Papa Francesco e la fratellanza (Terza parte - 3/4)

 Papa Francesco e la fratellanza 

Terza parte - 3/4

Il conflitto tra fratelli

Se il patriottismo del Santo Papa Wojtyla aveva una chiara motivazione religiosa, quello di Papa Francesco sembra di tipo più politico, e perciò pericoloso per un Papa, che rischia così il nazionalismo e la parzialità. Mi riferisco alla sua non celata simpatia per la teologia della liberazione sudamericana, cosa che favorisce nella Chiesa la corrente di sinistra provocando l’immancabile reazione della destra: un meccanismo maledetto, che ci tormenta da cinquant’anni e stride dolorosamente rispetto a quella che dovrebbe essere la fraternità intraecclesiale.

Un difetto comune ai due partiti è l’orgoglio che non le fa piegare a riconoscere d’aver torto davanti alle critiche dell’avversario, per cui la risposta non è l’umile riconoscimento del proprio errore e la gratitudine per chi lo ha corretto, ma è o il silenzio o l’insulto o la derisione. Altro difetto è la falsa ed ostinata certezza delle proprie idee, provocata dalla superbia e dalla presunzione, per cui ci si rifiuta di metterle in dubbio e le si vuole imporre agli altri ad ogni costo. Altro difetto è l’assolutizzazione della propria parte di verità, negando l’altra metà presente nell’avversario, ed ignorando pertanto che le due metà sono fatte per stare assieme e completarsi a vicenda, onde formare il tutto.

È noto a tutti così come da cinquant’anni assistiamo nella compagine ecclesiale ad una preoccupante polarizzazione fra passatisti e modernisti. I termini usuali di «tradizionalisti» e «progressisti» non sono appropriati, perché può esistere un giusto tradizionalismo, come esiste un falso progressismo, che è modernismo. Del resto, conservazione e progresso sono fatti di per sé per completarsi a vicenda.

I termini «destra» e «sinistra» hanno qualche corrispondenza con i passatisti e modernisti, ma sono troppo approssimativi e di carattere politico, e quindi non sono sufficienti a designare il conflitto ecclesiale. Il termine «lefevriani» è troppo ristretto e non basta ad abbracciare la diversificata galassia dei passatisti. Da poco infatti si sono aggiunti i minutelliani, che sono ancor più radicali, contestando la validità dello stesso pontificato di Papa Francesco per sostituirlo con Benedetto XVI. Altri riconoscono il Papa attuale, ma lo accusano di eresia o di rahnerismo. Questo contrasto tra fratelli è molto doloroso e scandaloso, perché, come chi è fuori della Chiesa potrà riscontrare in essa quel reciproco amore fraterno, che è il segno dell’essere discepoli di Cristo?

Papa Francesco, che per mandato di Cristo è il custode dell’unità e della concordia nella Chiesa, deve secondo me adoperarsi maggiormente per sanare questo interminabile e gravissimo conflitto fratricida all’interno della Chiesa. Ricordiamoci l’avvertimento di Giovanni che chi odia il fratello è un omicida (I Gv 3,15). Questo odio reciproco e disprezzo fra fratelli, oltre ad essere un male in sé stesso, ha come effetto quello di offuscare la credibilità della Chiesa agli occhi del mondo e di rendendo inefficace la sua opera evangelizzatrice.

I falsi fratelli sono più insidiosi e pericolosi dei nemici aperti. Non è sbagliato il proverbio: «dagli amici mi guardi Dio, chè dai nemici mi guardo io». Infatti mentre il nemico aperto ti combatte in faccia e ti si dichiara tale, il falso amico ti tratta con gentilezza e poi ti tradisce e ti pugnala alle spalle.

Il nemico aperto ti affronta e ti contraddice. Chi ti odia veramente e ti disprezza, ti ignora completamente oppure ti attacca improvvisamente e vigliaccamente senza alcuna ragione come un leone dal covo. Lutero, aperto nemico del cattolicesimo, è un nemico più facilmente individuabile e quindi più evitabile, e meno pericoloso che non un Rahner, che con fare untuoso ed insinuante distrugge la Chiesa dall’interno facendosi passare per cattolico e creduto da molti ingenui o furbi come cattolico.

Non era forse il caso che il Santo Padre accennasse almeno a questo contrasto fra sedicenti tradizionalisti e sedicenti progressisti, che si combattono da cinquant’anni in un conflitto che non accenna a placarsi? Non era il caso che, in un’enciclica sulla fratellanza – per non fermarsi alle astrazioni - esortasse caldamente, fraternamente e paternamente le due parti al dialogo, alla riflessione, all’umiltà, alla mutua comprensione, alla fraternità, alla penitenza, alla riconciliazione ed alla ricomposizione dell’amore fraterno distrutto da questo sciagurato contrasto?

Occorre saper discernere tra veri e falsi fratelli per sapersi condurre di conseguenza. Se spetta al Papa o al Vescovo definire uno come eretico o scismatico, nessuno impedisce al comune fedele, che si lasci illuminare dello Spirito Santo, al corrente delle condizioni necessarie per appartenere alla Chiesa, di riconoscere qualcuno come eretico e di tenersi lontano dal suo errore.

