti degli amici. … I colloqui, le risa in compagnia, lo scambio di cortesie affettuose, i dissensi occasionali, senza rancore, come di ogni uomo con sé stesso, e i più frequenti consensi, insaporiti dai medesimi rarissimi dissensi; l’essere ognuno dell’altro ora maestro ora discepolo, la nostalgia impaziente di chi è lontano, le accoglienze festose per chi ritorna». (Sant'Agostino)

Karol Wojtyla (immagini da internet)  


[1] Cf J.Maritain, Amore e amicizia, Morcelliana 1968; Facciamogli un aiuto simile a lui, in Approches sans entraves, Città Nuova, Roma 1977, vol.I, pp.181-199.


Nessun commento:

Posta un commento

I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.