Occorre, come ci ammonisce San Giovanni, distinguere i figli di Dio dai «figli del diavolo» (I Gv 3,10) e se costoro non vogliono essere nostri fratelli, noi dobbiamo essere per loro ancora fratelli, proprio, se è possibile, con l’ammonizione e la correzione o almeno pregando per la loro conversione.

La Chiesa nei secoli, a cominciare dalla primitiva comunità neotestamentaria, ha sempre espulso o allontanato, seppur con dolore, i fratelli indisciplinati, corruttori, demolitori, divisivi e perturbatori. Già Cristo stesso prospetta nel Vangelo l’eventualità che un fratello debba correggere un altro fratello che «commette una colpa» (Mt 18,16). In questa circostanza Gesù prospetta una scala di provvedimenti da adottare, al termine della quale, se il fratello non si è corretto, «sia per te come un pagano e un pubblicano» (v.17).

Abbiamo un esempio in San Paolo nel caso dell’incestuoso:

«Si tolga di mezzo a voi colui che ha compiuto una tale azione! Questo individuo sia dato in balìa a Satana per la rovina della sua carne, affinchè il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore» (I Cor 5, 2.5).

Paolo poi approfitta dell’occasione per allargare il discorso:

«Vi ho scritto nella lettera precedente di non mescolarvi con gli impudichi. Non mi riferivo però agli impudichi di questo mondo o agli avari, ai ladri o agli idolatri, altrimenti dovreste uscire dal mondo! Vi ho scritto di non mescolarvi con chi si dice fratello, ed è impudico o avaro o idolatra o maldicente o ubriacone o ladro; con questi tali non dovete neanche mangiare assieme» (vv.9-11).

San Paolo chiama «anàtema» (anàthema) (I Cor 16,22; Gal 1,8), il fratello che oggi diremmo scomunicato. Questi provvedimenti severi mirano al bene e alla tranquillità della comunità, affinchè non sia inquinata da cattivi influssi; ma serve anche al fratello scomunicato, perché si penta e si comporti da vero fratello. Quanto ai fratelli della comunità sono tenuti ad amarlo, benché debbano tenersi a distanza (II Ts 3,6.14; Tt 3,10; II Gv 10).

Sembrerebbe dunque essere decaduto dallo stato di fratello. Tuttavia, la misericordia divina può concedere il perdono al peccatore pentito e reintegrarlo nel suo stato e dignità di fratello. Infatti l’esser fratello non è un dato di natura, come la fratellanza biologica, ma è effetto della buona volontà; per cui, come lo si acquista con la buona volontà, così lo si può perdere col peccato. 

L’essere fratello come l’essere prossimo, per il Vangelo, è effetto dell’amore. Se il fratello odia il fratello, decade dal suo esser fratello e diventa oggetto della riprovazione divina. Ugualmente Papa Francesco fa vedere chiaramente che l’inimicizia è incompatibile con l’esser fratello.  Tuttavia Cristo ci ordina: «Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano» (Lc 6,27). Sebbene l’odiatore decade dallo stato di fratello, il fratello odiato, continua ad amare l’odiatore, perché continua a vedere in lui il fratello.

 È il caso di espellere dalla Chiesa gli elementi che, nella situazione attuale appaiono i più estremisti? Lo si é fatto con Don Minutella e a suo tempo lo si fece con Mons. Lefebvre con la tradizionale «scomunica». Ma oggi simili provvedimenti sono rarissimi. È giusto?  Stando almeno al diritto canonico, molti meriterebbero di essere scomunicati e di fatto per le loro idee e per la loro condotta non sono in comunione con la Chiesa.  Decadono dallo stato di fratelli?

Francesco si occupa molto dei contatti col mondo, ma sembra che non presti abbastanza attenzione a questi conflitti e discordi interne e quindi non faccia o non riesca a fare abbastanza per risolverli e costruire la pace. È vero che, come egli dice, la Chiesa non dev’essere ripiegata su sé stessa, non dev’essere preoccupata di costruire muri, ma di gettare ponti, ma dev’essere una «Chiesa in uscita», aprirsi al prossimo bisognoso e «andare alle periferie». Deve accogliere tutti e non escludere nessuno.

Ma purtroppo alcuni hanno inteso queste parole nel senso di assoggettare indiscriminatamente la Chiesa ad ogni influsso mondano, come se essa avesse bisogno del mondo non solo per un aiuto umano, ma per completare la sua essenza; e come se, col pretesto dell’accoglienza, dovesse far entrare e mantenere in se stessa ogni sorta di elementi, costruttivi e distruttivi, assimilabili e non assimilabili, nutrienti e nocivi, compatibili e incompatibili.

A questo riguardo Papa Francesco riprende un tema a lui caro: quello dell’accoglienza dei migranti, ripetendo cose già dette molte altre volte, ossia che si tratta di persone che fuggono da situazioni insostenibili e che sono in cerca di un avvenire migliore. Si deve loro garantire alloggio, assistenza e lavoro. Essi devono rispettare le nostre leggi. Spesso sono vittime degli scafisti. Non devono essere respinti. L’Italia deve trattare con i paesi d’origine. L’Europa deve interessarsene. Sono un beneficio per lo sviluppo del nostro paese. Gli Italiani devono evitare il razzismo e la paura. Anche loro sono stati emigrati in Argentina.

Nessuna parola per le preoccupazioni che danno e i danni che fanno quelli che non danno prova di buona volontà, ma di voler vivere a spese della comunità, dandosi alla delinquenza. Nessuna parola per i numerosi immigrati islamici, molti dei quali non intendono integrarsi, ma continuano a condurre il proprio stile di vita, anche se contrastante con le nostre leggi.

Il combattimento spirituale

Abbiamo visto come sia possibile prendere le armi contro il fratello che ci è nemico e come fare nell’attuale situazione di conflittualità intraecclesiale tra opposte fazioni - i passatisti e i modernisti -, entrambe le quali pretendono di vivere la fratellanza cristiana e cattolica, e di insegnarla all’opposta fazione, vantandosi di rappresentare la vera Chiesa, ma in realtà facendone una setta, esse spesso si odiano a vicenda. L’una e l’altra cerca di sedurre e trascinare dalla sua parte i cattolici normali ed equilibrati, in vera comunione con la Chiesa e col Papa.

A costoro e al Santo Padre in primis il non facile compito di metter pace, possibilmente di far incontrare e dialogare tra di loro i due partiti, ma sembra cosa quasi impossibile, tanta è l’arroganza, la sicumera e la presunzione degli uni e degli altri. Il Papa insiste tanto sull’universalità della fratellanza umana e cristiana, invece a questi due partiti ciò che manca è precisamente il senso dell’universalità, che poi, sul piano della fede, non è altro che la cattolicità (katholikòs=univeraale) della Chiesa.  

Occorre allora adesso affrontare un altro aspetto della fraternità cristiana, sempre sul piano del combattimento non più con la spada materiale, ma, come dice San Paolo, con la «spada della Parola di Dio» (Ef 6,17). È un’operazione molto delicata, perché vale sempre il proverbio «si ferisce più con la parola che con la spada». Francesco è un attento denunciatore di tutti i peccati che si commettono con la lingua.

Eppure San Paolo con la sua parola e il suo esempio c’insegna che in questo campo dello spirito e della parola dobbiamo essere tutti dei valorosi combattenti, e se non tutti siamo chiamati a prestare il servizio militare, tutti però dobbiamo esercitarci in questa che Paolo chiama la «buona battaglia» (II Tm 4,7).

Dobbiamo allora tenere presente che la comunicazione verbale interumana presenta due forme fondamentali: una pacifica, ed è il dialogo, con le sue varie forme: il dibattito, la discussione, la trattativa, la disputa; ed una polemica: la controversia, la lite, l’ammonimento, la contestazione, l’accusa, l’avvertimento, il rimprovero, la minaccia, la requisitoria.

Degenerazione della polemica sono il litigio, l’alterco, il diverbio, la contesa. Le virtù da praticare in ogni caso sono sempre la sapienza, la carità, l’umiltà, la giustizia, la prudenza, la lealtà, l’onestà. Vizi da fuggire in entrambi i casi: la doppiezza, l’astuzia, la menzogna, l’impazienza, l’arroganza, l’intemperanza, la timidezza, la precipitazione. Virtù principali del dialogo: la mitezza, l’amabilità, la cortesia, l’affabilità, la gentilezza, la dolcezza, l’arguzia. Virtù principali della polemica: la giusta ira, il coraggio, il fervore, l’impavidità, la temperanza, la padronanza di sé.

La vita di Cristo offre esempi di dialogo sia dell’uno che dell’altro aspetto. Esempi del primo aspetto: il dialogo con Nicodemo (Gv 3, 3-21) o con la samaritana (Gv 4, 7-26) o con gli apostoli (Gv 14, 5-11) o sull’eucaristia (Gv 6, 26-58). Esempio di polemica, lo scontro con i farisei in Gv 8, 13-59.

 Fine Terza Parte

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 11 ottobre 2020

 

 

Occorre allora adesso affrontare un altro aspetto della fraternità cristiana, sempre sul piano del combattimento non più con la spada materiale, ma, come dice San Paolo, con la «spada della Parola di Dio» (Ef 6,17). 

È un’operazione molto delicata, perché vale sempre il proverbio «si ferisce più con la parola che con la spada». 

Francesco è un attento denunciatore di tutti i peccati che si commettono con la lingua. 

 

 

 Affresco XIV Sec. - Kosovo, nel Katholikon Monastero dell'Ascensione di Cristo

Susanna e i vecchioni (1580 circa) -Paolo Veronese (1528-1588) -Museo del Louvre a Parigi

Immagini da internet

 


 


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